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Autore: Rory Lannister    11/03/2015    1 recensioni
[AU. Tywin/OC. Implied Aerys/Joanna. Implied Olenna/Luthor]
Tywin Lannister ha vent’anni ed è pronto a ricevere la fortuna della Rocca, fatta di gioielli e cause millenarie, in eredità. Aurora Redwyne non è che una giovane donna alla ricerca del suo posto nel mondo, con una famiglia agli albori della nobiltà. In una Westeros ottocentesca i due si troveranno a confrontarsi con una politica corrotta e una lotta senza fine per l’agognato soglio presidenziale. Perché al gioco dei troni, in qualsiasi tempo e in qualsiasi dimensione, o si vince o si muore.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tywin Lannister
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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L'immaginazione delle donne è molto rapida: balza in un attimo dall'ammirazione all'amore, dall'amore al matrimonio. 

Fitzwilliam Darcy, Orgoglio e Pregiudizio.

 
 
 
 
Matrimonio equivaleva a fiducia.
Per questo, se qualcuno le avesse predetto che avrebbe sposato l’uomo più potente, ricco e ambizioso di Westeros, gli avrebbe riso in volto e avrebbe continuato per la sua strada scuotendo il capo. Soprattutto perché il suddetto uomo poteva congelare con uno sguardo e non sorrideva mai.
Aurora Redwyne amava ridere per dei giochi di parole che potevano comprendere soltanto lei e sua sorella maggiore, Olenna, e per lei fidarsi era ancora più difficoltoso che avanzare sul ciglio di un burrone nella più cupa delle notti.
Se proprio suo padre avesse ritenuto di dover cercarle marito, pratica che la giovane trovava del tutto medievale, avrebbe fatto in modo di dirottare la proposta su un uomo come Luthor Tyrell. Di bell’aspetto, cortese, facoltoso, ma incredibilmente sciocco così da non doversi preoccupare di combattere una guerra d’arguzia.
Olenna era stata accorta nella propria decisione, sebbene crudele nei confronti della loro povera sorella maggiore, Viola, che all’età di ventisette anni aveva ben poche speranze di sposare un buon partito.
Aurora era la più giovane delle figlie di Mr. Runceford, imprenditore della più importante azienda vinicola del paese, e di sua moglie, Mrs. Scarlett Rowan, che era stata famosa per l’arte di fabbricare cappelli per signore.
Diciotto anni, alta e longilinea, dai grandi occhi chiari e i capelli simili a foglie di vite autunnale, Aurora non possedeva la straordinaria bellezza di Olenna né la sua naturale eleganza, ma entrambe avevano la lingua tagliente e la particolare propensione ad ottenere tutto ciò che desideravano. Viola era sempre stata un gradino sotto di loro, con le sue labbra petulanti e gli occhi anonimi sin troppo acquosi.
Non poteva compatire Mr. Luthor per aver pregato ceduto al fascino della mezzana e aver spezzato il loro fidanzamento ad un passo dalle nozze.
Si sarebbero sposati il mese dopo in una sontuosa cerimonia nel Gran Tempio di Baelor. Solo il meglio per i banchieri di Westeros.
Olenna aveva già l’abito da sposa, una mirabile riproduzione di quello che avrebbe potuto indossare una principessa delle fiabe, ed era alle prese con i mille e più inviti personalizzati.
Questo non aveva fatto altro che infiammare l’indignazione di Viola e rendere più crudeli le sue maledizioni a danno della minore che, dal canto suo, rispondeva con una sonora risata e un pigro cenno con la mano destra, alla quale brillava l’anello di fidanzamento, - mostrandolo con un orgoglio che Aurora trovava quasi di cattivo gusto.
Erano ad Approdo del Re, al noioso e vetusto palazzo di Jaehaerys, sedicesimo Presidente della dinastia Targaryen e di sua moglie Shaera, che mostrava un’avvenenza invidiabile per una donna della sua età, appunto per allestire il matrimonio alla perfezione ed Aurora incominciava ad odiare quel luogo stantio e il puzzo di putrefazione che saliva dal Fondo delle Pulci, il quartiere più degradato nei pressi del porto.
Soltanto nei giardini del circolo degli eletti, nella parte orientale alle spalle della magione si poteva respirare aria pulita e il canto degli usignoli conciliava la serenità dell’animo.
Aurora amava la pigra calma dei pomeriggi d’Estate, quando si accomodava sul cornicione delle sue stanze e osservava il Mare del Tramonto brillare come uno zaffiro in un gioco di luci e ombre che nessun altro oceano poteva offrire.
Il circolo degli eletti era, in realtà, un mero gioco mentale di potente e contrappesi.
Le sette famiglie più benestanti del paese si sfidavano ad ogni generazione per avere il titolo del Presidente. I Targaryen erano rimasti imbattuti per più di venti mandati e oramai era divenuta una carica ereditaria sebbene non fosse stata mutata la costituzione liberale ideata dai primi eroi di Westeros.
Per un’altra famiglia entrare in quel circolo era un grande onore. Significava ottenere rispetto, cariche e denaro.
Olenna incominciò a fischiettare un motivetto allegro sottovoce, mai volgare neanche con tutto il sarcasmo che le inacidiva il cuore, mentre entrambe ricamavano accomodate sul ciglio di una fontana di marmo che ritraeva un drago, il simbolo dei Targaryen, che, al posto di fiamme, sputava acqua zampillante.
Aurora sollevò lo sguardo azzurrino dalla sua orrenda riproduzione di un unicorno. Il disegno era un’arte che non le competeva affatto. Sapeva cantare discretamente, ma eccelleva solo nella danza. Avrebbe potuto ballare per ore senza stancarsi.
Lo sguardo innocente che sua sorella maggiore le rivolse le fece aggrottare le folte sopracciglia scure. Non era da Olenna comportarsi a quel modo. Le rivolse un sorriso arguto e fece un cenno col capo verso la villa. Seguì la traiettoria e incrociò l’alta figura di un ragazzo che faceva tremare di terrore anche molti uomini temprati da innumerevoli battaglie politiche.
Tywin Lannister si ergeva come un leone su una rupe, intendo ad osservare il mondo dall’alto del suo rango e della sua considerevole arguzia.
Era maestoso come un Re e capace come soltanto un guida poteva essere. Con quegli occhi verdi screziati d’oro e i corti ricci dorati, poi, non era da meno ad Aerys, primogenito e possibile erede alla presidenza, con la sua avvenenza Valyriana.
Il tipo di uomo che Aurora non avrebbe mai voluto sposare.
Si stava allenando a tiro con l’arco, l’attività preferita dei giovani rampolli, con Aerys e Steffon Baratheon, suo cugino da parte materna.
Inutile aggiungere che il leone li stava sconfiggendo a più riprese.
Anche da quella distanza poteva notare le spalle scolpite, fasciate da un camiciola candida, scattare mentre tendeva la corda, la presa sicura come quella di un veterano di guerra.
Non li avevano presentati. I Redwyne erano ricchi, sì, ma non aristocratici. S’erano affermati piuttosto recentemente nel variegato panorama dell’Altopiano, però il loro nome era già pronunciato con rispetto grazie alle abilità di suo padre. Olenna sarebbe stata la prima nella loro famiglia a sposare un uomo di antica nobiltà.
I Tyrell possedevano la più grande e antica banca della nazione. Fortunatamente sua sorella aveva una sfacciata predilezione per i conti se era implicato un bel mucchio di dragoni d’oro.  
« Adesso ti sei dai alla miniere?» sibilò la più giovane abbandonando il disegno sul tavolino con un cenno di irritazione. Era disgustoso. Poteva benissimo bruciarlo. L’unicorno sembrava più un palafreno in sovrappeso che un glorioso essere mitologico.
Olenna lo notò e nascose un sorriso a denti stretti. Aurora adorava sua sorella, davvero, ma in quel momento avrebbe voluto gettarle un calice di vino in pieno volto. Era certa di essere arrossita, e non solo per il disegno.
« Oh mia cara, potrei porti la stessa questione,» cinguettò allusiva. L’aveva notata la sera scorsa quando erano state presentate al Presidente e a sua moglie. Ogni nuovo ospite riceva un posto al tavolo d’onore per una sera. Ad Aurora era toccato quello di fronte al giovane erede della fortuna giuridica di Casterly Rock. Non l’aveva degnata di uno sguardo per tutta la sera, ma Aurora l’aveva fissato di sottecchi. Troppo, a giudicar l’occhiata sorniona che Olenna le stava rivolgendo.
« Non si può negare che sia affascinante,» replicò diplomatica celando il rossore degli zigomi dietro una coppa di vino.
I Lannister erano degli avvocati strabilianti. Avrebbero saputo come fare assolvere un criminale colto in fragrante. Non si ponevano interrogati e non si facevano scrupoli. Inoltre nelle loro terre regnavano le miniere d’oro. La loro villa era stata costruita secoli e secoli prima proprio su una di esse.
Tywin aveva sconfitto i suoi avversari nel mentre. Il Targaryen, quel viziato che all’età di vent’anni non faceva altro che vagare sotto le gonne delle cameriere, non sembrava averla presa molto bene.
« Scommettiamo, sorellina?»
Mai, mai scommettere con Olenna Redwyne. Avrebbe sempre trovato il modo di sconfiggere il proprio avversario e ottenere ciò che desiderava.
Aurora si concesse un lungo sospiro e un altro sorso di vino prima di rispondere. Non voleva darle la soddisfazione di negare per timore, ma non gradiva quello sguardo da predatrice. Sarebbe ben presto finita in un guaio più grande di lei.
« Giochiamo a carte scoperte, Lenna,» esclamò seria, allontanando per un attimo l’immagine del leone della Rocca dalla sua mente. Non avrebbe per nulla giovato alla sua sanità mentale rimuginare troppo su un uomo irraggiungibile. Olenna storse il naso sottile e delicato e le labbra si piegarono in un accenno di disgusto che per un attimo la fece sorridere.
Sua sorella detestava quel nomignolo ragion per cui Viola adorava usarlo.
« Se entro la fine del torneo farai capitolare il leone, il diadema è tuo,» le propose con quel ghigno malandrino così inadatto per una signorina dell’alta società e così tanto suo da non sembrare per nulla fuoriposto.
Aurora considerò l’idea per qualche istante. Il diadema era ciò che di più bello e caro esisteva a quel mondo per lei. Era il monile che sua madre aveva amato di più. E Olenna l’avrebbe ceduto a patto di un gioco di seduzione.
Era una sfida pressoché impossibile, la ragazza lo sapeva bene. Con qualunque altro uomo non avrebbe avuto poi troppi problemi. Olenna le aveva insegnato qualche trucco e aveva scoperto che uno sguardo languido valeva più di mille preghiere.
Era di Tywin Lannister che si stava discutendo, però, e Tywin Lannister non era un uomo. Era una chimera. Una stella che sembrava vicina ma che in realtà era lontana anni luce.
« E se non riuscissi?» domandò tentando di rimanere sul vago, come se fosse stata una richiesta banale.
Olenna, la tigre bianca dagli artigli affilati come lame, sorrise come se stesse disquisendo di un’amenità e sventolò la mancina portandosi poi un boccolo castano scuro dietro l’orecchio.
« Sarebbe meglio non scoprirlo ora,» consigliò sporgendosi verso di lei e baciandole la gota prima di congedarsi. Olenna si lasciava dietro una scia di narcisi, fiera e decisa come una Regina in tutto fuorché il nome. Un giorno l’avrebbe avuto, Aurora ne era più che certa.
La fanciulla sospirò e terminò con un sorso la sua coppa di vino.
Osservò per un attimo il calice d’oro intarsiato con ghirigori di tralicci e acini d’uva. Era una di quelle che suo padre amava mostrare ai ricevimenti quando ospitano persone illustri.
Un’idea malandrina le attraversò la mente e afferrò la brocca per versarne il contenuto.
Voleva rischiare, la Regina della quiete.
Si issò in piedi e avanzò verso la magione, la coppa tra le dita e una determinazione che la stupiva. Non era mai stata una codarda. Viola era quella che si celava dietro alle parole come se fossero scudi e, quando si rendeva conto che avrebbe fallito, fuggiva nella sua tana di tasso, attenendo tempi migliori. Però non poteva negare che quel giovane leone la intimoriva.
Il fruscio della lunga veste, di un verde chiaro che lasciava la schiena scoperta e si stringeva in vita per mostrare i fianchi gentili, sembrava suggerirle di continuare per la villa e non volgersi verso il cortile degli scontri.
Aerys s’era congedato, probabilmente per non mostrare quanto gli fosse bruciata la sconfitta, e il giovane Steffon aveva ingaggiato un altro scontro con un uomo alto e dai profondi occhi azzurri. Barristan Selmy, il più abile delle guardie presidenziali.
Tywin, invece, si stava lavando le mani, il volto glabro e la nuca circondata dai ricci biondi. Dell’acqua gli era finita sulla camiciola aperta sul petto a mostrarne la consistenza muscolosa ma non troppo accentuata. Sembrava il Guerriero in forma umana e Aurora deglutì a vuoto nel notarlo.
Avanzò con tutta la grazia e la calma che la sua istruttrice di buone maniere le aveva insegnato, esponendo un mento alto e uno sguardo sereno, ma il cuore le batteva come un tamburo da guerra e il respiro era corto. Sperò che gli zigomi non fossero imporporati e che le dita che stringevano il calice non tremassero troppo.
Fece finta che fosse uno scontro casuale, il loro, una semplice mancanza di attenzione di una signorina che osservava il cielo troppo assorta per vedere ad un palmo dal naso. La sua spalla arrivava a malapena sopra il gomito del giovane e quindi il vino gli sporcò la camicia all’altezza dell’addome.
Si bloccò e si maledisse nello stesso momento. Doveva essere ammattita. Neanche Olenna avrebbe osato tanto.
Tywin Lannister chinò lo sguardo verso di lei e poi verso la sua camicia irrimediabilmente rovinata.
La trafisse con la più gelida delle occhiate e per un attimo ebbe paura di lui come se fosse stato un vero leone e lei una sciocca gazzella che aveva segnato il suo destino osando entrare nella sua tana.
Il suo cuore mancò un battito e si portò il calice al petto, tentando di non macchiare anche il suo vestito. Viola l’avrebbe uccisa. Era uno dei suoi.
Una terzogenita non aveva vestiti propri. Indossava quelli vecchi e stretti delle sue sorelle maggiori.
« Miss,» esclamò incolore il leone. Non tentava neanche di essere cortese e per quello si ritrovò a stimarlo. Tywin non aveva bisogno di vincere le proprie battaglie prostrandosi e tessendo lodi fasulle. Tywin otteneva ciò che desiderava con i mezzi che la natura gli aveva affidato, un intelletto straordinario e un’ottima capacità di utilizzarlo.
« Mi spiace. Non stavo guardando, signore,» si scusò con tutto il dispiacere che riuscì a racimolare senza sembrare troppo ridicola. La sua voce sembrava un tintinnio di campane, ma era abbastanza stabile al contrario del battito impazzito al centro del petto florido. Il gelo non si infranse, ma perlomeno non l’avrebbe uccisa.
« Non importa. È solo vino.»
Mera frase di circostanza. 
Sapeva che l’aveva fatto di proposito. Glielo leggeva negli occhi, che erano chiari come il mare e ugualmente cristallini, e Aurora non avrebbe potuto mentire, non a lui. Tywin era sin troppo  intelligente.
Che uomo detestabile.
Tentò di congedarsi in una riverenza col capo. Non sapeva cosa altro aggiungere a quella patetica scena. La sera scorsa non l’aveva degnata di uno sguardo e in quel momento la fissava come se fosse stata polvere sotto i suoi stivali a gamba alta neri come il suo cuore. Non si sarebbe mai fatta trattare in quel modo, neanche per il diadema di sua madre.
Prima che potesse fare anche un solo passo, però, una mano grande e callosa, abituata alle lunghe sessioni di allenamento, le strinse il polso sottile non senza una certa delicatezza. Aurora non avrebbe mai potuto immaginarlo gentile.
La mano era gelida e umida per l’acqua che ancora gli scuriva i capelli dorati. Una sensazione di vuoto sotto i piedi su ciò che avvertì mentre si perdeva in quel mare verde che erano gli occhi del giovane.
« Vi divertite a gettare vino contro tutti, Miss Aurora, o sono l’unico?» chiese sottovoce, il tono baritonale ancora più marcato in un accenno di sarcasmo. Un altro uomo avrebbe sorriso, ma Tywin non sorrideva mai. Le risate gli rammentavano i signori che si beffavano di suo padre, taluni asserivano.
Aurora schiuse le labbra vermiglie, appena tumide, ma si affrettò a riprendere il controllo di se stessa.
« Avete scoperto il mio passatempo preferito, Mr. Tywin,» replicò spavalda mostrandogli il più luminoso dei suoi sorrisi, prima di girare sui tacchi, facendolo frusciare lo strascico del vestito. Tywin sciolse la presa, divertito, e Aurora avanzò verso la villa gustandosi il vino di Arbor.
Era certa che le stesse osservando la schiena e i capelli scuri che battevano contro di essa arrivando sino al fondo.
Allora non le era poi così indifferente.
   
 
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