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Autore: 0gattomiao    17/03/2015    0 recensioni
Il viaggio di un re verso il congresso indotto dal Magnifico Regis, re dei re, accompagnato da un duca apparso dal nulla un anno prima per lo scontento di molti nobili.
(Questa storia è stata scritta per il contest Fantasy tatoo creato da Yuko chan.)
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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2.

 

I vagoni e le tende rifugiavano i viaggiatori dai venti gelidi notturni che falciavano i picchi. Avrebbero raggiunto le valli sottostanti, più calde, solo una settimana più tardi. Da dentro il suo vagone osservava l'oscurità ricordando un viaggio simile. Era passato un anno, un intero anno. Con sua sorpresa non era ancora impazzito. L'interno del suo vagone, trasportato di giorno da ben trenta uomini, era ripieno di tutte le comodità possibili in uno sforzo da parte del bastardo di rendergli meno gravoso il viaggio. C'era persino uno specchio, inchiodato alle assi levigate. Prese una manciata di capelli, liberi dalla solita treccia, fluenti tra le sue dita pallide ed eleganti, scorrevano sulla schiena scoperta fino a quasi toccare i piedi nudi, solleticandogli le caviglie. Il bastardo non gli permetteva tagliarli, affermando di amare alla follia quella cascata nera. In quello è fin troppo simile a Glide, pensò amaro. Tornò a guardare lo specchio. Erano davvero troppo lunghi, per lui, segno tangibile di tutti i giorni trascorsi. Si voltò nuovamente verso la piccola finestra appannata, cogliendo con la coda dell'occhio un accenno di colore sulla pallida schiena. Mancavano pochi giorni prima tutto si ripetesse nuovamente, come la prima volta. Si irrigidì, afferrò la cosa più vicina – una teiera finemente lavorata – e la scagliò contro il riflesso, frantumando lo specchio. Urla allarmate, la porta nel retro del vagone si spalancò, irruppero le sue guardie personali. Rubi squadrò l'ambiente ristretto, la spada in mano.

"Tutto bene, duca?" chiese incerto, scorgendo i frammenti dello specchio.

"Fuori di qui!" furioso si strinse nella pelliccia più vicina, coprendo il busto nudo. Tra le sue guardie era ben conosciuta la sua preferenza a denudarsi nei suoi alloggi privati e l'intolleranza verso abiti troppo pesanti o costrittivi. Confusi distolsero imbarazzati lo sguardo dalla pelle candida. Il solo accenno di interesse per il corpo nudo del duca era una sentenza di morte senza possibilità di appello. Il re sembrava considerarlo più sacro del tempio di Miràa. A disagio i soldati, guidati da Rubi, si inchinarono e chiusero la porta. Lui sentì Rubi ordinare a qualcuno di chiamare il re.

Ovvio, pensò, sono al di sopra di tutti, ma solo per concessione del bastardo, per un suo capriccio.

La porta si spalancò di nuovo, il bastardo gli invase lo spazio a grandi passi. Steso sul letto, il giovane si ritrasse ancora di più nelle pellicce. L'uomo alzò un sopracciglio alla vista dei frammenti scheggiati e della teiera in mezzo a loro. Si tolse il pesante mantello, lasciandolo scivolare a terra – tanto avrebbe passato lì la notte, lo sapevano entrambi. "Qualcosa non va?"

"Non voglio vedere più nessuno specchio" ringhiò.

"Perché mai? Sei bellissimo, è irresistibile ammirarti." Si sedette sul bordo del letto.

Una risata amara scosse il giovane, simile a un singhiozzo, cessò bruscamente e lo guardò, odio misto di disperazione: "Lo sai! Sai il perché! Non fingere ignoranza, bastardo!"

"Andrà tutto bene, durerà solo un'ora. Neanche il tempo di accorgertene e sarà finita."

Gli rise in faccia, un suono stridulo e spezzato. "Non sarà finita! Lo farai ancora e ancora, ogni tre lune! Lasciami andare! LASCIAMI ANDARE!" pianse, scostandosi frenetico, cercando di colpire l'uomo che si chinava su di lui. Gli catturò i polsi, schivando un pugno e permettendo che l'altro lo colpisse al petto. Lento e inesorabile calando su di lui, portandogli i polsi sopra la testa, premendoli contro il materasso e portandosi sopra il corpo sottile coperto dalle pellicce scure. Le scostò, premendo i pantaloni freddi dal gelo esterno al vagone contro l'interno delle gambe, allargandogliele. Impietoso soffocò i singhiozzi con lunghi, lenti baci. Strato dopo strato rimase nudo su di lui, senza mai lasciarlo, dominandolo completamente tra un gesto e l'altro.

Fu una lunga notte.

Al mattino uscì, lasciandolo addormentato, un fagotto stremato.

Le guardie che proteggevano il duca tutti giorni e le notti si erano distanziate di qualche metro dalle sottili pareti del vagone, che lasciavano poco all'immaginazione. I primi raggi si riflettevano dorati sui picchi. La neve raggiungeva ancora i polpacci, il viaggio era appena cominciato e il gelido morso bianco non li avrebbe abbandonati fino a valle. Molto prima di allora, in un paio di giorni, si sarebbe ripetuto il rituale, il bellissimo volto stravolto dall'agonia. Non lo avrebbe potuto baciare, non quando tutto richiedeva una precisione estrema senza margine d'errore. Con un cenno ai soldati si allontanò nel campo che si stava svegliando.

***

Le guardie a volte non comprendevano se il re amasse o odiasse troppo il duca, tra i gemiti soffusi di alcune notti e le urla straziate che attraversavano le pareti ogni tanto, come in quel momento.

Il distintivo vagone dorato era rimasto indietro alla comitiva già accampata nella spaziosa radura più avanti. Circondato dal terzo battaglione stava al centro esatto, un centinaio di metri dal soldato più vicino esclusa la decina di uomini, guardie scelte, intorno al vagone stesso. Solo un paio di fedelissimi, presenti anche la prima volta l'anno prima, quella notte, erano all'interno.

Jook tratteneva le gambe, inginocchiato su esse, Rubi tratteneva il braccio destro tra le ginocchia e premeva tutto il suo peso sulla spalla. Il re, dalla parte opposta della schiena, faceva lo stesso. E tra di loro mani di un grigio verdastro maneggiavano un lungo ago argenteo. Erano innaturalmente lisce, come pietra levigata, innaturali e prive di calore umano. Un polso era stretto da un bracciale di perle azzurre, con un'unica perla rossa allacciata a un filo di altre perle blu al cui capo un'altra perla rossa collegava alla collana che stringeva il collo del duca. La pallida schiena era scoperta fin sotto le anche, la lucente tunica verde e dorata scostata assieme ai lunghi capelli, lasciando completamente libero il dorso. L'ago, meno lungo di un braccio, toccò di nuovo con la punta acuminata il disegno sbiadito, semi trasparente, che sotto i loro occhi stava svanendo. La schiena si inarcò, un nuovo urlo tormentato si innalzò dal collo scattato verso l'alto, gli occhi dello stesso azzurro delle perle sgranati, rivoli di lacrime sbalzate dal brusco movimento. Linee di colore si diffusero nella pelle, le urla più strozzate man mano che tutta la superficie del disegno era riempita.

Le nocche del re erano sbiancate nello sforzo ti trattenerlo immobile, nelle pause ansimanti poteva sentire il mormorio turbato dei soldati all'esterno. Se gli avesse premuto in bocca delle garze le urla si sarebbero attutite, limitando le strane voci che già giravano a palazzo. Di sicuro alcune spie si erano infiltrate tra i servitori e sapevano delle strane "crisi" che avvenivano ogni tre lune. Ma poteva davvero negargli quell'unico sfogo?

"Ti prego, basta" supplicò rauco "Ridammela, ti prego, non scapperò, lo giuro, non lo farò. Per favore, ridammela, basta, lo giuro, giuro, non scapperò, ti pregAAAAAAA!" l'ago riprese a tracciare i colori nella pelle. Lo pregò, supplicò, minacciò, finché l'ultima goccia fu incisa: il bracciale esplose spargendo la miriade di perle che lentamente presero a svanire, e non gli rimasero che frasi sconnesse sussurrate tra lacrime secche.

"Fuori." sussurrò il re. Rubi e Jook se ne andarono, dando l'ordine ai soldati di richiamare gli uomini e sollevare il vagone, riprendendo la marcia.

Sollevò la figura accasciata dal giaciglio scomposto di coperte e la pose delicatamente sul letto, facendo attenzione a lasciare scoperta la pelle sensibile. Gli raccolse i capelli, intrecciandoli nella solita treccia semplice, una copia di quelle più piccole intrecciate dalla sua chioma, annodare in un fascio sulla nuca per enfatizzare i movimenti a cascata scarlatta. La punta si allungava comunque sotto le natiche, tagliando il tatuaggio a metà. Lieve percorse l'immagine con un polpastrello. L'alato occupava l'intera schiena, il profilo del capo iniziava sulla spalla sinistra e la coda curvava sul fianco destro. Chiamarlo uccello sviliva l'idea del suo vero essere, perché nessun uccello del genere aveva mai solcato i cieli terrestri. E per quanto vivida e magnifica fosse l'immagine, sapeva che era solo una pallida ombra dell'essere che rappresentava. Il capo, il collo allungato e il petto erano del blu cangiante dei mari e degli oceani dell'oltremondo; l'ala era l'intreccio di sfumature azzurrine, celesti, grige e un bianco perlaceo, e dove iniziavano le penne remiganti – necessarie per il volo- queste diventavano protagoniste scendendo come lingue di fuoco capovolte e brillando di tutti i colori mai assunti da una fiamma; la coda -assieme all'ala- dominava l'insieme: come un manto partiva dal dorso e si diramava in combinazioni colorate che cambiavano col movimento e i raggi del sole, una foresta vivente sulla pelle. Le dita passarono sul blu. Acqua. Si soffermarono sul grigio perla. Aria. Continuarono sui colori sanguigni, arancioni e bluastri. Fuoco. Terminarono sul verde. Terra. Tracciandone i contorni finì sul fianco del giovane incosciente, tentennò un attimo e poi fece scivolare la mano di sotto. Gli avvolse il sesso, accarezzandolo, convincendolo a prendere vita. Lo massaggiò fino a sentire un basso gemito, seguito da un sospiro. Un occhio si era aperto e lo guardava con odio e disperazione. Si avvicinò, succhiando il lobo dell'orecchio vicino. La palpebra si abbassò. "Di' il mio nome" sussurrò. Il ragazzo nascose il volto tra le pellicce, soffocando i sospiri. Strinse con più forza le parti delicate. Guadagnò un gemito. "Il mio nome." "Dalach" mugugnò sensuale. Una breve esclamazione sospirata e si accasciò, addormentato. Ritrasse la mano, il frutto del proprio lavoro colava dalle dita. Si portò alla bocca l'umidità che gli sporcava la mano, assaggiandola. Un pensiero, l'immagine di un fantastico essere sfrecciante libero nel cielo, gli apparve davanti agli occhi. "Mio." Masticò quella parola con rabbia, prima di dirigersi deciso verso il suo cavallo felpato e precedere l'arrivo del terzo battaglione al campo.

***

Durante il resto del viaggio il ragazzo non esalò una parola.

 

  
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