Anime & Manga > Yu degli spettri
Segui la storia  |       
Autore: Hazel 88    13/12/2008    2 recensioni
Ok... questa storia è frutto di un sogno che ho fatto... ma vi avviso, non so affatto dove andrà a parare; è un'incognita anche per me. Hiei incontra suo padre e gli viene finalmente rivelato "Il mistero del Fuoco Oscuro"... segreto che sarà utile a sconfiggere un'entita malvagia davvero molto pericolosa. Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Per chi non ha ancora perso le speranze di continuare a leggere questa storia, ecco finalmente un altro capitolo che, per l'argomento, immagino fosse il più atteso. Premetto che non è venuto proprio come desideravo, ma rischiavo di farvelo leggere fra un anno, quindi siate clementi.

X Yukochan e Dreven: Grazie, mi fa sempre piacere sapere che avete apprezzato il capitolo. Ecco, considerate questo nuovo capitolo il mio regalo di Natale. E come vostro regalo, attendo sempre i vostri commenti.

Easlay era seduto a terra con le ginocchia raccolte al petto; le mani, strette intorno alle gambe, erano insanguinate.
-Onii-chan!- esclamò preoccupata Twiggy, andandogli vicino. Fissò i cocci a terra e con un sospiro gli prese le mani. -Ma cosa è successo qui…-
Il ragazzo non ebbe alcuna reazione; continuava semplicemente a guardare avanti a sé immerso in chissà quali pensieri.
Twiggy decise di non insistere e prese l’occorrente per medicarlo.

-Sei tornato.- disse con voce piatta Hiei al padre appena entrato nella stanza.
Kotaro si sedette sul letto -Continuiamo la storia.- dichiarò senza aggiungere altro.

< Tuttavia, quando ero ormai a metà cammino e mi ero convinto di riuscire ad arrivare anche con largo anticipo, incontrai un ostacolo. Un accampamento di una numerosa banda di demoni banditi… dannatamente forti.
A nulla valsero i miei tentativi di defilarmi da loro senza combattere. Quei maledetti avevano davvero voglia di farmi a pezzi. Fui così coinvolto in una battaglia lunga e sanguinosa, in cui, da un lato, partivo evidentemente svantaggiato, ma che dall’altro,sembrava il modo migliore per sfogare la rabbia e l’angoscia che mi attanagliavano.
Era impensabile uscirne illeso, ma ricorsi a tutte le mie energie e i miei poteri. Avevo mutato il mio aspetto nella Tigre Oscura per fronteggiarli e continuai a mantenere la trasformazione nonostante fossi gravemente ferito. In quelle condizioni, oltre a danneggiare il mio corpo, persi anche coscienza delle mie azioni. La bestia, inebriata dall’odore del sangue mio e dei miei avversari, mi impedì di accontentarmi delle vite dei miei aggressori e mi portò a sterminare il resto degli abitanti dell’accampamento, ovvero donne e ragazzini indifesi.
Quando me ne resi conto, era già tutto compiuto. Non avevo potuto o forse non avevo voluto fermarmi: la mia furia, unita a quella della belva oscura, era talmente intensa da non potersi placare se non con un eccidio totale.
Provai ripugnanza di me stesso… pensai a quanto fossi maledetto e presto mi accorsi che, malgrado avessi vinto quella lotta, le mie condizioni erano critiche.
Stavo morendo lì, in quella radura disseminata dei cadaveri dei miei stolti assalitori e delle mie vittime innocenti. Sentivo che era ciò che meritavo per aver compiuto un’azione tanto ignobile, ma io volevo vivere… non volevo che mio padre aspettasse invano il mio aiuto e non volevo che la promessa fatta a mia madre fosse infranta.
Mi accasciai a terra angosciosamente consapevole della mia fine e della condanna che sarebbe seguita, ma prima di perdere i sensi, l’ultima cosa che vidi fu una cascata di capelli verde acqua ricadere su di me e un paio di occhi dello stesso colore scrutarmi con dolcezza. Il re dell’Inferno si stava prendendo gioco di me? Mandare un angelo così bello a guidare la mia anima dannata… che ironia!

Il mio periodo di incoscienza fu dominato letteralmente dal nulla. Nessun suono, nessun colore, nessuna emozione… nulla di nulla. Immaginavo fosse quello lo stadio che precedeva immediatamente la morte. Poi ci fu un lampo di luce e riuscii con fatica ad aprire gli occhi.
Una volta in pietra grigia e dei bagliori color arancione… di certo non me lo prefiguravo così l’Inferno.
-Finalmente ti sei ripreso.-
Quella voce, la più melodiosa che avessi mai sentito, risuonò nelle mie orecchie come il canto di un usignolo. Mi girai verso la sua fonte e riconobbi la splendida creatura che avevo scorto prima di essere investito dal buio più totale.
In quel momento capii che non ero morto; quel luogo non era l’Inferno, ma una semplice grotta e quella fanciulla non era un angelo.
Il mio cuore prese a battere furiosamente.
Chi era? Perché si trovava nel luogo in cui avevo lottato con i demoni banditi? Era una nemica?
Il mio corpo non rispondeva ai miei comandi; la mia mente era annebbiata e vittima di una grande confusione. La paura prese irragionevolmente possesso di me: ero incapace di difendermi e probabilmente in pericolo.
-Stai molto male?- sussurrò lei allungando una mano verso di me.
Afferrai con tutta la forza che possedevo il suo polso e questo mi costò non poca sofferenza.
Lei sgranò gli occhi sorpresa, ma ritrovò subito la calma e sorrise. -Stai tranquillo. Qui sei al sicuro.-
“È un demone ammaliatore” pensai in preda alla follia “Uno di quei mostri che ingannano e subito dopo divorano. Deve essere una dell’accampamento che è sfuggita alla mia pazzia e ora vuole vendicarsi”.
Tentai di alzarmi, ma ogni mio singolo muscolo protestò violentemente. Non riuscii neanche a mantenere la presa sul suo braccio.
-Le tue ferite sono molto gravi e sospetto che ti abbiano iniettato del veleno.- spiegò con tono pacato -Ti sto curando con il mio potere, ma non è una questione risolvibile in poco tempo. Considero già un miracolo essere riuscita a tenerti in vita.-
Stava mentendo? O forse il mio timore era dovuto al fatto che non riuscivo a pensare chiaramente? Aveva detto che mi avevano iniettato del veleno… la causa doveva essere quella…
I miei pensieri furono interrotti da una sensazione di calore avvolgente. Posai lo sguardo sulla ragazza al mio fianco. Aveva gli occhi chiusi e aveva imposto le sue mani sul mio corpo. Era circondata da un’aura candida che, attraverso le sue mani, stava profondendosi in me.
Mi accorsi di non avvertire più alcun dolore, alcuna paura o alcun rimorso… solo un senso di pace estrema che avrei voluto durasse per sempre. Purtroppo, però, l’incanto non durò che pochi istanti e subito la sofferenza fisica tornò accompagnata ai pensieri angoscianti sulla mia sorte e quella di mio padre.
Quanto tempo era trascorso? Quanto ancora sarebbe stato necessario per poter essere in grado di riprendere il mio cammino? Solo una cosa era certa: non ne avevo molto a disposizione.
Quell’opprimente consapevolezza, mi costrinse a ritentare di sollevarmi. Feci appello a tutta la mia forza di volontà per oppormi alle resistenze che il mio corpo poneva, ma era impossibile non cedere.
La sua mano mi costrinse gentilmente a rimanere disteso. -Non fare sforzi inutili. Risparmia le energie per recuperare più in fretta.- mormorò teneramente -Devo praticare la mia arte curativa su di te poco alla volta. Se sei stato avvelenato, come credo, non posso permettere al tuo corpo di abituarsi al mio potere, o la mia cura non avrà effetto.-
Mi soffermai a guardarla. Dire che era bella sarebbe semplicemente riduttivo; ma non esistono parole con cui possa definire il suo intero essere.
Solamente una volta in precedenza avevo osservato qualcosa di così meraviglioso: mia madre Mekare.
Ovviamente non era la stessa cosa: la bellezza altera e selvaggia di mia madre era esattamente il contrario di quella della fanciulla che avevo davanti agli occhi, così pura e soave.
Mi resi conto che, osservandola, ero stato invaso da una sensazione di serenità innaturale. Ma come potevo permettermi di abbandonarmi a quell’aura di pace e santità che la sua figura emanava, dimenticandomi di tutto il resto? Come potevo godere di una tale beatitudine dimenticando il sangue di cui mi ero macchiato?
La purezza che avvertivo in lei era un balsamo per il mio cuore oppresso, ma allo stesso tempo un tormento per la mia anima maledetta.
Decisi che dovevo liberarmi di quella specie di malia e riprendere il controllo di me stesso. Questa volta, con fatica e sofferenza inimmaginabili, fui capace di mettermi seduto.
-Non devi.- intervenne lei poggiando le mani sulle mie spalle e obbligandomi a tornare giù. -Dove pensi di andare così ridotto?!-
Afferrai le sue mani e le allontanai da me. -Non intrometterti in questioni che non ti riguardano.- sibilai gelidamente -Non posso starmene qui buono e tranquillo, devo andare via.-
Le mie dure parole la colpirono… evidentemente si aspettava che le prime parole pronunciate dalla persona che aveva salvato sarebbero state di ringraziamento. Ciononostante, non perse la sua compostezza. -Se non consenti al tuo organismo di recuperare le forze, non andrai proprio da nessuna parte.-
Ignorai il suo monito e mi alzai in piedi… o forse sarebbe più corretto dire che ci provai, visto che le mie gambe cedettero subito, costringendomi in ginocchio.
-Immagino che tu debba fare qualcosa di davvero importante, per spingerti così oltre i limiti del tuo fisico.- il suo tono non era né di rimprovero, né di scherno, era solo pieno di comprensione -Ma prenditi il tempo che serve alla guarigione…-
-Io non ho tempo!- ringhiai furioso.
-E comportandoti così cosa speri di ottenere?- insistette in modo gentile, ma fermo -Te lo dico io, peggioreresti solo le tue condizioni.-
Finalmente capii che non aveva torto: in quella situazione, probabilmente non sarei neanche arrivato vivo al castello di mio padre, quindi lasciai che mi aiutasse a stendermi.
-Io farò quanto è in mio potere per farti tornare in forma il più presto possibile.- dichiarò con serietà -Ma tu devi fidarti di me.-
Le rivolsi un sorriso perplesso. -Fidarmi di te? Non so neanche chi tu sia.-
Anche lei sorrise, ma il suo era un sorriso genuino. -Non ti basta sapere che ti ho salvato?-
Non trovai una risposta. Ai suoi occhi dovevo risultare decisamente ingrato, ma ancora non riuscivo a liberami del tutto dal pensiero di essere sotto l’influenza di un incantesimo ammaliatore.
-Evidentemente no.- sospirò delicatamente -Il mio nome è Hina e sono una koorime, meglio conosciuta come dama dei ghiacci.-
La guardai con interesse. Non sapevo nulla riguardo alle koorime, se non che erano demoni donne che dominavano il potere del ghiaccio, come aveva appena detto lei. Mi sentii subito sollevato; non apparteneva alla tribù che avevo massacrato. -E perché ti trovavi lì? Quelli della tua razza non amano gli ambienti rigidi?-
La sua risata cristallina risuonò per qualche istante all’interno della piccola caverna. -Non ci sciogliamo come neve in altri ambienti, se è questo ciò che pensi.-
Mi imbarazzai per aver posto in modo così stupido la domanda. -Non era questo che intendevo…-
-Si lo so.- mi interruppe lei -Volevi sapere perché mi trovavo proprio nel luogo in cui hai combattuto con quei demoni. È per questo che non ti fidi di me, vero?-
Annuii.
-Vedi, mi capita spesso di allontanarmi dalle mie compagne e girovagare in libertà, nonostante ciò non sia gradito alle decane.- rispose, mentre volgeva lo sguardo all’esterno dell’antro.
Costrizione da parte dei capi anziani, voglia di libertà… quel discorso mi suonava decisamente familiare. -Perché mi hai salvato?- le chiesi improvvisamente -Hai assistito a tutto, vero?-
Tornò a guardarmi. -Sì.- disse semplicemente. I suoi occhi erano limpidi, non vi scorgevo alcuna forma di giudizio.
-Allora perché? Sono un essere dannato e non mi riferisco solo a ciò che ho compiuto in quella radura.-
-Intendi il potere di cui sei preda? È stato quello a farti perdere il controllo…-
Il mio silenzio fu più eloquente di ogni risposta.
-Qual è il tuo nome?- mi domandò all'improvviso.
-Kotaro.-
-Kotaro…- ripeté con un sussurro lei -Quando mi sono avvicinata a te e ti ho guardato negli occhi, ho letto una disperata voglia di vivere e un’immensa tristezza.-
La fissavo allibito.
-Non si è trattato solo di questo…- riprese con lo stesso tono dolce -Ti ho visto lottare, ma non contro quei demoni… eri come una tigre in gabbia che lottava per liberarsi da dei fardelli. In quel momento sei sembrato così simile a me.-
La sua affermazione mi sconvolse. Lei, una creatura così pura, si era appena paragonata a me.
-Io tento invano di sfuggire al mio destino di koorime.- continuò ancora -Una sorte di prigionia totale all’interno del mio clan. Per il mio desiderio di libertà, le mie compagne non mi vedono di buon occhio. Mi considerano una ribelle che poterebbe minacciare il loro equilibrio e la loro sopravvivenza e fanno di tutto per tarparmi le ali.- tacque per qualche istante -E tu? Qual è la tua prigione?-
Non mi frenai. Le raccontai ogni singola cosa. Di mio padre, di mia madre, degli anziani, della bestia oscura che viveva dentro di me. Diedi libero sfogo alla mia anima. Le confessai di sentirmi in obbligo verso mio padre, di dover tornare da lui ad aiutarlo; ma allo stesso tempo, bramavo di dimenticare ogni cosa e lasciarmi andare ai miei desideri. Le rivelai tutto: le mie paure, le mie angosce, i miei sogni…
Mai con nessuno, nemmeno con mia madre, la persona che avevo più amato nella mia vita, avevo parlato con tanta franchezza; invece con quella fanciulla, che mi ascoltava pazientemente, sentii di poter mettere a nudo la mia anima.
Quando ebbi finito di raccontare, lei mi rivolse un sorriso genuino. -Siamo così diversi, ma così affini. Sono davvero felice di averti incontrato, Kotaro. E se vuoi la mia opinione, tu non sei affatto un essere dannato. La tua maledizione… sei in grado di controllarla.-
-Ho sterminato persone incolpevoli, a causa sua, e non è stata questa la prima volta.- protestai io.
-Sono state le tue emozioni negative ad alimentarla e sono certa che tu sia abbastanza forte da dominarti. Il fatto che tu abbia rimorso per quello che hai fatto, dimostra che puoi trovare in te la capacità di opporti. Non è un potere puro e positivo, ma la belva oscura, come la chiami tu, può essere sottomessa, se tu non ti fai assoggettare dal tuo stato d’animo- insistette lei.
Ero stato io a svelarmi a lei, ma era così straordinario che un’ innocente fanciulla, conosciuta da sole poche ore, potesse leggere la mia anima così profondamente. Pensavo, tuttavia, che quel suo modo incondizionato di credere in me fosse tremendamente ingenuo. -Non è così semplice come pensi.- mormorai amaramente.
-Io sono convinta del contrario. La tua maledizione è vincibile. - ribadì con un sorriso schietto, che mutò subito in tristezza -Esistono altre maledizioni, finanche innocue, che sono insuperabili.-
Avrei voluto chiederle cosa volesse significare, ma non me lo permise, defilandosi a cercare delle erbe curative. Comprendendo che doveva essere un tasto dolente per lei, non investigai oltre e aspettai che me ne parlasse spontaneamente. Purtroppo non lo fece e io capii tutto solo alcuni anni più tardi… troppo tardi.

Nei giorni seguenti aveva continuato a curarmi, sia con il suo potere, sia con delle erbe mediche. E aveva parlato di sé, si era rivelata, come avevo fatto io in precedenza, anche se non totalmente. Continuava a tacermi quale fosse la maledizione che la opprimeva, ma non me ne curai più di tanto: il fatto che io le avessi svelato ogni cosa di me, non doveva costringerla a fare altrettanto.
Ogni giorno che passava, desideravo sempre più parlarle, ascoltarla, averla solamente vicino. Non mi saziavo mai abbastanza di quegli occhi grandi e sereni, di quella voce dolce e armoniosa, della sua figura così ricca di grazia e delicatezza.
Mi ero innamorato di lei.
Era un sentimento nuovo per me. Non lo avevo provato per nessuna donna con cui avevo giaciuto. Ed era profondamente diverso da quello che provavo per mia madre.
Desideravo che le nostre anime, opposte ma simili, si fondessero eternamente in una sola.
Desideravo che la sua anima confortasse la mia, dandole finalmente pace.
Desideravo che la mia anima aiutasse la sua a liberarsi, come desiderava.
Ma non osai dire o fare nulla. Mi sembrava un sacrilegio contaminare la sua figura così candida, con la mia così diabolica.
Appena ebbi recuperato un po’ le forze, mi aiutò ad uscire da quella caverna scura e passavamo molte ore all’aperto, sulle rive fiorite di un ruscello.
Più parlavo con lei, più mi convincevo di poter dominare tutte le emozioni negative che mi opprimevano ed era la sua vicinanza a rendermene consapevole; era quella sua straordinaria capacità di placare il mio spirito inquieto. Ma sapevo che non potevo permettermi di abbandonarmi a quel pensiero ancora a lungo. Appena tornato in forze, sarei dovuto andare a combattere la battaglia per la mia libertà e per quella della mia famiglia.
Appena glielo dissi, mi parve di leggere una vena di malinconia nel suo sguardo.
-Sei la prima persona con cui ho parlato al di fuori del mio clan…- iniziò a dire improvvisamente -Un demone maschio.-
La ascoltavo attentamente, cercando di capire dove volesse arrivare.
-La mia tribù è composta solo da donne e i maschi sono considerati simbolo di sventura, tanto da impedirci di avere con loro qualsiasi contatto. Nonostante fossi incurante delle loro regole di restare confinate nel nostro territorio…- si interruppe mostrandomi con un braccio un enorme massa rocciosa, completamente bianca, che si intravedeva in lontananza a sovrastare dei monti -… ho sempre rispettato, per timore, quella di non avvicinarsi a degli uomini. Poi sei arrivato tu…-
Rimase in silenzio per un po’ ed io tentavo di afferrare quale fosse il senso di quel discorso.
-Ti ho visto massacrare con brutalità quei demoni e ho avuto paura, è vero, ma poi ho visto molto di più… e mi è bastato guardarti solo un istante negli occhi per capire che mi ero innamorata di te.-
Rimasi a fissarla a bocca aperta.
-Strano, vero? Una koorime abituata a temere gli uomini, si innamora in un istante di uno sconosciuto… che subito dopo appare così affine a lei.- continuava a sorridere, ma il suo era un sorriso davvero mesto e non riuscivo a spiegarmi il motivo -Kotaro, tu mi hai dato la forza di conquistare in tutta la sua totalità la mia libertà… la libertà di essere ciò che sono, la libertà di andare ovunque voglia e, soprattutto, la libertà di amare…- posò i suoi occhi su di me -Qualunque conseguenza comporti.-
Perplesso per ciò che aveva detto, aprii la bocca per parlare, ma lei me la chiuse con la sua in un tenero bacio.
Quando ci staccammo lei mi guardava amabilmente.
-Ti amo, Hina.- le dissi con il mio sguardo perso nel suo.
-Ti prego, Kotaro, prima che tu te ne vada, lascia che io sia tua, anche solo per un istante.-
Affondai le mie mani in quei morbidi capelli verde acqua e liberai il suo corpo dal suo candido kimono, mentre lei faceva lo stesso con i miei abiti. Esplorammo l’uno il fisico dell’altra, ma lei era decisamente più curiosa ed avida.
Nell’esatto istante in cui ci unimmo una lacrima cadde dai suoi occhi, cristallizzandosi, a contatto con il suolo, in una preziosa gemma. Poi ci fu l’incanto.
Quel giorno il mio desiderio si era esaudito. La mia anima e la sua si erano fuse in un’unica strabiliante entità. La sensazione fu indescrivibile: la purezza si era unita alla spregiudicatezza, il ghiaccio si era unito al fuoco… tutto in una dimensione di perfezione e somma pace.
Credo di non aver mai provato un simile senso di completezza.
Lei si accucciò a me, tenendo stretta la pietra originatasi dai suoi occhi.
-Le lacrime di una koorime si tramutano in perle di grande valore, le pietre hirui.- spiegò lei -Molti demoni bramano di averle.-
-L’unico valore che ha per me e il fatto che sia nata dai tuoi occhi.- risposi io.
Lei mi sorrise con dolcezza.
-Congiungendomi a te, per un istante ho dimenticato ogni cosa… Vorrei poter restare.- dichiarai accoratamente.
-Ma se lo facessi, non ti perdoneresti mai.- replicò lei.
-Hina, ti giuro che vincerò la mia battaglia e tornerò qui a prenderti. Poi potremo stare per sempre insieme.-
Altre lacrime caddero dai suoi occhi, rimbalzando a terra.
-Ho detto qualcosa che non va?- mi allarmai io.
Lei scosse la testa. -Oh no. Mi hai resa felice.-
Ma nonostante lei sorridesse, dentro di me sentii un’inquietudine inspiegabile.

Il giorno seguente, consapevole di non poter più indugiare, decisi di partire.
La strinsi con forza tra le mie braccia. -Non so quanto tempo mi occorrerà, ma stai certa che saremo di nuovo insieme.-
-Sì, ti credo.- dichiarò lei.
Pose tra le mie mani una pietra hirui, appesa ad un laccio. -È la lacrima che ho versato al momento della nostra unione. È il simbolo del nostro legame.-
Me la misi al collo. -Non me ne separerò mai.- giurai solennemente.
Poi ci baciammo. Un bacio lungo, appassionato e… disperato… come se fosse stato l’ultimo.
Ormai lontano, mi girai indietro per osservarla ancora e mi sembrò di scorrere due luccichii scorrerle sulle guance.
Un terribile presentimento mi fece stringere il cuore. Un presentimento che, purtroppo, sarebbe presto diventato reale.>>

Hiei era sconvolto. -Tu non lo sapevi?! Non sapevi cosa sarebbe successo.-
Kotaro sorrise amaramente. -Non mi perdonerò mai di essere stato la causa della sua morte.-

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Yu degli spettri / Vai alla pagina dell'autore: Hazel 88