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Autore: RubyChubb    15/12/2008    7 recensioni
Aspettava da un’ora, seduta sulla sua valigia grigia e rigida, tutta graffiata. Intorno a lei migliaia di viaggiatori di ogni nazionalità, persone che esibivano cartelli con strani nomi neri di pennarello e famiglie che si ricongiungevano, tra baci ed abbracci.
Ma ancora nessuno per Joanna…
Seguito di "Four Guys in her Hair" - RubyChubb & McFly
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Four Guys in Her Hair & And That's How I Realize...'
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10. Fingers On My Face
 
 
Dougie apparve al di là della soglia, mani in tasca, era stato lui a suonare il campanello e ad interromperle.
“Bello qua intorno, non è vero?”, gli fece Joanna, ridendo.
“Oh… Sì, abbastanza carino.”, rispose lui.
C’era qualcosa che non andava. Glielo vedeva in faccia, sembrava nervoso.
“Dougs, che cos’hai?”, gli domandò, invece di spostarsi per farlo entrare.
Lui si morse le labbra.
 “Jo.”
Si sentì pietrificare.
Con gli occhi, andò oltre alla figura del suo amico. Al di là di Dougie, c’era Miki.
E sua madre.
Se ne stavano insieme, qualche passo indietro, ed attendevano di poter entrare.
Di poter parlare con lei? Non aveva niente di particolare da riferire.
“Jo, per favore.”, disse  Miki, “Non siamo venuti per litigare, ma solo per vedere se stavi bene.”
“Io sto bene.”, disse, con calma e pace.
“Chi è questo ragazzo?”, domandò allora sua madre, “Non era venuto con te anche al funerale?”
“E’ un amico.”, fece, brevemente.
“Un inglese che abita da queste parti?”
“Vedila come ti pare.”
“Jo.”, disse Miki, “Non risponderle così.”
“Volevate sapere come stavo, ve l’ho detto. Adesso volete andarvene?”, disse, colma di nuovo di rabbia e di rancore.
“Jonny…”, si intromise Dougie, con un filo di voce, “Da’ loro una possibilità…”
Lo fulminò con lo sguardo, ma lui non si lasciò impaurire. Anzi, senza dirle altro, la stava comunque pregando di seguire il suo consiglio.
“Venite.”, disse, lasciando loro il passo.
 
 
Si scusò velocemente e li lasciò alle loro parole. Andò nella sua stanza e vi trovò Danny ancora dormiente, davanti ad una tv accesa ed a volume basso. Era pomeriggio inoltrato, l’orologio segnava quasi le sei, doveva mettersi a preparare le sue cose, aveva un aereo da prendere. Mentre aveva fatto quella passeggiata calmante aveva chiamato Fletch, il loro manager, e chiesto a lui tutti i dettagli del suo biglietto aereo. Non gli rimaneva altro che andare in aeroporto, mostrare la sua carta di credito, il suo documento e ritirarlo.
Cercò di fare meno rumore possibile e, conoscendo il sonno di Danny, non lo avrebbe disturbato nemmeno con un’intera orchestra musicale di sessanta componenti. Tranquillo, lo zaino che aveva frettolosamente preparato per quei giorni fu di nuovo pronto per essere messo in spalla. Ma la sua mente era distratta.
Distratta da quello che stava avvenendo al piano inferiore.
Lasciò la camera e si sedette sull’ultimo scalino, con l’orecchio teso. Non si sentiva molto, ma con il giusto silenzio poteva almeno percepire quali toni stessero usando. Le voci erano sommesse, sembravano calme.
Qualche attimo dopo, vide Arianna spuntare dalla cucina, con una bottiglietta di coca in mano.
“Ne vuoi un po’?”, gli domandò lei, facendo uno strano cenno della testa.
“Beh…. Perché no?”, le fece, sorridendole, “Ho abbastanza sete.”
“Era un modo velato per chiederti se volessi un po’ di quello che sta avvenendo là dentro.”, si spiegò lei, “La coca è per me.”
“Se fosse possibile”, le rispose, “gradirei sia un po’ di coca, che un po’ di traduzioni istantanee.”
 
 
Arianna non aveva mai visto sua madre e gliela presentò, prima di farla sedere e di chiedere a lei ed a Miki se avessero voluto qualcosa da bere. Portò loro un po’ d’acqua, almeno lei ne avrebbe avuto bisogno, e tornò in salotto.
“Arianna, potresti lasciarci soli?”, le domandò poi lui.
“Oh sì, certo, scusatemi.”, Arianna si affrettò ad alzarsi.
Avrebbe voluto farla rimanere, farla assistere a quella patetica scena, metterle davanti la sua famiglia per farle vedere con quali persone condivideva il sangue, ma aveva capito che Arianna non avrebbe voluto partecipare allo spettacolo, e la lasciò andare.
“Joanna...”, le fece sua madre, dopo aver bevuto, “Non voglio perdermi in tanti discorsi inutili.”
“Nemmeno io.”
“Ecco”, continuò la donna, “Io voglio dirti solo che mi dispiace.”
La volle lasciar parlare.
“Mi dispiace aver assistito a tutto quello che tuo padre ti ha fatto, senza dire niente, impotente.”, disse sua madre, “Mi dispiace non aver mosso un dito per fermarlo, né per difenderti. E ora che lui non c’è più, credimi, è tutto diverso.”
“Sì, è vero.”, le disse, “E’ davvero tutto diverso.”
“Sì, Joanna.”, attaccò ancora lei, non capendola, “E’ diverso perché anche io sono stata vittima di tuo padre, dei suoi soprusi, delle sue gogne.”
“Ma non quanto me.”, disse Joanna, incrociando le  braccia, “Tu non sei stata spinta contro ai muri di casa, contro alle porte, contro al vetro! Tu ti beccavi solo qualche grido, qualche insulto, qualche minaccia… Ma io mi prendevo gli schiaffi!”
La donna scosse la testa, asciugandosi le lacrime che stavano iniziando a uscire dalle palpebre, chiuse dal dolore.
“Tuo padre ci ha tenuto entrambe prigioniere, non lo hai mai capito?”, disse poi la donna, con la voce rotta.
“Certo che l’ho capito! L’ho sempre saputo!”
“Ed è colpa mia di tutto, Joanna.”
“Anche questo lo so!”, protestò lei, “C’è qualcos’altro da accertare che sia di mia conoscenza oppure no?”
Qualunque sarebbe stata la risposta, volle tagliare corto e farle una domanda diretta. Sapeva che suo padre la picchiava per il suo bene, che lo faceva perché lei gli disubbidiva, oppure perché aveva un po’ di forza per andare contro alla sua volontà. Ora voleva sapere perché sua madre non avesse mosso un dito per fermarlo.
“Perché te ne sei sempre rimasta a in disparte? Perché non ti sei opposta?”
Miki, fino a quel momento apparentemente innocuo, passò un braccio intorno alle spalle della donna, per farle conforto.
“Perché avevo paura, Joanna!”, disse la donna, scoppiando in lacrime, “Perché ogni volta che provavo a difenderti, lui non faceva altro che essere più violento di prima!”
Joanna si spazientì.
“Ma tu eri mia madre!”, esclamò, “Avresti dovuto fare tutto quello che era in tuo potere per fermarlo, per liberarti di lui!”
“Avevo paura che picchiasse anche me!”, pianse la donna.
“Meglio la figlia che la madre, ecco la verità!”
“No, Joanna, non mi fraintendere!”, si oppose sua madre, “Non era quello che intendevo!”
“E cosa volevi dire, allora?”, si infuriò Joanna, “Che non volevi cicatrici addosso? Che non volevi dare continuamente spiegazioni per i tuoi lividi? Che non volevi rimanere a casa dal lavoro perché ti aveva picchiato proprio in viso, ed i segni erano inequivocabili?”
Se fosse mai esistita una flebile speranza di poter, in un lontano giorno, perdonare la sua famiglia, venne completamente cancellata. Rasa al suolo.
“Joanna, ti prego, torna a casa.”, le disse sua madre, giungendo addirittura le mani al petto, credendo  di impietosirla.
“Per favore.”, si accodò anche Miki, “Adesso potremmo tornare di nuovo a...”
“A cosa?”, esclamò lei, “Tornare a cosa? Ad essere una famiglia?!”
“Voglio che tu torni a stare da me, Joanna.”, disse sua madre, “Perché voglio provare a ricostruire una nuova vita, insieme a te.”
“Scordatelo!”, gli versò addosso quella parola con la facilità stessa del sollevare una piuma, “Io sto bene qua, lontano da voi, lontano da quello che mi avete fatto.”
“Noi non siamo nostro padre!”, sbuffò allora Miki, alzandosi in piedi, con il suo bel dito indice puntato contro di lei, “Ed entrambi, adesso, pensiamo che...”
“Adesso non dovreste pensare a me.”, disse Joanna, “Perché ormai è troppo tardi. Vuoi recuperare la nostra famiglia? Ecco, allora farai meglio a pensarti come un figlio unico.”
“No, perché ho te come sorella!”, esclamò l’altro, infuriandosi.
 
 
 
“E’ incredibile.”, sussurrò Dougie, “Non possono farle questo… Al posto suo, non tornerei mai a casa..”
“Lo so, anche io.”, rispose Arianna, anche lei a tono molto basso, ma percepibile, “Ma tu non conosci veramente suo fratello. E’ uno che non demorde.”
“Posso intuirlo.”
“Non sai quanto mi abbia rotto le scatole quando Jo è venuta a stare qua.”, gli spiegava, “Per un mese non abbiamo fatto altro che litigare, io e lui, perché voleva che la facessi tornare.”
“E come hai fatto a fargli cambiare idea?”, chiese Dougie, evidentemente interessato.
“Beh…”, fece la donna, con sorriso malizioso, “Ho i miei artigli belli ed affilati.”
“Non voglio mai conoscerli....”, disse Dougie, sorridendo.
“Non so chi tra i due, se sua madre o Miki, abbia avuto l’idea di presentarsi qui.”, disse Arianna, tornando seria, “E comunque, è stata veramente una mossa meschina. Mi chiedo che cosa si aspettassero da lei... In questi casi non è che morto il papa si possa ricostruire una famiglia distrutta da anni. Non ha senso...”
“E cosa le stanno dicendo adesso?”
Arianna tese l’orecchio.
“Credo che Joanna si stia opponendo ad ogni supplica.”, riferì, “E ha detto a Miki di ritenersi figlio unico.”
Dougie ridacchiò con amarezza.
“Certo che, quando si arrabbia, fa paura.”, disse poi, “Molta paura!”
“Gridalo, perché è la pura verità.”, fece la donna.
Certo che era la verità.
“Miki continua ad insistere.”, tornò poi a dire Arianna, scuotendo la testa con aria sconsolata, “Perché non capisce che Jo non vuole più avere niente a che fare con loro?”
“Credi che dovremmo intrometterci?”, propose Dougie, “Perché io non ho assolutamente voglia di farlo. Chiamami codardo e fifone, ma quella bestia non la voglio affrontare a mani nude.”
Arianna rise, con un retrogusto molto amaro.
“In quel caso, ci sarò io a darti manforte. Tu mi coprirai le spalle.”, gli fece, dandogli una pacca amichevole, “Ma per il momento rimaniamo qua, Jo può farcela da sola.”
“Speriamo bene…”
 
 
Anche lui cercava di sperare bene, di incrociare le dita e di pregare che, nei successivi cinque minuti, la famiglia di Joanna se ne andasse.
Joanna
Ormai non aveva più senso chiamarla Little. Era cresciuta e quel nomignolo che le aveva dato non solo per la canzone, ma soprattutto per il suo essere sempre minuta e dolce, ed ormai era diventato del tutto inappropriato. Joanna la disegnava meglio, nell’interezza della sua personalità:  sotto quell’aura di eterna timidezza c’era qualcosa di molto forte, deciso e determinato. Qualcosa di un sapore abbastanza amaro, se si fosse avuta l’occasione di assaggiarlo, e che riusciva a fare male. Eppure, era contento di averla scoperta anche in quel modo.
Per la seconda volta in quel giorno stava origliando una conversazione altrui, ma non era l’unico. Stava spiando Dougie ed Arianna, che a loro volta ascoltavano nascosti. Non aveva perso molti particolari prima di unirsi a loro, che gli davano le spalle e non si stavano accorgendo della sua presenza,  ma che sicuramente presto lo avrebbero notato, seduto a qualche passo da loro.
Ed era in quel modo che aveva scoperto tutto.
Dougie aveva avuto ragione.
Tu non sai quanto costi  a Jonny parlare di determinate cose… Cose che nemmeno ti aspetteresti.
Cercando di dare una spiegazione a tutta la timidezza e alla riservatezza di Joanna, era arrivato a pensare che, nel peggiore dei casi, poteva aver avuto una brutta delusione di cuore, con un qualche ragazzo che l’aveva trattata male e che aveva fatto –come lui- lo stronzo.
Era caduto completamente dalle nuvole, e si stava pentendo amaramente delle sue azioni.
Ora che sapeva, avrebbe tanto voluto tornare indietro nel tempo ed essere più ragionevole, più comprensivo, più bravo nel capire le cose non dette, le parole in sottofondo, i doppi significati.
Ora che sapeva, capiva una svariata marea di fatti, di cose accadute nel passato più lontano ed in quello più recente, e che ancora non avevano avuto una spiegazione razionale.
Ora che sapeva, avrebbe dovuto scusarsi con Dougie, che aveva cercato di aprirgli gli occhi ed indicargli la strada giusta.
Ora che sapeva, avrebbe dovuto semplicemente chiudere tutto perché non si concedevano seconde possibilità dopo errori del genere. Non si davano altre opportunità ad una persona che obbligava l'altra a confessare qualcosa di così profondo, quando non se ne voleva parlare. Avrebbe dovuto aspettare il momento giusto, ma era stato impaziente.
“Poynter.”, lo chiamò, il tono della sua voce molto basso.
Li vide entrambi bloccarsi, Arianna e lui, e poi voltarsi.
“Danny?”, fece Dougie, “Che ci fai lì?”
“Hai sentito…”, dedusse Arianna.
Annuì, lei scosse la testa, e Dougie sospirò.
Al piano di sotto i toni si fecero più concitati, tanto che Arianna trasalì.
“Che sta succedendo!”, disse Dougie, guardandola dritta negli occhi per sapere.
Lui si avvicinò: era inutile continuare a rimanere lì contro al muro, lontano dal loro campo visivo.
“Si stanno rinfacciando tante di quelle cose…”, disse la donna, “Joanna parla di una certa Rita, la ex moglie di Miki…”
“La conoscevi?”, le domandò Dougie.
“No… Almeno, non di persona, ma so che si sono separati per colpa di suo fratello.”
“Strano…”, borbottò Danny, ignorato da entrambi.
Le voci in salotto erano una più forte dell’altra, si stavano gridando contro, era uno strazio starli a sentire senza poter fare niente, senza poter difendere Joanna.
“Se continuano così, finiranno per uccidersi.”, mugolò Arianna, sempre più preoccupata.
“Fermiamoli.”, disse Danny, “Credo che sia abbastanza.”
“Facciamoci i cazzi nostri, Jones.”, gli disse Dougie, prendendolo per un braccio e bloccando così ogni suo tentativo di iniziativa, “Non ci riguarda, è la vita di Jonny.”
Non si oppose, aveva ragione. Lui aveva sempre avuto ragione su Joanna.
“Non dovremmo nemmeno stare a sentire quello che si dicono.”, si permise però di aggiungere Danny.
“Tu ancora meno di noi due.”, Dougie tagliò ulteriori parole da parte sua.
E, di nuovo, aveva avuto ragione.
La porta del salotto si aprì, lasciando che il coro delle voci dei due fratelli uscisse. Era stata Joanna stessa ad uscirne fuori imbestialita.
“Andatevene.”, la sentirono dire.
 “Bene!”, le rispose Miki, “Questa è l’ultima volta che ci vedi.”
“Oh, sia lodato il Signore!”, c’era del odio nelle sue parole, molto odio, “L’uscita la conoscete. E’ la solita da cui siete entrati.”
Si mise le mani sui fianchi e, con un cenno della testa, impose a sua madre e a suo fratello di lasciare la casa. E la sua vita.
Miki era visibilmente infuriato: prima di uscire si accorsero di loro tre, in cima alla rampa delle scale. Sua madre lanciò un’occhiata strana, un misto tra perplessità e risentimento, poi prese la sua via. Miki, invece, si rivolse loro con parole acide.
“E’ colpa vostra se Joanna è diventata così!”, disse, “Prima era una brava ragazza!”
“Prima ero un burattino.”, sbuffò lei, ridacchiando, “Ora vattene, hai già fatto la tua sceneggiata.”
Ma lui non lo fece.
Le andò incontro e le dette un sonoro schiaffo, in pieno viso. Il rumore dell’impatto tra la loro pelle fu come lo sparo di un cannone, assordante.
Danny sentì affievolirsi la presa della mano di Dougie sul suo braccio. Non stette a chiedersi se fosse intenzionale o meno, ma Dougie lo lasciò andare. I suoi piedi si mossero, scesero velocemente i gradini davanti a lui. Quando arrivò da lei non dovette dire niente, né alzare alcuna mano a difenderla, perché Miki se n’era già andato lasciandola lì, completamente frastornata.
“Oh Cristo, Joanna, stai bene?”, le fece, togliendole i capelli dal viso, spostati dalla forza della cattiveria di suo fratello.
Lei non gli rispose. Se ne rimase lì, a guardare fissa nel vuoto, come se davanti a lei non ci fosse nessuno, non ci fosse lui che cercava di farla tornare sveglia.
“Joanna!”, le fece, spaventato.
Lei sbatté gli occhi e lo guardò, stranita, e si toccò la guancia rossa.
“Fammi vedere se ti ha…”, le disse.
“No!”, esclamò lei, sottraendosi alle sue mani, ferme sulle spalle.
“Non ti voglio fare del male, Joanna, voglio solo controllare se stai bene.”, cercò di tranquillizzarla.
“Lasciala andare e basta.”, sentì la voce di Dougie, nelle sue vicinanze.
Un passo dopo l’altro, Joanna salì al piano di sopra e si chiuse nella sua stanza.
 
 
Lo zaino era pronto, vicino alla porta. Lui sedeva in attesa, il piede che picchiettava un tempo sincopato sul tappeto sotto di esso, in salotto. Era ora di andare, l’aereo non lo aspettava , ma non aveva il coraggio di alzarsi, salire in auto ed andare a prenderlo.
“Ehm… Io sarei pronta.”, disse Arianna, comparendo nella stanza.
“Ok.”, le rispose, “Danny rimane qua, vero?”
“Sì.”
“Ho cinque minuti per salutarlo?”
“Oh sì, certamente, siamo in anticipo.”, rispose la donna, sorridendo ed uscendo.
Presuppose che fosse nella stanza degli ospiti, quella che era stata anche sua. Da dopo che Jonny si era chiusa nella propria, ognuno di loro aveva preferito fare altrettanto e starsene soli, con i propri pensieri.
Lui, dal canto suo, aveva preferito tornare fuori ed aveva passato quel tempo in solitario nel giardino, sul retro, dal quale c’era una bella vista della campagna italiana. Era stato più rilassante che spendere il tempo con le orecchie martellate dalla musica.
Bussò alla porta della stanza. Qualche secondo dopo spuntò fuori Danny, con un asciugamano tra le mani, intento a tamponarsi la testa.
“Ehm... Io vado.”, gli disse, mani in tasca e tanto imbarazzo in volto.
I fatti di quei giorni, le parole dette, gli sguardi e le intenzioni avevano fatto accumulare tanto di quello stress e di quella voglia di mettere tutto da parte che ogni movimento, ogni approccio diventava difficile.
“Già, sì.”, fece l’altro. Si scansò e gli fece cenno di entrare.
Danny gli porse poi la mano, in attesa che lui gliela stringesse. Come aveva sempre fatto, la afferrò e la strinse con calore, prima di avvicinarsi a lui ed abbracciarlo.
“Non farla arrabbiare troppo.”, gli disse, scherzoso.
“Non ci tengo affatto.”, rispose Danny, con tranquillità.
“E non farle capire che... Insomma, che tu sai.”, aggiunse, in tono più serio.
“Certo.”
“Trattala bene.”
“Da quando in qua sono io a prendere raccomandazioni da te, Poynter?”, scherzò Danny, ridendo.
Già, si erano proprio ribaltate le reciproche posizioni, in ogni possibile senso, che a loro stesse piacendo o no. Quando Dougie era partito era stato Danny a fargli una testa piena di ‘non fare questo e non fare quello, che poi te ne pentirai’, in toni anche abbastanza minacciosi. Ora, invece, era lui a farlo, il che era di per sé già abbastanza surreale, indipendentemente dal contesto in cui le preoccupazioni erano state inserite.
“Jones, ti devi rassegnare. Lo so che è dura, ma ti ci abituerai.”, gli fece, picchiettando sulla sua spalla con un sorriso che riempiva il volto.
“Sei già stato da Joanna?”, gli domandò Danny, deviando il discorso.
“No, non ancora.”, rispose, e poi notò quella strana parola, “Joanna... Dov’è finita Little?”
“E’ grande abbastanza per non essere più chiamata in quel modo.”, tagliò corto Danny, scuotendo la testa, “Insomma, Dougster, buon ritorno a casa.”
“Sì... Grazie.”
Le stranezze si sommavano una sull’altra: lui e l’essere diventato il responsabile del benessere di Jonny; Danny e il suo chiamarla Joanna, e non più Little...
Cosa poteva succedere ancora?
“Hai qualche messaggio per gli abitanti del pianeta Regno Unito?”, gli domandò.
Danny rise.
“Nessuno, dì solo che sto bene e che torno presto.”, disse poi, “Ah, se vedi Tamara, io sono a Bolton, da mia madre.”
Dougie gli lanciò un sorriso comprensivo. Quella partenza improvvisa doveva essergli costata molto, ma aveva voluto comunque pagare quel prezzo. Era ammirabile da parte sua rischiare una relazione più che stabile per stare accanto ad un’amica.
Un’amica?
Non aveva più tempo per rispondere a quel quesito. Quella poteva essere la cosa strana che sarebbe potuta accadere.
“Va bene.”, gli rispose.
Un ultimo abbraccio da uomini, una pacca sulle spalle, un sorriso, e fu fuori dalla stanza.  Bussò alla porta di Jonny. Lei non rispose, ma Dougie decise comunque di entrare.
Notò subito la penombra che regnava sovrana e capì che stava dormendo. Infatti, la trovò distesa sul letto, stretta ad un cuscino, la bocca lievemente aperta nel sonno.
A volte, sapeva essere proprio buffa.
Si sedette sul bordo del letto e, con delicatezza, decise di svegliarla. Non voleva di certo andarsene senza salutarla.
Jonny borbottò qualcosa e stancamente si voltò, gli occhi ancora semi sigillati.
“Ah, sei tu.”, disse, ridacchiando.
“Sì, sono proprio io.”, le fece, “Devo andare.”
“E’ già ora?”, chiese lei intontita, e guardò fuori dalla finestra, trovando il sole già  sulla via del tramonto, “Pensavo fosse ancora pomeriggio...”
“M dispiace dirtelo ma hai perso totalmente la cognizione del tempo!”, le fece, ridendo.
“Decisamente...”, bofonchiò lei, sbadigliando.
“Ho segnato il mio numero su questo foglietto.”, le disse, estraendolo dalla tasca, “Lascia i tuoi messaggi dopo il bip, se avrò tempo ti farò richiamare dalla mia segretaria.”
“Grazie signor Poynter.”, rispose Jonny, prendendo il foglietto e dandogli un’occhiata, “Lei è sempre così carino con noi comuni mortali.”
Ridacchiò, poi abbassò la testa.
“Va meglio adesso?”, le chiese.
“Insomma.”, disse lei, alzando le spalle, “Fa sempre molto male.”
Si stava riferendo ad un mucchio di cose, non solo allo schiaffo, ma c’era qualcosa nei suoi occhi, una piccola e flebile luce a cui Dougie si aggrappò. Prima o poi tutto sarebbe finito, e lei sarebbe stata meglio, molto meglio. Le avrebbe dato tutto l’aiuto che poteva, in qualunque modo gli fosse possibile.
“Passerà, prima o poi.”, le disse.
“Lo so.”, e lei sorrise un po’.
“Di più.”, fece Dougie, premendole due dita contro gli angoli della bocca e storpiando la sua espressione.
“Fai male, scemo di un Dougster!”, esclamò lei, allontanandosi dalla sua mano, “Adesso puoi anche lasciare questo paese, e non farti vedere mai più!”
“Pregherai in ginocchio per un mio ritorno!”, scherzò lui.
“Contaci.”, fece Jonny.
“Dai, adesso devo proprio andare.”, disse, alzandosi, “So che non ti farà piacere, ma Danny rimarrà a casa. Io ed Arianna non volevamo lasciarti sola.”
“Qua in Italia si dice: meglio soli che male accompagnati.”, bofonchiò lei, poco contenta.
“Si dice anche in Inghilterra, stupida.”, e si voltò, dopo averle fatto la linguaccia.
Con lo zaino sulle spalle iniziò a sculettare, come il naturale deficiente che era, e canticchiò un ritornello a lei molto conosciuto.
‘And this is how I realize, he has you hypnotized...’
Appena comprese, Jonny prese il cuscino con cui aveva dormito e lo colpì ripetutamente, insultandolo in modo abbastanza colorito, e maledicendolo per l’idiozia che era innata in lui.
 
 
Stava iniziando a sentire fame, abbastanza fame. Come un leone in gabbia, nervoso e indeciso, si chiese se sarebbe stato giusto andare da lei e chiederle di poter mangiare qualcosa insieme. La risposta era più scontata del colore dei suoi capelli e, nonostante la possibilità di provarci lo stesso, l’andare sempre più a fondo della barca che portava il suo nome era sintomo del bisogno di togliere le tende da lì al più presto, preferendo accettare il fatto che non avrebbe potuto rimediare ai suoi ripetuti errori.
E tutto quello, come aveva già avuto modo di constatare, faceva un male cane.
Molto male.
Le voleva bene, aveva pensato di poter essere in grado di aiutarla in ogni modo possibile, e invece non aveva fatto altro che allontanarla, sempre di più.
Era stato egoista, stupido ed arrogante.
Ora che rifletteva, e guardava bene indietro, si chiese quanto fosse stata vera quella loro amicizia. Se non fosse stato tutto un binario unico, dove lui correva instancabile supponendo che Joanna si trovasse dietro a lui, che stesse al suo passo, ma invece non era che nient’altro lontana mille miglia, e lui vedeva solo un’illusione. Non era colpa di lei, di Joanna, il rimanere indietro mentre lui correva spedito per la sua via. Era semmai lui a doversene sentire responsabile...
E ancora una volta era stato egoista, perché non si era mai posto la seguente domanda: che cosa pensa Joanna?
Non era una semplice richiesta riguardante il suo punto di vista su determinate cose, era piuttosto una domanda che andava a toccare direttamente l’essenza di quello che, fino a quel giorno, aveva creduto una solida amicizia. Non era facile per lui spiegare quello che aveva dentro, non era nemmeno capace di dargli una forma nel pensiero. Aveva preteso, dato per scontato che tutto filasse liscio, che tutto fosse perfetto, come lo voleva lui. Che viaggiassero sullo stesso binario. Invece no.
Lui era andato avanti, dritto verso la sua destinazione. Joanna, però, doveva essersi persa per strada: aveva solo seguito la sua scia, cercando di essere veloce tanto quanto lui, ma non ce l’aveva fatta.
Scese al piano di sotto, cercando di quietare almeno il borbottio della sua pancia, visto che sembrava impossibile mettere in silenzio la tua testa. La sua fame non poteva resisteva a lungo, prima di farsi avanti e digerire il suo stesso stomaco.
Dei rumori lo distrassero dal suo ennesimo ponderare, qualcuno stava armeggiando con la porta di casa. Sentì il tintinnio metallico di un mazzo di chiavi, poi la serratura si aprì, facendo entrare il rumore di tacchi femminili sul pavimento.
Arianna si presentò di lì a poco e, appena lo vide, sussultò per lo spavento.
“Oh Cristo, Danny!”, fece, “Potevi almeno avvertirmi!”
Lui rise.
“E di cosa?”
“Di elevarti qui, in cucina, nei tuoi centottanta e più centimetri di altezza, piuttosto che segregato in camera tua!”, sbuffò la donna, posando il sacchetto di plastica sul tavolo della cucina. Doveva avere approfittato della partenza di Dougie per fare un po’ di spesa, a vedere il contenuto.
“Ero sceso solo a prendermi qualcosa da mangiare.”, le spiegò, incrociando le braccia ed appoggiandosi comodamente al ripiano della cucina, “Non avevo preventivato di farti paura.”
“Eh! Ma lo hai fatto!”, esclamò la donna, mettendo a posto gli acquisti, “Ho fame anche io, preparo subito qualcosa. Jo?”
Danny alzò le spalle, non sapeva che cosa risponderle. Da dopo che suo fratello se n’era andato, lasciandole i segni delle sue dita sul viso, non l’aveva più vista né sentita. E lui non aveva fatto niente per difenderla.
Arianna annuì e, con un cartone di latte in mano, si affacciò fuori dalla cucina.
“Ho riconsegnato il tuo amico a chi di dovere!”, alzò la voce, esprimendo quelle parole in
italiano.
Qualche secondo.
“Al manicomio criminale???”
Eccola, la risposta di Joanna. Un segno che era sempre lì, in quella casa.
Arianna si voltò verso di lui e gli lanciò un’occhiata allusiva.
“Sta bene.”, disse, tornando al suo latte ed al frigorifero aperto.
“Te lo ha detto lei?”, le chiese, con apprensione.
Arianna scosse la testa.
“E come fai a saperlo?”, le domandò, allora.
“Se fosse stata male, o almeno in fin di vita, non avrebbe proprio risposto. Non credi?”, fece lei, con ironia.
Gli venne da ridere.
“E’ vero, non ci avevo proprio pensato.”, rispose Danny.
“Questo è il tuo problema, ragazzo.”, disse Arianna, “Pensi a troppe poche cose, oppure lo fai così tanto da lasciare indietro quelle più importanti… E più ovvie.”
Danny non comprese il significato delle sue parole e spese qualche tempo nella riflessione, cadendo in pieno nella trappola tesagli da Arianna, che lo guardò come per dirgli ‘capito cosa intendo?’.
“E come posso fare per rimediare a questo mio difetto?”, le chiese, accettando ciò che gli era stato detto come una critica gentile.
“Ferma il cervello, stoppa il tuo calcolatore.”, disse lei, “Mandalo a puttane. Abbandonalo. E guardati intorno.”
Danny rimase in attesa di qualche ulteriore illuminazione, dato che il voltaggio di quella appena fornitagli da Arianna sembrava troppo basso per essergli utile.
“Dovrei… Guardare qualcosa in particolare?”, domandò, perplesso.
“Non propriamente.”, disse la donna, socchiudendo gli occhi.
“Qualcuno.”, si corresse Danny.
“Hai colto nel segno.”
Non gli vennero in mente persone in particolare, tranne una.
“Joanna?”, le chiese.
“Ma come siamo intelligenti!”, esclamò la donna, scherzosamente, e lo fece ridere.
“E cosa dovrei vedere di lei?”
“Sbagliato.”, sottolineò Arianna, “Dovresti dire in lei.”
Ulteriori dubbi gli annebbiarono al mente.
“Non ti sto parlando di guardarla e di darmi un giudizio estetico.”, si spiegò allora Arianna, “Vorrei che tu guardassi in lei, e vedessi cosa c’è dentro.”
Il tutto era solo lievemente più chiaro.
“E se scoprissi qualcosa che lei non vorrebbe che io sapessi?”, le domandò Danny.
“Sbagliato ancora.”, fece la donna, “Dovresti ribaltare la frase.”, e gesticolò con le mani.
“Non ti capisco, credimi.”, le disse, esasperato.
“Il tuo cervello funziona a intermittenza, per caso?”, sbuffò lei.
“E’ molto probabile!”, rise Danny.
“Allora spero che adesso sia sulla modalità accesa.”, fece Arianna, “Tu sai già una
che lei non vuole farti sapere, ma comunque non è quella a cui mi sto riferendo adesso.”
“Suo padre, intendi.”
“Ecco, era spenta.”, esclamò la donna, toccandosi la fronte. Ormai aveva lasciato perdere la spesa, si era totalmente dedicata a lui, ed al suo cervello in corto circuito. “Io intendevo tutt’altro. E’ una cosa che sai, o a cui hai pensato almeno un po’, ed hai sicuramente scartato perché l’hai ritenuta un’idiozia.”
In quei giorni di continui ripensamenti era impossibile comprendere a cosa si riferisse specificatamente, ed Arianna non sembrava nemmeno voler parlare in termini più chiari di quelli.
“Ma comunque, non è quello il punto, non mi interessa che tu capisca. Non ti sto parlando di Jo, ma di te stesso.”, si riprese Arianna, “Dovresti ribaltare la domanda che mi hai fatto, e chiedermi che cosa succederebbe nel caso fossi tu a capire qualcosa che non vorresti sapere.”
Gli sembrava di essere il bambino ritardato della classe.
“E questa cosa”, le fece, “dovrei, virtualmente e sempre secondo te, saperla già… Ma non la voglio ammettere, e verrà fuori guardando dentro di lei.”
“Oh Danny boy!”,esclamò la donna, “Allora c’è vita dentro al tuo cervello!”
E si mise a sferragliare in cucina, tirando fuori pentole e padelle. Il suo sermone era finito per caso? Perché lui ancora non aveva afferrato un emerito cazzo.
“Allora!”, lo colse in fallo Arianna, facendolo sussultare, “Che cosa ti ho detto prima? Tu pensi troppo! Devi smetterla! Fai qualcosa!”
Danny scoppiò a ridere, lasciandola perdere.
“Vuoi che ti dia una mano?”, le chiese.
“No, grazie, faccio da sola. Vai a chiamare Jo.”, disse lei, mentre riempiva una pentola d’acqua fresca, “So che è là fuori ad ascoltarci.”
Un rumore di passi veloci tradì ulteriormente la presenza di Joanna, che lui non aveva proprio percepito, e guardò Arianna con occhi stupiti.
“Vai!”, gli fece lei, chiudendo il rubinetto.
Cercò di seguirla, ma non fu capace di trovarla, si era volatilizzata.
“E’ in camera sua!”, lo informò Arianna.
“Ma tu sai sempre tutto?”, scherzò Danny.
“Ho sentito i suoi passi, al piano di sopra.”, si spiegò, “La sua stanza è proprio sulle nostre teste.”
“Allora non è solo intuito femminile, il tuo!”, le disse.
“E’ anche una buona dose di buon senso.”, gli sorrise la donna.
“E che ovviamente io non ho.”, disse Danny.
“Certo che ne hai, ma ci deve essere un’otturazione dentro ai tubi della tua materia grigia.”, disse la donna, “E deve essere anche bella grossa, perché ha combinato diversi casini.”
“Ovviamente, tu sai di che otturazione stai parlando.”
“Ovviamente!”, disse Arianna.
“E non me lo dirai.”
Lei scosse la testa, ridendo sorniona.
“Vado da Joanna.”, le fece.
Quella donna era un’enigma. Fossero state parenti, avrebbe potuto dire ecco da chi ha preso Joanna.


Se n'era convinta fin da quando aveva visto come Danny l’aveva guardata. Prima di quel momento aveva cercato di far comprendere a Jo quanto si sarebbe pentita di quel viaggio in Inghilterra: Arianna era certa del fatto che Danny l’aveva presa in giro con troppa ingenuità.  Jo non l'aveva ascoltata ed era partita, aveva scoperto che Danny si era felicemente fidanzato e aveva comunque voluto rimanere lassù, a terminare quella vacanza/incubo in casa del suo amico/innamorato/cretino. Era morto suo padre, era tornata sconvolta insieme a Dougie, che si era scoperto molto –molto- più intelligente di quanto si era aspettata anche la stessa Jo. Si era rivelato essere lui l’amico che cercava veramente, niente a che vedere con quella stanga riccioluta. Non che lei fosse stata molto presente in casa, suo malgrado, proprio nei giorni in cui Jo aveva avuto bisogno di aiuto più che sempre, ma si era sentita in pace ogni volta che aveva lasciato le mura della sua villetta per andare altrove, perché con lei ci sarebbe stato Dougie, quello che l’aveva fatta star male più di tutti ma che era sembrato essere quello più perspicace, quello che aveva saputo come prenderla per il verso giusto.
Poteva sembrare incredibile, ma la situazione era stata proprio quella, sicuramente anche Jo aveva fatto fatica ad accettarlo, ma era di Dougie la spalla su cui aveva –ed avrebbe avuto in futuro- bisogno di piangere, e non quella di Danny. Lui poteva anche essere stato il suo amico di e-mail e di telefonate, ma non era stato comunque capace di fare nient’altro che quello, a suo avviso. Soprattutto, non aveva afferrato niente della personalità così complessa e contraddittoria di Joanna.
Quando Jo aveva bisogno di aiuto non lo chiedeva mai, maledetto il suo orgoglio, e se aveva bisogno di sfogarsi teneva tutto dentro a fermentare, come le botti di vino durante l’inverno. Non domandava mai niente a nessuno, era sempre stata capace di fare tutto da sola, e ne era convinta. Per quello odiava chi si offriva di darle una mano ed accettava bensì quella di chi nemmeno sembrava porgergliela. Più o meno per le stesse motivazioni, non si confidava con chi stava ad attendere che la sua voce fluida uscisse dalla bocca.
E quindi, Danny sembrava essere uscito di scena, rimpiazzato dal più insospettabile Dougie, quello sulla cui faccia campeggiava il nastro adesivo rosso, come nelle fotografie di Jo con il gruppo.
Ma
Anche Danny aveva fatto la sua mossa. Aveva abbandonato tutto ed ora era lì, benché non avesse fatto nient’altro che peggiorare il casino, imbestialire Jo e confermare di nuovo il cambiamento delle loro reciproche posizioni nei confronti di lei.
Eppure
Lei non era scema. Quella grande otturazione cerebrale di cui Danny soffriva si poteva chiamare con un nome, un maledetto nome, che era ricorso fino allo sfinimento, fino allo sbriciolamento delle scatole altrui: amicizia. Non aveva voluto parlargliene chiaramente, ma solo metterlo sulla strada del dubbio. Era sicura che provasse qualcosa per lei, nascosto nel profondo sotto montagne di bugie e false convinzioni.
Altrimenti, non avrebbe messo in discussione la sua relazione con la fidanzata, di cui lei non ricordava il nome.
Altrimenti, non se ne sarebbe rimasto lì, in Italia, dopo la carica bersagliera di Jo che lo accusava di essere un infantile e presuntuoso ragazzino straniero.
Altrimenti, non avrebbe continuato a cercare di rammendare un rapporto finito, concluso.
Si ritrovò a cenare con lui, Jo non ne volle sapere di unirsi a loro. Parlarono, senza entrare mai in argomenti che riguardassero i fatti di quei giorni, dopo di ché preferirono salutarsi presto, entrambi troppo stanchi per rimanere in piedi a lungo.




Scusatemi per la brevità -si fa per dire- del capitolo...  Transizione, sebbene qualcosa si grosso sia successo. Insomma, Dougie è partito, Danny è rimasto... Siamo a metà della storia, che si concluderà tra otto capitoli... Dal prossimo in poi vi spappolerò la pazienza, credetemi. E' colpa di Danny, mica mia.
Il titolo è di mia invenzione, non è ripreso da nessuna canzone.
Non ho molto da aggiungere, credo che sia stato detto tutto sopra la linea di demarcazione tra il capitolo e lo spazio autrice.  Passo allora ai ringraziamenti.

Ciribiricoccola: questo capitolo aggiunge al precedente quello che ancora non era stato reso del tutto esplicito. Credo che Danny impiegherà gran parte del suo tempo in Italia per capire tante cose... Le capirà per il verso giusto? Chi lo sa... Sarà ancora presuntuoso ed arrogante, in un modo piuttosto subdolo, perchè lo hai capito anche te: con la scusa di proteggerla, si comporta peggio di chiunque altro. Sono tutti evoluti in questa storia, tutti. Diciamo che Four Guys in Her Hair è stato una specie di grande introduzione a questa storia... Ogni tanto la rileggo e la trovo piuttosto... Non da me XD E sai quali sono le storie da Silvia... Eeeeh??? XDDDDD

vero15star: la tua presa di posizione mi stupisce un po'.  Soprattutto perchè purtroppo hai travisato i sentimenti di Dougie... In pieno XD  Dougie è stato sincero quando le ha detto che non è più innamorato di lei, ma che le vuole bene come un amico... E Joanna sa bene quali sono i suoi sentimenti... Arianna sta dalla parte di Joanna e basta, non parteggia per nessuno dei due ^^ Ecco, ora spero che la situazione ti sia un po' più chiara. Se poi affermi queste cose perchè sei una fan di Dougie e non di Danny... Beh, allora è un'altra storia! Grazie comunque! Alla prossima!

picchia: mannòòòòò, efp maledetto!!!! eeeh, Arianna! Hai suoi 40 anni, se si mette a fare le bizze come Joanna la accooperei! Grazie per i complimenti sui personaggi... Credo che renderli il più realistici possibile sia il mio obiettivo primario... A volte anche a discapito della storia stessa! Sosteniamo Joanna, fondiamo un'associazione pro-little.

CowgirlSara: Tutti hanno sempre fatto il tifo per Dougie in questa storia XDDDD Danny me lo hanno bistrattato, povera bestiolina... Io lo prenderei a badilate e dal prossimo capitolo in poi capirai cosa intendo... Purtroppo dice bene Arianna qua sopra... Ha una bella otturazione nel cervello. Ce la farà a stasarla? Perchè sennò gli mando Nico, con du' pappagallate lo resuscita (e vorrebbe ammazzarlo). Mi scuso per il ritardo che sto accusando nella recensione, anche se ogni mia giustificazione sta diventando quasi retorica. Mi dispiace davvero *sigh* spero di arrivare, prima o poi...

_Princess_: Liebe! Stavolta sono io in ritardo e sinceramente non so quando arriverò... Purtroppo...  Grazie comunque per la recensione che mi hai lasciato, quella frase piace molto anche a me, così come tante altre in tutta la storia.  Grazie e alla prossima!!!

tsumika83: Credo di non aver niente da aggiungere a quello che hai detto. Assolutamente niente, hai colto in pieno la situazione e fai bene ad avere quei dubbi... Via, ti ho indirizzato ulteriormente verso le sensazioni giuste!!!!

kit2007: Hai colto proprio il senso... Danny è un cretino. Oggi mi sento ermetica e racchiudo tutti i miei thanks in questa frase. Olè!

Giuly Weasley: Ma ciao cara! Tra tutti quell che mentono... Credimi, Dougie è l'unico sincero! Insieme a lui Arianna, sono gli unici due che si salvano da questo supplizio della bugia! XD Devo confessarti -e Silvia può confermartelo- che arrivata a qualche capitolo precedente il dubbio era venuto anche a me. Mi spiego meglio: quando ho iniziato questo sequel non avevo la più pallida idea di chi fosse innamorato di chi/cosa. Mi rispiego meglio: arrivata a due capitoli prima di questo mi sono detta... E se Dougie e Joanna...? Non ti dico chi (vedi rigo sopra) mi ha fatto cambiare idea. In questa storia, Dougie ha la meglio... Sempre. Credo che di errori ne abbia commessi tanti, anche nel sequel, ma alla fine ha sempre agito con una buona dose di cuore e di testa... Chi invece non fa altrettanto è Danny. L'anima de li mortacci sua!

x_blossom_x: Arrivo anche a te ** Mi ricordo più o meno tutti i tuoi commenti legati a questa storia e ad ogni recensione li ripeschi tutti XD No, non è per dirti che non sei originale, è che sei coerente. Le bugie, il divieto di sguardo e  la frase di Joanna... Beh, non so cosa altro aggiungere.  Vorrei davvero che in questa storia nessuno stia antipatico a nessun altro. Tamara potrà aver detto e fatto cose poco carine nei confronti di Joanna, ma ne aveva più o meno il diritto... E come hai detto tu, non si può gioire della partenza di Danny fino in fondo. Qualcuno ci starà molto male, lo sappiamo entrambe.  Per me esistono, come le hai citate tu, le bugie bianche e le bugie nere... E anche quelle grige. Questa è nera, nera profonda. Se mi capitasse una cosa del genere e fossi nei panni di Tamara, credo che i provvedimenti sarebbero piuttosto severi... Tu cosa ne dici?


Bene, ho finito :) Non mi rimane altro che  ringraziarvi tutte ancora, dalla prima all'ultima, da quella visibile a quella invisibile!
Un bacio e al prossimo lunedì! Ciao!!!





   
 
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