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Autore: shanna_b    15/12/2008    7 recensioni
E Tomo? Una rock star come lui dite che sia esente da dubbi lavorativi e problemi di cuore? E se, improvvisamente, un giorno, il suo sound non funzionasse più, la sua ragazza l'avesse mollato, i Leto lo volessero sopprimere e lui dovesse addirittura andare a scuola di chitarra? Guai seri, mie care, guai seri!
E poi nessuno che dedichi una ff al timido, amabile, delicato chitarrista dei 30 Seconds to Mars? Meno male che ci pensa la Shanna_b!!
Dedicata quindi a tutte le fans di Tomo e a Tomo stesso, sapendo che, al solito, io non lo conosco, non ho idea di come sia, non prendo soldi, non mi appartiene etcetc... Leggete e commentate!
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tomo Miličević
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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DEL COME TOMO SCOPRE CHE NON ESISTONO SOLTANTO I 30 SECONDS TO MARS.

 

 

Tomo era quasi senza parole: “C-come?”

“Devi suonare, Tomo! Al posto mio, ORA!!!”

SecondLeaf era arrivato anche lui dietro le quinte di corsa e Tomo tentava di togliersi lo strumento sfilandosi la cinghia dalla testa e schernendosi: “Ma perché? Non posso, dai…”

George chiese cosa stesse succedendo, mentre Dana teneva la chitarra addosso a Tomo in modo che non se la potesse togliere: “Ti prego, ti prego, Tomo… C’è… c’è Julius in platea. Io…”. Dana si mise le mani sulla testa, disperata: “Da non credere… io… non so cosa faccia qui, ma… ma se mi vede sono… rovinata, lo sai, no? Ti prego, Tomo…”

Tomo era decisamente a soqquadro: “Oddio santo, come faccio?”

“Le conosci le canzoni successive, Tomo?” chiese SecondLeaf, mettendogli una mano sulla spalla.

Finalmente Tomo riuscì a sfilarsi la Ibanez ed appoggiarla al muro lì vicino: “S-sì… ma…”

FirstLeaf gli si attaccò al collo: “Ti prego, ti prego… aiutaci… ti basta soltanto suonare le partiture che abbiamo studiato. Le sapevi quando le abbiamo provate giovedì, le sai anche ora… ti prego…”

“Ma io…”

Dana era disperata, il bel volto sofferente: “Nella scaletta di stasera ci sono quelle che hai studiato anche tu, ti prego, Tomo, mi hai già salvato una volta con la torta…. E questa è l’ultima volta che ti chiedo un favore… ti prego…”

Tomo si grattò la testa: vabbé, fare una torta era una cosa, suonare con un gruppo mai visto prima d’ora un’altra: “Preferirei farti un’altra torta…”

Dana si portò le mani alla faccia, mentre tra il pubblico cominciava a serpeggiare qualche fischio: “Oddio… siamo rovinati… e tutto per colpa mia…” La ragazza si sedette per terra, ai piedi di Tomo, distrutta, tirando la camicia a SecondLeaf. “George, io… io non posso, per favore… non posso suonare… non posso…”

SecondLeaf le accarezzò la testa, con tenerezza: “Lo so, lo so, ho capito. L’ho visto anch’io, il tuo prof…” Poi si rivolse a Tomo: “Tomo, dai, ce la puoi fare. Se Dana dice che conosci bene le due canzoni, io le credo. Ci puoi aiutare? Suona al posto di Dana… per favore…”

Nel frattempo erano arrivati anche un paio di giudici a chiedere dell’accaduto, e Carlo e Tom, abbandonato il palco e capito che Dana non avrebbe suonato più, si erano messi a fissare Tomo con occhio implorante.

“Allora vi ritirate dalla gara?” chiese improvvisamente uno dei giudici, con un bloc notes in mano, dopo che George gli aveva detto che Dana non si sentiva tanto bene.

SecondLeaf guardò per un istante i visi di Carlo e Tom e poi Tomo e disse, con una certa dose di sofferenza nella voce, sospirando, mestamente: “Sì.”

Ma a Tomo passarono improvvisamente per la testa mille immagini ravvicinate: si ricordò dei suoi esordi, della sua prima chitarra costruita con il papà, degli scantinati puzzolenti in cui suonava con i suoi amici, riprovò la frenesia che ci mettevano nel tentare di rifare i successi che sentivano alla radio, la speranza di diventare famosi che bruciava nelle vene, la passione che… la passione… oddio… e da quanto tempo non provava queste cose?

Si guardò intorno: gli occhi dei ‘Leaf’ bruciavano della medesima passione, che però non avrebbe portato a nulla se lui non li avesse aiutati. E allora doveva farlo, se lo meritavano. Lui non aveva niente da dimostrare a nessuno, era arrivato alla sua meta, ormai: ma i ‘Leaf’ no e, senza il suo aiuto, quella sarebbe stata un’ottima occasione persa, per non parlare del fatto che, se avessero vinto il contratto discografico, Dana forse non se ne sarebbe andata. Fatti i debiti conti, doveva farsi avanti. “No. Non ci ritiriamo.” Tomo si rimise a tracolla la chitarra di Dana, con decisione. Poi si rivolse ai giudici, mostrando la sua maglietta: “Suono io al posto di FirstLeaf. Vedete? Sono il suo sostituto. Si può, vero?”

Il giudice annuì, scrivendo sul bloc notes: “Sì, certo. Basta che facciamo presto. Presento la prossima canzone, allora.”

Tomo annuì, mentre si sistemava la chitarra e sentiva lo sguardo di FirstLeaf puntato su di lui e gli altri ‘Leaf’ che lo ringraziavano calorosamente. Mentre il giudice presentava la canzone e le luci si abbassavano perché il pezzo era piuttosto d’atmosfera, Tomo cominciò a ripassare mentalmente ‘Shed my skin’ degli Alter Bridge: una sola chitarra, arpeggio iniziale, poi qualche accordo con distorsione, poi senza, poi il bridge, etcetc… nessun assolo, solo un accompagnamento importante, fatto bene e quindi… ma sì, cazzo… lui  non era Tremonti, che suonava con la sua PRS Tremonti II personalizzata con le effigi di gabbiani incastonati nei capotasti, ma era o non era un chitarrista rock? Certo che sì… e non aveva bisogno del DVD ‘The Sound and the Story’ dello stesso Tremonti per imparare qualcosa. E davvero, come aveva supposto Dana, aveva suonato al PinkPop un paio di anni prima, davanti ad un paio di decine di migliaia di persone urlanti e sotto una pioggia torrenziale… non poteva certo farsi spaventare da quella situazione. E, porca puttana, era stato in Groenlandia su un iceberg alla deriva, avrebbe dovuto aver paura di suonare lì, in un teatro? Ma andiamo, via… che cazzo di dubbi si faceva…

SecondLeaf gli fece segno di uscire e Tomo lo seguì, con convinzione, piazzandosi a pochi metri da lui, mentre George, senza chitarra, prendeva in mano il microfono e si sistemava le cuffiette negli orecchi.

Subito Tomo guardò sulla destra del teatro per vedere se c’era ancora Julius ed in effetti lo scorse, appoggiato alla parete, che scrutava sul palco semibuio, lui, un lord inglese, chiaramente fuori posto in mezzo a quella massa di rockettari. Chissà perchè era lì e chissà se il professorino aveva riconosciuto Dana. Tomo sperò di no. Per un momento si girò verso le quinte e la guardò: FirstLeaf era ancora seduta là per terra e, ad occhi spalancati, guardava sul palco, tormentandosi le mani. Tomo le fece l’occhietto e poi si girò subito a guardare SecondLeaf, che annuì e gli disse, sottovoce: “Quando vuoi, Tomo…”

Tomo prese un plettro appeso al microfono, scacciò un dubbio improvviso su cosa avrebbero potuto dire i Leto se avessero saputo che stava suonando con un altro gruppo, deglutì un groppo di saliva e poi iniziò l’arpeggio, perfettamente. E, dopo poche note, SecondLeaf iniziò a cantare.

I am not alone, I live with the memories, regret is my home. This is my true freedom…”

Tomo chiuse gli occhi per un attimo e continuò a suonare, perso nella voce di George che cantava la prima strofa. Quella canzone era decisamente una meraviglia e, ad un tratto, le parole del testo sembravano quasi riflettere le difficoltà in cui Tomo si trovava, specialmente quando la scena si illuminò di una calda luce blu, con energia entrarono basso e batteria, il chitarrista passò agli accordi distorti e George cominciò a cantare il pezzo appena prima del ritornello che diceva: “It seems I've gone away, it seems I've lost myself, it seems really lost my way, it seems I've lost myself, it seems I've… shed my skin…”

Accidenti se era vero: Tomo ad un tratto si sentì di aver perso qualcosa, di non essere più lui, di non riuscire più a fare quello che era capace. Eppure… era lì… era il solito Tomo… e ora stava suonando con quei ragazzi, senza problemi, senza sbagliare… perché allora con i 30 Seconds To Mars era diverso… Cosa aveva perso? Cosa c’era che non andava? Cos’era cambiato col tempo? Stava cambiando ‘pelle’? Come i camaleonti che ne cambiavano soltanto il colore o come i serpenti che la perdevano perché sotto avevano una pella nuova? Aveva anche lui una ‘pelle nuova’ sotto? C’era forse una ‘pelle vecchia’ che gli faceva da zavorra e che doveva buttare al più presto?

La canzone, da brividi, scivolava via: la seconda strofa finì e, dopo il bridge, la canzone si avviò verso il finale, con SecondLeaf che era riuscito a coinvolgere così tanto il pubblico che l’ultimo ritornello lo cantarono tutti, le braccia alzate, con ThirdLeaf che faceva il coretto finale e con Tomo che suonava saltellando per il palco, in perfetta sintonia con gli altri musicisti.

Alla fine della canzone, i ‘Leaf’+Tomo non lasciarono nemmeno salire sul palco il giudice a presentare l’ultima canzone, perché Tomo, in accordo con gli altri, si portò sul davanti del palco ed iniziò subito l’inconfondibile arpeggio iniziale di ‘46&2’ dei Tool. Tutto il pezzo iniziale, con George che cantava, era sulle spalle del chitarrista, con un accompagnamento ipnotico, ripetitivo, cupo. Le luci ora erano rosse, lampeggianti, come gocce di sangue che cadevano sul palco, sembrava di essere dentro un cuore, specialmente quando entrò la grancassa di FourthLeaf in sottofondo. Tomo si sentiva fuggire via l’anima, da quanto gli piaceva suonare quella canzone.

E, da non credere, anche quel testo fu percepito da Tomo come se lo riguardasse, visto che, in una strofa, George cantava: “I wanna feel the changes coming down, I wanna know what I've been hiding in… my shadow… my shadow… Change is coming through my shadow…”: cosa era cambiato (o forse stava cambiando) in lui? Che cosa voleva ora che prima non si era accorto di volere? Dietro dove si era nascosto? Dietro la sua ombra? Tomo era quasi senza fiato, mentre suonava come se fosse in trance: gli parve che tutto lo stesse portando verso una qualche conclusione, sapeva che quella sera lui sarebbe riuscito a capire il perché della sua situazione. Sentiva che da qualche parte, non molto lontano, c’era l’illuminazione e forse anche la soluzione. “I choose to live and to lie, kill and give and to lie, learn and love and to do what it takes to step through…” Sì… c’era una soluzione…

Nella parte finale della canzone, tutta batteria e chitarra distorta, SecondLeaf si spostò, la luce si restrinse su FourthLeaf che, con l’aiuto di Tomo che lo accompagnava con gli ultimi accordi, con un paio di battute sul rullante e sul china ben assestate, diede il colpo di grazia alla giuria, lasciando un pubblico decisamente in delirio per loro!

Subito tutte le luci si accesero e Tomo si riscosse, quasi dispiacendosi che fosse tutto finito. I ‘Leaf’ si spostarono davanti per raccogliere gli applausi. Tomo guardò al lato del teatro: Julius non c’era più e chissà da quanto. Allora il chitarrista chiamò FirstLeaf per ricevere gli applausi assieme a loro, dopo averle fatto segno che il professore non c’era. La ragazza uscì, salutando il pubblico: quasi quasi era sembrato come se i FourLeafClover in realtà fossero stati in cinque e che due chitarristi si dessero il cambio a seconda della canzone suonata. I FourLeafClover erano bombardati dai flash dei fotografi e li applaudivano anche i giudici. Buon segno. I cinque, tenendosi per mano, si inchinarono un’ultima volta e poi uscirono, felicissimi.

Tra le quinte, FourthLeaf iniziò a saltare su e giù con ThirdLeaf dicendo “Ce l’abbiamo fatta, ce l’abbiamo fatta!”, mentre SecondLeaf batteva una mano sulla spalla a Tomo e con l’altra teneva abbracciata Dana, che guardava il chitarrista con occhi adoranti.

“Sei stato bravissimo, Tomo. Davvero mitico…”

Tomo si schernì subito, quasi arrossendo, togliendosi la Ibanez e porgendola a FirstLeaf: “Ma no, non è stato niente.”

Ma George continuava: “Accidenti, devi suonare in un gruppo di musicisti sensazionali, per avere una padronanza tale del palco da poter suonare con chiunque e con un preavviso così breve…”

Tomo fece spallucce, sorridendo, e lo salvò dal rispondere a George solo il fatto che l’ultimo gruppo aveva iniziato a suonare. Riprese subito il filo dei suoi pensieri: Sì-sì, ‘musicisti sensazionali’ i 30 Seconds to Mars? Come no? Diciamo bravi, via, non di più… E continuamente stroncati dalla critica, quello sì… E poi senza una collocazione musicale definita: Emo/non-emo? Alternative? Pop-rock? Rock? Boh…

Il dubbio che lo stava rodendo ricominciò a fargli male.

Gli venne in mente che anche quello poteva essere uno dei motivi per cui aveva perso la fiducia in sé stesso: lui aveva sempre sognato di far parte di un gruppo di musicisti VERI, senza indeterminatezze su genere e capacità, il cui pubblico fosse costituito di gente che se ne intendeva di musica, che li adorava per la loro musica, non solo per la loro bella faccia… Nella sua mente cominciò a formarsi il puzzle delle motivazioni. Sì, quella era una: lui in realtà non si sentiva trattato come un musicista vero. Era solo un’immagine di sé stesso, un’ombra, una sagoma, un bamboccio truccato…

E poi da quando era con i Leto non aveva fatto altro che suonare le stesse cose per anni, non era progredito, non aveva imparato nulla di nuovo, non aveva composto una canzone che fosse una. Si era fossilizzato, come musicista. Aveva solo eseguito le partiture di altri, quelle scritte da Solon o da Jared, senza metterci nulla di suo. E ora Dana gli aveva dato uno scossone e anche, senza volerlo, una possibilità di rinascita.

E poi lui non decideva mai niente, non aveva voce in capitolo sulle cose che riguardavano i 30 Seconds To Mars: non poteva mettere bocca sui pezzi, sulle date delle tournee, sulle interviste, sui costumi, sui video, su… NIENTE. Decidevano tutto i Leto. E quindi alla fine lui NON era i 30 Seconds To Mars. A questo punto si poteva dire che fosse solo un session man, niente di più e niente di meno di come veniva trattato Tim. Al pensiero, gli prese quasi un moto di rabbia: essere parte di un gruppo voleva dire mettersi in gioco, mettere la propria passione, mettere tutto sé stesso in modo paritario e non fare il servo della gleba dei Leto. Tomo si sentì di essere stato in qualche modo soltanto usato.

E poi gli venne in mente un’altra cosa: da quanto tempo non provava VERA passione nel suonare con i 30 Seconds To Mars? Da quanto il momento in cui saliva sul palco lo viveva solo con il terrore di sbagliare gli accordi e non come vero piacere di suonare? Da quanto aveva desiderio di rimanere a letto a dormire piuttosto che andare in studio di registrazione?

Da sempre.

Con i 30 Seconds To Mars era sempre stato così.

Fin dall’inizio. In realtà era sempre stato terrorizzato di sbagliare a fare le cose, con i Leto, a partire dai concerti e finendo con le interviste, in cui, tra l’altro, non parlava quasi mai, per paura di dire cose che potevano non piacere ai fratelli terribili.

Ecco… a posto.

Tomo improvvisamente si rese conto di avere capito tutto: i Leto gli avevano dato tanto (un gruppo affermato, la fama, i soldi, le donne…) ma gli avevano anche tolto tanto: la passione, l’amore per la musica, la spontaneità, la creatività, la libertà…

Mentre era soprappensiero e stava guardando, senza vederli, i ragazzi dell’ultimo gruppo, non si accorse che Dana gli si era avvicinata e gli stava parlando, dopo avergli appoggiato una mano sul braccio, delicatamente.

Tomo sbatté gli occhi: “C-come?”

“Ti senti bene, Tomo?” Gli stava dicendo, con dolcezza.

“Sì, sì.”

“Sei sicuro?”

“Sì. Scusami… ero soprappensiero…”

“Sei tutto sudato, vuoi un po’ d’acqua?” Dana gli porse una bottiglietta, guardandolo un po’ preoccupata.

Tomo si asciugò il sudore dalla fronte con il braccio, accettando l’offerta, sorridendo. Oddio, preso com’era dai suoi pensieri non si era accorto che stava grondando. “Oh… Sì, grazie, Dana…”

“Vieni a sederti con noi?”

Tomo annuì e seguì Dana verso la parte interna delle quinte, dove i ‘Leaf’ si erano tutti seduti su una panca, in attesa del verdetto. Non ci volle molto: il quinto gruppo era il peggiore di tutti. Tomo, riemerso dai suoi pensieri, non riconobbe nemmeno le canzoni suonate e Dana disse che si trattava di tre canzoni di uno stesso gruppo punk noto in California una decina di anni prima. Una scelta piuttosto bizzarra, che non aveva portato alcun giovamento a quell’ultimo gruppo, se non una bella selva di fischi da parte di un pubblico quasi inviperito.

Ed ora era già arrivato il momento della proclamazione del vincitore. Tomo, in cuor suo, non aveva dubbi, ma George, forse per scaramanzia, sosteneva che anche il primo gruppo era stato ottimo. I giudici passarono per andare sul palco ad annunciare il gruppo vincitore, mentre tutti i musicisti si assieparono ai lati del proscenio per sentire.

Dana, dicendo che non voleva ascoltare, nascose la faccia contro la maglietta di uno sconcertato Tomo, stringendoglisi addosso quanto bastava per farlo sentire in paradiso, mentre lui la stringeva tra le braccia.

Un giudice cominciò a parlare: “Su richiesta della casa discografica indipendente XYZ-California, avevamo la missione di trovare un gruppo sul quale ci fosse la possibilità di lavorare. Un gruppo che potesse avere ampi margini di crescita, partendo da una solida base musicale. Un gruppo capace di fare provare delle emozioni anche suonando canzoni non proprie. E noi pensiamo di averlo trovato. Qui. Stasera.” Il microfono passò ad un altro giudice: “Niente da aggiungere! Con un margine immenso, i vincitori sono: i FOURLEAFCLOVEEER!!!”

Carlo, gridando, balzò in groppa a Tom come su un cavallo e il bassista si catapultò sul palco con una agilità insospettata, quasi galoppando. George, un sorriso da fotoromanzo, prese per mano una Dana che, mollata la maglietta di Tomo, gridava dalla contentezza e si avviò pure lui sul palco. Tomo rimase dietro le quinte: nonostante avesse suonato anche lui, il successo era tutto dei FourLeafClover; lui, in fondo, non c’entrava nulla e non poteva certo contrarre altri contratti discografici con chicchessia! Dana e George lo chiamarono un paio di volte, ma Tomo fece segno di no: non era giusto che si intromettesse. I ‘Leaf’ suonavano da anni insieme e lui era stato soltanto un ripiego di una mezzora. Per un attimo li invidiò, mentre ricevevano dalla giuria la busta con il contratto ed un trofeo: avrebbe voluto essere al loro posto, riprovare quelle sensazioni che lui aveva ormai perduto. Ma quelli erano problemi suoi e il momento era tutto dei ‘Leaf’.

“E ora i FourLeafClover per chiudere la serata ci presenteranno un altro pezzo! Va bene, ragazzi?”

Dana rientrò velocemente dietro le quinte e si avvicinò a Tomo: “Te la senti, Tomo? Suoniamo ancora e tu suoni con noi.”

“Ma… e’ il vostro momento… io…”

“Insisto, dai…”

“OK. Cosa?”

“Pensavamo ‘The Running Free’ dei Coheed and Cambria. Ti va?”

“Sì, ma… non ho la chitarra…”

“Te la presta George. Lui canta soltanto.”

Tomo annuì: suonare con Dana una canzone che avevano provato tante volte ma su un palco vero e non in un salotto, era una cosa che aveva sempre desiderato. “Va bene. Tu fai la parte di Sanchez, io quella di Stever.”

Dana annuì, riprendendo la Ibanez e sorridendo: “OK.”

Il palco si svuotò e i tecnici cominciarono a sistemare nuovamente gli strumenti dei ‘Leaf’. SecondLeaf, ringraziandolo per l’ennesima volta e sorridendo, mise intorno al collo di Tomo la sua Fender Stratocaster come fosse la medaglia d’oro delle Olimpiadi e in un attimo i FourLeafClover+Uno erano pronti per uscire. Dana si piazzò ad un lato del palco, con Tomo vicino: l’intro toccava a loro. La chitarrista, investita da luci bianche, attaccò subito gli accordi iniziali, seguita da Tomo e poi da tutti gli altri componenti del gruppo e ne venne fuori l’ennesima meraviglia di canzone, compreso il coretto di FirstLeaf e ThirdLeaf. Tomo non conosceva il testo del pezzo, ma quando George cantò il bridge in cui si diceva “There are no secrets you can hide from yourself, in your mind, leave the worst of all behind… Cause you're going home… You're running free… As only you would be if you never owed them anything… And now you've found your way out… In the trust you've seen your path on home…”, Tomo, sorridendo contento a Dana, si sentì di avere compreso finalmente appieno il suo problema.

E si sentì libero, leggero, fluttuante nell’aria.

Come non lo era da tempo.

Come, forse, non lo era mai stato.

E per tutta la serata, passata a festeggiare in una pizzeria con i suoi nuovi amici, Tomo si sentì d’incanto, anche quando fu il momento di riportare a casa Dana in auto.

La luce della luna, giusto sopra i gradini d’entrata, si rifletteva negli occhi scuri di Dana che, in piedi su uno dei pochi gradini, aveva il viso alla stessa altezza di quello di Tomo. L’uomo, stregato da quella ragazza, credette di non averle mai visto un sorriso simile, mentre la ragazza gli diceva: “Grazie per… per avere salvato i FourLeafClover.”

Tomo, al solito, si schernì: “E’ stato un piacere.”

“Spero che tu non ti sia sentito usato… non me lo perdonerei…”

Dana era una vera musicista per poter pensare una cosa del genere e a Tomo questo pensiero fece piacere. “No, per nulla. Tranquilla. Ho fatto un favore a degli amici, dai… E poi… beh mi è servito anche per capire un bel po’ di cose, utili per me. Per risolvere il mio problema.”

Dana gli appoggiò una mano sulla spalla: “Ah sì? E cosa hai capito?”

Tomo si schiarì la voce: “Che posso fare di meglio di quello che faccio attualmente e, anzi, che devo pretenderlo da me stesso e anche, e forse soprattutto, dagli altri.”

“Uhm… cose importanti, direi. E poi?”

“Che in fondo in fondo non sono malaccio…”

Dana sorrise: “E’ vero. A proposito: sei promosso! Domani manda i tuoi genitori a ritirare la pagella, OK?”

Tomo scoppiò a ridere: “Ooooh… grazie maestra!”

“E poi, qualcos’altro?”

“Sì.” Era il momento. Doveva dirle quello che provava. Tomo alzò una mano e accarezzò il viso di Dana: “Che non ti voglio perdere… e che se vai via io… io dirotto l’aereo… e ti riporto qui!”

Dana scoppiò a ridere, mentre Tomo, ridendo a sua volta, le metteva un braccio attorno alla vita: “Accidenti! Nessuno ha mai dirottato un aereo per me!”

“Dico sul serio…”

“Certo… Tu ormai sei il mio eroe salvatore… posso anche credere che potresti farlo, armato di torta e/o chitarra elettrica, a scelta…” Dana alzò una mano ad accarezzargli una guancia, poi passò un dito su un baffo di Tomo che piegava all’ingiù, rimanendo incantata a fissare gli occhi neri di quel ragazzo così particolare, i suoi capelli lisci e scuri che ora portava tagliati corti, quell’espressione pulita, quasi da bambino, chiedendosi per l’ennesima volta se fosse davvero una rockstar, trovandolo invece così schietto e genuino, così limpido da… da voler dirottare un aereo per lei! In fondo in fondo gli piaceva. Non sapendo che fare, gli sorrise, in attesa della mossa successiva del chitarrista, che non si fece attendere.

Tomo rise appena per il suo nuovo ruolo di super-eroe, appoggiò timidamente la sua bocca su quella di Dana e le diede un piccolo bacio, timoroso che la ragazza rispondesse con un montante destro. Ma non successe: quando si staccò per guardarla, Dana sorrise, lo fissò un attimo e poi gli passò le braccia attorno al collo, attirandolo a sé e rispondendo con un bacio più esplicito. Tomo immediatamente la strinse più forte, avvertendo che i suoi neuroni stavano svenendo uno dopo l’altro e il desiderio fisico di lei si accentuava di momento in momento, a sentire il sapore delle labbra di Dana, le loro lingue delicatamente a contatto, il corpo esile della ragazza premuto contro il suo, mentre FirstLeaf gli accarezzava i capelli sulla nuca.

Dopo un attimo Dana si staccò ed iniziò a cercare le chiavi dentro la borsetta. Poi aprì la porta di casa: “Vieni, Tomo…”

Ma l’uomo ebbe un attimo di esitazione: “Sei sicura, Dana? Io… lo sai che non ti resisto… Non voglio crearti problemi… Se entro, sai come potrebbe finire…”

La ragazza gli si avvicinò e gli prese una mano per tirarlo verso la porta: “Sì. Finisce come vogliamo che finisca.”

La strana sicurezza di Dana mandò a pezzi la presunta sicurezza di Tomo. C’era qualcosa che non andava, non poteva essere così semplice, quasi superficiale, altrimenti non avrebbe avuto alcun valore: “Non devi sentirti obbligata, non… non farlo per i FourLeafClover, non ti voglio come una sorta di compenso per avervi aiutato…”

Dana strabuzzò gli occhi: “Non mi era nemmeno passato per la testa una cosa del genere, non sono in vendita io… Te l’ho già detto, mi pare…”. Poi gli toccò nuovamente il viso: “Stasera voglio stare con te, perché voglio te e basta… senza altre ragioni…”

Nemmeno Tomo era in vendita e nemmeno i suoi sentimenti: “E Julius? Chi è per te?”

Dana fece una specie di smorfia ma non rispose: “E tu? Chi sei per me?”

“Non lo so. Io so chi vorrei essere per te, ma non so se sei tu a volerlo. Vuoi che io sia qualcuno per te, Dana?”

La ragazza cominciava ad innervosirsi: “Dobbiamo deciderlo ora? Prendo il PC e facciamo un programma al computer per decidere? O vuoi che lasciamo fare al nostro istinto?”

Eh già… l’istinto… Fosse stato per Tomo, lui avrebbe preso Dana in braccio, l’avrebbe portata in camera da letto, amata tutta la notte e, il mattino dopo, l’avrebbe presentata ai suoi genitori, ad Ivana e a Filip, e magari sposata prima di sera, per essere certo di non perderla più… alla faccia dell’istinto. Ma… Dana? Dana lo voleva per quella notte e poi… basta? Poi si laureava, faceva le valigie, se ne andava in Inghilterra con Julius, magari se lo sposava, diventava Lady Carnarvon e ciao-ciao-Tomo-scopata-di-una-notte? “Io parlo di sentimenti, Dana…”

Dana si morse un labbro e aggrottò le sopracciglia, dubbiosa. Sentimenti? Un uomo come quello che le parlava di sentimenti? Ma da che pianeta veniva? Ad una avance come quella che gli aveva fatto lei, un altro uomo non avrebbe fatto altro che seguirla dentro casa, senza remore e rimorsi, altrochè sentimenti… E invece Tomo le parlava come in un romanzo d’amore d’appendice? Accidenti, doveva essere proprio partito per lei… e allora doveva essere sincera, con lui. Sospirò, abbassò gli occhi per un attimo e poi gli disse: “Io… Non ho chiaro cosa sento per te, Tomo. Non lo so… Tu… sei strano, sei unico, sei raro, non ho mai conosciuto un tipo come te, io… Dammi tempo, per favore… E… stanotte… non mi lasciare… se vuoi…”

Poi gli si avvicinò e gli mise le braccia attorno alla vita, appoggiando il viso sulla spalla dell’uomo, gli occhi chiusi, percependo il suo profumo. Il chitarrista le passò le braccia attorno alle spalle e la strinse subito a sé, sospirando. Dana era stata sincera con lui, era quello che Tomo voleva: sapeva, da quello che le aveva detto la sera in cui l’aveva picchiato, di non poter pretendere dichiarazioni d’amore strappalacrime da quella ragazza, ma almeno la verità, sì. Lui non le era indifferente, dopo tutto, non sapeva fino a quanto, ma non lo era. E non poteva andarsene. Doveva farle capire quanto la amava. Ora. “Sì, Dana. Lo voglio.” Poi le prese con dolcezza il viso, lo diresse contro il suo e cominciò nuovamente a baciarla.

I due ragazzi entrarono in casa abbracciati, scambiandosi baci leggeri e carezze. Si tolsero le scarpe e subito Tomo prese Dana per un braccio e la attirò sul divano, contro di sé, riprendendo a baciarla con passione, accarezzandole la schiena e le spalle, sciogliendole le code di capelli. Dana rispondeva con altrettanta foga, stringendolo a sé così forte che a Tomo mancava quasi il fiato. Poi l’uomo la fece scivolare sotto di sé, su quel divano dove mille volte si erano seduti a suonare, e cominciò lentamente a spogliarla, sfilandole la maglietta, le calze, il kilt. Perso nelle sensazioni che gli dava il fatto di accarezzare la pelle bianca e setosa di Dana, Tomo lasciò che la ragazza gli sfilasse la maglietta dalla testa e gli baciasse il petto e le spalle.

Arrendevole e con il cuore che sembrava sciogliersi, Tomo lasciò fare anche quando Dana, dopo essersi tolta il resto dei vestiti e averli sfilati anche a Tomo, si alzò, lo fece sedere e poi gli si mise sopra a cavalcioni, con le ginocchia ai lati delle sue gambe. A Tomo quasi mancò il fiato: la abbracciò nuovamente e riprese a baciarla, accarezzandole i seni e i capelli, mentre la ragazza lo faceva scivolare dentro di lei con decisione e cominciava subito a muoversi. “Oddio, Dana…” le sussurrò, con le cellule cerebrali allucinate, il fiato corto, incredulo di provare sensazioni simili.

Tomo sentì improvvisamente che, con Dana, anche fare l’amore era diverso: la loro gli parve non solo l’unione di due corpi, ma di cuori e di passioni… per un momento sperò anche di anime.

   
 
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