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Autore: The Writer Of The Stars    18/03/2015    1 recensioni
-Titolo ispirato ad un brano de "la Dodicesima notte" di William Shakespeare.-
Shakespeare diceva che se la musica è il cibo dell'amore i cantori devono seguitare a suonare, dare al mondo le proprie melodie senza risparmio, da saziare l'appetito delle nostre anime, fino a che, ormai sazio, il nostro appetito se ne ammali, e muoia ...
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Raccolta di one shot e flash fic sulla coppia Bulma/Vegeta, rigorosamente ispirate da musica e canzoni diverse in ogni storia.
Per ora mi limiterò a pubblicare i miei lavori già "conosciuti" nel fandom, aggiungendo di volta in volta, a seconda dell'ispirazione, nuove storie incatenate ovviamente alla musica. Buona lettura. ;)
Possibile lieve OOC in quanto raccolta, probabilmente con qualche AU.
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If music be the food of love, play on ... - Se la musica è l'alimento dell'amore, seguitate a suonare ...
(Banner della storia realizzato dalla fantastica Nora13 ... grazie. ;) )
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#1: "You' ll'be in my heart", Phil Collins -
#2: "Some Nights", Fun. -
#3: "Who wants to live forever?", Queen
#4:" Don't stop believing", Journey (AU)
#5: "Seasons of love", Rent
#6: "Bohemian Rapsody", Queen
#7: "Tears in heaven", Eric Clapton
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Vegeta | Coppie: Bulma/Vegeta
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Nota:vecchia flash fic già postata anche questa in precedenza. No ho apportato alcuna modifica, lasciando il testo intatto così com’è, perciò in un certo senso dallo stile si vede che è un lavoro un po’ vecchio … ma spero che vi piaccia comunque. ;)
 
Some nights, I stay up cashing in my bad luck 
Some nights, I call it a draw


Vi siete mai fermati a guardare le stelle? Si, proprio loro, le stelle. La luna. La notte. Notte. Sin dall’antichità, questo termine ha sempre suscitato grandi domande. Il giorno è quanto di più semplice si possa richiedere; c’è la luce del sole, tutto appare limpido, chiaro, ci è possibile scorgere ogni cosa. La notte invece, è il mistero. Con le sue tenebre, le sue oscurità ad avvolgere ogni cosa, è sempre stata uno dei più grandi perché dell’uomo. Gli uomini primitivi si stupivano, si preoccupavano di questo cambiamento. Tutto ciò che era chiaro, visibile fino a qualche ora prima, scompare così, inghiottita dal nero. I nostri antenati passavano ore con lo sguardo rivolto verso l’alto, gli occhi puntati sulle stelle. Fissavano quelle lucine a costellare la volta celeste, chiedendosi cosa mai potessero essere. Forse un dono degli dèi, la manifestazione divina di quanto si trova al dì sopra di noi, o forse erano le anime dei defunti, a vagare sperduti in mezzo quell’immensità oscura. E poi c’è la luna. La madre di tutto, la luce più luminosa, l’unica testimone dell’amore proibito degli amanti notturni, colei che tutto vede e nulla sa. E così iniziarono ad osservare, a farsi domande, a capire. Anche successivamente, quando ormai era chiaro che quelle lucine non fossero altre che piccoli corpi celesti, la gente continuava a fissare le stelle incantato. Chi per romanticheria, chi per curiosità, nessuno ha mai smesso di contemplare il cielo notturno, sin dalla notte dei tempi. Ogni notte, milioni, miliardi di occhi si puntano su quei puntini luminosi, fissandoli estasiati.


Vegeta no. Vegeta non aveva mai guardato le stelle da lontano, domandandosi cosa nascondessero. Non lo aveva mai fatto, semplicemente perché le stelle erano la sua casa. Lui non contemplava le stelle, lui ci viveva. O meglio, sopravviveva. Lui non si fermava ad osservare la notte, lui era la notte. Vegeta era quanto di più oscuro e misterioso si possa immaginare. Con quei due occhi, così profondi da contenere l’intero universo, sembrava quasi un buco nero, un oggetto non identificato che racchiude in sé tutti i più grandi misteri della storia. Vegeta era la notte. E di notti, ne ha passate tante. Le notti passate durante la sua sottomissione a Freezer. Le notti più buie della sua vita. Notti passate in giro per lo spazio, a conquistare pianeti e a solcare galassie, come il più temibile dei pirati naviga nel mare burrascoso. E altre notti passate in quella stanzetta, quel buco di pochi metri quadri dove solo un misero giaciglio faceva lui compagnia. Ma la cosa più bella di quella prigione era la piccola finestrella posta poco al di sopra del suo letto. Da quella finestra, lui vedeva tutto, illuminato dalla luce lattiginosa della luna. Luna. La madre mai avuta, l’unica compagna di anni di solitudine, che pur senza dir niente, comprendeva tutto.
 Dicono che l’universo sia infinito. Vegeta non sa se confermare o meno questa teoria. Potrebbe davvero non avere limiti, ma ormai è quasi certo di averlo visitato tutto, lo spazio. Ricorda la notte prima di partire alla volta della terra, la prima volta di anni prima. Quella sera la luna aveva una luce strana, meno luminosa del solito. Sembrava quasi riflettere lo stato d’animo del Principe, stranamente preoccupato per quella nuova spedizione, alla ricerca dell’ultimo Sayan, oltre a lui e quei due idioti che gli facevano da compagni, rimasto. Stranito, aveva lanciato un’ultima occhiata veloce al satellite, prima di coricarsi nella misera stanzetta messagli a disposizione da Freezer. L’ultimo raggio lunare riflesso sul pavimento lucido, prima di chiudere gli occhi, cadendo nell’oblio del sonno. Non sapeva, che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui avrebbe guardato la luna in quel modo. E soprattutto, da quel pianeta.
 



 
La porta si schiude piano, cigolando leggermente. Piccoli passi, attutiti da dei bianchi calzini di cotone, riecheggiano debolmente per la stanza, immersa nel buio. Stretta al suo peluche preferito, cammina velocemente, fino a raggiungere l’estremità sinistra del grande letto, quella vicino alla finestra. Si piazza davanti a lui, a fargli da scudo con quel piccolo corpicino da bambina di quattro anni appena, fissandolo. Lui dorme, non sembra essersi accorta della sua presenza. Prende un profondo respiro, pronunciando poi tremante:

“Papà …” l’uomo non risponde, continuando beatamente a dormire. Facendosi forza, la bambina lo richiama, scuotendolo leggermente per un braccio.

“Papà …” ripete un po’ più forte. Lui socchiude leggermente gli occhi, svegliato da quella dolce vocina infantile. Impiega un po’ di tempo prima di mettere a fuoco la chiazza rosa e azzurra palesatasi ai suoi occhi. Poi, riconoscendo la coda color del cielo, da cui piccoli riccioli ribelli fanno irruzione, le guance arrossate, gli occhioni blu lucidi e spalancati, esclama:

 “Bra, che diavolo ci fai in piedi a quest’ora?!” la voce ancora assonnata. La bambina sta per rispondere, quando un tuono più violento degli altri soggiunge interrompendo il silenzio creatosi in quel momento. Sobbalzando leggermente, la piccola stringe maggiormente a sé il suo pupazzo, cercando di trattenere le lacrime. Vegeta sospira pesantemente, chiedendo poi con tono piatto:

 “Hai paura del temporale, vero?” la piccola annuisce, prima di serrare gli occhi, colta da un ulteriore fragore di tuoni. Il Sayan scuote leggermente la testa, lasciandosi sfuggire un sospiro. Poi, in un gesto quasi abituale, solleva il caldo piumone in cui è avvolto, facendo spazio alla piccola.

 “Dai, vieni, per stanotte puoi dormire qui.” Proclama stancamente. La bambina sorride entusiasta, andando poi ad arrampicarsi nel grande letto, troppo alto per lei, fino a raggiungere la postazione tanto bramata. Si sdraia, coprendosi fino al mento, guardando per un attimo a destra e poi a sinistra. La sua mamma sta dormendo, sembra non essersi accorta della tempesta che sta infuriando al di fuori della loro abitazione. I corti capelli azzurri, come i suoi, sparsi disordinatamente sul cuscino, stretto tra le sue braccia. È proprio bella, la sua mamma. Guarda poi il suo amato papà, che nel frattempo si è di nuovo coricato, pronto a riprendere sonno. Gli sorride dolcemente, prima di essere spaventata dall’ennesimo tuono. Al fragoroso rumore, nasconde istintivamente la testa sul petto del padre, serrando gli occhi. Vegeta, leggermente sorpreso, non replica nulla, lasciandola fare.

 “Vegeta …” mugola qualcuno, ma non è sua figlia. Guarda oltre il corpo della bambina, scoprendo sua moglie rannicchiata in posizione fetale, avvolta tra le calde coperte e il cuscino stretto saldamente, l’espressione spaventata anche nel sonno. Sorride leggermente. Beh, da qualcuno Bra doveva pur aver ereditato la paura per i temporali …

“Papà?” lo richiama una voce sotto di lui. Abbassa leggermente lo sguardo, scontrandosi gli occhioni blu di sua figlia.

“Cosa c’è ora?” chiede, fintamente infastidito. La piccola sorride dolcemente. “Niente. Volevo dirti che ti voglio bene.”

Conclude, prima di accoccolarsi nuovamente al petto del padre, chiudendo gli occhi. Vegeta fissa la chioma azzurra della figlia, lo sguardo intenerito. Non risponde nulla, volgendo poi istintivamente lo sguardo alla finestra alla sua sinistra. Il vetro è imperlato dalle numerose gocce di pioggia, il cielo nero oscurato da grossi nuvoloni minacciosi. Eppure la vede. Eccola là, con la sua luce bianca e quella forma incredibilmente sferica. La luna. Sorride leggermente.
E poi, ci sono notti come queste. Certe notti vanno così. Notti in cui si ritrova incastrato su un pianeta azzurro, da due occhi altrettanto azzurri ed incantevoli, con due mocciosi che lo rendono fiero di sentirsi chiamare papà. Notti passate a tranquillizzare una scienziata dai capelli azzurri e una figlia di quattro anni, entrambe spaventate da uno sciocco temporale. Notti in cui non c’è gioia più grande nel sentirsi dire “ti voglio bene” dalla propria figlia. Notti che fino ad anni prima, mai avrebbe pensato di vivere.  Eppure, stanotte di fronte alla luna,  non può fare a meno di ammettere che queste sono le notti più belle di tutta la sua vita.
   
 
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