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Autore: _Lollipop_    16/03/2015    1 recensioni
Marzo. Un assassino sta devastando Berlino, uccidendo giovani donne brutalmente. Il detective Tom Kaulitz è deciso a fermarlo, eppure il killer è scaltro e sicuro di sé. Ma una ragazza speciale entrerà nella vita del detective, sconvolgendola, e il suo nemico non ha pietà per nessuno...
Una storia diversa dalle altre che tratta i temi principali della vita: amore e morte.
Genere: Drammatico, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
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Ciao ragazze. Mi dispiace per il ritardo mostruoso, vi chiedo umilmente perdono. Questo capitolo è più di passaggio, che di azione vera e propria. È più che altro un piccolo spezzone di quotidianità dei nostri due personaggi. Spero vi piaccia J Spero anche in un commentino. Un bacio, Sara.

Capitolo Due: Souvenirs

 

I flebili raggi del sole colpivano la piccola, chiara, camera da letto, attraversando le svolazzanti tende arancioni. Una fastidiosa musichetta proveniva dalla radio sveglia posta sul comodino, mentre sullo schermo lampeggiava l’orario: le 6:45. Amaya, sdraiata sul suo letto, grugnì, infastidita dall’odioso rumore. Schiacciò il viso nel cuscino e colpì l’oggetto con la mano, che smise di suonare cadendo a terra. Un’altra giornata di lavoro l’attendeva. Si sistemò svogliatamente a sedere sul letto, sbadigliò e si strofinò stancamente gli occhi. Lavoro, università e ancora lavoro. Quella routine la stava distruggendo. Si alzò, uscì dalla sua camera e si diresse in cucina. L’unica cosa di cui aveva bisogno in quel momento era una grossa tazza di caffè bollente.

Belle le corse incontro, scodinzolando, e le saltò sulle gambe. Amaya sorrise, felice di vedere il suo bellissimo cane, e le donò qualche carezza e una pacca amichevole. Belle era un cane di bellezza degna dei migliori concorsi. La ragazza non poteva passeggiare tranquillamente con il suo cane senza che qualcuno la fermasse. Belle era una splendida Husky dal manto grigio scuro e bianco, con gli occhi azzurri come il ghiaccio. Ma soprattutto, era un cane dal carattere fantastico: legata ad Amaya con tutto l’amore che un cane può avere per un padrone. Per la ragazza, Belle non era solo il suo cane: era un’amica fedele e leale.

Continuò a dirigersi verso la cucina, mentre la cagnolina le girava intorno scodinzolando.

- Sì, lo so che anche te vuoi fare colazione. Ma lasciami almeno arrivare in cucina! - la ragazza rise, dando un’altra carezza al pelo morbido e fitto dell’animale. Belle abbaiò di risposta, con allegria.

Mise sul fuoco la caffettiera e, mentre aspettava che il caffè venisse su, prese dal cassetto sopra la sua testa dei croccantini e li rovesciò nella ciotola del cane. Belle si abbassò ad annusarli ed emise un verso contrariato, alzando il muso verso la padrona.

-Ehi, non fare così eh. So bene che preferisci la carne, ma sai che al mattino devi mangiare anche i croccantini- Belle ripeté il suo verso contrariato ma si mise a mangiare la sua colazione, rassegnata. Amaya scosse la testa divertita e spense il fuoco del fornello: la caffettiera borbottava. Versò il contenuto in una tazza e si sedette al tavolo, sorseggiando il liquido caldo che le scivolava per la gola, scaldandole tutto il corpo. Mangiò qualche biscotto distrattamente, mentre osservava il paesaggio oltre la porta finestra della cucina, la quale dava sul piccolo giardino. Quella domenica di marzo, il sole era basso all’orizzonte. I timidi raggi solari coloravano il cielo azzurro di una leggera sfumatura arancione, eppure la giornata non era affatto calda. Continuò a osservare la verde distesa di prato, con l’erba ancora ricoperta di rugiada.

Aveva faticato così tanto per avere una casa che fosse immersa nel verde ed era stata entusiasta quando l’agente immobiliare le aveva comunicato che finalmente era sua.

-Non lo avrai mica finito tutto?!- i suoi pensieri furono interrotti dalla voce squillante di una ragazza dai capelli rossi che era entrata nella cucina.

-Te ne ho lasciato un po’, acida- la rossa si stiracchiò i muscoli delle braccia, sbadigliando rumorosamente. Si rovesciò il caffè rimasto in una tazza e si sedette accanto all’amica.

-La tua bestia mi ha svegliata. Deve per forza abbaiare?- sentenziò questa, rivolgendo un’occhiata truce alla cagnolina. Amaya la guardò esterrefatta, inarcando le sopracciglia.

-Becky! Non parlare così di Belle, caspita! Non è una bestia, è un cane; è ovvio che abbai!- l’Husky, come se avesse compreso quello che Becky le aveva detto, ringhiò infastidita verso di lei. La rossa borbottò qualcosa e poi continuò a sorseggiare il suo caffè.

Amaya si alzò da tavola e andò nel bagno per continuare a prepararsi.

-Non dilungarti troppo, arriveremo in ritardo- avvertì. La rossa annuì e Amaya sparì nel bagno.

 

Passata mezz’ora, Amaya era sulla porta che batteva impazientemente il piede sul pavimento. Aveva legato i lunghi capelli corvini in una liscissima coda di cavallo. Il viso era rimasto pulito, solo del mascara nero le infoltiva le già lunghe ciglia. Indossava già la divisa da lavoro, bianca e rossa, così da limitare il ritardo. Osservò l’ora sul suo orologio da polso.

-Becky, muoviti, santo cielo! Arriveremo ancora in ritardo!- l’amica le urlò di essere quasi pronta. Quindi, Amaya si sistemò nel lungo cappotto bianco, prese la sua borsa e salutò Belle, seduta accanto alla porta. La ragazza le allungò un grosso osso di gomma che la cagnolina prese volentieri.

-Non distruggermi il giardino, mi raccomando- Belle continuava a rosicchiare il suo osso, quando finalmente Becky uscì in giardino, infilandosi il cappotto.

-Pronta?- domandò la mora. La rossa alzò il pollice facendole l’occhiolino. Anche Becky aveva legato i lunghi capelli ricci in una coda di cavallo. Ma, a differenza dell’amica, lei amava truccarsi pesantemente: gli occhi truccati con l’ombretto nero, il fard color mattone sulle guance e il rossetto del medesimo colore. Ma questo era normale per una ragazza al terzo anno della Facoltà di Moda e Design di Berlino. Salirono sulla loro piccola utilitaria e sfrecciarono sulle strade della città.

 

***

 

Un mucchio di documenti erano sparsi sul lungo tavolo in legno della sala conferenze. Tom percorreva avanti e indietro la stanza a grandi falcate, con aria affranta. Dopo tre giorni dal ritrovamento della ragazza, Julia, il caso non sembrava fare passi avanti. Le foto delle tre giovani e belle ragazze erano appese alla lavagna trasparente, sembravano guardarlo con sguardo accusatorio. L’ispettore si passò una mano tra i capelli, sbuffando sonoramente.

A peggiorare la situazione, quella mattina era arrivata una lettera con il suo nome scritto chiaramente anteriormente. Georg aveva ancora in mente il volto del compagno, quando aprì la lettera: lo vide impallidire improvvisamente e i suoi occhi si spalancarono. Scosse la testa, quel caso stava lentamente distruggendo il suo amico. Sapeva quanto gli stesse a cuore e, soprattutto, quanto si tormentasse per la fine di quelle povere ragazze. Eppure quel caso, e quella lettera, avevano sconvolto tutti.

“Non mi fermerai, Kaulitz. Ho appena cominciato.”

Si era aperta una guerra, e loro la stavano perdendo in partenza.

Decise di uscire per una sigaretta, magari si sarebbe schiarito le idee. Indossò il cappotto scuro e uscì nel cortile, sfregandosi le mani per il freddo. Si appoggiò con la schiena al tronco di un albero e si accese la sigaretta. Socchiuse gli occhi, beandosi del fumo che gli avvolgeva i polmoni.

Il suo cellulare trillò. Osservò sullo schermo il nome del mittente e aprì il messaggio, alzando gli occhi al cielo. Ancora non capiva perché suo fratello si ostinasse a comunicare con lui per messaggio quando si trovava a un paio di stanze dopo la sua.

“Finisco al solito orario. Mi hanno parlato di un posto, dicono sia fico. A dopo!”

Tom sorrise. Suo fratello lavorava spesso con lui. La cosa lo spaventava all’inizio, ma, per fortuna, raramente Bill era chiamato a lavorare sul campo. Lui e il suo compagno, Gustav, erano due Profiler. La loro era una figura fondamentale nel processo di cattura di un assassino. Tom adorava i casi in cui era implicato suo fratello. Questo non era uno di quelli ma Tom era così disperato che sapeva di dover chiedere il suo aiuto.

Immerso nei suoi pensieri, quasi non si accorse della sigaretta che si consumava tra le sue dita. Doveva rientrare.

 

***

 

Parcheggiarono l’auto in fretta e furia e si catapultarono all’interno della tavola calda, passando dal retro. Aprirono i loro armadietti e si affrettarono a indossare il grembiule bianco. Si guardarono intorno, ma del loro capo nessuna traccia. Sospirarono, sollevate, e varcarono la porta che portava al salone da pranzo.

-Signorine! - una voce tonante le raggiunse. Strizzarono gli occhi. Beccate…-Siete in ritardo! Di nuovo! – le ragazze guardarono l’orologio posto dietro al bancone.

-Ma, signor Schmitz, sono solo le 8:02! – replicò Becky con aria affranta.

-Sono due minuti di ritardo. La prossima volta vi faccio un reclamo. Qui, i ritardi non sono tollerati – rispose severamente. Era un uomo rude, alto e robusto. Aveva i capelli cortissimi e neri che facevano contrasto con i suoi occhi glaciali. Aveva quarant’anni e un bell’aspetto, ma il suo carattere duro lo rendeva antipatico sia ai clienti sia ai dipendenti.

Le ragazze annuirono e si misero al lavoro, a capo chino. Quel giorno, a Becky toccava stare dietro il bancone a preparare i piatti, mentre Amaya doveva stare in sala per servire i tavoli. La mattina fu frenetica ma niente in confronto all’ora di pranzo. Erano al completo. I tavoli erano pieni di persone che aspettavano di essere serviti da lei. L’altra cameriera, Samantha, si era data malata all’ultimo. Dunque, si era trovata ad affrontare tutto quel lavoro da sola, correndo da un tavolo all’altro.

A uno di essi, stavano seduti quattro ragazzi intenti a parlare.

 

***

 

-Ah, ma io e Tom conosciamo molto bene questo posto, vero compare?- esordì, ironico, Georg.

-Prendi per il culo, Listing?- rispose con ironia, il che fece ridere ancora di più l’amico. Poi si rivolse al fratello: -Ho bisogno del tuo parere, Bill. È la terza vittima, vorrei prenderlo prima che ne faccia una quarta!- l’ispettore si strinse la testa fra le mani, tenendo lo sguardo supplicante sul fratello. Bill sospirò affranto. Aveva già molto lavoro e, in un’altra occasione, avrebbe rifiutato. Ma riusciva a sentire la disperazione del fratello, proprio come se fosse sua.

-Okay, aggiornami- rispose. Tom chiuse gli occhi con un sospiro, rilassandosi. Dalla valigetta di lavoro estrasse gli ultimi documenti, porgendoli al fratello. Bill leggeva gli aggiornamenti, corrugando la fronte di tanto in tanto. Tom aspettava che lui parlasse, picchiettando nervosamente le dita sul tavolino. Mentre nella mente aveva ancora l’immagine dell’ultima vittima, Julia, i suoi pensieri vennero interrotti da una voce soave.

-Buongiorno, volete ordinare?- la voce era frettolosa e tremolante. I ragazzi alzarono lo sguardo verso la ragazza mora, poi spostarono lo sguardo sul menu rimasto chiuso sul tavolo: non avevano pensato a cosa ordinare. Tom, involontariamente, continuò a fissarla. Solo quando lei abbassò lo sguardo, sorridendo imbarazzata, lui si accorse di essere imbambolato. Scosse il capo e le chiese un hamburger e una Coca-Cola. Il resto del gruppo fece un ordinazione veloce, così Amaya poté tornare agli altri tavoli.

-Terra chiama Tom- Bill sventolava la mano davanti agli occhi di suo fratello, il quale sembrava non accorgersene e continuava a fissare la cameriera. Quando finalmente si destò, rimase a boccheggiare qualche secondo, avvertendo lo sguardo dei tre amici su di sé.

-Hai finito di consumare con gli occhi la cameriera?- continuò il gemello, sogghignando. Tom sorrise imbarazzato, con le gote improvvisamente rosse. Infine diede una pacca al braccio del ragazzo, intimandogli di piantarla.

Ricominciarono a discutere del caso, ma presto vennero interrotti da un secco rumore di vetri infranti. Tutti si voltarono nella direzione del frastuono. La cameriera era piegata verso il pavimento, mentre cercava di raccogliere i pezzi di un bicchiere caduto. Sembrava molto agitata e a Tom fece molta tenerezza.

-Lewis! Quello te lo detraggo dallo stipendio!- urlò un uomo con la voce profonda. Il signor Schmitz si dirigeva con passo pesante verso la ragazza, che sembrava diventare sempre più piccola sotto quelle urla.

-Sei un’incompetente! Dovrei licenziarti!- Amaya tirò su con il naso, continuando a raccogliere pezzi di vetro dal pavimento.

-Mi scusi, signor Schmitz, sono inciampata- sussurrò lei, mortificata. L’uomo l’afferrò per la manica, strattonandola per farla alzare, e le puntò un dito davanti il viso, continuando ad urlare.

-Ehi! Le sembra il modo di trattare una signora?- esordì Tom, parandosi accanto all’uomo.

-E tu chi saresti? Il suo avvocato?- sputò l’uomo, con acidità. Tom lo osservò per un istante: era un uomo robusto, sui quarant’anni, con i capelli corti e scuri e gli occhi glaciali. Aveva un bell’aspetto, se non fosse stato per la camicia gialla a quadroni e soprattutto un’orrenda cravatta a quadri rossi e gialli. Tom pensava di non aver mai visto una cravatta più orrenda di quella.

-No, non sono il suo avvocato. Sono un poliziotto- il signor Schmitz cambiò velocemente espressione e allentò la presa al braccio della ragazza, così lei se ne liberò, massaggiandosi.

-Ehi amico, non è successo niente. Era solo un diverbio- diede una pacca sulla spalla del ragazzo, che lo guardò sprezzante.

-Bene, facciamo in modo che non ce ne siano altri. Amico- Tom ricambiò la pacca con un sorriso ironico e si avvicinò alla ragazza.

-Stai bene?- le domandò, con premura. Amaya sorrise dolcemente e annuì.

-La ringrazio agente- Tom stava per ribattere, non voleva gli desse del “lei”. La voce vicina di Bill, però, gli ricordò di essere in ritardo. Così, si congedò rapidamente e seguì di corsa gli amici fuori dal locale. Amaya rimase ad osservarlo allontanarsi per alcuni secondi, poi sorrise e tornò al lavoro.

 

***

 

Nel pomeriggio, Tom faticava a concentrarsi. Seduto al tavolo insieme ai tre amici, cercava di capire la prossima mossa del killer. Tuttavia, la sua mente continuava a vagare al sorriso di Amaya quando lui le aveva chiesto se stesse bene.

-Tom, dannazione, vuoi prestare un po’ di attenzione!- sbottò il gemello con stizza. L’ispettore scosse il capo come a volersi togliere quell’immagine dalla mente.

-Scusa Bill, hai ragione. Cosa stavi dicendo?- Bill sbuffò, lanciando un’occhiataccia al fratello, e poi riprese il discorso.

-Stavo dicendo, gli omicidi sono molto violenti. Sono guidati dalla rabbia. Ciò significa che le vittime e l’assassino si conoscevano o, per lo meno, devono essersi incontrati prima di…-

-Ho capito,- continuò il fratello –quindi si conoscevano…- sospirò, pensoso.

-Signor Kaulitz- i gemelli si voltarono contemporaneamente verso l’entrata, incontrando lo sguardo velato di una ragazza mora.

-Signorina Kamm- rispose Tom, alzandosi per dirigersi verso di lei. Le strinse la mano e la invitò ad avvicinarsi; -mi dica…-

La ragazza si strofinava le braccia con fare nervoso, era pallida e aveva gli occhi rossi.

-Ragazzi, lei è la sorella della signorina Julia Kamm-

-Ci dispiace molto per la sua perdita, signorina. Stiamo facendo il possibile per trovare quel mostro- Gustav le rivolse un sorriso, ma la ragazza rimase impassibile, annuendo debolmente.

-Signor Kaulitz, vorrei chiederle una cortesia. Vorrei riavere la collana di mia sorella. Sa, apparteneva a nostra madre… Io ci terrei a riaverla…- Tom corrugò la fronte, perplesso. Non ricordava nessuna collana sul corpo della ragazza.

-Signorina, sua sorella non aveva gioielli quando l’abbiamo trovata- la ragazza strinse gli occhi con forza, sull’orlo del pianto e scosse la testa.

-Non è possibile. Julia non si toglieva mai la collana di mamma. Non l’avrebbe mai tolta. Mai- sottolineò. Tom si voltò verso i compagni, accigliato, ma loro scossero il capo. La ragazza, allora, estrasse il cellulare dalla tasca e ci armeggiò per qualche secondo, poi lo porse al ragazzo.

-Ecco vede, questa è la collana che non si toglieva mai;- continuò indicando la foto e mostrando la stessa collana che lei aveva al collo; -se la trovate, vi prego di riportarmela- si asciugò velocemente gli angoli degli occhi e si riprese il cellulare. Ringraziò gli agenti e si congedò velocemente.

I ragazzi, confusi, cominciarono a riguardare i documenti. Finché Gustav non sbattè il pugno sul tavolo, facendo sussultare i compagni. Poi indicò sei foto, delle tre ragazze sia da vive sia da morte.

-Guardate qua!- urlò; -Cosa notate?- gli amici lo raggiunsero, osservando ciò che lui indicava.

-Io non vedo nulla di strano- rispose Georg.

-L’anello- indicò Tom. –Non ha l’anello-

-Esatto!- continuò Gustav.

-Il figlio di puttana prende dei ricordi-

 

  
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