Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: LizzieGold    13/03/2015    0 recensioni
Una ragazza e la sua famiglia, all'apparenza fuori dal comune ma assolutamente normale, vive in una situazione di instabilità che l'ha sempre portata a fare scelte sbagliate per sé e per gli altri. Si ritroverà costantemente a fare i conti con il suo orribile passato alla ricerca di un futuro da vivere e riscoprirà, grazie ad un incontro col destino, il valore dell'esistenza e del suo vero senso.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
                                                                                  1.

Alzo lo sguardo verso la finestra, distogliendolo rapidamente dal cuscino che stavo fissando senza un motivo valido. I raggi del sole entrano timidi dalla serranda semi abbassata e accarezzano la mia piccola scrivania di legno scuro.

Il sole delle tre di pomeriggio mi infonde sempre serenità, sicurezza, mi avvolge nel suo caldo abbraccio come mamma lupa con i suoi cuccioli.

Sartre diceva nella sua Nausée che alle tre è sempre troppo tardi o troppo presto per far qualcosa, io gli rispondo che in realtà qualcosa si può fare: restare rannicchiati per immergersi nella pioggia dorata del sole pomeridiano, fare una passeggiata inseguendo la tranquillità che riempie ogni angolo della cittadina in cui vivi, vagare per il parco sotto casa tua riscaldata da questa luce abbagliante e confortante allo stesso tempo. Tutto questo rigorosamente in solitudine e con le cuffie nelle orecchie, accompagnati da una musica da voi ritenuta rilassante, o semplicemente dai vostri brani preferiti.

Stando a queste mie teorie degne di un fattone, mi alzo dal letto, barcollo un po’ a causa delle gambe ancora indolenzite, afferro le cuffiette, le inserisco nell’ iPod nano grigio e avvio la mia playlist. Mi dirigo verso la cucina e trovo mia madre che sta inserendo i piatti sporchi nella lavastoviglie.
-Io esco, ci vediamo più tardi.
-Dove vai a quest’ora? Non hai da studiare? A che ora torni?
Ecco, ci risiamo con l’interrogatorio.
-Ho bisogno di stare un po’ da sola con me stessa, ho bisogno di riflettere e quindi voglio farmi una passeggiata. Non so a che ora torno.
-Va bene, Leopardi. Ricordati però che tua sorella vuole che l’aiuti a rimettere in ordine la sua libreria. Insomma, cerca di non fare molto tardi. Diglielo al tuo cervello.
-Ma è lui che decide di darmi o meno le risposte giuste, mica io.

Le faccio l’occhiolino, le do un bacio sulla guancia e scompaio dietro la porta d’ingresso.

La strada è sgombra come sospettavo, ogni tanto passa una macchina che mi distoglie dai pensieri ma il sole mi riporta alla “realtà”, la mia realtà. Comincio a vagare con la mente mentre No Quarter dei Led Zeppelin mi ronza nelle orecchie.

La mia realtà è fatta principalmente di fantasia. Non è necessariamente la fantasia vissuta da draghi, elfi, folletti, incantesimi, maghi, streghe, oggetti volanti, finestre su altri mondi. No, è fatta di quotidianità.
“Siamo della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni” diceva il buon caro Shakespeare in A Midsummer Night’s Dream, e io gli rispondo che se fosse davvero così adesso la mia vita sarebbe perfetta.

Da quando mamma e papà si sono separati, il mio diritto a sognare mi è stato strappato senza pietà dalla sopravvivenza, dal prendere decisioni affrettate, dall’agire nell’immediato non solo per me stessa ma anche per mia madre e per mia sorella. Adesso ho ricominciato a prendere un po’ di fiato. Ci siamo rifatte una vita, mamma ha il suo nuovo compagno, mia sorella è all’ultimo anno di liceo e io vado all’università. Vado, si fa per dire. Sono solo iscritta e non frequento, non do esami, non studio. Sono perennemente bloccata in uno stato di incertezza. Voglio tornare indietro, agli anni della mia adolescenza, ma voglio anche realizzare i miei sogni, raggiungere i miei obiettivi.
Come biasimarmi, sono dovuta crescere troppo in fretta. Ho vissuto tutta la mia adolescenza in un limbo, molto spesso sacrificando la spensieratezza per dare più importanza a quello che succedeva dietro il sipario. Ho dovuto affrontare problemi più grandi di me stessa, soprattutto ho dovuto affrontare persone più grandi di me.

E quindi… Torniamo al mio “Sola e pensosa i più deserti campi”. Ah, Petrarca…
Vi chiederete: ma quali sono i suoi sogni?
I miei sogni sono fatti di quotidianità, dicevo. Ebbene, nei miei sogni trovate soprattutto amore. No, non l’amore passionale, né quello sdolcinato, né quello materno. Ma quello che molti chiamano affetto. L’affetto, per me, è una forma d’amore che va oltre tutte le altre. I greci lo chiamavano Agape.
Agape. Una carezza, una gentilezza, un bacio sulla guancia, un abbraccio.
Quante volte sono stata abbracciata ma non ho mai sentito il calore dell’affetto.

Mio padre mi abbracciava spesso, ma non mi ha mai dimostrato affetto. Dice che ama le sue figlie, ma come può amarci se non ha mai amato la mamma? Si dice che i figli siano il frutto dell’amore dei genitori, ma come possiamo esserlo se i nostri genitori non si sono mai amati?
Sono una mela marcia caduta da un albero senza linfa.

Mi squilla il cellulare. Mi arrabbio perché ha disturbato il mio momento d’intimità con me stessa. E’ mia sorella. Sicuramente vorrà che torni a casa per “aiutarla” a riordinare i suoi libri. Lascio squillare e torno al mio castello mentale.
Altre quattro chiamate e io mi ritrovo stesa su una panchina di marmo nel bel mezzo del parco del quartiere, con i raggi del sole che mi coprono tutto il corpo e lasciano all’ombra dei pini la testa.
Mamma non deve averle detto che sono uscita,  deve essersene dimenticata.
La richiamo. Risponde.
-Dove cazzo tenevi il cellulare?
Strilla. La voce spezzata dai singhiozzi. Quasi riesco a percepire le lacrime che le scendono lungo le guance.
-Se mi stai facendo uno scherzo di cattivo gusto è meglio se la smetti, capito?
Le urlo forte perché mi fa preoccupare, e non sarebbe la prima volta che me lo fa.
Non risponde. Impallidisco e sento che il sangue non circola più nelle mie vene. Ho perfino un senso di nausea.
-Cos’è successo? Ti prego, rispondimi!
Ma lei continua a singhiozzare. Non sapendo come calmarla, le dico:
-Se sei a casa aspettami là. Arrivo immediatamente.

Riattacco senza ascoltare la sua risposta che probabilmente non sarebbe comunque arrivata e sfreccio verso casa senza badare a “How to save a life” in sottofondo nella mia cuffietta destra.
Attraverso la strada senza accertarmi che passi una macchina e mi stiri e arrivo a destinazione.

Rimango a bocca asciutta. Davanti al portone c’è un’ambulanza e una volante della polizia. E tre poliziotti che tengono fermo un uomo con le manette.

Mio padre.
  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: LizzieGold