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Autore: LaStregona    16/03/2015    1 recensioni
Roma, 2011.
Antonia è una vampira. E’ stata trasformata contro la sua volontà dal vampiro che amava e ora vive nel risentimento e nel senso di colpa. Si odia per il suo disperato attaccamento a quella vita a metà e non vede niente, se non la morte, nel proprio futuro.
Finché un evento fuori dal comune non stravolgerà la sua vita. Da quel momento, per Antonia, inizia un viaggio che la costringerà ad attraversare le tenebre di quella Terra che la respinge e la condanna. Ma non sarà da sola ad affrontare il cammino, incontrerà qualcuno il cui destino si intreccerà con il suo, cambiando il corso degli eventi e della storia.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stefano ci mise qualche secondo a mettere a fuoco il soffitto sopra di lui. Era cosparso di macchie nere che sembravano allargarsi e restringersi ciclicamente. La sua testa pulsava più o meno allo stesso ritmo e gli provocava un terribile senso di nausea. Era sdraiato su qualcosa di freddo e rigido e non riusciva a muoversi, anzi, non sentiva proprio mani e piedi. Cercò di alzarsi, ma il dolore lo assalì all'improvviso, come un predatore nascosto nell'ombra.
Si ricordava solo vagamente di quello che era accaduto dopo aver recuperato il Sarim-Dub. Erano usciti all'aperto e aveva intravisto il chiarore del cielo che annunciava il sole. Aveva tentato di convincere Antonia a rientrare nella ziqqurat, ma lei non lo aveva ascoltato. Il resto erano solo immagini accavallate l'una sull'altra. Una sirena, il contatto con l'asfalto, la scritta “Hospital”. Mentre tornava in sé i ricordi si facevano più nitidi, lei lo aveva lasciato di fronte all'ospedale. Ma dove si trovava adesso? Sembrava una specie di laboratorio abbandonato.
Sussultò quando sentì qualcuno avvicinarsi. Non si era accorto che ci fosse qualcun'altro nella stanza, oltre a lui.
- Spero che stai comodo, no? Stefano, sì? - domandò una voce in un italiano stentato.
Stefano girò la testa di lato. Mise lentamente a fuoco un uomo con il volto nascosto da un passamontagna. Indossava un camice verde da medico, lurido e stinto. In mano aveva una carta d'identità e un portafogli che Stefano conosceva bene. Gliel'aveva regalato sua madre per il compleanno, poco prima di andarsene da casa.
- Chi sei? - chiese il ragazzo con voce impastata.
Alzò lo sguardo e si accorse di avere una flebo colma di liquido rosso scuro attaccata al braccio.
- Dove sono? Non è questo l'ospedale? - chiese di nuovo Stefano, mentre il cuore aumentava i battiti.
- Sì, hospital. Ma questo è posto speciale di ospedale - rispose l'uomo con tono divertito. - Il posto in cui i dottori mandano quelli come te.
Il ragazzo roteò lo sguardo, cercando di cogliere più particolari possibili dell'ambiente che lo circondava. In quel momento si accorse di non avere gli occhiali e ogni cosa più lontana di tre metri era sfocata al punto che poteva solo intuirne i contorni. Senza contare che l'occhio destro era quasi inutilizzabile. La sua retinopatia doveva essere peggiorata di colpo dopo quello che era successo a Ur.
Da quello che riuscì a intravedere, si trovava in una specie d’infermeria in disuso. L'odore dei medicinali era soverchiato da un misto di olezzi sgradevoli in cui predominava il puzzo di urina. Quindi non era il mal di testa che gli faceva venire da vomitare, pensò con una smorfia.
- Sei un medico? Perché hai il volto coperto? - chiese Stefano mentre la tensione saliva dentro di lui.
- Io faccio domande, tu rispondi – disse quello, buttando il documento d'identità e il portafogli su un tavolo di metallo.
Solo in quel momento Stefano si accorse di avere mani e piedi bloccati da cinghie di cuoio. Iniziò a divincolarsi, ma non servì a niente. A quel punto il panico minacciava di togliergli quel poco di lucidità che gli rimaneva.
- Tu sta fermo. Meglio non ti agiti ora - disse l'uomo, afferrandogli la faccia e rivoltandolo da prima da un lato e poi dall'altro.
Aveva gli occhi marroni e la pelle olivastra. Fu tutto ciò che Stefano riuscì a capire da quel poco che s’intravedeva dal passamontagna. Stando all'accento si trattava di un arabo del luogo.
- Che vuoi da me? - gli chiese, debolmente.
In tutta risposta quello gli mollò uno schiaffo che gli fece vedere le stelle.
- Allora tu sente solo maniere forti. Visto che tu ha fretta di morire, io fa domanda. Dov'è Algul? - domandò battendogli due dita sul collo.
Stefano sentì un dolore sordo, era il punto in cui l'aveva morso Antonia.
- Algul? - chiese Stefano, stordito.
- Algul, sanguisuga, come chiama voi. Tu capisce che dico, tu porta marchio di Algul, ma tu vivo. Prima volta che io vede. Dov'è? - incalzò quello.
- Non lo so. Lasciami andare - rispose Stefano.
A quelle parole l'uomo lo colpì ancora più violentemente al volto. Stefano vide un lampo davanti agli occhi, poi a un tratto più niente. Subito dopo, però, la vista gli tornò quel tanto che bastava a vedere la sagoma sopra di lui.
- Tu eri in trappola per vampiri. Quando il muro è crollato, nostro uomo di guardia visto te. E Algul - affermò l'uomo avvicinandosi con una grossa siringa senza ago.
La ziqqurat, ecco chi aveva messo tutte quelle trappole antivampiro, riflettè Stefano in un lampo di lucidità. Dov'era Antonia? Non fece in tempo a finire il pensiero che sentì un dolore lacerante sul petto e urlò con tutto il fiato che aveva in gola. L'uomo aveva svuotato parte del contenuto della siringa proprio sul suo sterno.
- Acido. Brucia eh - ghignò l'uomo. - Ora tu parla, o io svuota in occhio.
- Ma sei impazzito? No! Non farlo! - gridò Stefano.
- Io può curare te. Ma solo dopo che tu dice verità su Algul - rispose quello, con calma.
- Ma come faccio a saperlo. Io sono stato aggredito, puoi vederlo tu stesso. Pensi che poi mi avrebbe detto dove andava? - cercò di spiegare il ragazzo.
- Algul uccide sempre preda. Se tu vivo tu conosce Algul - insistette l'uomo.
L'uomo sospirò e avvicinò una sedia al letto, appoggiò la siringa accanto al volto di Stefano ed estrasse una foto spiegazzata.
- Vedi? Mio figlio. Algul ucciso che aveva solo cinque anni - mormorò, mostrandola al ragazzo.
- Io... mi dispiace. Ma non so come aiutarti - fece Stefano, resistendo al panico che minacciava di sopraffarlo.
- Forse però tu non mi crede. Giusto? - sibilò l'uomo estraendo una seconda fotografia. - Qui dopo morte.
Stefano non avrebbe voluto vedere quello scempio. Sentì la nausea aggredirgli lo stomaco e trattenne un conato di vomito. In quel momento, per la prima volta si rese conto di quello che facevano i vampiri per sopravvivere. Uccidevano gli esseri umani e, a quanto pareva, il fatto che fossero bambini non faceva alcuna differenza.
- Che c'è? Tu sta male? - domandò l'arabo.
- Io non ho niente a che fare con la morte di tuo figlio. Uccidere anche me non te lo riporterà indietro - mormorò con voce roca Stefano, cercando di sollevare la nuca.
- Tu dire tutto su Algul. Io non vuole uccidere. Io, insieme a mio gruppo, vuole trovare sanguisuga. Noi combattiamo contro razza maledetta di Algul.
- Ma voi non potete torturare le persone! - sbottò Stefano.
- Io deve sapere! - urlò strappandosi il passamontagna dalla faccia e buttandolo a terra.
Stefano lo guardò. Quella che vide davanti a lui fu la faccia disperata di un uomo che aveva sofferto troppo. La carnagione scura del suo volto era solcata da profonde rughe e da una barbetta incolta punteggiata di grigio. Aveva gli occhi gonfi e cerchiati da profonde occhiaie. La bocca era una linea dura su denti ingialliti dal fumo. Non c'era malvagità, solo dolore nel suo sguardo.
- Dove stavi quando tu morso? Tu visto in faccia Algul?
Stefano deglutì e si accorse di avere la gola quasi completamente chiusa. L'unico modo per sperare di sopravvivere era raccontare tutto, ma non aveva idea di dove fosse Antonia in quel momento. Non sapeva cosa fare. Se non l'avesse ucciso l'arabo, rischiava di farlo il proprio cuore da un momento all'altro.
Quell'esitazione gli costò cara perché l'uomo gli fece cadere una goccia di acido sulla guancia. Stefano urlò cercando di divincolarsi. L'acido doveva avergli bucato la pelle Perché sentì che il dolore proseguiva anche sulla lingua.
- Ti prego... - bofonchiò, mentre le lacrime iniziavano a scendergli sulle guance.
- Pensa a mio figlio. Nessuno ascoltato suo pianto. Dimmi, dov'è Algul! - urlò l'uomo.
- Eravamo a Ur, alla ziqqurat! Ur! - cercò di urlare Stefano, fuori di sé. - Io non so altro!
Quello che ne venne fuori, però, fu solo qualche parola sibilata. Aveva la gola in fiamme, si sentiva male, non riusciva a respirare e sentiva di essere sull'orlo dell'incoscienza.
- Peccato. Tu avrebbe potuto salvare almeno occhi... - fece a quel punto l'uomo, bloccandogli il collo con una mano e avvicinando la siringa all'iride.
- Aspetta, asp...
Stefano si sentì soffocare. Boccheggiò e si morse la lingua nel tentativo di prendere aria. Il sangue gli si riversò in bocca e gli colò lungo la guancia. Fu consapevole che quelli erano gli ultimi istanti della sua vita. Era folle di dolore e una sensazione sconosciuta lo travolse. Il senso d’incredulità di chi sa che prima o poi la morte arriverà, ma non lo crede davvero finché questa non si presenta a reclamare il suo pegno.
Le lacrime gli appannarono la vista e lo colse un tremito così forte che parve strapparsi i muscoli dalle ossa. Non voleva morire, non voleva. Si agitò e le cinghie con cui era bloccato gli tagliarono polsi e caviglie e sfregarono contro la carne viva.
Sentì l'uomo urlare qualcosa, ma non riuscì a distinguere le parole. Lo vide avvicinarsi ancora con la siringa in mano e gridò con tutto il fiato che aveva in gola- Si accorse dell'ago che s’infilava nella sua cornea e subito dopo sentì il liquido nell'occhio. Il mondo si spense e urlò per l'ultima volta prima di perdere i sensi.
Si risvegliò al buio, nel silenzio più totale e singhiozzò finché ne ebbe la forza. Il suo petto sussultava, ma nessuna lacrima uscì da quello che rimaneva dei suoi occhi. Era cieco ed era ancora legato mani e piedi. Gli sembrava di impazzire. Passava dal desiderare la morte, alla voglia sfrenata di sopravvivere, in un andirivieni di pensieri ed emozioni. Voleva chiedere perdono di non aver saputo apprezzare la vita che aveva lasciato. Avrebbe voluto chiedere scusa a sua madre per non aver mai dato peso alle sue parole e a suo padre, per non averlo mai davvero considerato. Andava avanti così per lunghi minuti finché il dolore non gli annebbiava di nuovo la mente. Non capì quanto tempo rimase lì, probabilmente perse i sensi e rinvenne più volte. A tratti sentiva dei rumori intorno a lui, qualcuno che andava e veniva. La differenza fra sogno e realtà era svanita e oscurità e immagini si ricorrevano a intermittenza nella sua mente. A tratti rivedeva lo sguardo nero di Antonia e i suoi capelli rossi, ma poi scivolare nuovamente nel nulla. A un tratto gli parve persino di sentire la sua voce.
- Stefano...
Sussultò e il corpo fu scosso da brividi prolungati. Cercò di risponderle, ma non sentì alcun rumore provenire dalla sua bocca. La lingua era incollata al palato e gli sembrava di avere la testa infilata in una pentola di acqua bollente. Stava per ripiombare nell'oblio quando sentì sulla fronte un tocco gelido. Stefano fece appello a quel poco di forze che gli rimaneva e cercò di sollevarsi.
- Antonia? - biascicò con un lieve respiro.
Cercò istintivamente di guardarsi intorno, ma vide solo nero intorno a lui.
- Sì - rispose la voce.
Un nodo si strinse intorno alla sua gola e il cuore accelerò i battiti. Se avesse potuto, avrebbe pianto ancora.
- Uccidimi, ti prego - cercò di dire con voce tremante.
Gli rispose soltanto il silenzio, così profondo che lui temette di essere tornato di nuovo solo. Poi un fruscio rivelò che lei era ancora lì.
- Ti prego, ti prego... - la voce di Stefano era diventata un lamento e le parole erano quasi incomprensibili.
Sperava disperatamente che lei accogliesse la sua preghiera. Nonostante avesse creduto di potercela fare, nonostante avesse combattuto con tutte le sue forze, la verità era che sarebbe stato per sempre debole e impotente. Non avrebbe mai potuto vincere, quelli come lui ce la fanno solo quando sono i protagonisti di romanzi da bancarella dell'usato. Lui non era altro che un piccolo, stupido, inutile essere umano. Ed era arrivato il momento di arrendersi. Desiderava con tutto se stesso che quelle sofferenze finissero, che arrivasse finalmente la pace.
- Bevi - disse lei.
Stefano sentì qualcosa che gli premeva sulle labbra e un liquido freddo che gli colava in gola. Capì che l'aveva ascoltato, che stava facendo qualcosa per lui. La pace sarebbe arrivata, finalmente. Succhiò con avidità. Era dolce e denso. La cosa più buona che avesse mai assaggiato. Di sicuro la malattia non gli avrebbe perdonato tutto quello zucchero, ma era un modo meraviglioso di morire.
- Mi dispiace - la sentì sussurrare.
Avrebbe voluto ringraziarla, dirle che morire era l'unica cosa che desiderava e che per una volta aveva vissuto davvero senza limitarsi a sopravvivere. Ma non riuscì a parlare. Si sentì sollevare e poi fu il vuoto.   
 
   
 
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