Anime & Manga > Kuroko no Basket
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Autore: Ortensia_    12/03/2015    4 recensioni
«Ricordi sbiaditi, luci soffuse, amori spezzati e ombre evanescenti. Il tempo si porta via tutto: anche le nostre storie.» — Dal Capitolo IV
Sono passati alcuni mesi dalla fine delle scuole superiori, e ogni membro dell'ex Generazione dei Miracoli ha ormai intrapreso una strada diversa.
Kuroko è rimasto solo, non fa altro che pensare ai chilometri di distanza fra lui e Kagami, tornato negli Stati Uniti.
Tuttavia, incontrato uno dei suoi vecchi compagni di squadra della Teiko, Kuroko comincia una crociata per poter ripristinare la vecchia Gerazione dei Miracoli, con l'aggiunta di nuovi membri, scoprendo, attraverso un lungo e tortuoso percorso, realtà diverse e impensabili.
«La Zone era uno spazio riservato solo ai giocatori più portentosi e agli amanti più sinceri del basket, era, in poche parole, la Hall of Fame dei Miracoli.» — Dal Capitolo VII
[Coppie: KagaKuro; AoKise; MuraHimu; MidoTaka; NijiAka; MomoRiko; forse se ne aggiungeranno altre nel corso della fanfiction.
Accenni: AkaKuro; KiseKuro; MiyaTaka; KiMomo; KuroMomo; KagaHimu.
Il rating potrebbe salire.]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Yuri | Personaggi: Altri, Ryouta Kise, Satsuki Momoi, Taiga Kagami, Tetsuya Kuroko
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Hall of Fame'
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Capitolo XXXVIII





Il vento freddo soffia rabbiosamente e le nubi di vapore nero si infrangono contro la grande luna luminosa.

Murasakibara rallentò appena e serrò le labbra con forza, fino a che non ebbe la sensazione di aver perso la sensibilità e di non poter più spalancare la bocca; sfiatò sommessamente e affondò la mano nella tasca della giacca con un gesto estremamente lento, poi estrasse il cellulare e rivolse un'occhiata inespressiva allo screensaver.
Non appena lesse il nome del mittente della chiamata gonfiò le guance, per poi protendere le labbra in avanti e sbuffare con forza.
«Se-chin, adesso che vuoi?» Murasakibara biascicò con tono annoiato, premendo il cellulare contro l'orecchio: era già passata una settimana dalla partenza di Himuro, e Kise non aveva fatto altro che telefonargli per cercare di convincerlo ad aggiustare le cose, tuttavia l'ex asso della Yousen aveva preferito mantenere una certa indifferenza nei riguardi delle sue parole in quanto aveva il sospetto che si tenesse in contatto anche con quello che ormai era a tutti gli effetti il suo ex fidanzato.
«Murasakibaracchi, è vero che torni al locale?!»
«Mhn.» Atsushi borbottò sommessamente, ormai fermo sul marciapiede «sono rimasti solo Mine-chin e Kagami, quindi penso sia meglio dare un'occhiata.»
Nel giro di una settimana era cambiato tutto: Himuro non c'era più, Matsuda se n'era andato appena gli aveva comunicato che per la cassa aveva scelto Aomine e Miya si era congedata di propria volontà perché, a detta sua, aveva trovato un lavoro più appagante - e redditizio -.
Murasakibara era certo che Kise vedesse il suo ritorno al locale come un segnale per comunicare agli altri che era pronto a riprendere in mano la situazione e a contattare Himuro - esattamente come lui, Momoi e un paio di volte anche Kuroko gli avevano consigliato caldamente di fare -, ma la verità era che cominciava a sentirsi terribilmente solo ed era perfino stufo di passare il suo tempo chiuso in casa ad oziare e ad ingozzarsi di caramelle. Il locale gli mancava e, forse un po' ingenuamente, voleva scoprire che effetto faceva senza Himuro.
«Se-chin, sono arrivato al locale: ti devo salutare.» mentì, perché era ancora fermo nel bel mezzo del marciapiede e mancavano ancora venti metri - forse anche trenta - al locale.
«Va bene!»
Murasakibara seguì con lo sguardo il movimento rapido di una foglia secca che, trasportata dall'aria fredda del mattino, transitò lungo il ciglio della strada e poi scivolò sulle strisce pedonali.
«Ciao.» parlò a voce bassa, impegnato a seguire il filo dei propri pensieri: Kise avrebbe detto ad Himuro che era tornato al locale? Non riusciva davvero a comprendere se quella fosse un'eventualità positiva o negativa.
«Ciao!»
Al contrario di Kise, che chiuse immediatamente la chiamata, Murasakibara continuò a premere il cellulare contro l'orecchio e rafforzò la stretta non appena la foglia si sollevò da terra di circa cinquanta centimetri e fu investita in pieno da un'auto che viaggiava a grande velocità. Quell'investimento crudele lo aveva spaventato, e non appena vide l'asfalto scuro tappezzato dai brandelli rinsecchiti della foglia si scoprì dispiaciuto per lei.
Dopo aver passato qualche istante a contemplare il grembo scuro della strada, Atsushi inspirò appena e finalmente si decise a sistemare il cellulare nella tasca della giacca e ad incamminarsi verso il locale.
Durante il tragitto rivolse il proprio sguardo ad altre foglie e seguì i loro movimenti concitati con il medesimo interesse che aveva dimostrato nei confronti della prima, - proprio come un bambino che si impossessa di nuovi giocattoli dal momento in cui il suo preferito si rompe -, ma non focalizzò più la propria attenzione sull'oggetto in sé e su quelle che, ai suoi occhi, erano grandi avventure che consistevano nell'evitare il passaggio rapido della automobili e nel rimbalzare lentamente da una striscia pedonale ad un'altra, piuttosto cominciò a rimuginare sulle conversazioni telefoniche a cui era stato costretto nei giorni precedenti.
Ricordava chiaramente i piagnistei di Momoi, che lo aveva pregato più volte di contattare Himuro, poi le parole schiette e imperturbabili di Kuroko, che gli aveva dato immediatamente dell'idiota, e infine gli strepiti di Kise, che gli aveva raccontato come si sarebbe potuto sentire il suo ex fidanzato in quel momento. Kise sembrava avere particolarmente a cuore quella questione e, in effetti, era senza dubbio colui che fra i tre era riuscito a lasciare maggiori dubbi e rimorsi nella mente e nel cuore di Murasakibara.
Himuro stava così tanto male come gli aveva detto Kise? Lui lo aveva lasciato, non si era sforzato di trattenerlo neppure con le parole, e in quel momento Tatsuya si trovava oltre oceano, lontano e solo.
Solo in quel momento, Murasakibara si rese conto di avere entrambe le mani premute sullo stomaco: era una sensazione simile alla fame, una sensazione di vuoto al centro del petto, un'eco di un dolore lontano, smorzato dall'amarezza dei rimpianti, eppure nitido e terrificante.
Himuro si era trascinato dietro la sua anima, e a Tokyo era rimasto soltanto un involucro vuoto, una corazza di carne che non aveva idea di cosa fare della propria vita.
All'improvviso, una voce acuta e cristallina rimbombò nelle sue orecchie con così tanta forza da rompere il muro di ricordi da cui si era lasciato avvolgere: era quella di una bambina che, saltellandogli accanto e ridacchiando per una ragione a lui sconosciuta, lo aveva scosso, incuriosito, strappato via dalle soffocanti ombre di un passato troppo recente e per questo ancora molto doloroso.
Murasakibara la seguì con lo sguardo, così come aveva fatto con tutte le foglie che fino ad allora aveva incontrato sul proprio cammino, poi si soffermò sulla madre che, chiamandola per nome, riuscì ad ottenere la sua attenzione e la prese per mano.
Dopo essere rimasto imbambolato per qualche istante a fissare la donna e la bambina che si allontanavano per mano, Atsushi decise di muoversi, quindi accelerò il passo e mantenne il proprio sguardo fisso all'orizzonte, costringendosi ad ignorare ciò che poteva essere motivo di distrazione - le foglie, le automobili, la felicità delle altre persone. Tutto -.


Quando Murasakibara giunse di fronte al locale e sbirciò al suo interno, lo trovò inaspettatamente e tristemente vuoto, tanto che per un istante ebbe la tentazione di fare marcia indietro, tornare a casa e rifugiarsi sotto le coperte per sfuggire alla crudeltà del mondo.
Dondolò di fronte alla vetrina piena di dolci colorati e meravigliosi - che in una sola settimana Kagami fosse così tanto migliorato nella presentazione? Oppure era semplicemente lui che vedeva le cose con occhi diversi? - e si decise ad entrare solamente quando, sollevato lo sguardo verso la cassa, incontrò quello ostile e vacuo di Aomine.
«Beh? Che ci fai qui?» Aomine incrociò le braccia al petto e sfoggiò un piccolo ghigno di scherno «hai finito tutti i dolci e sei venuto a fare rifornimento?»
«Mine-chin.» Murasakibara, dal canto suo, preferì ignorare la provocazione e gli porse la mano «potresti restituirmi le chiavi del locale?»
Aomine sbatté le palpebre stupito e restò imbambolato per qualche istante, letteralmente paralizzato dalla calma con cui Murasakibara si era approcciato al locale e si era rivolto a lui nonostante lo avesse appena provocato.
Non aveva idea di che cose avesse combinato durante quella settimana, ma di certo aveva riflettuto e sembrava che ciò lo avesse addirittura portato ad una maturazione.
«Per le chiavi devi chiedere a Kagami.»
«Umh? Le avevo lasciate a te, Mine-chin.»
Aomine si strinse nelle spalle e sfiatò sommessamente.
«Dopo aver passato due giorni senza clienti, Kagami ha pensato di adottare un sistema di ordinazione.»
«Eh?» Murasakibara continuò a guardarlo senza battere ciglio.
«Cos'è che non hai capito? È come quando vai in pizzeria: ordini una pizza, loro la cucinano e poi te la consegnano in cambio di soldi. Nonostante i clienti si siano ridotti, in questi ultimi tre giorni abbiamo guadagnato tanto proprio grazie alle torte su ordinazione, ma per prepararle Kagami deve venire al locale almeno due ore prima dell'apertura e andare via un paio di ore dopo la chiusura, per questo gli ho dato le chiavi.»
Murasakibara continuò a fissarlo senza tradire alcuna emozione nel proprio sguardo, tuttavia dovette ammettere - almeno nel proprio intimo - che quella delle torte su ordinazione era un'idea intelligente che nei momenti di crisi avrebbe potuto fruttare qualche soldo al locale.
«Ho capito.» infine si limitò ad un rapido cenno di assenso del capo e si diresse verso la cucina con passo lento e irregolare.
Aomine lo seguì con lo sguardo e ripensò alle parole di Kuroko, quindi continuò a tenerlo d'occhio fino a quando la porta della cucina non si chiuse: era perfettamente consapevole del rischio che si correva a lasciare da sole due bestie come Kagami e Murasakibara, tuttavia era quasi certo che l'ex centro del Teikou si trovasse al locale non per provocare, infastidire o, ancor più semplicemente, oziare e mangiucchiare dolci, ma per cercare di sistemare le cose e, d'altronde, era sicuro che l'altro avrebbe agito con molta più calma e, soprattutto, senza ricorrere alla violenza.
Doveva essere come aveva detto Kise: Murasakibara aveva riflettuto e si era reso conto dei propri errori e di quanto Himuro fosse importante per lui, allora si era pentito amaramente e aveva deciso di cambiare completamente atteggiamento e di ripresentarsi al locale con le più buone intenzioni che si potessero immaginare.
Aomine sbuffò all'improvviso, per poi affondare i denti nel labbro inferiore, autoinfliggendosi una punizione per aver dato ascolto a Kise e per aver cominciato a dare decisamente troppo peso alle sue parole e ai suoi discorsi - anche a quelli più sconnessi o noiosi -.
Era agghiacciante: la sensazione di star divenendo un impiccione proprio come il fidanzato era sempre più chiara, incombeva su di lui e come una cupa onda di dimensioni gigantesche pareva essere sul punto di sovrastarlo del tutto, ripiegarsi su di lui e inghiottirlo per sempre.


Quando sentì la porta di cucina cigolare alle sue spalle, Kagami sfiatò sommessamente e cominciò a brontolare.
«Ahomine, quante volte ti ho detto che devi restare in cassa? Rischiamo di perdere i client–»
«Potresti restituirmi le chiavi?»
Al suono di quella voce, Kagami si pietrificò e riuscì a voltarsi verso l'altro soltanto dopo alcuni istanti di esitazione.
Possibile che fosse già tornato? Era bastata una sola settimana per portarlo alla riflessione e perché si rendesse conto che era ormai giunta l'ora di assumersi delle responsabilità?
«A casa mi annoio.» fu proprio Murasakibara, che aveva continuato a fissarlo con le labbra increspate in una piccola smorfia, a rispondergli.
Kagami sostenne il suo sguardo e sfiatò sommessamente: restituirgli le chiavi significava rinunciare alle ore aggiuntive durante le quali preparava le torte su ordinazione e rischiare di cominciare a lavorare ad orari improponibili, tuttavia si allontanò dal bancone sul quale erano adagiate due teglie colme di brioche e raggiunse l'attaccapanni, affondando le mani in entrambe le tasche della giacca e frugando al loro interno.
«Mine-chin mi ha detto delle torte su ordinazione.»
«Ahah.» Kagami afferrò le chiavi e gliele porse, rivolgendogli un'occhiataccia nervosa: era certo che Murasakibara avesse tirato in ballo l'idea delle torte su ordinazione soltanto per bocciarla.
«Ti darò una mano.» ma la risposta di Atsushi fu completamente diversa dalle aspettative, tanto che Kagami si ritrovò a boccheggiare con le labbra appena schiuse, la fronte aggrottata e lo sguardo confuso.
«Probabilmente...» si schiarì la voce e chiuse gli occhi per un istante, cercando di ritrovare la lucidità perduta «Aomine non ti ha detto che vengo sempre qui almeno due ore prima dell'apertura.»
«Me l'ha detto, invece.» Murasakibara non batté ciglio e afferrò le chiavi del locale; Kagami, dal canto suo, restò a fissarlo senza dire una parola: non riusciva a credere che fosse tornato al locale con la coda fra le gambe e che si fosse appena offerto di aiutarlo, sembrava quasi che i ruoli di proprietario e stagista si fossero invertiti.
«Se sei in cerca di perdono, io sono la persona sbagliata.» Taiga sbuffò sommessamente e tornò accanto al bancone, incrociando le braccia al petto: in quella settimana aveva parlato con Tatsuya almeno quattro volte e, proprio durante l'ultima conversazione, l'altro gli aveva confessato che Atsushi non aveva provato a contattarlo neppure via messaggio.
Kagami, però, non aveva alcun desiderio di soffermarsi ulteriormente su quella faccenda, non voleva scavare ancora più a fondo perché sapeva che l'unico risultato concreto che sarebbe riuscito ad ottenere sarebbe stata una grande rabbia personale, questo perché avere a che fare con Murasakibara e Himuro era come trovarsi schiacciato fra due alti muri di cemento armato: le parole che in quel momento avrebbe potuto rivolgere all'ex centro del Teikou sarebbero state gettate al vento esattamente come era accaduto a quelle che aveva utilizzato per cercare di spronare colui che considerava suo fratello a reagire e a tornare indietro per sistemare le cose una volta per tutte.
«Senti...» quindi riprese a parlare con voce bassa e vagamente roca «potresti pensare alle ciambelle? Sono due giorni che cerco di cucinarle, ma non mi riescono.»
Murasakibara ripose le chiavi del locale nella tasca dei jeans e sostenne lo sguardo dell'altro, limitandosi ad annuire in silenzio.


«Ehi?» Tatsuya volse il capo alla sua sinistra e scavalcò con lo sguardo la ragazza che gli stava accanto, rivolgendosi, di fatto, ad un coetaneo seduto proprio all'estremità del divanetto di pelle.
Il ragazzo non si voltò immediatamente, quindi Himuro cercò di capire in che direzione stesse guardando e fu pronto a scommettere che fosse impegnato a contemplare il fondo schiena della cameriera ferma a qualche metro dal loro tavolo.
«Ehi, Josh?» lo chiamò di nuovo e riprese a parlare solamente quando l'altro si degnò di rivolgergli la propria attenzione «hai ancora dei filtri?»
Josh sbatté le palpebre un paio di volte e poi sfoderò un grande sorriso.
«Che domanda!» accennò una risata e voltò il busto di tre quarti, frugando nella tasca della giacca, adagiata sullo schienale del divanetto.
«Stai parlando con il re dei filtri!» la ragazza che era seduta fra loro parlò con tono canzonatorio, per poi scoppiare in una risata sguaiata; Josh, dal canto suo, porse un filtro a Tatsuya senza smettere di sorridere.
«Sempre al tuo servizio!»
«Grazie.» Himuro non ricambiò il suo sorriso, piuttosto parlò con voce flebile e lo guardò negli occhi solo per un istante, tornando a rivolgere la propria attenzione alla cartina non appena si ritrovò il filtro tra le dita.
Smosse appena la cartina per sistemare al meglio la polverina verdastra e per distribuirla il più omogeneamente possibile al suo interno, allora piazzò il filtro in una delle estremità e si preparò ad arrotolare il sottile strato di carta di riso.
«Tsuya!» un ragazzo alto almeno due metri e con spalle così larghe da farlo somigliare più ad un armadio a due ante che ad una persona, si affiancò al loro tavolo e ne approfittò per rubare il minuscolo bicchiere di Josh e berne il contenuto.
«Ohi, Jake! Guarda che me lo paghi tu!» Josh protestò, ma Jake non vi badò e si limitò a poggiare il bicchiere vuoto sotto al suo naso, per poi tornare a rivolgersi a Tatsuya «ti è mancata Los Angeles?»
Himuro infilò un lato della cartina sotto l'altro e inumidì la sottile striscia di colla con la lingua, in modo da sigillare la sigaretta; allo stesso tempo, però, pensò ad una risposta che potesse soddisfare le aspettative di Jake e, in parte, anche le sue.
Tirando le somme, di Los Angeles gli erano mancate soltanto sua madre e Alex; gli era bastato trascorrervi una settimana per rendersi conto che, dopotutto, era una città come tutte le altre. E poi lui aveva deciso di fare ritorno soltanto per sfogarsi, non certo per visitare qualche museo o partecipare ad un qualche evento culturale o, ancora, perché desiderava rivedere i ragazzi e le ragazze che aveva accanto in quel momento.
Avrebbe dovuto rifugiarsi in un'altra città americana, dove non lo conosceva nessuno, oppure sarebbe dovuto rimanere a Tokyo, dove c'erano anche Kagami e Murasakibara.
Himuro decise di non rispondere a quella domanda e arrotolò con più attenzione l'estremità della sigaretta opposta a quella in cui aveva sistemato il filtro, per poi mordere e strappare via la punta, infine serrò le labbra attorno al minuscolo pezzo di cartoncino che gli avrebbe impedito di scottarsi la bocca.
«Sentite...» Jake doveva avere una gran voglia di parlare, perché riprese non appena capì che Himuro non gli avrebbe risposto «fra due giorni sarà il decimo anniversario del Black Devil, quindi il biglietto di entrata costerà la metà.»
«Il Black Devil?! Sasha!» la ragazza accanto ad Himuro saltellò sul posto e rivolse un'occhiata a quella seduta di fronte a Josh e che, fino a quel momento, non aveva detto una parola «che ne dici?»
Sasha si strinse nelle spalle, afferrò la sigaretta tra le dita e schiuse le labbra, sbuffando via dalla bocca il fumo che si addensò davanti al suo viso in una nuvola vacua e vaporosa, disperdendosi, infine, nell'etere circostante.
«Sai che per me non c'è differenza, Becky.» dopodiché rispose con tono vagamente annoiato, inclinandosi appena verso destra quando la mano di Himuro, in cerca dell'accendino, si insinuò nella tasca dei suoi jeans.
«E tu, Tatsuya?» Becky parve sprofondare improvvisamente nel divanetto e rivolse un'occhiata interrogativa ad Himuro, che rispose solamente dopo aver acceso la sigaretta e aver inalato un primo boccone di fumo.
«Contate su di me.»
«Ah! Lo sapevo!» Becky batté le mani e rise allegra, ma Tatsuya non mostrò alcun segno di felicità e si limitò a versare la vodka nel proprio bicchierino e a berla tutta d'un fiato.
«A questo punto credo che mi unirò a voi.» Josh afferrò la bottiglia di vodka e ne versò un po' nel proprio bicchiere, ma fu troppo lento e quindi diede modo a Jake di rubarglielo di nuovo «e-ehi!»
«Spargete la voce, mi raccomando.» Jake diede una rapida sorsata alla vodka e restituì il bicchiere vuoto a Josh, ignorando il suo sguardo truce e colmo di disappunto e accennando un sorriso sornione «più siamo, meglio è.»


Non solo Murasakibara era giunto al locale due ore prima dell'orario di apertura, ma aveva addirittura preceduto Kagami.
Ritrovandosi solo in cucina, aveva avuto il tempo per sistemarsi con calma e per comprendere al meglio la sensazione che gli suscitava il locale vuoto - o, meglio, senza Himuro -, infine aveva deciso di mettersi a lavoro nonostante Kagami non fosse ancora arrivato.
Non ne poteva già più dell'idea di doversi alzare così presto la mattina per sfornare torte, ma d'altro canto pensare che l'alternativa era passare interi pomeriggi in casa da solo, a non fare nulla, era ciò che che gli dava la forza per andare a lavorare. Forse il fatto che si dimostrasse così tanto restio al lavoro era dovuto più che altro a motivi personali e, in particolare, al fatto che avesse deciso di realizzare l'esigenza per la quale lui e Kagami non potevano più permettersi di litigare, - per lo meno non sul luogo di lavoro -, e di conseguenza si fosse sentito costretto a collaborare con lui.
Dopo aver dato un'occhiata alle scorte di zucchero e di farina e aver appuntato su un minuscolo pezzetto di carta che bisognava fare rifornimento entro il fine settimana, Atsushi si soffermò su una teglia di bignè e increspò le labbra in una piccola smorfia amareggiata.
Guardando quella teglia di minuscoli dolcetti, i suoi occhi si inumidirono leggermente e pizzicarono appena, quindi dovette sfregarsi la punta del naso con il dorso della mano e schiudere le labbra per catturare più aria possibile, visto che aveva la terribile sensazione che cominciasse a mancargli.
In occasione del primo mese di “vita” del locale, quando si presentava a lavoro quasi ogni giorno e sia lui che Himuro erano felici di quello che erano riusciti a costruire insieme, quest'ultimo gli raccontava spesso le sue idee, rivelando un animo estremamente estroso per ciò che riguardava l'abbinamento dei gusti.
Bignè ripieni di crema allo zabaione e ricoperti di cioccolato e granella di pistacchio: quella era una delle combinazioni che stava più a cuore ad Himuro, era una di quelle che aveva concepito ancor prima che il locale aprisse ufficialmente e che aveva appuntato su un taccuino insieme a tante altre. Ora che ci pensava, quel taccuino doveva essere ancora in casa.
Murasakibara si soffermò su un bignè leggermente più grande degli altri e il suo stomaco borbottò rumorosamente, quindi allungò la mano, ma si immobilizzò ancor prima di sfiorare il dolcetto.
Voleva mangiarlo, ma per qualche motivo gli era sembrato di udire la voce di Himuro che gli intimava di non farlo e si era sentito avvilire, annichilire completamente dai ricordi.
Serrò le labbra e strinse i denti con forza, lasciò scivolare il braccio al proprio fianco e le dita arrancarono sulla stoffa grezza e dura dei jeans, gli occhi ripresero a pizzicare più fastidiosamente di prima.
«Muro-chin mi ha detto che se voglio prendere sul serio il mio lavoro non devo mangiare ciò che vendiamo...» sussurrò sommessamente e chinò il viso, rivolse i propri occhi al pavimento e poi li chiuse, aggrottando appena la fronte e arricciando il naso, nel tentativo di resistere al pianto imminente.
Murasakibara deglutì a fatica e dopo qualche istante di esitazione sollevò di nuovo il capo e rivolse la propria attenzione alla teglia, quindi decise di afferrarla e portarla fuori dalla cucina, in modo da poter sistemare i bignè in vetrina.
Dopo qualche passo titubante, Murasakibara riuscì, reggendo la teglia dei dolcetti con una sola mano, ad aprire la porta di cucina e a varcare la soglia, per poi ritrovarsi all'ingresso, quindi adagiò la grande pirofila nera sul bancone della cassa e rivolse una rapida occhiata oltre le vetrine.
Appena distolse il propri sguardo, Murasakibara realizzò di aver scorto una sagoma oltre la vetrina, quindi, dopo qualche istante di esitazione, si voltò una seconda volta.
«Umh?» Atsushi si avvicinò alla porta d'ingresso con passo rapido, per poi spalancarla senza troppi problemi.
«Come mai sei qui fuori?» chiese senza alcuna emozione nella voce, quindi vide l'altro sussultare e voltare in fretta il viso.
«Eh?» Kagami inarcò un sopracciglio e protese appena le labbra «sei già qui?»
Nel momento in cui gli rivolse quella domanda, si rese conto delle ombre scure sotto i suoi occhi e realizzò che, molto probabilmente, Murasakibara passava gran parte delle ore notturne insonne.
«Pensavo dovessi ancora arrivare.» poi riprese e quindi si mosse, varcando la soglia del locale non appena l'altro si scostò e gli lasciò lo spazio necessario per entrare.
«Stavo per sistemare i bignè in vetrina.» Kagami lo guardò, poi rivolse una rapida occhiata alla teglia piena di dolcetti e si tolse la giacca, sistemandola temporaneamente sulla sedia oltre il bancone, di fianco al registratore di cassa.
«Ti aiuto, così facciamo prima.»
Murasakibara annuì appena e afferrò la teglia.
«Ci servono zucchero e farina.»
«Lo so, ho chiesto a Kuroko se può portarceli in giornata.» Kagami raggiunse la vetrina prima di lui e aspettò che Murasakibara si affiancasse a lui per cominciare ad afferrare i primi bignè da sistemare fra le meringhe e i minuscoli cestini di pasta frolla ripieni di crema pasticcera e frutti di bosco.
«Kuro-chin ce la fa a portare tutto quel peso?»
«Eh? Penso di sì, fa quasi tutti i giorni la spesa per sua nonna. E comunque credo che ci sarà anche Kise con lui.»
«E la cosa non ti rende geloso?»
«Perché dovrebbe?» Kagami assottigliò il proprio sguardo nel percepire un vago pizzicore sulle guance «Kise sta con Aomine, no? E, soprattutto, mi fido di Kuroko.»
Murasakibara soffermò la propria attenzione sulle mani di Kagami, intento a sistemare al meglio i bignè senza rompere l'equilibrio fra gli altri dolci esposti, e all'improvviso si ritrovò incantato e in completa balia dei propri pensieri. Ecco qual era il problema: aveva dimenticato che Kuroko e Kagami stavano insieme e che si amavano esattamente come lui e Himuro, ma soprattutto sembrava essere divenuto cieco nei riguardi di tutta la bontà che il suo ex fidanzato aveva mostrato nei suoi confronti e gli aveva negato la fiducia a causa di una congettura puramente personale e, prima di tutto, infondata.
«Kagami? Posso chiederti una cosa?» non sopportava più l'idea di quel vuoto che sarebbe rimasto per sempre e che, senza alcun dubbio, avrebbe costituito una fonte di mancanza, rimpianti e rimorsi nella sua vita futura.
Perché aveva attaccato Tatsuya con così tanta aggressività? Perché lo aveva lasciato andare via senza dire una parola? Perché si rendeva conto dei suoi errori e della gravità della situazione soltanto dopo una settimana.
«Cosa c'è?»
«Come...» Murasakibara sembrò quasi dondolare sul posto e prese una rapida boccata d'aria nonostante le labbra tremanti «lui come sta?»


«Come hai detto che ti chiami?» la ragazza che era letteralmente appesa al suo braccio sinistro rise e lo strattonò appena.
«Tats'uya!» la seconda ragazza, che invece era aggrappata al suo braccio destro, rispose con un forte accento americano «possibile che tu non riesca mai a ricordarti i nomi, Maddison? Insomma, è così un bel ragazzo che dovresti fare di tutto per ricordarlo, no?»
Himuro continuò a camminare seppur rallentato da entrambe le ragazze, in particolare da Maddison, che era vagamente alticcia.
«Taci, Jennifer.» Maddison la additò con l'indice e tracciò un piccolo cerchio nel vuoto, per poi singhiozzare sommessamente.
«A proposito, Tats: immagino che tu abbia fatto strage di cuori a Tokyo, eh?»
Himuro serrò le labbra e sfiatò appena: quelle ragazze erano così frivole, completamente prive di cervello, ma dopotutto che cosa pretendeva? Di certo non poteva aspettarsi grandi cose da giovani donne che da almeno quattro anni passavano ogni sera chiuse in locali a fumare, bere e a lasciarsi toccare da qualsiasi maschio passasse nei paraggi.
«Ce l'hai la ragazza?» Jennifer gli strattonò il braccio, contemplandolo con occhi adoranti.
«No.»
«Come? Non hai una ragazza?!»
«Jennifer!» Maddison scoppiò a ridere «ma non vedi le sue occhiaie? Questo qui passa le notti a scopare con chiunque capiti!»
In verità le sue occhiaie erano dovute più che altro alla mancanza di sonno e al pianto, ma Tatsuya lasciò che Maddison lavorasse di fantasia e giustificasse il suo volto stanco e sfatto con quelle idiozie vere soltanto in parte - visto che nei due giorni precedenti era stato a letto con Sasha, ma non era stato niente di troppo lungo o impegnativo che potesse lasciare segni sul suo viso -.
«Esci con me!» Jennifer non diede ascolto all'amica e gli strattonò di nuovo il braccio.
«Non voglio niente di serio.» Tatsuya sfiatò appena, rivolgendo una rapida occhiata al marciapiede dall'altro lato della strada, illuminato da alti lampioni e dalle insegne colorate di alcuni locali nei quali rimbombavano canzoni commerciali e il chiacchiericcio degli adolescenti del quartiere.
«Allora scegli me, lei è troppo romantica.» sentenziò Maddison, che sembrava essersi improvvisamente ripresa dal giogo spietato dell'alcol.
«Non dire cazzate!» Jennifer strepitò e batté un piede a terra come una bambina capricciosa.
«Dai, lo sanno tutti che a letto con i ragazzi faccio faville!» l'altra rise «tu sei un fiasco, invece!»
«Ti ricordo che il tuo ultimo ragazzo è venuto a letto con me perché tu non gli davi soddisfazioni.» Jennifer sorrise sorniona e indicò il suo seno con un movimento concitato della mano.
«Quello era un coglione, non è mica colpa mia se ho le tette piccole.» sbottò «e tu sei una puttana.»
«Senti chi parla.»
Himuro avrebbe voluto prenderle entrambe per i capelli e far scontrare le loro fronti in una testata violenta, forse non solo nella speranza di farle tacere, ma anche in quella di stordirle a tal punto da lasciare prive di sensi nel bel mezzo del marciapiede, ma passare tanto tempo con Murasakibara aveva temprato la sua pazienza e quindi si limitò a prendere una grande boccata d'aria e a chiudere gli occhi solo per un istante, cercando di ignorare il continuo starnazzare delle due ragazze.
«Sentite...» c'era soltanto un modo per farle stare zitte e per placare quell'irritante litigio «perché non venite entrambe a casa mia?»

Il sussurro del vento tra le foglie nere è una litania lenta e sommessa, un canto funebre con voce di donna e crudeltà di bestia.




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L'angolino invisibile dell'autrice:

Ce l'ho fatta! ;33;
Scusate per l'attesa e scusate se questo maledettissimo capitolo è un po' corto/e scritto da cani, sob/.
Sono stata piuttosto impegnata perché ho ripreso l'università e francamente non avevo il coraggio di scrivere di Himuro, quindi ho passato alcuni giorni a fissare la pagina vuota senza riuscire a mettere insieme due parole. Alla fine, però, non è stato così traumatico.
Non ho molto da dire sul capitolo, a parte che aveva ragione Kagami: Himuro è corso a Los Angeles per sfogarsi e quindi, sì, fuma marijuana (è stata un'impresa documentarmi su come rollare---), beve vodka e fa sesso con delle donne (perché vi ricordo che nella visione di Hall of Fame è bisessuale).
So che in questi giorni siete tutti in fermento per l'Extra Game che, diciamo, non ci fornisce proprio un bel ritratto degli americani... ecco, forse anche io qui ho un po' esagerato con le ragazze, ma voglio specificare che è Himuro stesso a cercarle, sono le classiche “ragazze facili” che si trovano ovunque, di certo a Los Angeles ci sono anche figliole (?) intelligenti e mature, ma queste non lo sono affatto (soprattutto le ultime due, che francamente vorrei strozzare con le mie stesse mani 8'' )
Per il resto, voglio dare l'idea che i ruoli si siano invertiti, ovvero: adesso è Himuro quello che fa i capricci, mentre Murasakibara, seppur lentamente, sta prendendo coscienza di sé. Diciamo che da questo capitolo in poi, i riferimenti a Murasakibara come bambino saranno sempre meno, perché questo è un momento molto particolare della sua vita che gli permetterà di crescere e maturare/almeno minimamente/.
Piccolo post scriptum: se volete esprimere la vostra antipatia verso alcuni personaggi potete farlo perché è libertà di tutti e io non ho certo la facoltà di negarvela, tuttavia vi vorrei sollecitare ad essere un po' più tolleranti, perché io, in quanto autrice, amo i personaggi di cui scrivo (chi più chi meno) e non mi fa mai piacere quando ricevono odio gratuito senza ragioni ben precise, soprattutto se questo odio viene manifestato nelle recensioni che vengono lasciate alle mie fanfiction. Vi ringrazio ùwù
   
 
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