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Autore: LaStregona    16/03/2015    1 recensioni
Roma, 2011.
Antonia è una vampira. E’ stata trasformata contro la sua volontà dal vampiro che amava e ora vive nel risentimento e nel senso di colpa. Si odia per il suo disperato attaccamento a quella vita a metà e non vede niente, se non la morte, nel proprio futuro.
Finché un evento fuori dal comune non stravolgerà la sua vita. Da quel momento, per Antonia, inizia un viaggio che la costringerà ad attraversare le tenebre di quella Terra che la respinge e la condanna. Ma non sarà da sola ad affrontare il cammino, incontrerà qualcuno il cui destino si intreccerà con il suo, cambiando il corso degli eventi e della storia.
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stefano aveva gli occhi chiusi, ma era sveglio. Il giorno che si avviava a concludersi era stato piacevolmente tiepido a Mosca. Il letto della stanza d'albergo era confortevole, ma non era riuscito a dormire per più di qualche minuto. Era appena arrivato dopo un volo durato quasi otto ore e ancora non si era del tutto ripreso da quello che era accaduto a Nassiriya. Aveva continuato a iniettarsi l'insulina per scrupolo, ma non era sicuro di averne ancora bisogno.
Il pensiero batteva sul ricordo di quello che era accaduto come la lingua su una gengiva dolorante. I pazzi che l'avevano torturato in Iraq potevano tranquillamente essere parte di una rete internazionale. Era certo che fine lo avrebbero trovato. In preda a questi pensieri per tutto il viaggio aveva continuato a guardarsi intorno senza sosta per la paura di essere seguito.
Si rigirò nel letto. Si sentiva spossato, ma più provava a riposarsi e più non ci riusciva. Avvicinò la bottiglietta d'acqua alle labbra e bevve. Continuava a essere assetato, ma l'acqua non riusciva a placare la sua arsura.
Cercò di distogliere l'attenzione da quei pensieri assillanti e tornò indietro con la mente a poche ore prima, quando era sbarcato dall'aereo a Mosca. All'interno del portafogli aveva trovato un indirizzo e un paio di banconote da cinquecento euro.
Si era diretto al reparto per il ritiro dei bagagli speciali, ma gli avevano risposto che il contenitore gli sarebbe stato consegnato in hotel. La sicurezza imponeva che le casse contenenti salme fossero trattate secondo precise norme di sicurezza, tra cui furgoni refrigerati. Stefano aveva tentato di ottenere più informazioni, ma non c'era stato verso.
Così alla fine aveva chiamato un taxi e aveva mostrato l'indirizzo all'autista. Il viaggio era durato meno di mezz'ora e per fortuna l'uomo alla guida era stato tutt'altro che loquace. L'indirizzo corrispondeva al Kassado Plaza Hotel, un edificio di recente costruzione rispetto al resto del quartiere, non lontano dal centro della città.
Ai due lati dell'entrata erano sistemati due lampioni dorati e una ringhiera dello stesso colore che davano al luogo un'aria un po' kitsch. La hall era ampia e luminosa, forse i marmi grigi e bianchi dell'interno stonavano un po' con lo stile dorato dell'esterno, ma per il resto aveva un aspetto gradevole.
La bionda alla reception gli aveva spiegato in un buon inglese che quel clima mite era normale agli inizi di settembre. I turisti prediligevano quel periodo dell'anno per visitare la città per via delle giornate particolarmente lunghe. La notte scendeva tardissimo e durava solo poche ore.
- Bisogna usare bene la notte, ci sono tante attrazioni qui - gli aveva detto.
A quell'ultima frase aveva aggiunto un lungo sorriso ammiccante che aveva messo Stefano in imbarazzo. Di solito le ragazze non lo notavano nemmeno, soprattutto se erano avvenenti come quella. Ci aveva messo qualche minuto a svincolarsi dalla conversazione, ma alla fine era riuscito a salire da solo in camera. Da lì in poi aveva trascorso il tempo cercando di addormentarsi.
Stefano sospirò e si alzò dal letto. Si diresse verso la finestra, la aprì e appoggiò le mani sul davanzale. Non c'era un filo di vento e l'aria era ferma e umida. Il chiarore del sole calante stava per lasciare il posto alla notte. Davanti a lui la città si stagliava contro un cielo cosparso di nuvole bluastre. Probabilmente di lì a poco avrebbe piovuto.
Respirò profondamente. Più volte durante quella mattinata, era rimasto impressionato dalla propria capacità di registrare il più piccolo dettaglio dell'ambiente intorno a sé. Era come vedere il mondo in alta definizione. Abbozzò un sorriso di fronte a quel pensiero poi staccò le mani dal davanzale.
Aveva appena deciso di farsi una doccia quando ebbe una sensazione che gli era familiare. Il cuore gli salì in gola, raddoppiando i battiti. Girò la testa di lato e la vide. A pochi centimetri da lui c'era il volto di Antonia, pallido e perfetto. Le perle nere dei suoi occhi balenarono di un riflesso simile a quello dei gatti. Le labbra violacee spiccavano sul volto affusolato, mentre la pelle liscia sugli zigomi alti era messa in evidenza dai capelli ramati che le scendevano lisci ai lati del volto.
- Spokoynoy nochi, buonanotte - tradusse subito lei, accennando un sorriso.
- Ti aspettavo – le disse, rimanendo immobile.
- Sembra che tu ti sia ripreso - commentò lei esaminandolo con lo sguardo.
Quella vicinanza lo faceva sentire inerme. Ma, per qualche motivo, gli piaceva.
- Si, immagino di dover ringraziare te per avermi salvato - azzardò Stefano.
- No, non dovresti - lo interruppe lei, allontanandosi e mettendosi a sedere su una poltrona foderata con una stoffa a fiori rossi.
    Indossava un paio di jeans neri e una camicia di raso viola. Stefano notò che teneva in mano la tavoletta di argilla che avevano recuperato a Ur.
- Cosa mi è successo esattamente? - le domandò, sedendosi sul letto.
- Cacciatori di vampiri. Dopo che siamo usciti dalla ziqqurat di Ur, il massimo che ho potuto fare è stato lasciarti di fronte all'ospedale. Evidentemente hanno avuto qualche soffiata dai medici - rispose lei. - Comunque, per il momento non te ne devi più preoccupare.
- Per fortuna non hanno trovato anche te - fece lui senza saper bene cosa dire.
    Antonia lo guardò in silenzio. Stefano deglutì. Ebbe l'impressione che lei non volesse proseguire oltre su quel discorso, ma voleva fare comunque un tentativo.
- L'uomo che mi ha torturato, mi ha fatto vedere una foto di suo figlio. Ucciso da un vampiro - affermò, con cautela.
- I vampiri spesso uccidono per sopravvivere. Capita - commentò lei, senza particolari inflessioni nella voce.
Stefano s’inumidì le labbra.
- Era solo un bambino.
- Non mi sono mai nutrita di un bambino - tagliò corto lei. - È contro le regole.
Stefano rabbrividì e si passò le mani fra i capelli, facendosele scivolare sulla faccia. Aveva troppe domande da fare e poche parole a disposizione.
- Alla fine ucciderai anche me? - chiese infine.
Antonia lo osservò per qualche secondo prima di rispondere.
- Se avessi voluto ucciderti l'avrei già fatto - affermò poi, dando l'impressione di aver riflettuto a lungo su cosa dire.
Stefano scosse il capo. Gli sembrava che lei si stesse in qualche modo sforzando di comunicare con lui. Ma era come se si trovassero su due lunghezze d'onda diverse.
- No. Non è quello. A parte il fatto che sì, potresti farmi fuori in qualsiasi momento - sospirò, allargando le braccia. - Immagino che il problema sia che non so cosa aspettarmi, in realtà.
Antonia piegò la testa da un lato, aggrottando leggermente la fronte.
- Se non ricordo male sei stato tu a metterti a mia disposizione. In caso contrario te ne puoi andare anche subito - ribatté lei, con un filo d’irritazione nella voce.
Stefano socchiuse le labbra senza trovare le parole da dire. Non si aspettava di avere la possibilità di andarsene. Nemmeno la voleva, in realtà. In qualche modo sarebbe stato molto più facile se lei l'avesse costretto a rimanere piuttosto che lasciargli la responsabilità della scelta. Sospirò, dandosi mentalmente dello stupido. Aveva fatto tanto per liberarsi delle scelte imposte e ora non sapeva cosa farsene della libertà.
- Hai ragione. Ma cosa posso fare io per te che già non potresti fare da sola? - le chiese.
- Per prima cosa, conosco il russo, ma non il sumero antico - dichiarò, porgendogli la tavoletta di argilla.
Stefano si alzò e la prese con timore reverenziale. Se era autentica si trattava di un reperto di almeno cinquemila anni fa. Che avevano appena rubato da un'antica ziqqurat coperta da segreto militare, pensò con un po' di tensione.
- Si tratta di scrittura cuneiforme. Sono pochi al mondo quelli in grado di tradurla direttamente. Peccato che Sitchin sia morto un paio di anni fa, sarebbe stato felice di avere fra le mani questo documento - commentò il ragazzo.
Antonia annuì.
- È per questo che siamo qui. Domani hai un appuntamento col professor Whie dell'Università di Lomonosov. Un tempo era uno degli studiosi più famosi di assiriologia.
- Whie? L'ho sentito nominare. Fammi pensare... se non sbaglio non è russo - commentò Stefano.
- Non lo è, infatti. È canadese. L'ho contattato personalmente poco fa, sarà lieto di incontrarti e di tradurre questa tavoletta - spiegò lei accavallando le gambe.
Stefano esitò un momento, ma decise di farle comunque la domanda. Non capiva del tutto le motivazioni della vampira. Le era grato per quello che aveva fatto per lui, ma ancora non sapeva per quale motivo.
- Perché non puoi andarci tu? Nel senso, non hai bisogno di me per questo - sbottò, alla fine.
- La tavoletta non è al sicuro con me. Se qualcuno mi uccidesse se ne potrebbe impossessare. Di giorno il rischio è inferiore - replicò lei.
Stefano aggrottò la fronte. Non riusciva a immaginare qualcuno in grado di ucciderla ma, in effetti, potevano esistere vampiri più potenti di lei. Il suo discorso non faceva una piega.
- Ti fidi di lui? Di Whie intendo - le chiese.
- Pochi conoscono l'esistenza dei vampiri. Fra questi la maggior parte desidera la nostra distruzione, ma alcuni sono nostri alleati. Whie è uno di questi ultimi.
- Chi sono quelli che vogliono distruggervi? Il governo? I servizi segreti? - continuò a chiedere Stefano.
La curiosità era talmente tanta che avrebbe potuto continuare a farle domande all'infinito. Sperava solo di non farla irritare troppo.
- I nostri nemici, esattamente come i nostri alleati, variano nel corso degli anni. Al momento io stessa non sono certa di chi siano - rispose lei con un gesto nervoso della mano.
- Ma quelli che mi hanno preso in Iraq, chi erano? Una task force del governo?
- No. Si tratta di gruppi indipendenti che sono venuti a conoscenza dell'esistenza dei vampiri e hanno deciso che il loro scopo nella vita è distruggerci - spiegò lei. - Negli ultimi anni sono aumentati di numero e attraverso il web si stanno organizzando sempre meglio.
Stefano sollevò le sopracciglia.
- Dev'essere un bel problema per voi - commentò.
- In gran parte è colpa nostra - commentò seccamente Antonia. - Ogni volta che un vampiro viola le regole mette a repentaglio la convivenza fra noi e il genere umano. Ammesso che una reale convivenza sia possibile.
Stefano la osservò, riflettendo per qualche momento su quelle parole. La possibilità che l'esistenza dei vampiri potesse diventare di dominio pubblico era un'eventualità reale, specialmente in quel momento storico. Tutti avevano a disposizione smartphone e infiniti mezzi per comunicare. Con la tecnologia a disposizione anche l'esistenza di questi gruppi votati all'uccisione del vampiri poteva rafforzarsi e aumentare fino a metterli in seria difficoltà.
- Non posso nemmeno immaginare cosa accadrebbe se il mondo - intendo le persone come me - venisse a conoscenza della vostra esistenza e... beh... di quello che fate per nutrirvi - rifletté a voce alta.
Antonia strinse gli occhi neri e Stefano ebbe l'impressione che lei non avesse gradito la sua ultima affermazione.
- Eppure mi sembra che tu sia ancora qui - osservò, con tono gelido.
Stefano si passò una mano dietro la nuca. La vampira aveva ragione, avrebbe potuto fuggire e denunciare tutto quanto. Forse riguardo all'esistenza dei vampiri l'avrebbero preso per pazzo, ma rimaneva il fatto che avevano sottratto illegalmente un reperto archeologico di enorme valore. Il fatto era che, nonostante tutto la presenza di Antonia era diventata qualcosa a cui sentiva di non poter rinunciare. Non ne capiva bene il motivo, probabilmente derivava dal fatto che lei lo faceva sentire normale.
Si alzò e si avvicinò al frigobar, ne estrasse una bottiglia d'acqua e la scolò. La sete era insopportabile e andava sempre peggio.
- Credi che siano stati questi gruppi indipendenti a piazzare quelle trappole nella ziqqurat di Ur? È quello che mi ha detto quell'uomo - ipotizzò, evitando di dar seguito alla sua provocazione.
- È possibile - fece lei, senza mostrare molto interesse per l'argomento.
- Ora devo andare - aggiunse poi, alzandosi in piedi.
Stefano sospirò e annuì. Aveva bisogno di un vero drink. Aprì di nuovo il frigobar e scelse una bottiglietta di vodka. La stappò e se ne scolò il contenuto. Era ottima, di quelle che scendono e ti trovi ubriaco senza accorgertene. Buttò la boccetta vuota nel cestino e appoggiò le mani sul mobile davanti a lui, dando le spalle alla vampira.
- Antonia, com'è possibile che io sia guarito così velocemente? E perché non ho più bisogno degli occhiali? - le chiese, continuando a darle le spalle.
- Hai bevuto il mio sangue – rispose lei, senza mezzi termini.
Stefano si voltò di scatto.
- Il tuo... sangue? - ripeté, mentre la sua mente si svuotava di colpo.
- Immagino di aver violato l'ennesima regola - ammise Antonia, scrollando le spalle. - Ma non credo che abbia molta importanza ormai.
- Sangue di vampiro... - mormorò Stefano, mettendosi a sedere sulla poltrona.
Cercò di riportare la mente a quei momenti, si ricordava di un liquido dolce, ma credeva che fosse parte delle allucinazioni. Si passò la lingua sulle labbra. Avrebbe dovuto provare la peggiore delle repulsioni, invece non riusciva a pensare che a quel nettare che gli scendeva nella gola.
- Mi dispiace, era l'unico modo - fece lei, avvicinandosi alla finestra. - Ora ne vorrai ancora, ma io non te ne darò. Ogni cosa ti spingerà verso il mio sangue ma sarà solo frutto della tua dipendenza.
Quelle parole lo distolsero dai suoi pensieri. Quindi era per quel motivo che era così attratto da lei? Le si avvicinò e seguì la linea dello sguardo di Antonia, fisso davanti a lei nell'oscurità luminosa della notte cittadina.
- Tutto bene? - le chiese.
Lei rimase in silenzio qualche secondo prima di rispondere.
- No.
Avrebbe voluto toccarla, ma non ne ebbe il coraggio. Antonia era lontana anni luce da lui. Molti dei ragazzi che aveva conosciuto via internet avrebbero dato qualsiasi cosa per essere un vampiro, avere capacità fuori dalla norma, vivere per sempre e cose del genere. Anche lui, più di una volta, si era sorpreso a desiderarlo. Se ne sarebbe andato in giro per il mondo, libero e corteggiato da meravigliose ragazze umane affascinate dalle sue doti di essere superiore. Ora però non gli sembrava poi così desiderabile.  Era costretta a vivere al buio e a nutrirsi di vite umane per sopravvivere, come se non ne avesse una sua propria. Non poté fare a meno di provare pena per lei.
- Puoi dirmelo, se vuoi - mormorò Stefano.
- Ma poi sarò costretta a ucciderti - ribatté lei piegando un angolo della bocca in un mezzo sorriso.
Stefano sorrise.
- Sempre meglio che morire di curiosità.
Antonia si voltò verso di lui e Stefano sentì la propria gola restringersi. Lo guardava come una leonessa di fronte alla sua preda. Era come se stesse concedendosi qualche secondo per decidere se prendersela o meno. Si avvicinò e gli sfiorò il collo con le labbra. Stefano avvertì un brivido, ma rimase immobile. Per un attimo desiderò che lei cedesse al proprio impulso e chiuse gli occhi. Ma lei si allontanò di scatto.
- Devo andare - disse con voce roca, facendo un paio di passi verso la porta.
Stefano intravide i due lunghi canini dietro le sue labbra viola e fu tentato di offrirle il proprio sangue. Batté le palpebre e si sforzò di rimanere in sé. Possibile che fosse davvero così? Faticava a mantenere il controllo sulla propria mente.
- Va bene - rispose lui, senza quasi accorgersi di aver trattenuto il respiro fino a quel momento.
- A domani – lo salutò la vampira, aprendo la porta della stanza e richiudendola alle proprie spalle.
Stefano rimase a fissare la maniglia per qualche secondo dopo che lei se ne fu andata. Dentro di lui si agitavano emozioni contrastanti. Com'era possibile arrivare al punto di desiderare il morso di un vampiro?
Antonia era bella, incredibilmente più attraente di qualsiasi essere umano. Questo rientrava nella sua natura di predatrice. Dopotutto anche le piante carnivore attiravano gli insetti con i loro colori sgargianti. Il punto era che gli insetti non sapevano di andare incontro alla morte. Lui sì.
Stefano si avvicinò al frigobar e si scolò un'altra piccola bottiglietta di vodka. In altri tempi sarebbe bastata metà di quella quantità a metterlo k.o., ma ora era come acqua fresca. Subito dopo si sdraiò e trascorse gran parte del tempo a cercare di addormentarsi.
Il giorno seguente Stefano lo visse solo di sfuggita. Aveva chiuso gli occhi solo all'alba e non aveva riposato che poche ore. Sentiva che una parte di lui non era in grado di staccarsi da Antonia. Non poteva essere solo per il sangue. Aveva visto qualcosa in lei che andava oltre la creatura oscura che era e ne era affascinato. Per gran parte del giorno il pensiero gli occupò la mente. Solo quando raggiunse l'università Lomonosov di Mosca, riuscì a distogliersene per un po'.
Era una struttura imponente la cui torre più alta si ergeva davanti a un laghetto artificiale. Si alzava per circa duecentocinquanta metri ed era uno degli edifici più alti d'Europa. Mentre si avvicinava all'entrata, Stefano ebbe modo di incrociare diverse statue, fra cui appunto quella di Lomonosov, il fondatore dell'Università. Era rappresentato in piedi, sul suo piedistallo, che teneva in mano una penna d'oca e qualche figlio.
Antistante all'entrata, invece, notò quella di uno studente seduto dallo sguardo severo puntato dritto davanti a sé, con un grande libro appoggiato ritto sulle ginocchia, a mo' di scudo. Dalle indicazioni che vide all'ingresso, scoprì che l'edificio conteneva oltre 5.000 stanze, affacciate su circa 33 km di corridoi. Ospitava, tra l'altro, un teatro, una sala per concerti, un museo, molti servizi dell'amministrazione, una biblioteca, una piscina, una stazione di polizia, un ufficio postale, una lavanderia e persino una banca. Ogni cosa aveva un aspetto molto celebrativo, ma tutta quell'imponenza a Stefano sembrò celare solo un complesso d’inferiorità nei confronti dei “nemici capitalisti”.
Salì le poche scale, superò il colonnato che lo separava dall'atrio e si guardò intorno. Era una grande sala piuttosto impersonale costellata da cartelli che indicavano i vari dipartimenti. L'illuminazione proveniva da luci tendenti al giallo che stonavano un po' con l'ostentata modernità dell'esterno.
A quell'ora le lezioni erano iniziate e non erano molti gli studenti fuori dalle aule. La maggior parte di loro studiava oppure parlottava a voce bassa. Seguì le indicazioni per il reparto di Archeologia e prese l'ascensore fino al quindicesimo piano. Attraversò velocemente il corridoio percorrendo con lo sguardo i nomi sulle targhette appese fuori dalla porta e si fermò quando lesse il nome Whie.
La porta era aperta e al suo interno c'era un ometto di mezza età, pelato, chino sulla scrivania, in una posa un po' ambigua. Appoggiava il petto sul tavolo e teneva le gambe ad angolo retto rispetto al resto del corpo. Nel frattempo squadrava un foglio con una lente d’ingrandimento. Visto così di lato non era esattamente una visione piacevole.
- Professor Whie? – domandò Stefano, battendo con le nocche sullo stipite della porta.
Attese un paio di secondi e bussò una seconda volta, stavolta più forte.
- Professor Whie? - ripeté.
A quel punto l'uomo sussultò, lasciando cadere la lente sulla scrivania.
- Da da! Posle - borbottò infastidito, senza guardarlo.
Riprese la lente e continuò la sua osservazione.
- Non parlo russo, mi dispiace - disse Stefano, in inglese.
A quel punto il professore si voltò a guardarlo. Stefano notò che aveva la pelle olivastra e i tratti vagamente orientali.
- Ah sì, sì, tu devi essere quello... Stefano giusto? – chiese in inglese, avvicinandosi e porgendogli la mano con un sorriso caloroso.
La strinse e la usò per tirarlo dentro la stanza. Prima di chiudere la porta lanciò un'occhiata da un a parte all'altra del corridoio.
- Mi dispiace averla disturbata - si scusò Stefano cortesemente.
- Oh no, no... Ma odio quando devo studiare i reperti da uno stupido foglio fotocopiato. È impossibile! - esclamò, allargando le braccia.
Era basso, un po' sovrappeso e aveva uno sguardo simpatico. Stefano fece scivolare lo zaino dalla spalla e lo appoggiò sulla scrivania.
- Immagino che sappia di cosa si tratta - fece Stefano, facendo scorrere la lampo ed estraendo dallo zaino una specie di fagotto.
L'unica cosa che aveva trovato per proteggere la tavoletta erano stati gli asciugamani dell'albergo. Così dovette scioglierli per estrarne il contenuto.
- Sì, sì, un lavoro di traduzione. Giusto? E su un originale, giusto? - chiese lui, strofinandosi le mani.
- Sì - affermò Stefano, estraendo dalla stoffa il Sarim-Dub e consegnandolo al professore.
Stefano si passò la lingua sulle labbra aride, guardandosi istintivamente intorno per cercare qualcosa da bere.Fortunatamente il professor Whie non sembrò notare il suo disagio, tutto preso com'era dalla tavoletta sumera. lo informò subito che, per tradurla, ci sarebbe voluta almeno una settimana ma visto il tipo di richiesta, avrebbe annullato tutti i suoi impegni per lavorarci. Sperava quindi di risolvere la cosa in tre giorni.
Chiuse la tavoletta in una cassaforte blindata nel muro, inserì una combinazione numerica su un tastierino e roteò una serie di manopole. Gli spiegò che era a prova di bomba e di ladro. Pensando a come Antonia aveva spostato il masso nella ziqqurat, Stefano non ne fu tanto sicuro, ma non avendo una soluzione migliore, non protestò.
Whie trovò il tempo di raccontagli che aveva saputo dell'esistenza dei vampiri proprio durante i suoi studi sulle civiltà antiche, ma appena aveva tentato di divulgare le sue scoperte, era stato allontanato dalla comunità scientifica. Aveva accettato quel posto all'università di Mosca solo perché gli permetteva di vivere tranquillo e portare avanti i suoi studi.
Parlava a raffica in un inglese un po' contorto e Stefano ebbe l'impressione di capire solo metà delle cose che diceva. Era da un po' che i vampiri non lo contattavano per qualche lavoro di traduzione e, quando Antonia lo aveva chiamato, ne era stato entusiasta.
Dopo circa mezz'ora di chiacchiere il professor Whie lo salutò con trasporto, ammiccando come se entrambi facessero parte della stessa setta segreta.
Stefano uscì dall'edificio universitario e si guardò intorno. Non aveva voglia di tornare in albergo, così decise di fare un giro della città. Sperava che vedere luoghi nuovi potesse distoglierlo dai pensieri ricorrenti su Antonia e su quello che gli stava accadendo. Stava perdendo il controllo sul proprio corpo e sulla propria mente, aveva bisogno di recuperarlo.
Una volta fuori dall'università Stefano prese la metropolitana e scese all'Izmajlovskij Park. Si trattava del parco pubblico più grande di Mosca e in quel periodo dell'anno la vegetazione al suo interno era davvero lussureggiante. Non c'erano molte persone e non faticò a trovare un luogo isolato in cui distendersi. L'erba era umida e profumata e il sole tiepido lo accarezzava dolcemente. Sentì il corpo che si rilassava per la prima volta da giorni e, quasi senza accorgersene, cadde in un sonno profondo.
 
   
 
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