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Autore: Rota    19/03/2015    2 recensioni
Il tempo dei lupi non si è ancora estinto. Il tempo dei canti al cielo e delle veglie notturne, occhi di fuoco nella notte e nel giorno, non è ancora deceduto.
Come il lupo solitario, lontano da ogni possibile branco – pelo rossiccio talmente scuro da ricordare il porpora, o il sangue profondo proveniente direttamente dalle viscere. Lupo sperso, nel bosco fitto di una terra che concede persino allo smarrimento una via di redenzione, nascosto tra rocce dure e spigolose senza anima e senza spirito fisico. Lupo sempre, grande quanto può essere un orso e dotato della stessa famelica voglia di ogni cosa tranne che di sé medesimo. Lupo chiamato, dai pochi esseri umani che osano vivendo in quella zona mescolare il proprio destino a quello della totalità del tutto, “Gerbera della neve” o “Murasakibara”.

[MuraMuro WereWolf/AOB!Verse]
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Atsushi Murasakibara, Taiga Kagami, Tatsuya Himuro, Un po' tutti
Note: AU, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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*10*

If you need [me], change me

 

 

 

Tatsuya corre tra le dune bianche di neve.
Non lo ferma il freddo, non lo ferma il ghiaccio su cui le suole delle sue scarpe scivolano, non lo ferma il terreno duro pieno di sassi né l'odore sempre più pungente di foresta. Corre senza volontà, per scaldare il fiato che ha nei polmoni e per sentire il vento tra le pieghe del pelo cupamente rosso.
Si piega contro i rami bassi degli alberi scuri, con il corpo e con le spalle, non si cura del terrore che espande tra le piccole anime degli animaletti del luogo – una lepre salta fuori a un mucchio di rovi, per poi sparire alla vista con neanche l'eco dei suoi passi accelerati.
La furia è qualcosa di ben diverso da ciò che è racchiuso nel suo sguardo: totale assenza, rifiuto di un qualsiasi contatto con la realtà. E forse fa più paura quello che tutto il resto.
Cerca di non mostra interesse, e torna a guardare in avanti.
Gli duole la mano stretta a pugno, la sola che ha ancora l'impressione della durezza della guancia di Taiga. Picchiare qualcuno è così difficile e doloroso, si chiede in un istante di pazzia come suo fratello e quell'idiota di Hanamiya riescano a farlo quasi ogni giorno. Decide che non lo vuole sapere, come non vuole più sapere niente di Taiga. Anche la rabbia fa male, eppure non riesce a smettere di provarla.
Il più grande degli Himuro sa il motivo di tanta agitazione, nel suo cuore: crede però più nel proprio orgoglio che nella validità di una vera soluzione, e questo lo ferma in un solo punto e in un sol frangente. Piangerebbe di stizza e di paura assieme se solo non fosse così impegnato a respirare.
Riesce a fermare i suoi passi, finalmente – si piega sulle ginocchia e recupera tutto il fiato che ha disperso. Si accorge di tremare e questo gli fa nascere un sorriso, triste, sulle labbra.
C'è una bella luna piena, in cielo. Bianca di latte, contornata da mille sogni opalescenti. Tatsuya la guarda un attimo, gli pare così eterna e immobile e meravigliosa, non indifferente a tutto ma superiore, intoccabile e imperscrutabile.
Ha un pensiero bello, da rivolgerle, seguito subito da un altro. Sente l'aria freddissima pizzicargli le guance, e quindi anche la necessità di scaldarsi e di fare qualcosa; paradossalmente, sente l'urgenza di consumare la vita, in qualche modo.
Un ruscello lento, sopravvissuto alla neve e al primo autunno, picchia diverse gocce grosse sopra sassi nascosti nell'ombra: quello è il ritmo. Ma basta anche chiudere gli occhi per trovare scie nel buio, colori accennati e accompagnamenti debole. Tatsuya pensa che la luna sappia cogliere l'eleganza delle cose anche nei dettagli, e che non abbia bisogno di alcuna esplosione esplicita per rimanere scossa.
Si muove, nei primi passi. Agita anche le braccia coperte da un solo maglione, e comincia a sentirsi già meglio.
È la stessa luna che gli rivela l'arrivo di un altro ospite, lì tra l'erba verde di riposo. Muso lungo e dimensioni di una collina, orecchie dritte e il naso attento a ogni cosa. Il ragazzo guarda in alto, negli occhi chiari di Murasakibara.
Ha vissuto abbastanza a contatto con la natura per sapere come funzionano certe cose, e che l'esigenza come l'occasione vengono sedotte molto abilmente dalla fame. Lo sa, ma in quel momento non gli interessa: torna a muoversi come prima, brusco o meno a seconda del gesto dovuto, mentre il grande Lupo lo fissa, piuttosto incuriosito. E brilla, la luna, accesasi di passione e di vita, comunicando ai suoi fedeli una delle tante verità nascoste del creato.
Quando l'animale balza, non lo fa per saltargli addosso o azzannarlo. Ritmo dei suoi piedi e melodia nel fiato – parole che lui non può dire ma che Tatsuya sente lo stesso.
Quello che si crea piace a entrambi, moltissimo.

 

***

 

Alex si alza piano, dalla sedia della cucina, con ancora tra le labbra l'unico boccone che è riuscita a portare alla bocca e quindi a masticare, per ben cinque lunghi minuti: dovrà buttare via un altro piatto pieno di cibo, anche quel giorno. Nel sollevare e spostare la mano, compie un gesto troppo veloce e brusco, rovesciando quindi il bicchiere sul tavolo e poi sul pavimento. L'acqua contenuta prima al suo interno bagna la superficie di legno e sgocciola infrangendosi sulle piastrelle lucide.
La donna guarda il tutto passivamente, senza alcuna reazione. Neppure il rumore del vetro infranto l'ha spaventata più di tanto né l'ha fatta sobbalzare. Porta i piedi nudi, ma non ha paura di ferirsi con i cocci di vetro.
La verità è che non sente più molto. Che siano i propri bisogni o reazioni del mondo esterno, si sgretolano nel nulla attorno a lei, privi di reale importanza. Non sente neanche più il freddo, come le prime giornate – persino il telefono ha smesso di squillare, ad un certo punto, e lei si è chiesta se qualcuno dei suoi colleghi di lavoro, oltre alla premura di lasciarla sola nella propria attesa, abbia pensato anche alla ragione di un tale comportamento.
Ma quello è un paese piccolo, tutti sanno certe cose subito: di certo, la sparizione di due ragazzi non è una novità ma anche un pettegolezzo papabile, in un luogo dove la morte risulta novità.
Non vuole pensarci, non più.
Prende da un cassetto un sacchetto di carta, cominciando a raccogliere il vetro da terra. Non fa troppa attenzione e con uno di quelli si taglia un dito, aprendosi una sottile linea rossa sul polpastrello dell'indice destro. Continua, dopo averlo guardato.
Ha pensato, spesso a dir la verità, a come il proprio affetto in realtà fosse in qualche modo privo di significato. Certi avvenimenti, come quello, fanno pesare la mancanza di un legame di sangue, perché quasi risulta una sorta di vanità personale e del tutto egoista nel tenere salde certe convinzioni. Quelli che chiama figli non le devono nulla, e non tanto come essere umano ma anche come genitore: lei, d'altronde, non è quasi nulla, per loro.
Sono pensieri terribili, questo lo sa anche lei, che le capitano in mente quando si ritrova sola e a dover affrontare un problema più grosso del previsto. Taiga la prima volta, ora Taiga e anche Tatsuya: di fronte a un avvenimento simile, come a un possibile e forte rifiuto, non crede di aver la possibilità di tenerli legati a sé, perché non le appartengono davvero. Loro sono buoni e non le rinfacciano questa sua mancanza di fondo, ma nel cuore della donna alberga questa terribile consapevolezza e paura.
Anche di fronte alla morte, arriverebbe a pensare di essere soltanto un'ipocrita, che ha agito per il proprio desiderio di fare del bene e di dare amore piuttosto che la spinta stessa di quel preciso sentimento.
Dopo aver buttato il vetro nella spazzatura, recupera una coperta calda e se ne avvolge la spalle, raggiunge il divano e si siede, in silenzio. Non accende la televisione, non ascolta la musica: attende e basta, perché altro non può fare.
La luce del giorno sta morendo, assieme al sole. Sente il rumore di una certa parte di natura che si prepara a dormire, e il bambino dei vicini che rientra a casa con la sua bicicletta chiassosa.
Chiude gli occhi, per qualche istante, e tutto ciò che vede è soltanto buio e tenebra. Apre gli occhi, e si ricorda per sbaglio che sono almeno tre giorni che non guarda fuori dalla propria finestra, in attesa dell'arrivo di qualcuno. Temporeggia giusto un paio di minuti, il tempo per chiedersi se valga la pena sentire ancora il cuore che brucia di tristezza oppure no.
Gira la testa, e vede il bosco lontano. E anche qualcosa che cammina nella sua direzione.
Si avvicina al vetro e riconosce un ragazzo zoppo e uno dai capelli rosso fuoco. Trattiene il fiato, anche quando la sua mano trova la maniglia della porta – gli occhi sono puntati verso l'esterno e non lasciano neanche un secondo l'oggetto della propria visione, temendo quasi che possa sparire da un momento all'altro.
Con i piedi nudi, sulla veranda, chiama forte il loro nomi: due braccia si alzano, e il suono del proprio nome riechieggia forte.
Sono tornati da lei.
Alex lascia ogni paranoia indietro, quando si mette a correre nell'erba e nella neve. Espelle ogni angoscia con lacrime salate, ogni paura stupida con quel respiro contaminato di troppo ossigeno consumato in una casa chiusa.
Loro sono sporchi e puzzolenti, vestiti a malapena. Riescono a stritolarla lo stesso quando lei li raggiunge e li trattiene nelle proprie sottili braccia.
Li bacia, mille e mille volte; tocca i loro capelli e le loro teste, ha la necessità di sentire i loro cuori e la loro voce, dopo tutto quel silenzio. Ripetono l'uno i nomi dell'altro, senza molto senso, e ogni tanto scappa qualche insulto e qualche risata assieme.
“Mai più”, dicono. “Mai più”, promettono. Si fa fatica a pronunciare qualsiasi altra cosa e a rimembrare rancore o tristezza.
Alex si ricorda il perché ancora e ancora hanno l'esigenza di chiamarsi famiglia: godere di quella felicità che toglie ogni fiato, tutti assieme, tutti e tre solamente. Si ricorda, anche, che è l'unico modo possibile per cui tutto vada bene, per loro.

 

***

 

La normalità è diventata strana: Tatsuya lo pensa quando si ferma a respirare un attimo, in mezzo alla strada che lo conduce alla scuola sua e di suo fratello.
Taiga è corso in avanti, incontro a Kiyoshi, e senza accorgersene lo ha lasciato indietro – non da troppo peso alla cosa, e anzi ricambia il sorriso del ragazzo quando vede che quello si rivolge anche a lui, pur da lontano. Nessun altro lo nota, in mezzo al correre dei ragazzi in ritardo e di genitori frettolosi. Il vociare assonnato del mattino è così diverso dal cincischiare dei piccoli fringuelli mattinieri, così come il rumore di automobili differisce di molto dallo scorrere veloce ed energico dei fiumi profondi. Una cosa è l'eccezione e l'altra è la regola: serviva conoscere entrambe per capirne il valore, l'esperienza per dare importanza a ogni dettaglio.
Il ragazzo si sistema meglio lo zaino sulle proprie spalle, afferrando la maniglia della propria stampella riprendendo a camminare. L'edificio scolastico gli pare di fattezza così dura, allo sguardo, ma non è una sensazione negativa. I suoi sensi sono diventati più acuti, e contestualizzano meglio determinati particolari più di quanto non abbia mai fatto l'abitudine. Ogni oggetto, ogni persona e ogni animale ha un'identità unica, inglobata in quel creato che ora comunica con lui.
Respira forte, due o tre volte – qualcuno lo urta correndo e quasi lo fa cadere, senza voltarsi a guardarlo o scusarsi. Importa anche quello relativamente.
Per un attimo pensa a Murasakibara e alla sua possibile reazione di fronte a una cosa del genere. Ride tra sé e sé all'immagine di un gigantesco Atsushi che ferma qualcuno e gli intima di fare più attenzione. Sarebbe strano vederlo vestito, più che vederlo interagire con qualcuno che non sia lui o qualche altro Lupo. E da un certo punto di vista, gli piacerebbe anche vedere cosa potrebbe succedere spargendo un po' di terrore, con quella figura così insolita al proprio fianco.
Entrando a scuola, gradino dopo gradino, sente in maniera distratta qualcuno parlottare a proposito di Hanamiya e dei suoi cinque giorni di assenza dal villaggio; pare davvero che nessuno sapesse del suo hobby della caccia, tanto meno quello meno legale. Kuroko non ha voluto dirgli cosa ne avrebbe fatto del cadavere, come non gli ha detto di cosa avrebbe fatto del cadaveri di tutti gli altri cacciatori pervenuti: meno sa, più è protetto dalla curiosità altrui.
Ma anche se qualcosa di lui fosse recuperato, non pensa troverebbe opportuno andare al suo funerale né rivolgere alla sua anima pensieri di buon augurio. Sarebbe così ipocrita che persino lui vorrebbe evitare. E poi ha già visto abbastanza cadaveri perché la sensazione gli basti per tutta la durata della sua vita, non cercherà altre occasioni per assistervi.
Lungo il corridoio, nota qualcuno di conosciuto che muove il braccio e la mano cercando di catturare la sua attenzione. Si muove quanto più veloce la sua condizione gli permette, ben disposto e con un sorriso, verso il professore Nakatani.
-Himuro- kun.
L'uomo sorride in modo sincero, non ha proprio l'odore di qualcuno capace di mentire così a viso aperto, di fronte a un proprio studente.
-Come stai?
Tatsuya, d'altronde, ormai non ha neanche più motivo di sentirsi in soggezione davanti a lui.
-Sto bene, grazie. Oggi sarà una giornata piuttosto leggera, quindi sono più tranquillo.
L'uomo è stato uno dei pochi, all'interno del villaggio, che si è sinceramente preoccupato della sua scomparsa, il mese prima. Il ragazzo lo sa grazie ad Alex, ma anche nel proprio cuore lo ha potuto intuire da sé appena visto in viso: la sottile felicità di chi non ha perso non una persona cara ma una persona vicina e conosciuta gli viene palesata con gentilezza discreta.
Con una persona del genere, è anche facile aprirsi.
-Io le devo dire una cosa, professore.
-Sì?
-A proposito di quello che abbiamo detto l'ultima volta.
-Oh, hai pensato a qualcosa?
-Ho pensato al mio futuro.
-E cosa hai concluso?
Tatsuya abbassa qualche attimo lo sguardo, riuscendo a notare suo fratello all'angolo opposto del corridoio. Li sta guardando, e smette di essere visibilmente ansioso quando il maggiore gli ricambia lo sguardo. Se avesse la coda, in quel momento, si metterebbe ancora a scodinzolare, e sarebbe così tenero e carino.
-Non so ancora di preciso cosa sarò, ma ora credo di sapere cosa non voglio essere e dove non voglio stare.
L'uomo è felice e non lo nasconde.
-Credo che sia già un buon punto di partenza. Tu sei giovane, anche, e hai tutte le possibilità per un avvenire radioso.
-Grazie.
Suona la campanella, poco sopra la loro testa, e il movimento attorno a loro si fa improvvisamente più concitato di prima.
-Ora vai, che le lezioni iniziano.

 

-Tatsuya- kun! Finite le tue pastiglie?
Ora che l'olfatto, più di tutti gli altri sensi, è diventato così sensibile, entrare in quel posto che sa così tanto di pulito e di alcool disinfettante è quasi una tortura. Taiga è rimasto fuori, per cura di suo fratello maggiore, e si risparmia tutto quello – lui non è in grado di nascondere smorfie o disgusto, al contrario di lui.
Cerca comunque di rimanere vicino all'entrata, per poter scappare via velocemente.
-Pare proprio di sì.
-Oh, il tempo passa tanto in fretta. Se ne consumi così tante in così poco tempo, ne dovrò ordinare altre presto.
L'uomo si alza dalla sua preziosa e costosissima sedia e va a prelevare da uno dei suoi mille armadi gli antidolorifici che servono al suo paziente.
-La ringrazio.
Quando, più di una settimana prima, il ragazzo gli è stato portato davanti, il medico ha fatto il suo lavoro senza scomporsi minimamente, per nulla impressionato dallo stato del suo fisico e delle sue ferite. Per una volta, neppure lui ha avuto da ridire sui suoi modi freddi e insinuanti, abbastanza carico di gratitudine da soprassedere ai suoi modi poco tranquillizzanti.
Nel prendere la scatoletta dalle sue mani, Tatsuya cerca di ricordare la sensazione provata allora, ma ci riesce a malapena. È sul punto di andarsene, senza una parola di più, quando l'altro lo ferma.
-Non hai sentito dolori strani, in questi giorni?
-No, nessun dolore strano.
-Il tuo piede come sta?
-Cammino.
Aggiunge subito, onde evitare ulteriori domande e ulteriori problemi.
-Ma non mi sforzo troppo.
-Ne sono contento.
Il ragazzo è già girato verso la porta, quando l'uomo lo ferma ancora.
-Il fianco di tuo fratello non ha problemi, vero?
-No, nessun problema.
Tatsuya, però, si blocca in quel preciso passo, con l'ingresso già aperto. La fretta non gli ha impedito di cogliere un particolare per nulla irrilevante – non osa volgersi del tutto verso il medico, ma ragiona per qualche secondo di silenzio.
Il sangue di Taiga è migliore di qualsiasi medicina, perché a differenza di quello del fratello maggiore, che è appena mescolato con quello di Lupo, è abbastanza puro da poter provvedere a se stesso e a donargli un potere rigenerante piuttosto efficace. Tanto che la sera del ritorno il fratello minore non aveva alcun tipo di ferita.
Shoichi sorride tranquillo, di fronte alla faccia sorridente di Tatsuya.
-A lei piace la caccia, Imayoshi- san?
-Abbastanza. Secondo il concetto della pulizia, almeno. Non mi permetterei mai di cacciare il capobranco di una mandria di bufali. Ma se ci sono bestie nocive per il sistema, è giusto che tutta la comunità si adoperi per sradicare il problema alla radice.
Si sistema meglio gli occhiali sul naso, nascondendo meglio il proprio sguardo.
-È così che funziona, in natura.
C'è un bottone, alla fine del camice candido del medico, che lascia aperto l'abito – e una maglia dal collo abbastanza largo da poter permettere la vista di un pezzo di pelle bianchissimo e segnato dall'orma precisa di alcuni denti, vicino alla spalla.
Tatsuya non ha bisogno d'altro.
-Buona giornata, Imayoshi- san.
-Salutami tua madre e tuo fratello, Tatsuya- kun.

 

 

 

That yellow moon teases me, that I can’t have you.
‘But you’re only a rough beast.’
If you’re going to say that kind of thing, get lost. If you need [me], change me.
I can never let her go.

   
 
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