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Autore: LizzieGold    13/03/2015    0 recensioni
Una ragazza e la sua famiglia, all'apparenza fuori dal comune ma assolutamente normale, vive in una situazione di instabilità che l'ha sempre portata a fare scelte sbagliate per sé e per gli altri. Si ritroverà costantemente a fare i conti con il suo orribile passato alla ricerca di un futuro da vivere e riscoprirà, grazie ad un incontro col destino, il valore dell'esistenza e del suo vero senso.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2.
Cosa diamine ci fa qui?
Mamma.
E’ il primo pensiero che mi viene in mente. Ecco uno dei motivi per cui sono dovuta crescere in fretta. Lui, il mio papà, che con noi metteva una maschera e con la mamma un’altra. Dottor Jekyll e Mister Hyde. Per lui la mamma non era una donna, ma una proprietà, un oggetto, una schiavetta. Doveva vestirsi in un certo modo, doveva avere i capelli in ordine e di un colore rassicurante, doveva star buona a casa a fargli da cameriera. Peccato che mamma non ha mai voluto essere tutto ciò. Così è diventata una puttana. Vestita con abitini e gonne sul ginocchio, i capelli ribelli e tinti di rosso, dipendente di un’azienda importante del paese in cui vivevamo.
La mia mamma.
Mi avvicino alla volante e incrocio lo sguardo di mio padre. Rinsavisce appena mi vede arrivare.
-Tesoro, io… Sai com’è… LEI… Quella puttana di tua madre… Io vi adoro, bambina mia, adoro te e tua sorella… Lo sai… Lo giuro!
Senza pensarci gli vado incontro, e annebbiata dalla collera, gli sferro un calco fortissimo nei testicoli e comincio a picchiarlo violentemente. Ringrazio il cielo che è legato con le manette. Mi fanno male le nocche per quanto sono profondi i pugni sul suo petto, e poi, diciamocelo, sono fragile.
Lui piagnucola.
-Che cazzo le hai fatto?? Se l’hai ammazzata giuro che ti faccio fuori con queste mani, bastardo maschilista di merda!
E avrei potuto mettere in atto il patricidio se solo un poliziotto non mi avesse preso i polsi e mi avesse allontanato con uno strattone.
-Signorina, dobbiamo portare via suo padre…
-Fate in modo che non mi sia data alcuna possibilità per farlo fuori, per l’amor di Dio!
-Tesoro…
-Sparisci dalla mia vita, merda!
E corro angosciata verso la porta di casa, aperta, senza guardare mio padre supplicante che scompare nell’auto, scortato da un paio di agenti.
-Mamma!
-Siamo qui!
La voce triste di mia sorella. Mamma è sdraiata sul divano, esanime, e mia sorella sta parlando con un infermiere che tiene in mano un defibrillatore e conta, aiutato da un collega.
Diamine, la stanno rianimando! Noto il viso di mia madre. E’ pieno di sangue, e riesco ad intravedere due profondi tagli sulla guancia sinistra. Poi un importante ematoma sulla fronte. Il braccio destro penzoloni, sembra spezzato. E per terra una spranga di ferro, con alcuni chiodi che sporgono.
Dio, quanto vorrei quel pezzo di merda sotto le mie mani in questo stesso istante!
Mi avvicino sgomenta a mia sorella, il viso bagnato, che continua a singhiozzare. Sta aspettando che l’abbracci. E così faccio. La stringo forte a me nonostante lei sia più alta di me.
-Dovevamo denunciarlo prima che succedesse… Perché non l’abbiamo fatto prima?
Non so cosa risponderle, perché ha ragione. A denti stretti sussurro:
-E’ uno stalker di merda. Un assassino di merda. Deve crepare di stenti in una cella d’isolamento!
Mi sciolgo anch’io nonostante cerchi di evitare che mi scendano le lacrime. Quando sto male non riesco a fare a meno di piangere. Non piango mai per capriccio, io, ma per rabbia. Odio piangere, perché mi fa sembrare e sentire vulnerabile.
-Siamo riusciti a rianimarla, ma dobbiamo portarla in ospedale, dato che potrebbe aver subito lesioni interne. Se potete darci un recapito telefonico?
Guardo l’infermiere incerta. Gli do il mio numero di cellulare, e poi, pensandoci meglio, quello del compagno di mia madre.
-Il compagno di mia madre è stato avvisato?
-No, signorina, ma se vuole possiamo farlo subito noi.
Guardo mia sorella, che annuisce. Noi non riusciremmo a spiccicare una parola, siamo troppo scosse.
L’infermiere digita il numero e appena gli rispondono comincia a spiegare la situazione con un’apparente freddezza. Conclusa la chiamata, si rivolge verso di noi e ci dice:
-Ha detto che voi due dovete rimanere qui finché non farà ritorno a casa.
Annuiamo, anche se vorremmo essere con la mamma. Ci spiega che sarà trasportata in terapia intensiva e se abbiamo bisogno di qualcosa ci penserà il nostro patrigno.
Portano una barella e ci adagiano sopra la nostra mamma. Facciamo in tempo solo a darle un bacio su ciascuna mano, piangendo. Poi vediamo la barella scomparire dietro la porta di casa e l’ambulanza che parte. Ci fermiamo entrambe abbracciate sulla soglia a guardare allontanarsi l’ambulanza che trasporta la nostra cara mamma, mezza morta.
-Adesso ti siedi e mi racconti tutto per filo e per segno.
  
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