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Autore: LaStregona    16/03/2015    1 recensioni
Roma, 2011.
Antonia è una vampira. E’ stata trasformata contro la sua volontà dal vampiro che amava e ora vive nel risentimento e nel senso di colpa. Si odia per il suo disperato attaccamento a quella vita a metà e non vede niente, se non la morte, nel proprio futuro.
Finché un evento fuori dal comune non stravolgerà la sua vita. Da quel momento, per Antonia, inizia un viaggio che la costringerà ad attraversare le tenebre di quella Terra che la respinge e la condanna. Ma non sarà da sola ad affrontare il cammino, incontrerà qualcuno il cui destino si intreccerà con il suo, cambiando il corso degli eventi e della storia.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Spegni quel PC e vattene a letto.
Quella era la buonanotte che Stefano riceveva tutte le sante sere dalla voce irritata di suo padre.
- Sì, altri due minuti - rispose il ragazzo, spegnendo la lampada sulla scrivania.
La stanza precipitò nella penombra bluastra della luce proiettata dal monitor. Le ante spalancate della finestra facevano entrare la brezza notturna e la luce fioca dei lampioni del parcheggio condominiale. Quasi tutte le sere andava avanti al computer fino a notte fonda, a suon di tastiera retroilluminata. La rete lo faceva illudere di essere libero, anche se in realtà sapeva benissimo di non esserlo. Dopo anni trascorsi in palestra a lottare contro lo scorrere del tempo, sua madre se n'era andata a vivere col suo personal trainer. Così, da un paio d'anni, Stefano dipendeva in tutto e per tutto dal magro stipendio da operaio di suo padre, se si escludeva qualche serata che faceva come cameriere in un tristissimo night club.
Il ragazzo si massaggiò le tempie, quella sera aveva chiamato per avvertire che non sarebbe andato e al telefono a malapena si erano ricordati chi fosse. Niente di nuovo. Si era ritrovato più di una volta a dover fare la descrizione di se stesso prima che l'interlocutore si ricordasse di lui. "Sono Stefano, si quello alto, magro, occhiali, occhi azzurri, capelli castani..." E il proprietario non mancava mai di ricordargli quanto fosse perfetto per quel lavoro, “Passare inosservato non è da tutti ragazzo mio, e a te riesce benissimo”.
Stefano si sfilò gli occhiali, accasciandosi sullo schienale della sedia ergonomica, un regalo di Ilaria, la sua ex fidanzata. Aveva pensato più volte di disfarsene, ma era troppo comoda. Sospirò. Per quella sera era stanco di commentare stupidi post sul suo portale web dedicato ad antichi misteri, tra cui, disgraziatamente, anche streghe e vampiri. Da quando erano usciti al cinema tutti quei film sui succhiasangue, infatti, era stato subissato di nuove registrazioni. All'inizio ne era stato contento, ma quando si era accorto che l'età media superava di poco i tredici anni si era ricreduto. Non facevano altro che insultarsi sul forum per difendere il belloccio di turno. Il tutto dimenticando completamente l'esistenza della grammatica italiana.
Lanciò stancamente un'occhiata alla sua collezione di Martin Mystère disposta con religiosa precisione su due mensole della libreria a muro. Bei tempi quando i bambini giocavano a fare gli esploratori. Ma quella era roba da vecchi collezionisti ormai. Forse lui era l'ultimo dei sognatori.
Si era laureato l'anno precedente in Scienze Archeologiche. “Una laurea breve e inutile”, diceva sempre suo padre, che avrebbe voluto un figlio avvocato. Sua madre, dal canto suo, si era limitata a fargli qualche mesto complimento. Anche lei pensava che quella fosse una scelta infelice, ma per un motivo ben diverso da suo padre. Non la riteneva idonea alla "condizione fisica" di Stefano.
Era così che tutti i suoi familiari chiamavano la sua malattia. Come se ci fosse qualcosa di meno impressionante in quella combinazione di parole: condizione fisica. Per lui era semplicemente “la Malattia” e ci conviveva dalla nascita. Dopo anni d’indagini mediche a sette anni aveva avuto una prima diagnosi. Scientificamente era denominata "MODY3" ed era dovuta a una mutazione di un gene. Una forma di diabete non autoimmune, avevano detto i medici. Anche quella diagnosi, comunque, era “probabile” non “certa”. Il dubbio proveniva dal fatto che nel suo caso si trattava di una forma particolarmente aggressiva e debilitante. La malattia, infatti, si era portata dietro un elevato rischio di complicanze cardiache, ma soprattutto le lesioni alla retina che ogni anno peggioravano, limitando progressivamente la sua capacità visiva. Nessuno ne aveva saputo dare una spiegazione dal momento che in famiglia non c'erano altri casi. L'unica cosa certa era che Stefano doveva iniettarsi l'insulina tutti i giorni per evitare che la sua glicemia salisse alle stelle.
Non era difficile capire perché sua madre l'avesse guardato in quel modo il giorno della laurea. Stefano in qualche modo la comprendeva: dopotutto cosa avrebbe potuto fare nella vita un archeologo cieco? Ma i suoi genitori riuscivano a vedere solo ciò che la Malattia gli stava togliendo e non i doni che gli aveva portato. La voglia di sapere, di conoscere e di non arrendersi mai. Una sete di vita di chi sa che presto potrebbe non avere più acqua da bere.
Era per questi motivi che aveva scelto di iscriversi a scienze Archeologiche. L'archeologia gli consentiva di viaggiare senza muoversi, avanti e indietro nel tempo. Di immaginare civiltà antiche e misteriose, di studiare antiche lingue e religioni ormai scomparse. Per lui il momento della laurea era stato il più bello, o meglio, lo sarebbe stato se Ilaria non avesse scelto proprio quel giorno per mollarlo.
    Stefano ripensò a quella mattinata all'università e si ricordò solo di aver guardato per tutto il tempo la porta dell'Aula Magna, sperando che lei la varcasse. Alla fine era venuta, ma lui aveva già terminato la discussione della tesi. Si era scusata e aveva anche cercato di mostrarsi felice per lui. Alla fine però era scoppiata in lacrime e gli aveva comunicato la sua decisione di troncare la storia.
    Era stato un brutto colpo. Il fatto era che nemmeno l'aveva potuta biasimare. Ilaria era bella, simpatica, perennemente in attività. Lui tutto il contrario. A peggiorare le cose era stato il fatto che aveva trascorso mesi rinchiuso in biblioteca, a tradurre testi antichi per la tesi di laurea. Un periodo da dimenticare.
    Aveva sperato che lei tornasse, ogni giorno aveva controllato il telefono, le email, ogni cosa, nella speranza di trovare un suo messaggio. Ma niente, nessun ripensamento. Era stato così male da rifiutare qualsiasi tentativo di conforto da parte di chiunque. Alla fine era ridotto in uno stato così terribile da rendersi conto di dover cambiare qualcosa nella sua vita, oppure non ne sarebbe uscito.
Così, quando gli era capitata la possibilità di partecipare a uno stage gratuito in Iraq, nei pressi di Nassiriya, non aveva esitato. Visto il luogo e il compenso inesistente, era stato l'unico a candidarsi per quella posizione ed era stato subito accettato. Non poteva desiderare di meglio: aveva vitto e alloggio pagato e gli consentiva di allontanarsi da casa per qualche mese.
Sua madre era impazzita quando l'aveva saputo, ma lui non aveva mollato la presa. Si era preso in faccia la sua scenata a tema ma-dove-vai-da-solo e aveva mantenuto la calma. L'aveva guardata finché lei non aveva finito di snocciolare perle di presunta saggezza e poi le aveva ribadito la sua decisione di partire. Alla fine lei gli aveva riempito la borsa di medicinali e aveva accettato la scelta. All'aeroporto non la smetteva di piangere, come se lo vedesse per l'ultima volta.
Stefano sorrise fra sé e sé. Nonostante le preoccupazioni che aveva dato ai suoi genitori, era stata la cosa più folle e meravigliosa che avesse fatto nella sua vita. Da quando era ritornato, non faceva che pensare a quei luoghi esotici. Si ritrovava a immaginare ancora il calore della sabbia del deserto sotto i piedi e il colore aranciato al tramonto. Aveva assaporato quella sensazione di libertà che solo immergersi nel passato di civiltà dimenticate sapeva dargli. La realtà che aveva intorno non gli era mai bastata: era banale, scontata e senza via d'uscita. Studiare antiche tombe, ricostruire manufatti e osservare scritture non ancora decifrate, lo faceva sentire vivo. In un certo senso era anche ironico, il fatto di sentirsi più vivo fra i morti che tra i vivi.
Fu distolto da quei pensieri da un brivido improvviso sulla nuca. Riaprì gli occhi, sorpreso. Era fine agosto e quel giorno aveva fatto molto caldo a Roma: non si aspettava quel colpo di freddo. Si alzò per chiudere la finestra della sua stanza ma, quando si voltò, rimase pietrificato. Di fronte a lui c'era una donna che sembrava uscita da un fumetto della Marvel. Alta, pallida, con una lunga coda di capelli rossi che le scendeva dietro la schiena. Indossava una maglia attillata nera con scollo a V su un paio di aderentissimi pantaloni di pelle e stivali da cavallerizza dello stesso materiale.
- Quindi sei tu Aquila della Notte, - lo apostrofò lei.
Stefano aveva il cuore in gola e fece un passo indietro, inciampando sulla sedia e ricadendo su di essa, seduto con le spalle al monitor. Aquila della Notte era il nickname che utilizzava per moderare il proprio forum. Possibile che si trattasse di un'utente inviperita? Ricacciò indietro quel pensiero idiota e cercò di rimanere calmo.
- Tu... come sei entrata? - le chiese, scegliendo a caso una domanda fra le tante che gli si accavallavano nella mente.
- Dalla finestra, - ripose lei, come se fosse la cosa più naturale del mondo. - Allora? Sei tu o no?
    - Sì… sì... - rispose il giovane, cercando con la mano gli occhiali che aveva appoggiato sulla scrivania.
- Credevo fossi una femmina, - osservò lei, esaminandolo da capo a piedi.
- Femmina? N...no, direi di no - balbettò Stefano, mentre cercava di infilarsi gli occhiali.
Quando vi riuscì, l'emozione che aveva provato venne amplificata. La figura femminile in piedi di fronte a lui illuminata solo dalla luce bluastra del monitor sembrava un essere mitologico, uscito fuori da chissà quale dimensione parallela. La sua pelle era bianca, quasi opalescente e i suoi occhi completamente neri rilucevano nella penombra. Le labbra violacee spiccavano sotto gli zigomi alti e la fronte liscia.
- Chi, o cosa... sei tu? - le domandò, facendo appello a quel briciolo di coraggio che gli restava.
Lei sorrise, scoprendo una serie di denti perfetti e bianchissimi.
- Mh? Ma come, ne parli tanto e poi nemmeno riconosci un vampiro quando ne incontri uno?
Vampiro? O vampiressa? O vampira come diavolo si diceva. In ogni caso non era possibile. Stefano si passò una mano sulla bocca. Doveva essersi addormentato davanti al PC senza accorgersene, non sarebbe stata la prima volta. Sì, doveva trattarsi senza dubbio di uno di quei sogni lucidi di cui aveva letto da qualche parte su internet. Oppure era uno stupido scherzo.
- Hai perso la lingua?  chiese lei, facendo un passo in avanti.
Stefano deglutì e indietreggiò.
- No, no. È che i vampiri non... - iniziò a dire.
- Esistono? - lo interruppe lei sollevando un sopracciglio.
- No. Cioè sì… Non lo so - si arrese subito il ragazzo.
Improvvisamente la creatura di fronte a lui fece scattare due lunghi canini.
- Te lo dico io, esistono – affermò poi.
Stefano sentì il cuore balzargli nel petto e la gola restringersi. Istintivamente afferrò i braccioli della sedia girevole su cui era seduto e spinse con i piedi finché lo schienale non colpì la scrivania.
- Adesso che abbiamo sviscerato la questione, passiamo ad altro - fece lei, ritirando le zanne.
Stefano rabbrividì. La parola sviscerare gli fece venire in mente un pesce a cui venivano strappate le interiora. C'erano ottime possibilità che avrebbe fatto la stessa fine. Per un attimo fu sul punto di elencarle tutte le possibilità per cui non avrebbe dovuto fare di lui il suo pasto.
- Io sono Antonia e tu sei... Stefano immagino - continuò la vampira lanciando uno sguardo a un cuore gonfiabile col suo nome sopra che una ragazzina gli aveva regalato alle scuole medie. Il ragazzo annuì, un po' imbarazzato.
Quello era stato l'unico regalo che avesse mai ricevuto per San Valentino e quindi l'aveva conservato. Di certo non immaginava di farci la figura del cretino di fronte a uno splendido esemplare di vampiro femmina.
- Bene, spero che il resto della conversazione possa procedere un po' più velocemente, visto che ho solo tutta la notte. Mi spiego? - fece lei, sedendosi sul letto e accavallando le gambe.
- Sì... direi di sì - rispose il ragazzo.
- Allora, andiamo per gradi. Ho visto il tuo sito internet e, tra tutte le idiozie che ci sono scritte, una cosa ha attirato la mia attenzione: il tuo articolo sul Sarim-Dub. Per prima cosa vorrei che tu lo eliminassi, dopodiché mi racconterai quello che sai.
Nonostante le parole cortesi che aveva usato, a Stefano era chiaro che non si trattava di una richiesta, ma di un ordine. Si lanciò subito sulla tastiera e con pochi, velocissimi click fece quello che lei gli aveva comandato di fare. Mentre si girava di nuovo, sperò di aver immaginato tutto e che sul suo letto ci fosse solo la maglia della Lazio che aveva appena piegato. Invece no. La vampira era ancora lì, in attesa.
Stefano prese un bel respiro, cercando il punto migliore da cui iniziare.
- In Iraq ho partecipato agli studi sulla ziqqurat dell'antica città sumera di Ur, dedicata al Dio della luna Ninnar. Beh... a dire la verità più che altro preparavo caffè e portavo valigie... ma così ho conosciuto un vecchio archeologo inglese che mi ha parlato del Sarim-Dub. Uno di quelli in guerra con la scienza "ufficiale".
Antonia sembrò spazientirsi.
- Vieni al punto - fece.
- Beh, non so quanto ci fosse di vero... comunque mi ha detto che si tratta di un antico testo scritto in caratteri cuneiformi. Il nome deriva da tre parole sumere, SAR che significa “scrivere”, IM che significa “argilla” e DUB che sta per “documento, lettera” - rispose Stefano.
- Sapeva dove trovarlo? - domandò la vampira.
Stefano scosse il capo.
- Dice di averlo visto al British Museum l'ultima volta, ma poi è stato rubato. Era convinto che sia stato riportato all'interno della ziqqurat dedicata al dio della luna Ninnar.
- Secondo te invece? - chiese Antonia, squadrandolo con i suoi occhi neri.
Stefano ebbe un attimo di esitazione, più ci pensava e più si rendeva conto che era una situazione surreale. Stava disquisendo di archeologia con un vampiro vero.
- Allora?
La voce irritata della vampira gli fece immediatamente rompere gli indugi.
- Io non sono un esperto... ma è possibile - rispose. -Negli anni ‘70 una parte della ziqqurat è stata resa inaccessibile da un crollo. Di solito le ziqqurat non hanno stanze interne, ma il fatto che una parte abbia ceduto, farebbe pensare al contrario. Il Sarim-Dub potrebbe essere lì sotto, ma ulteriori scavi non sono mai stati autorizzati. Avevo inserito quel messaggio sul mio sito per cercare di raccogliere informazioni sull'argomento.
- A quanto pare hai avuto successo. Anche se non nel modo in cui ti aspettavi - dichiarò Antonia, alzandosi in piedi.
- Successo? - ripeté Stefano.
Antonia si avvicinò alla finestra e lanciò uno sguardo fuori.
- Prendi quello che ti serve e vieni con me. Partiamo subito.
Stefano sentì il sangue defluirgli dal viso.
- Che? Ma io non... 
Il ragazzo sentì il proprio cuore aumentare i battiti, mentre l'adrenalina si riversava nelle sue vene. Partire per l'Iraq così all'improvviso era qualcosa di folle. Qualcosa che, però, solo poco prima aveva desiderato più di ogni altra cosa.
- Mi servi. Prendi le tue cose e vieni con me - ripeté lei.
- Ma non posso andarmene così. Mio padre si chiederà dove sono e mia madre impazzirà e poi... - replicò Stefano alzandosi in piedi e allargando le braccia.
Per un attimo fu tentato di dirle della sua “condizione fisica”, ma non lo fece. Dopo anni passati a sfidare se stesso non poteva usare la malattia come scusa pietosa.
- E poi cosa? - fece lei.
La vampira aggrottò la fronte, dalla sua espressione Stefano arguì che non le era minimamente passato per la mente che lui avrebbe opposto resistenza.
- Niente - mentì lui.
La vampira fece un passo in avanti e incrociò le braccia. Ora era a meno di un metro da lui e lo guardava dritto in faccia con i suoi occhi alieni.
- Stefano hai detto, giusto? Ascoltami, io non ho molto tempo da perdere e non vorrei trascorrere il prossimo minuto a minacciarti - disse lei.
Stefano si rese conto di non avere scelta. Che poteva fare? Opporre resistenza a un'oscura e perversa creatura delle tenebre? L'unica risposta possibile era: no, non poteva. Senza contare che ciò che gli stava capitando era incredibile. L'unico modo per vivere un'avventura del genere, fino a pochi minuti prima, era avviare qualche gioco di ruolo al computer. Invece era tutto reale. Sentì il cuore aumentare i battiti, mentre in fretta e in furia gettava qualche vestito nello zaino. Improvvisamente si ricordò delle sue medicine: senza quelle il viaggio sarebbe durato davvero poco. Le tirò fuori dal comò e le infilò dentro una tasca interna.
- Sono pronto – disse, chinandosi e spegnendo il PC.
In quel momento si rese conto che non sapeva quando, ma soprattutto, non sapeva se l'avrebbe mai più riacceso. Quando si voltò verso di lei Antonia si sporse sul davanzale della finestra e gli fece cenno di avvicinarsi.
- Non possiamo uscire da lì, siamo al… - fece per dire Stefano, facendo qualche passo verso di lei.
Ma non fece nemmeno in tempo a terminare la frase che si ritrovò in caduta libera dal terzo piano. Quando lei lo depositò sull'asfalto, era già troppo tardi per farsi prendere dal terrore. La testa gli girò e cadde in ginocchio a terra.
- Ci sei? - gli chiese la vampira.
Stefano annuì, fece un respiro e raccolse lo zaino.
- Per la miseria – esclamò, rimettendosi in piedi e guardando sopra di lui.     
Quindi era vero quello che si diceva sulle doti fisiche dei vampiri, pensò. Dopo un salto del genere qualsiasi umano sarebbe stato da ricoverare in prognosi riservata, nella migliore delle ipotesi.
- Vieni, non c'è molto tempo. Dobbiamo arrivare fino all'aeroporto - disse Antonia.
Non era molto distante, una ventina di minuti in macchina, ma c'era un piccolo problema: Stefano non aveva una macchina a disposizione.
Stefano aggrottò la fronte.
- Come ci andiamo?
- Hai la patente? - chiese Antonia.
Il ragazzo fece scattare la mano destra sulla tasca posteriore dei jeans. Il portafogli era lì, per fortuna. Annuì.
Antonia gli fece di nuovo cenno di seguirla e insieme uscirono per strada. Stefano aveva sempre vissuto in periferia, in un quartiere che era stato inserito da poco sulle rotte dei mezzi pubblici di Roma. Persino il nome "Muratella" era sconosciuto alla maggior parte dei romani prima che diventasse una fermata del treno che proseguiva verso il centro commerciale. Gli unici modi per spostarsi erano i piedi e il suddetto trenino metropolitano che passava ogni venti minuti. Peccato che la stazione si trovasse a un chilometro di strada a scorrimento veloce senza marciapiede. Stava quasi per arrendersi all'idea di iniziare a camminare quando la vampira gli indicò un furgone nero parcheggiato dall'altra parte della strada.
- Ci andremo con quello – stabilì, lanciandogli un mazzo di chiavi.
Stefano le rigirò tra le dita, sopra c'era il logo FIAT e la scritta Ducato. A quanto pareva la vampira si era organizzata bene, notò. Ne ebbe ulteriore conferma una volta salito sul mezzo, quando sul cruscotto notò un biglietto aereo.
- Come facevi a conoscere i miei dati? - domandò Stefano prendendolo fra le mani e osservandolo nel dettaglio.
- Ho utilizzato quelli con cui hai registrato il dominio internet. Controlla che siano corretti - rispose lei, chiudendo lo sportello.
- Sì, sono corretti - rispose Stefano un po' stupito.
Non ci aveva pensato, ma in effetti poteva dire addio alla sua privacy dal momento che aveva registrato il dominio a suo nome. Persino la data di nascita: 20 Luglio 1987.
- C'è un solo biglietto. Tu non vieni? - chiese Stefano sollevando lo sguardo verso di lei.
- Verrò anche io. Ma non come passeggera. Metti in moto - rispose Antonia.
Stefano infilò la chiave e fece come lei gli aveva ordinato. Si chiese se la storia del condizionamento mentale che i vampiri potevano utilizzare contro gli esseri umani esistesse davvero. Per quanto lo riguardava, sembrava proprio di sì. Era disorientato e stava facendo una follia. In quel momento si scoprì a provare qualcosa di molto simile a una gioiosa euforia. Fece scivolare le dita sulla leva del cambio e inserì la prima. Dopotutto, se proprio doveva morire, sarebbe stato meglio farlo in qualche rovina dimenticata da Dio che in un letto d'ospedale.
 
   
 
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