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Autore: RLandH    13/03/2015    3 recensioni
Da capitolo II:
[...]“E quindi hai pensato che abbandonarmi era meglio?” domandò irascibile lei, “Tesoro, nasciamo, viviamo e moriamo soli. Non è mia abitudine aiutare i mortali, mai, neanche i miei figli. Neanche quelli divini, se per questo” aveva detto con un tono infastidito, continuando a limarsi le unghia.[...]
Da capitolo IX:
[...]Era il figlio al prodigo, aveva bisogno di quel padre a cui aveva voltato le spalle, per uno stupidissimo corvo che non avrebbe potuto fare nulla contro un gigantesco uomo alto venti piedi. Le sentì brucianti le lacrime sulle guance.[...]
July vorrebbe aspettare la fine in pace, Carter si sente perso come mai è stato, Heather è in cerca di qualcosa e Bernie di quella sbagliata.
Se si è cosa si mangia: Arvery è una bella persona; Alabaster, lui è quello furbo. Marlon è un anima innocente e Grace è un mostro dal cuore d’oro.
E quando gli Dei decidono di invocare l'aiuto di quegli stessi figli dannati a cui non hanno mai rivolto lo sguardo, non c'è da stupirsi se il mondo intero va rotoli ...
Buona lettura,
Genere: Angst, Avventura, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altro personaggio, Dei Minori, Le Cacciatrici, Mostri, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Come sempre ricordo il totale no-sense di questa storia, con i POV posti in maniera atipica. Oltre questo, ho qualche nota su questo capitolo. Rispetto gli altri scritti fin ora (escluso il prologo[?]) – di cui voi pur troppo avete letto solo uno – è più breve, poiché il capitolo è stato spezzato. Intero sarebbe dovuto essere postato più in là, ma spezzato ho potuto inserirlo qui.

Non sono soddisfatta di come è scritto, ma dopo averlo risistemato tre volte, mi sono arresa che non mi avrebbe mai convinto, oltre questo è probabilmente tra i capitoli già scritti, il più importante, dal punto di vista narrativo.

 Finito di cianciare, vorrei ringraziare AliNicoKITE per aver recensito (Grazie di cuore), anche chi ha messo la storia tra le seguite e chi ovviamente ha letto.

Buona Lettura

RLandH








 

Il Crepuscolo degli idoli

 

La modestia non è prerogativa della progenie di Apollo
 

 

Heather I






Heather aveva quel nome per il fiore d’erica, erano arbusti spontanei sempre verdi. Sua madre diceva che l’aveva concepita, vicino quei fiori. Tanto tempo prima. Era una delle pochissime informazioni che aveva ricevuto su suo padre, prima di scoprire fosse un dio dell’Olimpo. Heather ancora ricordava quando era arrivata al Campo Mezzosangue per la prima volta, seguendo Qbert, un satiro sovrappeso con un incredibile amore per le lattine di coca cola senza zucchero. Delle tre settimane passate nella casa di Hermes a difendere con pugni e con i denti il suo spazio vitale. A Darren, che dormiva nel sacco a pelo affianco al suo, con quell’espressione beata ed i capelli sempre spettinati. A quando era stato riconosciuta, sulla cui stessa testa era fluttuato il simbolo di febo Apollo. E quando aveva conosciuto suo padre per la prima volta, durante un solstizio d’inverno, era salita sull’Olimpo ad una festa, dopo che Thalia Grace era stata confessata cacciatrice di Artemide. 
 
Era stata tutta tirata, seria e composta, ricordava il nervosismo che aveva avuto, la nausea alla bocca dello stomaco, aveva indossato un vestito lungo fino alle ginocchia, di un nero sbiadito, da farla sembrare un acciuga, era stata  accanto a Darren, che cercava di invogliarla a ballare, con scarsi risultati. Non era per qualcosa, adorava la musica ed avrebbe davvero voluto danzare con quel figlio di Demetra, era così carino, ma c’era così tanta gente lì, così tanti dei. Poteva esserci anche suo padre, non che lei avesse minima idea di che aspetto avesse. I suoi fratelli maggiori l’avevano descritto in più che svariati modi, “Vuoi ballare?” aveva ritentato ancora una volta Darren, passando una mano tra i capelli scuri, prima di allungarla verso di lei. Heather era stata sul punto di cedere, afferrare quella mano e tirarsi nella mischia. Ma alla fine,  un ragazzo aveva proteso un piccolissimo rametto  con foglie verdi acuminate e strette, con batuffoli rosa chiari, “Erica” aveva mormorato, risalita la mano aveva incontrato un ragazzo meraviglioso, dal viso bronzato ed i capelli d’oro fuso, come raggi del sole. Era rimasta un attimo folgorata, Darren aveva sbuffato infastidito, prima di accorgersi della luminescenza del ragazzo. “A-Apollo?” balbettò Heather con un soffio, cogliendo l’erica dalla mano del dio, “Somigli molto a tua madre, Heat” aveva detto giovanile quello. Lei aveva sorriso come una scema, era lo stesso nomignolo con cui la chiamava sua madre ed aveva aspettato così tanto di sentirsi chiamare così anche da sua padre, che quasi le sciolse il cuore. Certo era, ademente(*), strano, avere un padre che sembrava diciottenne, quando lei aveva a malapena tredici anni. Ma era stato incredibile lo stesso. Aveva poi ballato quella sera con Darren, con il ramo d’erica tra i capelli. A distanza di anni non si era ancora seccato, Heather lo portava sempre nella tasca.
 
“Hai finito con la lattina?” aveva domandato Qbert allungando l’occhio alla latina di coca cola senza zucchero, che stagionava accanto a dell’insalata abbandonata a se stessa e rifiutata, in favore di un solo gigantesco hamburger con aglio e cipolle. Heather guardò critica la lattina, la spiò minuziosamente, la soppesò con le dita e quando ritenne d’aver fatto sudare a freddo l’amico abbastanza, annui. Qbert la prese e la nascose nel suo enorme zaino d’avventuriero con spille colorate e della pace ad ornarlo. Assieme ad un’altra ventina, che avrebbe mangiato quando fosse stato sicuro che nessun mortale li guardasse. Qbert era paranoico, non credeva a pieno nella nebbia, non credeva a pieno se non si se stesso. Però ad Heather piaceva, anche perché lui era stata a trovarla tanto tempo prima. Certo allora Qbert era un satiro sovrappeso, con la passione per la nudità e le guanciotte rosse, che era arrivato fino al campo mezzosangue per unirsi al tiasio di Dionisio. Sfortunatamente per lui, non aveva trovato un simpatico dio ebro e voluttuoso, si era ritrovato un sarcastico, irritato e sobrio Dionisio. E così Qbert aveva cominciato il suo lento cambiamento. Dal perdere i chili, a coprirsi ossessivamente, per assicurarsi che nessun mortale si accorgesse di lui, girovagare con le stampelle ed un berretto o una bandana sulla testa. Aveva ancora le guance rosse, incastrate nei serpentini ricci castani, che scendevano alle spalle, si era sciupato nel corpo e secondo un sacco di ninfe al campo Qbert era un satiro molto carino, con molte O. Come diceva sempre Mirtle, agghindando i capelli viola scuro per apparire abbagliante. Il satiro non ne era consapevole ovviamente, ancora segnava qualche menade sconcia, per accorgersi di una certa pianta di mirtillo che sbatteva gli occhi lillà ogni volta che passava.
 
Qbert era stato incaricato da Chirone di cercare qualcuno o qualcosa, non erano stati molto chiari. Il direttore non poteva perdere molti elementi dietro a questa caccia al tesoro, non con Gea pronta a risvegliarsi ed i Romani pronti a dargli battaglia. Però Heather non se l’era sentita di lasciarlo da solo. Voleva bene a quel satiro, era stato lui a portarla al campo infondo. Darren era stato contrario, perché non aveva affatto voglia di separarsi da lei. Sarebbe voluto venire anche lui infondo, ma Miranda lo aveva convinto a restare, avevano bisogno di quanti più aiuti. Per convincere Will, c’era voluta Rachel.
 
“Non vorrei metterti in agitazione, ma Lei è appena entrata” aveva detto Qbert, con un tono asettico. Heather non si era voltata,  ma vedeva benissimo nella sua mente come doveva essere, era certa di vederla spiare con quegli occhi inquietanti ed un po’ folli, l’intero locale per cercarli, il riccio crine sangue, scomposto, ed il leggero giubbino rosso fuoco, con i bottoni d’onice stretti dal collo all’inguine. Da quando avevano lasciato il capo, che Lei li seguiva; avevano pensato fosse casuale all’inizio, ma poi si erano ricordati di essere mezzosangue e che il caso non esisteva. Qbert si grattò il pizzetto da capretta nero con fare pensoso, cercando di immaginare che fare. Lei allungò una mano fino alla sua borsa, dove c’era la spada di bronzo-celeste,ben nascosta sotto le sembianze di un lucidalabbra alla frutta. Combattiamo, avrebbe voluto urlare Heather, ma non lo disse. Voltò lentamente la testa verso di lei. Gli stava fissando, con gli occhi di brace, neri come il fumo di un comignolo, pulsanti del rosso vivo della rabbia. E sorrise. Sembrava un taglio sul viso, l’indecente recisione della nuda pelle, un taglio orizzontale che apriva il viso in maniera perversa. “Quella vuole ucciderci” commentò Heather. La preveggenza era un’arte concessa davvero a pochi, qualche figlio di Apollo l’aveva, non nella maniera di Rachel Elizabeth Dare certamente, ma riusciva a vedere qualcosa,  Heather non era tra questi ovviamente, come tutti i suoi fratellastri era in grado di percepire qualcosa, il futuro ne si faceva vedere chiaro ne come un incognita, era una lavagna nera, era come andare ad un interrogazione, non aver studiato, ma vedere il ragazzo in terza fila annuire, per rassicurati che avrebbe suggerito. Un po’ come quello, non un suggerimento, la sensazione di un suggerimento. Nel vederla, Heat sentiva la pelle accapponarsi, come se fosse trafitta da mille spilli infuocati.
 
La donna fece qualche passo verso di loro. Era giovane, più di quanto Heather avesse pensato, ma più vecchia di lei. Aveva un viso preciso, grazioso, ma severo, crudele e spinoso, concorde con gli occhi animanti da furore cieco. Heather sguainò la spada. Il resto del locale, continuò a mangiare i propri panini con disinvoltura. La donna continuò a sorridere, poi strinse il pugno sulla spada, così forte che Heather aveva pensato se la sarebbe affettata, tanto bianche erano divenute le nocche, però non venne fuori neanche un rivolo di sangue. Passò la lama poi, come se lei fosse stata un fantasma. “Adoro il bronzo celeste” commentò spudoratamente, prima di ridacchiare immensamente divertita, un ghigno malefico sul viso. “Hai miei tempi si possedevano armi di ferro mortale e bronzo celeste, sai” aveva commentato con un tono accidioso, leccandosi le labbra dipinte do rosso pallido. “Per l’Ade, abbiamo un bel problema” aveva commentato Qbert, la donna aveva chinato il capo da un lato, allontanando la mano, prima di estrarre lentamente  dalla tasca della giacca rossa quello che aveva tutta l’aria di essere un lungo stilo.  Heat riuscì ad intercettarlo con la sua spada, che fortunatamente non feriva i mortali, ma non aveva problemi con le armi mortali. Qbert aveva urlato, liberando il Panico che il dio Pan aveva distribuito ai satiri prima di dissolversi, afferrò per una mano Heather, trascinandola fuori dal locale, mentre la mortale che vedeva s’era accartocciata su se stessa, lasciando il pugnale per terra.
 
“Cosa, per l’Ade, era lei?” aveva urlato Heat quando era riuscita a prendere fiato, con gli occhi spalancati per il nervosismo, “Una mortale su di giri che vedeva attraverso la nebbia” aveva commentato sterile Qbert come se fosse abituato ad affrontare quel genere di cose tutti i giorni. “Senti! Puoi infilzare anche un minotauro, ma non un umana?” si era lagnata Heather, guardando la sua spada con un senso di vuoto, che senso aveva un’arma che non era in grado di ferire il suo avversario, Qbert si astenne dal commentare quando dovesse sembrare patetica nel parlare con una spada. “E’ perché ci ha aggredito?” aveva domandato poi Heather,  prima di ricomporsi. Dovevano andarsene alla svelta, davvero, prima che la donna si riprendesse, “Non importa” quasi belò il satiro, “Dobbiamo andare. Abbiamo una missione” disse alla svelta quello, tirandola per la manica della maglia. Heather annui.
 
L’amico la strattonò pesantemente, il pugnale schizzò così vicino da rischiare di squarciarle una guancia e finì a pochi metri da lei. “Quello del Panico è stata un’interessante dolo” aveva mormorato la rossa con un tono sottile, “Davvero, mi avete sorpresa” non mentiva, il suo tono mostrava davvero di esser sorpresa. Un sorriso maniacale ornava le labbra rosee. Non sembrava preoccupa dal fatto che fosse disarmata davanti una mezzosangue ed un satiro armato di Panico. Era in piedi, davanti loro con le mani nelle tasche della giacca. “Non abbastanza si direbbe” aveva mormorato Qbert, assottigliando lo sguardo, la donna non aveva fatto una piega, se non per annuire, prima di rispondere: “Ho avuto modo di vedere altre mirabolanti doli, per fuggire da voi due”, si era infilata una ciocca di capelli rossi vermigli dietro l’orecchio. Per un attimo sembrò l’innocenza fatta persona, ma poi la scanzonata malizia tornò ad impregnarla. Qbert fu svelto a recuperare la fionda e sparare un sassolino contro la fronte della donna, i satiri erano pacifisti, fortunatamente il suo amico no. La donna inclinò la testa quel tanto da evitare la pietra, “Io so ogni cosa, giovane satiro” aveva spiegato con un sorriso all’apparenza amichevole, “Tutto ciò che deve avvenire. Io la conosco” aveva ripreso con mera tranquillità. “Dimmi giovane Heather” aveva commentato, fissandola con gli occhi di brace, “Vorresti sapere qualcosa sul tuo futuro?” aveva domandato divertita in maniera quasi oscena, “Forse, sulla tua dipartita?” aveva inquisito, “Gioca pure con la pestilenza/Regina della fraudolenza/ il tuo destino è segnato/ il male acquattato/ verdi i suoi occhi/Letali i suoi stocchi/L’averno due volte visiterai/ma la seconda volta resterai” aveva detto. La sua voce era profonda, scura, antica. Come Rachel quando era posseduta dallo spirito dell’oracolo. Solo che non c’era fumo verde a contornarla, solo rosso di sangue. Heather si sentì quasi svenire; la donna aveva pronunciato la sua morte. Le venne da vomitare, le gambe tremarono.
 “Mi interessa: solo quanto in fretta prenderemo a calci il tuo didietro mortale” aveva risposto per lei Qbert,  riprendendosi dalla profezia, “Puoi dirmelo?” aveva bisbigliato retorico, prima di afferrare delle biglie d’onice e caricarle nella fionda. Quando lanciò, gli occhi della donna si spalancarono, lei sapeva, lei vedeva, ma aveva paura, il rosso pulsante nelle iridi s’era spento come la cenere,“Fuoco greco” aveva mormorato la donna, poi l’ambiente si era tinto di rosso ed arancio vivo, l’aria s’era fatta  irrespirabile, rifugio di polveri caustiche; tanto da bruciare la gola ed i polmoni. Lei si era allontanata per evitare di bruciare. “Non avremmo altre occasione per filarcela, Heat” le disse il satiro, prendendola per una mano e scuotendola, per risvegliarla da quella condizione in cui l’aveva imposta la profezia sulla sua morte.  Erano fuggiti tossicchiando, con i polmoni pieni del fumo nero. Qbert teneva a portata di mano altre biglie piene di fuoco greco. Quando riuscì a svegliarsi dal suo torpore, realizzò che se erano riusciti ad allontanarsi da quella pazza, era stato unicamente merito del satiro e non riuscì a sentirsi grata abbastanza che il suo amico fosse un aspirante tiasico anziché  un cercatore qualsiasi.  “Sei sprecato alla coltivazione di fragole” mormorò la figlia di Apollo, abbozzando un sorriso, “Non mi dire” rispose il satiro sarcastico, mentre saltellava via frettoloso. Il resto di quello che sentì, fu il più grande dolore al mondo. Dalla schiena al ventre, d’una forza ingestibile, scavata, trapassata, violata. L’aria nei suoi polmoni si fece di sangue e le forze vennero a mancare. Cadde sulle ginocchia, abbassò appena gli occhi, dal suo ventre spuntava la punta di una lancia, il suo sangue colava dalla ferita, “Oh Ade” imprecò con voce strozzata, piantò le mani sul ventre, cercando di ricordare dalla sua mente una vecchia filastrocca greca con cui curarsi. Poi il dolore ebbe la meglio sui suoi nervi. L’ultima cosa che vide, fu il viso affranto e preoccupato di Qbert che si chiudeva su di lei.
 
 
 
Il sibilo di un serpente, quando Heat schiuse un occhio, un serpente le stava strisciando ad un centimetro dal naso. L’urlo, oltre che indietreggiare di tanto, da sentir il vento sulla nuca ed il calore sotto la schiena. Volse il capo, per vedere il nulla sotto di lei, stava volando. “Heather calma” urlò Qbert, afferrandola per le mani e tirandola vicino a lui. Solo allora, la figlia di Apollo sembrò respirare e calmarsi  per realizzare che lei ed il satiro erano su quella che poteva essere considerata una macchina, incendiata da fiamme che non bruciavano, senza tettuccio, che volava, ed oltre il serpente, c’era un tizio seduto sul posto del guidatore, Heather vide i suoi occhi. Erano un castano amichevole. Tremava tutta, per l’intero non-sense della situazione, un attimo prima fuggiva da un fastfood e veniva trapassata da parte a parte con una lanciata ed ora era su una decapottabile in fiamme volante. Le venne da vomitare. La lancia, la nausea. La ferità. Ma non provava dolore?
 
Heather abbassò lo sguardo al ventre, con occhi serrati, gli schiuse lentamente, timorosa di scoprire perché non vi fosse dolore, ma ciò che trovò la disorientò più della mancanza di sofferenza, quanto la illuminò su questa condizione. Non c’era niente, solo uno squarcio sulla maglietta arancione del campo con qualche macchia di sangue, la pelle rosea attorno all’ombelico era integra, null’altro, “Per l’Ade” aveva esclamato, con un sorriso che l’era sorto sul viso, premendo le dita, doveva aveva visto la lancia, “Cosa è successo?” aveva domandato, alzando lo sguardo verso il satiro, “Ci ha salvato” aveva detto Qbert indicando il guidatore, il serpente era strusciato al suo fianco, fino ad arrotolarsi sulle sue gambe, lasciando la ragazza interdetta, “Regina è una coccolona” lo aveva rassicurato il guidatore, la sua voce era gentile. Il serpente aveva sibilato. Era lucido, di scaglie verdi e nere, con occhi grandi e gialli, sembrò muovere la testa, soddisfatta del complimento, prima di sistemarsi di nuovo tra le sue gambe.  “Oh bene” aveva detto Heather, indecisa se dovesse o meno toccare il capo dell’animale, “Grazie” commentò alla fine, rivolta al guidatore.
 
 
 
Arrestò in prossimità di quello che aveva tutta l’aria di essere un parcheggio per i centri commerciali. Ma dal panorama che si stagliava davanti loro, non erano più a Long Island. Qbert era saltato fuori dalla vettura, mentre Heather l’aveva seguito immediatamente dopo, Regina si era arpionata al suo braccio, arrotolandosi lungo di esso, come un braccialetto. Il guidatore era sceso dalla macchina, era un uomo oltre la mezza età, aveva capelli bianchi come nuvole ed occhi caldi, un espressione simpatica, indossava un lungo camice bianco da dottore, da cui spuntavano pantaloni indaco e scarpe di vernice, aveva anche uno stetoscopio appeso al collo, ma in mano al posto di una cartella clinica tipica dei dottori aveva una verga scheggiata, che aveva allungato verso Heather, a quel punto regina si aera srotolata dal suo braccio ed era andata ad attorcigliarsi attorno al bastone dell’uomo. Poi sorrise, “Non avete un topo per Regina, immagino” commentò l’uomo, prima di tornare serio. “Quella macchina è in fiamme?” aveva domandato Heather indicando la decapottabile sportiva, “Effetti collaterali del carro di Apollo” aveva risposto il medico con un sorriso genuino, il sopraciglio della ragazza schizzò fino al cielo, “Permettimi di presentarmi. Sono Ascelpio, dio della medicina, figlio d’Apollo, attuale custode del carro del sole ed ovviamente tuo fratello” aveva risposto il dio in maniera gentile. Heat rimase in silenzio, cercando di elaborare tutte quelle informazioni. Alla fine il suo fratellone divino gli aveva spiegato che con i dei maggiori barricati dentro l’Olimpo, qualcuno doveva pur far correre il sole ogni giorno nel suo sentiero e come figlio prediletto si era offerto lui.  E morale della favola gli aveva salvati dalla pazza mortale dai capelli di sangue che prediceva morti a tradimento.
 
Ascelpio era un chiacchierone, questa fu la prima cosa che Heat appurò di suo fratello, la seconda era che era molto potente, più di qualunque altro figlio d’Apollo, era anche capace di riportare i morti in vita, ma Zeus l’aveva proibito, ma di tanto in tanto, aveva detto, facendole l’occhiolino complice, prima ovviamente di tranquillizzarla che non era stato quello il caso; più che malconcia questo si,  ma Heather era sempre rimasta arpionata alla vita. La terza cosa che aveva compreso era che aveva ereditato la leggendaria modestia del loro padre. Ma gli era simpatico, infondo se poteva vivere con quel bipolare dall’arrabbiatura facile di Will, poteva convivere con chiunque. E poi aveva offerto il pranzo lui. Heather non pensava di avere tutta la fame che in realtà aveva, ma mangiò tutta la carne che riuscì ad ingurgitare, davanti lo sguardo disgustato di Qbert. “Sai avrei potuto ucciderti” aveva ripreso il suo monologo Ascelpio, “Il mio sangue è stato sostituito da quello di una gorgone, su un fianco scorre uno in grado di guarire qualunque malattia, dall’altro il più mortale veleno di sempre” aveva raccontato con un sorriso orgoglioso, dei suoi favolosi poteri, “Ma sai comincio ad avere una certa età e a perdere colpi” aveva detto con una falsa modestia. Heather era certa da quel tono beffardo, che non si sarebbe mai sbagliato, ma che adorava stare ore ed ore a vantarsi.
 
“Ma chi ci ha attaccati?” aveva domandato alla fine lei, mentre osservava solo l’olio che bagnava il piatto, “Un morto che Thanatos non ha ancora recuperato” aveva risposto evasivo l’uomo, pulendosi il viso rugoso con un tovagliolo, in maniera impeccabile. Heather lo aveva guardato scettica, Ascelpio aveva posato il tovagliolo sulle gambe, “Vogliamo procedere con il dolce?” domandò come se nulla fosse, “So che qui fanno un ottima Cheescake” aveva informato, “Hai satiri piace il formaggio vero?” aveva chiesto a Qbert che aveva mantenuto lo stesso sguardo di Heather. “Va bene, va bene” aveva ceduto l’uomo, muovendo la mano come a scacciare l’idea di quella cheescake che doveva proprio tentarlo. “Quando Gea ha aperto le porte dell’Ade, ha riportato in vita chiunque ritenesse utile allo scopo” aveva cominciato a spiegare, “Diciamo che non tutti hanno aderito, qualcuno ha preferito aiutare Gea in maniera più personale. Perpetrare una propria vendetta” aveva continuato il vecchio, “E diciamo che Apollo si è fatto un nutrito gruppo di nemici. Per ora ho riconosciuto tre persone” aveva rivelato, prima di comunicargli di non avere idea di chi fosse la pazza che aveva aggredito loro. “Alcuni sono certo non si uniranno a Gea alla fine, come Marsia, e mio nonno Flegias, fino al raggiungimento della sua vendetta, non se ne curerà affatto”  aveva  comunicato con fare pensoso, “Niobe si unirà certamente” aveva  detto alla fine con espressione seria in viso, battendo le dita sul tavolo, “Con un caratterino come quello di suo padre” aveva comunicato esasperato. Il discorso tra se e se andò avanti per  una buona decina di minuti, con Heather e Qbert che si rivolgevano sguardi confusi.
 
“E il loro vendicarsi di Apollo consiste nel …?” aveva cominciato Heat, “In una purga, sorella mia” aveva detto. E a quanto pareva prima di bruciare ogni tempio d’apollo in circolazione e spolpare il dio e chiuderlo nel Tartaro, avevano pensato bene di uccidere ogni suo figlio in circolazione. Bellissimo, pensò Heather. Davvero, aveva bisogno di sapere che avrebbero provato ad ucciderla, finchè Thanatos non avesse messo fine alla sua caccia. Gli vennero in mente le parole della donna, che aveva profetizzato la sua morte, aveva detto che il male aveva gli occhi verdi. Si guardò intorno nella sala e pensò a quante persone nel mondo avessero quegli occhi e da chi avesse dovuto diffidare d’ora in avanti. Guardò il suo riflesso nel coltello sporco di rosso sanguino e si ricordò di quanto poco castani fossero i suoi.
 
Riaccompagnarono Ascelpio al carro del sole, mentre il figlio prediletto di Apollo, lodava a Regina quella favolosa Cheescake infilandole nella gola pezzi di carne che aveva rubato dal suo stesso piatto, con un fare amichevole. “Vorrei potervi essere di più aiuto. Ma io ho la mia missione e voi avete la vostra” aveva detto il vecchio con un tono triste. Heat lo abbracciò, “Siete stato di grande aiuto, fratello” disse, seriamente riconoscente. Se Ascelpio non gli avesse soccorsi, ora sarebbero all’altro modo, almeno lei sicuramente. L’uomo le accarezzò i capelli, per un attimo in quelle rughe, Heather parve scorgere la giovinezza del dio del sole. Regina sibilò qualcosa, “Credo tu abbia ragione, ‘Gin” aveva detto amichevole al serpente, prima di ridacchiare divertito, “Ti sto per dare più di quanto dovrei, dolce sorella” gli comunicò Ascelpio, aprendo il cofano della macchina, da questo emersero le più strane cianfrusaglie del mondo. Heather vide anche un uccellino d’oro meccanico prigioniero in una gabbia, che continuava a battere le ali con ferocia(**). “Il divino Apollo è un accumulatore compulsivo” aveva detto impudente Qbert, la ragazza lo aveva freddato con lo sguardo, mentre l’altro uomo aveva continuato a cercare qualcosa nel bagagliaio, con Regina che sibilava per dare consiglio.
 
Ascelpio le allungò una faretra di cuoio con delle istoriazioni d’orate, “Bella” commentò Heather,appendendola in obliquo sul corpo, chiedendosi cosa dovesse farci di una faretra senza frecce. Ma quelle arrivarono subito dopo, tre per la precisione. Come le sfiorò, capi che c’era qualcosa di diverso, di sbagliato. Il legno di cui erano fatte, era così nero da sembrare marcio, ma al tocco era gelido, le piume sul fondo erano nere, come quelle dei corvi, la punta era di bronzo celeste, del colore del sangue, forma piramidale, con quattro aghi ai lati, che Heater sapeva avevano il preciso compito di lacerare pelle ed organi - provocando un’emorragia implacabile – se malauguratamente qualcuno avesse tentato di estrarla strappandola. La punta era acuminata come un diamante e nera. “Non sono frecce normali, vero?” aveva domandato la ragazza retorica, “Con una di queste puoi uccidere un uomo o ridurre alla fame una nazione” aveva detto Ascelpio, “Sono un’arma potente. La più potente di Apollo” aveva aggiunto. Heather le aveva guardate, le era salito un senso di vomito, aveva sentito le ossa farsi fragili e la vista debole, tornare il bruciore al ventre, il sapore del sangue sul palato. Davanti i suoi occhi, avvolta dal fumo nero, la donna ripeteva la sua nefanda condanna: Gioca pure con la pestilenza. Quelle che teneva tra le dita, come fossero state la folgore di Zeus in persona, erano le frecce della calamità, in grado di scatenare le piaghe e rovinare intere nazioni. Ascelpio non le disse cosa fossero, sapeva bene che lei avrebbe capito. “Non ho un arco” commentò alla fine, ma il fratello le fece l’occhiolino, “Ne sei certa?” aveva domandato retorico.
 
 



 
 
 




(*): Malsano modo per dire: Maledettamente
(**) Questa nota si ricollega al capitolo precedente, in realtà. Quando Hobb racconta a July del ragazzo in mutande appeso sul grande schermo. E July ipotizza fosse qualche sfigato mezzosangue. Si, ehm … era Percy – prima della scomparsa – in missione per conto del Dio Apollo, per recuperare la Corista D’oro, che aveva la capacità di trasformarsi in un uccellino d’oro – che si è quello citato qui sopra. L’avventura è stata scritta da RR e si chiama Percy Jackson and the Singer of Apollo, o qualcosa di simile
 
   
 
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