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Autore: Laylath    18/03/2015    5 recensioni
1920.
Proprio quando sta per scadere il trattato di non aggressione tra Amestris e Drachma, il tradizionale nemico del nord si ritrova ad affrontare un cambio al vertice del potere. Per la prima volta ad Amestris viene concesso di inviare ambasciatori, ma cosa può nascondere un invito simile, in uno Stato così potente?
Dal capitolo 2:
“Da quanto ho capito dovrò fare io l’ambasciatore – commentò Roy con sguardo furbo – beh, la mia esperienza con Xing è certamente un ottimo precedente.”
“O più che altro so che tu sei abbastanza scaltro da saperti muovere – sorrise Grumman con noncuranza – tu e la tua squadra siete disposti a questa trasferta? Del resto quando ero a capo del Quartier Generale dell’Est mi avete sempre dato grandi soddisfazioni e notevole divertimento.”
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang | Coppie: Roy/Riza
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Military memories'
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Capitolo 1.
Escursioni termiche



New Ishval

L’esplosione era stata così improvvisa e forte che Fury si era trovato catapultato contro il muro, sbattendo dolorosamente la schiena. Improvvisamente aveva sentito grida, ordini secchi e un forte odore di fumo e subito aveva recuperato il controllo della sua persona e, ignorando il dolore dovuto al colpo, si era precipitato verso l’area interessata, sicuramente appena fuori dalla caserma.
Non era la prima volta e non sarebbe stata l’ultima, lo sapeva bene: in quei cinque anni che partecipava attivamente alla ricostruzione di Ishval si era potuto rendere conto fin troppo bene di quante difficoltà si incontrassero in quello che era un intricato processo politico, sociale e militare.
“Ci sono feriti? Che cosa è successo?” esclamò, non appena uscì fuori dall’edificio aggregandosi a diversi soldati che, come lui, correvano verso il fumo provocato dall’esplosione.
“Il solito ordigno artigianale, tenente! – tossì uno di loro, mentre l’aria iniziava a diventare irrespirabile – ma non credo che ci siano feriti! Dannazione, si protegga bene naso e occhi!”
Colto da un improvviso attacco di tosse e dagli occhi lacrimanti, l’uomo fu costretto a terminare la sua corsa. Fury invece, forte degli occhiali che costituivano un riparo, riuscì a proseguire, cercando di trattenere come poteva il respiro ed aiutandosi con la manica della divisa. Tutto quello che gli importava era arrivare fino all’ingresso della caserma per verificare che le sentinelle non fossero state coinvolte, ma i suoi timori vennero placati quando le riconobbe mentre, a passi incerti, si avvicinavano a lui.
“Gli uomini alle pompe! – esclamò, rivolto a tutti gli altri soldati che stavano nelle vicinanze – estinguete eventuali incendi e verificate i danni! Tutti i feriti vadano all’edificio est e qualcuno allerti subito l’infermeria”
Subito si sentirono i secchi comandi tipici di squadre ben organizzate e, conseguentemente, Fury sentì un grosso peso che veniva levato dal suo animo. La disciplina l’aveva fatta da padrone e tutto si sarebbe risolto senza troppi problemi: solo qualche minuto di panico.
Speriamo solo che il Generale non la prenda troppo male – sospirò, mentre osservava i soldati dalla pelle scura e dai capelli bianchi correre verso il principio d’incendio trasportando i grossi tubi collegati alle pompe antincendio.
                                         
“Allora, mi vuoi come ti chiami?”
“Sarella…” mormorò la bambina con un soffio di voce, nel chiaro tentativo di non scoppiare a piangere.
“Ma che bel nome – sorrise Fury, tenendola sempre per mano – la dottoressa invece si chiama Eloise ed è davvero brava, sai? Non proverai nessun dolore, te lo garantisco.”
“E la mia mamma?” chiese con ansia lei, mentre entravano nell’infermeria della caserma.
“Stanno andando a chiamarla, vedrai che sarà qui tra poco. Lo vedi che bel sorriso ha la dottoressa? Sono sicuro che dopo la medicazione ti darà anche una caramella: le tiene nel cassetto… ma che resti un segreto tra di noi, mi raccomando. Altrimenti tutti i soldati verranno qui a farsi curare per averne una e finirebbero subito.”
Del tutto calmata la bambina si fece sistemare sul lettino dell’infermeria, mentre la giovane dottoressa le sorrideva rassicurante e le chiedeva di mostrarle l’escoriazione sulla gamba.
Sicuro che fosse in buone mani, Fury uscì discretamente dalla stanza: alla fine quella sbucciatura e delle irritazioni a occhi e gola erano i danni più gravi di quell’incidente. Persino le postazioni delle sentinelle e l’ingresso alla zona militare non avevano subito danni rilevanti.
Guadagnando l’uscita dell’edificio si accorse della macchina parcheggiata nel cortile di terra battuta e subito corse verso il soldato dai capelli rossi che attendeva appoggiato alla portiera.
“Maggiore! – sorrise, correndo verso di lui – Quando siete arrivati?”
“Due minuti fa, ragazzino – sogghignò Breda, arruffandogli i capelli e prendendogli poi il mento tra le dita per scrutarlo con attenzione – e niente mi fa più piacere nel costatare che l’unico danno da te subito sia la divisa sporca di fuliggine. La prima domanda del generale è stata se c’erano feriti gravi, ma era sottinteso che volesse sapere specificatamente del suo esperto in comunicazione.”
“Allora vado subito a fare rapporto e…”
“Tranquillo, ci sta già pensando il responsabile di caserma: tu eri qui solo per sistemare alcuni impianti dei telefoni e delle radio, non è tua competenza fare rapporto.”
Fury annuì con un lieve sorriso, sempre felice di trovare il sostegno di qualcuno della sua squadra nei momenti di difficoltà: a ventisette anni e con il grado di tenente ormai era in grado di cavarsela da solo, certo, ma la sicurezza data dal gruppo sarebbe sempre stata insostituibile.
“Comunque eri in infermeria – constatò Breda – qualche nostro conoscente?”
“No, una bambina che è caduta malamente e si è fatta alcune escoriazioni sulla gamba: passava davanti alla caserma proprio nel momento dell’esplosione. Fortunatamente nessuna scheggia dell’ordigno l’ha colpita… era fatto in maniera piuttosto rozza mi è stato dato di capire.”
“Niente di nuovo dunque – rifletté Breda, mettendosi a braccia conserte – è inutile, ci vorranno ancora diversi anni prima che frange più estremiste si arrendano all’evidenza che Ishval fa parte dello stato di Amestris.”
“Eppure hanno molte autonomie, più di qualsiasi altro distretto… e la maggior parte di loro è felice di questa situazione.”
“Ci fosse qui il nostro caro Falman inizierebbe una lezione sull’integrazione e sulle sue modalità – scrollò le spalle il rosso – ma una guerra di sterminio, sebbene vecchia di dodici anni, non la cancelli così facilmente: la nostra divisa è per parecchia gente ancora motivo di odio e disprezzo, ormai dovresti averlo imparato.”
“Eppure ci sono diverse centinaia di ishvalani che la indossano – obbiettò Fury – persone che non fanno differenze e…”
“E’ la natura umana, ragazzino, non te lo devo spiegare io: la strada per il compromesso è ancora lunga. Tu mi potrai dire che abbiamo ricostruito assieme questa città: scuole, case, caserme, impianti d’irrigazione… ma sono comunque persone con una cultura differente e molti di loro vorrebbero semplicemente non averci tra i piedi. Specie determinate persone… intendi?”
Fury abbassò il capo con aria triste: intendeva, certo, ma non lo trovava per niente giusto.
Perché quelle determinate persone ci stavano mettendo anima e corpo per ridare dignità a quella terra che avevano contribuito a distruggere anni prima. Ma la gente, invece di apprezzare questa forma di ammenda, preferiva ricordare tutte quelle morti…
“Ecco il generale ed il tenente colonnello, ragazzo – gli diede una gomitata Breda – cerca di mostrarti un minimo sereno, coraggio. Di sicuro renderai migliore il loro pomeriggio.”
Immediatamente Fury scattò sull’attenti, seguito dal rosso, assumendo la sua espressione più innocente.
“Niente di rotto, Fury?” chiese Mustang dandogli una lieve pacca sulla spalla.
“No, signore, tutto bene – annuì il giovane con un lieve sorriso – sul serio.”
“Diversi soldati hanno avuto problemi ad occhi e gola – commentò Riza squadrandolo con attenzione – sicuro di non avere fastidi?”
“Sicurissimo, signora, non si deve preoccupare. Sono solo con la divisa un po’ sporca, tutto qui.”
“Niente che una doccia ed un cambio non possa levare – spiegò Breda – vogliamo tornare alla base, signore? O dobbiamo fare altro in questo posto?”
“Torniamo pure alla base, maggiore – confermò Mustang, aprendo la portiera – vieni, Fury, presumo che anche tu abbia finito il lavoro per cui eri stato chiamato.”
 
Dalla terrazza del Quartier Generale di New Ishval Riza osservava la calda luce del tramonto accarezzare le prime case, proprio al confine con il deserto. Tutto era calmo, tranquillo, tanto che era possibile sentire le voci delle donne che richiamavano per la cena i propri figli e le risate di questi ultimi che interrompevano i loro giochi per correre verso casa.
Erano questi i momenti di quiete in cui si sentiva in pace con se stessa, in cui si diceva che davvero erano riusciti in parte a fare ammenda alla guerra di dodici anni prima. Donne che avevano vissuto per anni in campi profughi o in altri luoghi di fortuna, sempre timorose di essere cacciate o peggio, adesso avevano una casa da offrire ai propri figli, del cibo da dare loro, dei letti comodi dove farli dormire. Potevano guardarli giocare felici per le strade senza che nessuna guerra turbasse il loro futuro.
Pace e sicurezza due concetti così semplici ed universali e che tuttavia non erano per niente scontati.
La sua mente tornò inesorabilmente al piccolo corpo che aveva raccolto dalla strada il giorno in cui era finita la guerra: un bimbo di circa dieci anni a cui era stata negata la crescita in un paese in pace. Anche se non era stata lei l’artefice della sua morte, Riza ne portava ancora il peso nel cuore… così piccolo e fragile, con gli occhi rossi spalancati a fissare il vuoto.
“Eccoti qua, tenente – una voce dietro di lei la avvisò che non era più sola con i propri pensieri – è quasi ora di cena, non vuoi venire? Eppure non è mai indicato far aspettare Breda.”
“Adesso arrivo, signore – annuì lei senza però smettere di osservare la città – cominci pure ad andare.”
Ma Mustang non lo fece: si trattava di un mai collaudato copione che accadeva ogni volta che si trovavano in quel Quartier Generale. Lui o lei finivano inevitabilmente in quel balcone, quando i ricordi ed i rimorsi della guerra si facevano troppo forti e l’esigenza di solitudine si faceva pressante.
Non era come ad East City dove niente era più gradito che stare nel solito e confortevole ufficio a districarsi tra i problemi quotidiani su come governare un distretto sempre più in crescita economica. No, andare a New Ishval voleva dire, ogni dannata volta, fare i conti con il passato e rendersi conto che, nonostante gli innegabili passi avanti, c’era ancora tanto… troppo da fare.
E che il popolo dagli occhi rossi mai li avrebbe perdonati del tutto.
“Ci hai riflettuto? – chiese ancora il generale, posando le mani sulla balaustra – Il numero degli attentati aumenta esponenzialmente ogni volta che siamo qui. Ma mai contro le nostre persone: sempre obbiettivi militari più deboli come caserme o uffici militari.”
“L’idea che ishvalani possano far parte dell’esercito non piace a molti, signore – ammise Riza – ha dovuto aspettare ben tre anni prima che la sua proposta venisse avvallata dal Comandante Supremo, non sono io a doverglielo ricordare.”
“Rimpiango che il tenente colonnello Miles se ne sia tornato a Briggs – sospirò l’uomo, arruffandosi i capelli con aria irritata – era un ottimo elemento di distensione. Ma, come ha detto lui, ormai siamo in grado di reggerci da soli, sulle nostre gambe.”
“Lo siamo, signore: non si faccia abbattere da queste problematiche. Sono più che normali.”
“Ah, tenente, mi conosci troppo bene ormai – ridacchio con malinconia Roy – probabilmente sei l’unica che sa bene cosa provo a guardare questa città.”
Riza osservò il suo superiore con un sorriso triste: in quei momenti Roy Mustang le appariva incredibilmente stanco, come se un grosso fardello venisse posto sulle sue spalle. Ogni volta che andavano in trasferta ad Ishval era come se invecchiasse di colpo di almeno dieci anni. Non per qualche esternazione fisica: a trentacinque anni il generale del distretto dell’est era nel fiore delle forze ed il suo magnetismo non era per niente diminuito. Era più che altro qualcosa nella sua voce, nel suo sguardo: spesso Riza vi riconosceva gli occhi spenti del giovane soldato dal cappotto bianco e sporco di sabbia che si chiedeva come un bel sogno, quello di proteggere il proprio paese, potesse esser stato storpiato in un simile modo.
Del resto erano le medesime sensazioni che aveva provato pure lei.
Riportando lo sguardo sulla città, la soldatessa notò come ormai le ombre della notte iniziassero a farla da padrone: tutti i richiami delle donne erano finiti e regnava un pacifico silenzio. Presto l’escursione termica di quella zona desertica avrebbe resto molto piacevole un pasto caldo ed un ambiente confortevole dove rifugiarsi.
I loro cuori erano così: oscillavano tra entusiasmo e rassegnazione, con la grande paura che la loro ammenda non sarebbe mai bastata del tutto.
E dopo cinque anni ininterrotti di lavoro la cosa diventa anche logorante.
“Beh, vogliamo andare? – la riscosse Mustang – stai allegra con lo spirito, tenente: il nostro Fury non si è fatto niente quest’oggi e tra tre giorni torniamo a casa.”
“Non si dimentichi che tra otto giorni si deve recare a Central City per la convocazione del Comandante Supremo, signore. E’ bene che prepari tutti i rapporti e le relazioni del caso.”
“Relazioni e rapporti che io e tuo nonno butteremo allegramente sulla scrivania – scrollò le spalle l’uomo, recuperando parte della propria strafottenza ed indolenza – sul serio, troppa burocrazia fa male allo spirito, non sei d’accordo.”
“Se pensa di venire meno al suo lavoro si sbaglia, signore – dichiarò Riza iniziando ad avviarsi – vogliamo andare? Altrimenti il maggiore Breda verrà a cercarci.”
“O più probabilmente inizierà senza di noi.”
 
La mattina successiva Fury era libero da impegni: quando questo accadeva in genere andava dal tenente colonnello o da qualche altro suo compagno per chiedere se aveva bisogno di una mano in qualcosa. Tuttavia, quel particolare giorno, era felice di quelle ore di tranquillità: voleva fare una commissione molto speciale.
Alla caserma del giorno prima si fece dare alcune indicazioni dai soldati e poi si inoltrò tra le strade di New Ishval. Era giorno di mercato e niente lo metteva più di buonumore che vedere tutti quelle persone attive e affaccendate: quelle scene quotidiane avevano la capacità di rasserenarlo… era come se la vita si mostrasse in tutto il suo splendore, facendo capire che guerre e dolori erano solo delle distorsioni che, sebbene presenti nella storia, non avrebbero mai vinto del tutto.
Più di una volta avrebbe voluto trascinare il generale ed il tenente colonnello in simili situazioni, sicuramente avrebbe fatto loro piacere. Ma era come se i suoi superiori si rifiutassero di mischiarsi con la gente comune. Non lo facevano per snobismo, assolutamente, ma secondo Fury in questo modo si privavano di una gioia del tutto particolare. In fondo se quelle persone riempivano il mercato di voci, risate, chiacchiere, era anche merito loro. Perché non goderne?
“Buongiorno, signore – lo salutò una vecchia accanto ad un carretto – gradisce dei samaras?”
Fury si accostò a lei e annusò con piacere quel dolce tipico di Ishval: grazie al maggiore Breda ormai era un vero intenditore e quelle frittelle colme di miele e noci erano tra le sue specialità locali preferite.
“Me ne può dare una decina?” chiese, iniziando a frugare nelle tasche per tirare fuori i soldi.
Del resto non era bello presentarsi senza un regalo.
 
Sarella aveva nove anni ed era la terza di cinque figli.
Accolse Fury con gioia, ricordandosi perfettamente di lui: con orgoglio mostrò la fasciatura alla gamba, dicendo che non aveva pianto nemmeno un pochino durante la medicazione. E, ovviamente, gli occhi rossi le brillarono di golosità quando il soldato le porse il pacchettò di dolci.
“Non doveva disturbarsi così, signore – sorrise la madre mentre quattro bambini sedevano per terra a spartirsi i dolci – ha già fatto molto per mia figlia.”
“Oh, volevo solo sincerarmi che stesse bene – arrossì Fury con imbarazzo – mi sembrava il minimo e…”
“Che ci fa un soldato di Amestris a casa nostra?”
La voce giunse come una sferzata, distruggendo improvvisamente l’atmosfera rilassata che si trovava nella piccola e tranquilla cucina dalle mura di pietra. Girandosi verso l’ingresso il tenente vide che a parlare era stato un ragazzino sui quindici anni che lo squadrava con sospettosi occhi rossi.
“E’ il soldato che ieri ha soccorso tua sorella – disse la madre con voce severa – ed in ogni caso non dovresti essere così scortese con un ospite.”
“Lui non è un ospite – sbottò ancora il giovane – è un invasore: quando ci lascerete in pace? Avete ucciso migliaia di persone del nostro popolo e adesso pretendente anche di venire a casa mia?”
“Ma veramente…” cercò di spiega Fury, mentre i bambini più piccoli scoppiavano a piangere.
“Dannato te! Peccato che l’esplosione di ieri non ti abbia ucciso!”
“Sarieb!” esclamò la donna alzandosi in piedi con aria minacciosa.
Ma prima che potesse dire o fare qualcosa contro il figlio, questi era già corso via.
 
Quel brutto episodio aveva davvero scosso Fury, più di quanto avesse fatto l’attentato del giorno prima. Era come se l’odio e la diffidenza fossero destinati a non finire mai, portati avanti anche dalle nuove generazioni che, invece di guardare al futuro, preferivano affondare i loro sentimenti nel passato.
Però, effettivamente, se mi fossi trovato al posto loro forse proverei le medesime cose.
Con un sospiro alzò lo sguardo e si accorse che la sua passeggiata l’aveva portato nei pressi del tempio di Ishvala, la divinità venerata da quella gente del deserto. Era un edificio imponente, ma non sfarzoso, in perfetto tono con quella terra così dura. Da quanto aveva imparato si trattava di una divinità abbastanza severa, in parte responsabile di uno stile di vita spesso rigido e diviso in caste.
L’alchimia, per esempio, non era contemplata da quel credo: l’arte del comprendere, scomporre e ricomporre era considerata un intrusione nella sfera divina. In teoria il generale Mustang era una sorta di eretico per quella gente, come qualsiasi alchimista.
Però non…
“Ho saputo dell’incidente di ieri pomeriggio –disse una voce – non è molto saggio andare in giro da solo.”
Fury si girò e si trovò davanti Scar.
Annuendo distrattamente il tenente non poté far a meno di pensare da come fosse cambiato rispetto a quel folle omicida che, cinque anni prima, aveva decimato gli alchimisti di stato. All’epoca era un uomo nei cui occhi si poteva leggere solo sete di vendetta: Fury aveva avuto occasione di vederlo solo quando aveva attentato alla vita di Edward, ad East City, e niente l’aveva spaventato quanto la furia fanatica con cui aveva combattuto.
Adesso invece vestiva come uno dei monaci del tempio e persino la cicatrice in viso sembrava perfettamente in linea con lui. I capelli, che ad inizio ricostruzione erano più lunghi, avevano un taglio più vicino allo stile dei monaci guerrieri della sua casta. Una tunica a maniche lunghe copriva entrambe le braccia, recanti i tatuaggi alchemici. Il tenente trovò a chiedersi se avesse usato l’alchimia da quando era tornato tra la sua gente.
“Volevo solo andare a trovare una bambina che si era fatta male.”
 Non disse come era andata a finire, ma l’uomo fu sicuramente rapido a capire.
“Non puoi pretendere che tutto venga cancellato con facilità – scosse il capo – il sangue versato su questa terra non verrà mai dimenticato dal mio popolo.”
“Tu però ci hai aiutato, e così buona parte della tua gente – obbiettò Fury. Raramente aveva parlato con Scar, il cui vero nome restava ancora sconosciuto, ma questa volta sentiva l’esigenza di ascoltare i pensieri di uno che dalla guerra era stato profondamente ferito… e che era dall’altra parte degli schieramenti – anche il tuo maestro diverse volte ha detto che bisognava superare i sentimenti di vendetta e guardare avanti, no?”
“Riusciresti a superare con tanta facilità i sentimenti di vendetta e di odio se la tua famiglia fosse stata sterminata? – gli chiese Scar, con voce severa, fissando la scalinata del tempio – Non farla troppo facile, ragazzo. Tu sei più giovane del tuo superiore e la guerra non ti ha toccato. Ma se le persone a te care fossero state uccise non parleresti così a cuor leggero. Il dio Ishvala ha messo a dura prova il suo popolo, me stesso, e con pazienza ci aiuterà a capire cosa è meglio fare.”
“Capisco…” annuì docilmente Fury. Se c’era una cosa che spesso l’aveva colpito era la devozione che il popolo del deserto aveva per la propria divinità.
“Tu non credi in alcun dio, vero?” gli chiese ancora Scar, fissandolo con attenzione.
“No – ammise il soldato, sentendosi in lieve imbarazzo – non… i miei genitori non… nel mio paese non crediamo in nessun dio, mi dispiace.”
“E in cosa credi?”
Fury si irrigidì leggermente, come quando a scuola, all’improvviso, veniva chiamato alla lavagna. Ma proprio come accadeva in quelle occasioni, si accorse di sapere la risposta.
“Credo nei principi che mi hanno insegnato i miei genitori – disse pacatamente – a rispettare il prossimo, essere gentile, credere nella giustizia. Credo nel generale e nella sua buona volontà e nel legame che mi lega alla mia squadra e alle persone a cui voglio bene… credo che sia giusto fare del bene alle persone, tutto qui. Lo so, forse appare banale, ma…”
“Non è banale – scosse il capo Scar – ma la fede è ben altra cosa. E’ quello a cui ti aggrappi quando tutto ti crolla addosso. Se ti accadesse una cosa simile a quella successa al mio popolo, se un giorno dovessi smettere di credere nel tuo superiore, che cosa…”
“Oh, non potrà mai succedere! – esclamò Fury scuotendo il capo con enfasi – E’ vero, dodici anni fa in questa terra ha commesso degli errori imperdonabili, ma non ha voltato le spalle alle sue colpe! Ed io farò sempre di tutto per aiutarlo!”
Scar sorrise lievemente a quella dichiarazione.
Mise una mano sulla spalla del soldato e poi iniziò a salire la gradinata del tempio.
Fury lo osservò fino a quando scomparve all’interno dell’edificio.
Ma poi scosse il capo e si rese conto che il sole cocente stava iniziando a dargli davvero fastidio: se c’era una cosa che detestava di quel posto era il caldo opprimente ed i raggi che molto spesso gli scottavano naso e guance.
Sarebbe stato un bene quando tra qualche giorno sarebbero tornati ad East City.





Ovviamente, essendo passati cinque anni dalla trama del manga, i nostri cari soldati sono tutti saliti di grado.
Grazie a chi mi sta seguendo, a chi mi preferisce e a chi mi recensisce, nonche ai silenziosi lettori ^___^

 
  
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