Noemi era
seduta sul davanzale della finestra, lo sguardo assorto e fisso sui
passanti
che, di tanto in tanto, popolavano la piccola stradina del centro città
che si
trovava sotto casa, la sigaretta accesa stretta in una mano, tra due
dita.
Aveva la testa poggiata al muro, una gamba flessa, sulla quale era
poggiato il
braccio e i capelli, ricci e disordinati, che le scendevano da un lato,
quasi a
voler solleticare il viso ed il naso, ribelli.
In realtà,
nonostante fossero corti –anzi, molto corti- non sarebbe mai potuta
passare per
un maschio. I suoi occhi erano luminosi, color ambra scuro,
incorniciati da
ciglia che, minuziosamente, spennellava ogni mattina prima di andare a
lezione.
E poi, una sottile linea di eye liner completava quel maquillage
semplice,
sempre accompagnato da quello sguardo soddisfatto che la ricambiava
dallo
specchio.
I suoi
occhi si affacciavano su un bel viso ovale, messo in evidenza proprio
dal
taglio corto, simmetricamente perfetto, poggiato su un bel collo lungo
ed
elegante.
Non poteva
vantare di un’altezza da modella ma per lei andava bene così; in fondo,
quello
che contava era sentirsi bene con sé stessi e non apparire agli altri.
Già.
Sentirsi bene con sé stessi.
Si ritrovò
a pensare che, proprio una mattina di qualche settimana prima, era
riuscita ad
uscire di casa sorridente. Anzi, a dire la verità erano molte mattine
che le
succedeva. A volte si ritrovava a sorridere come una sciocca, tanto da
notare
gli sguardi dei passanti che, per strada, la fissavano come se fosse
matta.
Eppure,
lei era solamente gioiosa, felice perché, nonostante la situazione
fosse
complicata più di un problema di matematica, lei poteva dire di avere
una
persona fantastica al suo fianco.
Marco era
il suo migliore amico di sempre e dire che gli volesse un gran bene,
forse, era
troppo poco. Erano state tante le situazioni in cui lei c’era stata per
lui e
viceversa e ormai aveva perso il conto delle volte in cui, con lui, le
intense
risate l’avevano quasi portata a spaccarsi in due.
Con lui
ogni giorno era sereno; poteva anche trattarsi di una schifosa giornata
di
pioggia ma per lei, se c’era lui, era come se il sole in persona fosse
lì.
Per questo
riassumere il sentimento che provava per lui in “un gran bene” era da
considerarsi
molto molto riduttivo.
E, anche
quella mattina, dopo il primo sms della giornata che aveva ricevuto
proprio da
lui, il suo sorriso si era acceso per l’ennesima volta sul suo viso.
Una delle
cose più belle che potessero capitare nella vita era proprio essere
certi che,
al mondo, esisteva una persona che ogni notte prima di andare a dormire
e ogni
mattina appena svegli ci pensasse, qualunque cosa accadesse.
Eppure,
basta un attimo per far crollare quel castello di sabbia che, in piedi
sulla
sabbia, rende felice il suo costruttore; un’onda e la sabbia, troppo
debole
contro la potenza del mare, cede a quella forza senza opporre
resistenza.
Il suono
del telefono la fece sobbalzare a tal punto che la sigaretta, ormai
ridotta al
mozzicone le scivolò dalle dita; si affrettò a raccoglierla e, dopo
averla
spenta velocemente, afferrò l’iphone, notando l’icona lampeggiante di
un messaggio
arrivatole su WhatsApp.
-Aprimi-
Il testo
era semplice, dal contenuto conciso e diretto.
Si ritrovò
a sospirare ma, questa volta, il sospiro che le uscì non somigliava
nemmeno
lontanamente a quelli che rilasciava le prime volte che si era
ritrovata faccia
a faccia con quel circolo vizioso.
Già.
Perché, oltre ad essere il suo migliore amico, Marco era anche ciò che
un
giorno l’avrebbe condannata all’Inferno.
Un circolo
vizioso. Senza giri di parole.
E, lei, si
sentiva stupida. Stupida perché, ogni volta che il suo sguardo si
scontrava con
quelle pozze blu mare, profonde più dell’oceano, non riusciva più ad
articolare
un pensiero coerente che potesse anche solo lontanamente avvicinarsi ad
un
rifiuto nei suoi confronti.
Stupida
perché la voglia di toccare quei capelli più morbidi della seta, del
colore del
castagno e dai riflessi leggermente ramati che abbracciavano i ciuffi
più
lunghi sulla fronte, era più forte della sua voglia di poter anche solo
sfiorare il Paradiso, un giorno.
Non sapeva
da quanto tempo andasse avanti quella storia. O di come fosse iniziata.
O di
come si fosse trovata invischiata senza nemmeno accorgersene.
La sua
vita, negli ultimi giorni, girava intorno a troppi “se” e troppi “ma”.
E lei
aveva una gran paura che, nel futuro, quelle due congiunzioni avessero
potuto
marchiarla fino a farla sentire infelice.
E se ci avessi provato?
Vorrei… ma non posso.
La sua
testa era diventata un contenitore di pensieri sconnessi; non riusciva
più a
pensare lucidamente, anche perché il suo cuore, ogni qualvolta tentasse
di far
luce in quel gomitolo intrecciato di questioni, faceva capolino e
interrompeva
bruscamente la catena di ragionamenti che, molto probabilmente,
l’avrebbero
portata alla soluzione.
Forse…
forse si era innamorata e, invece di essere felice come chiunque, si
sentiva
come la donna più infelice del pianeta.
Il campanello
trillò forte e chiaro, risuonando nell’intero appartamento; l’eco del
suono
raggiunse la sua camera e la sua testa, automaticamente, si voltò in
direzione
della porta.
Avvertiva
già quel profumo forte e intenso caratteristico di lui, lo stesso
profumo che,
un giorno del loro passato, era stata proprio lei a consigliarli di
acquistare
perché si intonava perfettamente a quello che era già il suo.
Noemi
sapeva che, di lì a poco, si sarebbe persa per l’ennesima volta in
quegli occhi
grandi, una volta sinceri, che l’avrebbero ammirata lascivamente,
cospargendo
di fulmini ogni lato del suo esile corpicino, in confronto a quello del
ragazzo
al quale voleva bene più di ogni altra persona al mondo.
Si passò
una mano tra i capelli e, nascondendo la ceneriera con i resti di tutte
quelle
sigarette che aveva fumato senza nemmeno accorgersene, andò ad aprire,
cercando
in qualche modo di frenare quel frenetico battito cardiaco che
minacciava di
squarciarle il petto da un momento all’altro.
Sapeva
che, molto probabilmente, quello che si era ritrovata a fare e quello
che
avrebbe fatto di lì a poco, forse, era sbagliato. Eppure, era come se
il suo
corpo si muovesse automaticamente verso la persona dalla quale era
separata
solo dal sottile legno della porta d’ingresso, come se la chimica che
li unisse
fosse più forte della volontà di resistergli.
Si ritrovò
a spalancare quell’ostacolo che la divideva da lui e, come aveva
immaginato,
ritrovò lo sguardo di lui fisso nel suo, quasi come se volesse
trapassarla da
parte a parte, lasciando tracce ovunque del suo passaggio.
Occhi come
quelli non si potevano dimenticare.
Non potrei dimenticarli…
neanche se volessi.
Lui avanzò
e, lentamente, quando fu dentro, la porta fu richiusa su sé stessa.
Erano solo
loro due, in quel momento, in piedi in mezzo alla stanza, a fissarsi in
silenzio, un silenzio che però di muto non aveva nulla. Persino le mura
si
impregnarono di quella tensione e quell’elettricità che aleggiava tra i
loro
corpi, come se due calamite di poli opposti fossero state messe,
improvvisamente l’una di fronte all’altra.
E,
l’effetto di quella reazione quasi chimica o fisica, si notò
immediatamente
quando lui, muovendosi velocemente, si ritrovò ad afferrarla per il
polsi e ad
avvicinarla al suo corpo muscoloso; i capelli le si mossero a causa
dell’attrito con l’aria e, in pochi secondi, la sua bocca fu su quella
di lui
che si muoveva esperta e impaziente di assaggiarla, neanche fosse
l’ultima
fragola, quella più piccola e saporita, che fosse rimasta nel piatto.
Le sue
piccole mani erano imprigionate in quelle grandi e affusolate di lui ma
quella
prigionia durò pochissimo, il tempo che, in uno scatto fulmineo, lui
cambiasse
il suo obiettivo; le afferrò i fianchi, stringendola stretta, mentre
scendeva a
baciarle il collo e, esercitando una leggera pressione con le gambe,
iniziò a
spingerla verso la camera da letto e verso il materasso che vi si
trovava nel
centro, immobile e silenzioso ma accogliente, come se si fosse già
preparato ad
abbracciarli.
Marco le
passò le mani tra i capelli, rendendo quei riccioli ancora più ribelli
e le
morsicchiò il collo, baciandolo poco dopo; quello che ne rimase fu un
piccolo
segno rosso che andò a mimetizzarsi col rossore delle guance di lei, il
quale
si stava estendendo a quasi tutto il corpo.
Noemi si
ritrovò a stringerlo e, quando avvertì le carezze della mano di lui
dedicarsi
ai suoi seni, si inarcò istintivamente, gemendo piano sulle sue labbra.
-Amo
questo suono- sussurrò lui a fior di labbra, continuando a dedicarsi a
quel
lembo di pelle così delicato e più profumato del corpo.
Lei fece
finta di non capire, cercando di cancellare quella frase dalle sue
orecchie e
dalla sua mente; non voleva farsi più male di quello che, in realtà, si
stesse
già facendo e non voleva aggrapparsi a quelle inutili illusioni che,
sapeva, un
giorno l’avrebbero portata frantumarsi in mille pezzi.
Ma,
nonostante tutto, lo strinse a sé, come se quell’abbraccio e quella
stretta
potessero ancorarlo a lei, facendo in modo che lui non potesse più
allontanarsi.
Come se
potessero, in qualche modo, convincerlo a restarle accanto, qualunque
cosa
accadesse.
Sospirò e
gemette di nuovo, avvertendo l’eccitazione di lui che spingeva sul suo
ventre,
ansiosa di essere liberata da quei pantaloni ormai divenuti così
stretti da
contenerla; si lasciò, quindi, andare e guidare da quell’istinto
alimentato dal
suo cuore, un cuore ingrato che continuava a gettare legna in quello
che era il
camino dei suoi desideri più profondi.
Resta con me.
Per lei
quello non era semplicemente fare sesso con uno sconosciuto. Era fare
l’amore
con la persona che, sapeva, l’avrebbe ferita più di ogni altra mondo e
che,
nonostante tutto, non se ne sarebbe mai resa conto.
Si lasciò
andare completamente, incastonandosi a lui come se fossero stati creati
apposta
per quello; lasciò che lui si perdesse in lei e cercò di raggiungerlo
con il
cuore e con la mente, cercando di allontanare per un attimo quei
pensieri che
la rendevano pesante come un macigno.
Lo
strinse, ancora una volta, sentendolo sospirare e gemere, mentre,
vagamente,
ascoltava il suo nome uscire dalle labbra di lui, flebilmente. Una
lacrima fece
capolino all’angolo dell’occhio e, dispettosa, iniziò a scendere
solitaria
lungo quelle guance ancora arrossate dallo sforzo e dalle intense
sensazioni
appena provate.
E,
combattendo contro la sua mente, per una volta ascoltò quello che le
suggeriva
il cuore: lo strinse, lo strinse forte, lasciandosi completamente
andare al
volere dei suoi desideri più profondi.
Resta Marco.
-Ti prego…
resta con me.-