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Autore: IleWriters    20/03/2015    2 recensioni
[Storia scritta con Misery007]
Capelli biondi e occhi blu. Capelli neri e occhi viola. Le due gemelle Ilenia e Misery non potrebbero essere più diverse. Nate sotto l'influsso di una cattiva stella, entrambe sono costrette a convivere con un'immenso dolore. Una per via di un dolore che pian piano, segretamente, le sta divorando l'anima. L'altra per la malattia e le sue conseguenze. Una dovrà essere la luce per l'altra. Una le tenebre. I due ragazzi che hanno fatto breccia nei loro cuori dilaniati ce la faranno a salvarle? O le gemelle si autodistruggeranno prima?
Genere: Comico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Armin, Castiel, Dolcetta, Nathaniel, Un po' tutti
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo IV - It's really a bad day (part I)


 

Mi sveglio sudata e con il fiato corto, i capelli attaccati al viso, il materasso si muove per colpa della mia irrequietezza nella notte. Mi passo una mano sulla faccia mentre il sole batte contro i vetri della porta finestra, guardo la sveglia rosa di Minnie che tengo sul comodino. Segna le 8:50 così mi alzo e vado traballante nel bagno. Bel modo di iniziare la giornata.

 

 

Accendo la luce del bagno e strizzo gli occhi per abituarmi. Il bagno ha le pareti giallo ocra scuro, e le mattonelle per terra sono di un marrone terra di Siena. Scendo il piccolo gradino e mi sfilo la maglia per buttarla nella cesta bianca vicino al ripiano in legno scuro con il lavandino bianco, il mobiletto ha il ripiano in granito è pure color terra di Siena, apro l'acqua fredda e mi sciacquo la faccia, per svegliarmi, poi mi asciugo la faccia nell'asciugamano appeso lì vicino nel portasciugamani in metallo. Dopo essermi asciugata il volto butto pure l'asciugamano nel cesto; afferro il ripiano del lavandino guardandomi riflessa nello specchio, posizionato tra i due armadietti in legno scuro con il ripiano del medesimo materiale. Ho le guance arrossate e le occhiaie sono quasi sparite, ma puzzo di sudore, così mi giro verso la doccia. Il piatto della doccia è rettangolare e bianco, in ceramica, per ripararmi dagli sguardi di chi potrebbe entrare senza bussare c'è un muro di mattonelle di vetro quadrate e un altro muro delle medesime mattonelle copre la parte dove si trovano il bidet e il water, poi si incurva leggermente dentro il piatto della doccia, quindi non ho una porta scorrevole per coprirmi.

Così mi spoglio, butto tutto nel cesto e entro nella doccia, aprendo l'acqua calda. Appoggio la schiena nella parte incurvata nelle mattonelle e il freddo mi fa sussultare. Ormai sono due anni che non passo una nottata tranquilla, questo spiega perché spesso ho le occhiaie, oppure mi addormento alle quattro del mattino o proprio non dormo. Cerco di limitare che gli incubi mi ricordino il passato e il dolore che esso mi ha procurato. Lascio che il getto di acqua calda mi investa e mi lavi via tutto il dolore e il sudore della notte.

 

 

Esco dalla doccia e mi piego sopra il bidet di ceramica bianco, nascosto insieme al water bianco, sempre in ceramica, da un piccolo muretto color crema con sopra messe le mattonelle in vetro messe a gradini sino al soffitto, con gli spigoli stondati. Scuoto il contenitore della schiuma per i riccioli e me la passo nei capelli stando a testa in giù, se non la mettessi sembrerei un piccolo leone che scende la mattina dall'albero. Dopo aver rimesso la schiuma nell'armadietto destro accanto allo specchio, mi abbasso a prendere il phon nel mobiletto sotto il lavandino. Lo attacco alla presa sotto il portasciugamani e piego la testa a destra asciugandomi i capelli con il diffusore.

 

 

Quando sento il campanello suonare mi sono appena finita di vestire e truccare, indosso un reggiseno nero pieno di strass bianchi, con sopra una canottiera grigia, che mi veste morbida addosso, con su scritto “I'm crazy bitch”, leggermente scollata e con i buchi delle braccia larghi, dai quali si vede il reggiseno, per questo ci ho fatto applicare gli strass, mentre le mie lunghe gambe snelle sono fasciate da dei jeans chiari, con il tessuto come scolorito sulle cosce e con degli strappi. Papà non ne sarà felice. Mi infilo dei calzini bassi grigi e corro per il corridoio, sento dei rumori molto sospetti dalla camera dei miei, come dei gemiti soffocati, trattengo una risata e sono sicura che mi hanno sentita correre come un'elefante per il corridoio.

 

 

Quando arrivo nell'atrio guardo dal mini schermo del citofono, vedo un uomo grassoccio, con un cappellino con il nome di una ditta di traslochi, deve essere la roba di papà e Misery che è arrivata, guardo l'ora dall'orologio del cellulare, le 9:50, poco male, sono stati veloci.

Gli faccio aprire il cancello mentre mi infilo le ciabatte e aspetto che il tipo parcheggi in retromarcia il camion davanti la fontana.

Lui scende e lo vedo fissarmi la quinta di seno, pessima scelta di abbigliamento per collaborare con sto tipo.

 

«La famiglia Dorian?» chiede lui, distogliendo lo sguardo dal mio seno.

«Esattamente» dico firmando i fogli che mi porge per confermare che ha consegnato nella villa giusta.

 

Mentre lo aiuto a scaricare leggo il nome del tipo sulla targhetta che porta a destra del petto. “Marjan G.” è un uomo grassoccio e alto più o meno quanto me, che sono un metro e settanta. Ha dei corti capelli ramati e due occhi azzurri e simpatici, nonostante abbia lo sguardo lungo.

Dopo venti minuti abbiamo scaricato tutte le scatole nell'atrio, e dopo che ho pagato con il bancomat di mamma e papà, come da ordine datomi da loro, mi saluta e io chiudo la porta.

Leggo le scritte sugli scatoloni. Opto per prendere “Misery – Materiale per cucire” e salgo le scale.

 

 

Entro nella mansarda luminosa grazie alla piccola porta finestra che da sul piccolo balcone, noto che mamma ieri deve aver pulito, perché non c'è più nemmeno un filo di polvere, e gli album non sono più sopra le librerie vuote.

Poso lo scatolone per terra e quando mi giro vedo Misery, il che mi fa urlare, fare un passo indietro e cascare con il sedere a terra perché inciampo nello scatolone, lei ride.

 

«Scusa, ma dovevo farti uno scherzo» dice lei ridendo.

«Ma che gentile, è così che tratti tua sorella maggiore dopo tredici anni che non la vedi?» le chiedo trattenendo un sorriso.

«Sei più grande di soli quattro minuti» ribatte lei ridendo e aiutandomi ad alzarmi.

«Resto sempre più grande» sorrido e riprendo fiato per colpa della lunga salita sino alla mansarda spaziosa.

«Vieni ti aiuto a portare gli scatoloni» dice lei sorridendo.

 

Io le sorrido di rimando e ripenso alla fortuna che ha nell'avere il passaggio dalla camera alla mansarda, ma forse la cosa compensa il fatto che la sua stanza non ha la portafinestra che da su un balcone immenso come il mio, o il fatto che la sua stanza non abbia il bagno privato come la mia camera e quella dei nostri genitori.

 

«Hai sentito dei rumori strani dalla camera di mamma e papà?» mi chiede mentre scendiamo le scale che portano sull'atrio.

«Ooooh sì» dico ridendo.

«Beh è tredici anni che non si vedono» sorride Misery mentre prende uno scatolone di libri.

«Sì ma se continuano così ci fanno un fratellino» dico io seria.

 

Poi ci guardiamo negli occhi e scoppiamo a ridere. Mi era mancata così tanto la sua risata.

 

 

-<>-*-<>-

 

 

Apro gli occhi e fisso il soffitto sopra di me, una parete color blu notte che mi sovrasta e delle piccole lucette, ora spente, sembrano tante piccole stelle che vegliano sul mio riposo, oltre a questo, una volta accese, la loro luce viene accentuata dal grande lampadario antico e pendente, in stile vittoriano, pieno di gocce di cristallo che brilla quanto la luna. Mi stropiccio gli occhi e poi, alzandomi con calma, mi metto a sedere sul letto abbandonando la tenera comodità del mio morbido cuscino ricoperto dalla mia federa color nero pece. Stropiccio le coperte nere ed il lenzuolo violaceo con le mani mentre mi guardo attorno, sono su un letto matrimoniale alto circa 80 centimetri da terra in cui vi sono tre materassi sovrapposti. Stiracchio le gambe che arrivano quasi alla pediera del letto in ferro battuto nero elegantemente lavorato e pensare che l’ultima volta che ci ho dormito mi sentivo come una principessa per quanto ero piccola tra questo ammasso di calde ed avvolgenti coperte che mi tenevano stretta ad esso come una madre tiene stretto a se il figlio in un abbraccio. Alzo le mani al cielo e mi sbilancio lievemente all’indietro toccando con le lunghe e candide dita affusolate il quadro a muro che occupa l’intera parte della parete, dal pavimento al soffitto, che si trova alla testa del mio letto, è un quadro sulle tinte sfumate del viola su cui, in alto a destra, vi è riportato un fiore tropicale bianco con due diramazioni ad intreccio, simili alle diramazioni di una comune pianta rampicante, che partendo da esso si dirigono uno verso il terreno e uno verso sinistra, infine al centro di esso, sempre in bianco, vi è riportato il mio nome scritto con caratteri eleganti e raffinati. Scosto un po’ le coperte per voltare il mio corpo facendo penzolare le mie gambe a lato del letto, allungo una mano e prendo l’orologio da taschino che, prima di addormentarmi, avevo appoggiato in cima al comodino situato alla destra del mio letto, un piccolo mobiletto bianco, identico a quello che si trova alla sinistra del letto, con dei piedini lavorati e con tre cassetti con le maniglie nere. La bajour, che si trova al di sopra di entrambi i comodini, ha un appoggio moderno con la forma di due bolle sovrapposte, una lievemente più piccola dell’altra, in acciaio e una tela viola su cui sono ricamati dei raffinati ed eleganti intrecci neri. Mi sdraio orizzontalmente sul letto premendo il pulsantino che apre l’orologio da taschino e osservo il quadrante. Sono le 9:10 e ciò vuol dire che ho dormito tutto il pomeriggio e tutta la notte senza mai svegliarmi. Mi alzo finalmente dal letto poggiando le punte dei piedi sul pavimento in parquet di color acero chiaro che è presente per tutta la stanza, anche se in parte è coperto da un lungo tappeto nero che occasionalmente funge da corsia di una passerella per via della sua forma. Osservo quella stanza in cui non mettevo piede da bene tredici anni, non è cambiato nulla col tempo, intorno a me è ancora tutto esattamente come lo avevo lasciato, con l’unica differenza che ora non è più un flebile ricordo, ma una realtà tangibile. La mia stanza non è molto grande, ma comunque ho tutto ciò di cui ho bisogno. C’è ancora l’enorme finestra che illumina l’intera stanza nella parete corta di fronte all’entrata della camera, mi avvicino ad essa camminando in punta di piedi, quasi come se avessi paura di svegliarmi da quello che ancora mi sembrava un sogno. Sono ancora in pigiama, ma non mi importa poi più di tanto, sono di fronte alla finestra la cui luce è ancora filtrata da dei morbidi tendaggi viola che cadono elegantemente a terra da una lunga ed elegante asta in acciaio che brilla quasi più dell’argento, lì di fronte c’è un divanetto nero con finiture elegantemente lavorate, i contorni e i piedini di quest’ultimo sono argentei e per questo motivo spiccano dato il contrasto formato dal colore scuro del suo tessuto, su di esso sono poggiati tre cuscini di cui uno bianco, uno argento e uno viola, mentre a terra vi sono altri tre cuscini, anche se questi sono tondi e di colore viola, che avevo tolto da sopra il letto prima di stendermi a riposare ieri pomeriggio. Li raccolgo e torno al mio letto, lo sistemo e poi vi ripongo sopra i tre cuscini che avevo raccolto poco prima, il letto si trova sulla parete che si trova sulla destra dalla porta d’entrata della stanza. Tutte le pareti sono nere, completamente differenti da quelle bianche e asettiche di Seattle che ancora ora mi ricordano tanto un freddo ospedale. Sulla parete di fronte alla finestra, nella cui estrema sinistra si trova la porta d’ingresso bianca come la neve con appeso un appendi abiti nero, si trova un elegante scrivania in legno tinto di bianco con un grande cassetto con la maniglia nera e con gambe lavorate in stile con i comodini e con il divanetto. La sedia che vi è davanti è in tessuto nero finemente lavorato, mentre lo scheletro di essa è tinto di color argento e finemente lavorato in abbinamento al divanetto. Sulla parete dove si trovava il letto, dalla parte che tende verso l’enorme finestra, vi sono due enormi porte bianche che quando sono chiuse formano un gigantesco specchio a figura intera con una forma simile a quella di un libro aperto. Sull’ultima parete della camera, quella alla sinistra della porta d’ingresso, vi è un enorme libreria, per ora ancora vuota dal giorno della mia partenza, che occupa l’intera parete. Davanti a questa enorme libreria, sulla sinistra dal punto di vista del letto davanti a cui sono ora, vi è una comodissima e moderna sceslong bianca in pelle con cuciture nere, sopra alla quale c’è un cuscino nero con la scritta girl bianca ripetuta all’infinito e di fianco alla quale si trova una piantana moderna con l’appoggio in acciaio e la parte superiore di colore viola. Questa parte della camera è in lieve contrasto con lo stile tendente al vittoriano dell’arredamento principale del resto della camera, ma tutto sommato è perfetta così com’è. Mi sistemo con le mani la vestaglia di seta nera che consiste nel mio pigiama e annuso l’aria che è presente nella mia stanza, facendo ciò sento un pesante odore di chiuso e io stessa, nonostante praticamente non sudo quasi più a causa delle varie terapie che ho affrontato, sembro puzzare di cadavere in via di putrefazione. Così torno alla finestra e, dopo aver scostato i morbidi tendaggi color ametista, apro l’imponente vetrata permettendo così alla luce e alla brezza mattutina di entrare e di cambiare l’aria viziata che c’è qui dentro. Fatto ciò mi dirigo alla porta a secchio di destra ed entro nella mia adorata cabina armadio,una stanza con le quattro pareti tinte di lilla a cui si appoggiano mensole e mobiletti completamente bianchi e relle in acciaio, sulla parete più corta distante dall’entrata c’è una postazione trucco formata da una specchiera bianca con lucette tonde sopra e una sedia dello stesso stile di quella della scrivania, ma completamente bianca che è ordinatamente riposta al suo posto sotto la scrivania, sempre bianca, su cui poggia la specchiera. Davanti alla parete opposta, invece, vi è uno specchio a figura intera semplice e minimale. Mi chino sulla destra e apro il trolley viola dove, nel perfetto ordine al suo interno, trovo immediatamente la bustina viola di materiale plastico in cui ho messo il necessario da bagno e i miei amati asciugamani neri su cui avevo ricamato a mano le mie iniziali col filo viola. Li prendo in mano e ,sempre camminando sulle punte, torno nella mia stanza, mi infilo le mie ciabatte pelose color viola calde e morbide che avevo lasciato di fianco al letto e mi avvio verso la porta d’ingresso della mia stanza con passo leggiadro. Ho sempre avuto la facoltà di riuscire a spostarmi senza farmi sentire, contrariamente all’uragano d’energia di mia sorella che dà sempre nota del suo passaggio, anche se involontariamente. Apro la porta della camera e scendo al primo piano velocemente, ma senza fare confusione. Un po’ mi secca non avere un bagno personale, però alla fin fine non si può aver tutto dalla vita, quindi mi accontento e vado avanti comunque.


 


 

Apro la porta di color acero chiaro ed entro in quel bagno al primo piano il cui colore prevalente è il blu. Sulla destra c’è la cassettiera color blu notte con maniglie bianche al di sopra del quale vi è un piano di marmo blu scuro con striature argentee nel quale vi è il lavandino blu con rubinetti in acciaio luccicante davanti ad un immenso specchio. Appoggio gli asciugamani e la bustina viola sul piano poi chiudo a chiave la porta alle mie spalle e mi tolgo la sottoveste che lancio dentro il cestone della biancheria sporca di colore blu che affianca il cassettone del lavandino e che contrasta con la parete azzurra. Faccio un paio di passi sul pavimento di mattonelle bianco candido fino a fermarmi sopra un tappeto ovale color blu e togliendomi le soffici ciabatte. Controllo nuovamente di aver chiuso la porta poi, dando le spalle al water e al bidè entrambi di porcellana tinta di blu, mi tolgo anche l’intimo, che è dello stesso colore della sottoveste, e lo getto all’interno del cestone blu. Apro la busta di plastica viola e ne estraggo i miei saponi naturali e lo shampoo per poi aprire la porta di vetro scorrevole della doccia, vi entro appoggiando la schiena sulla gelida parete a mosaico composta da piastrelle in vetro azzurre e blu alternate che la ricoprivano da capo a piedi. Appoggio sul pavimento bianco, liscio e freddo con una lieve conca verso il cento, i prodotti presi poco prima chiudendo la porta scorrevole. Apro il getto d’acqua che inizialmente esce ghiacciato congelandomi la schiena, ma che poco dopo si riscalda permettendomi di concludere la mia doccia mattutina immersa nel vapore e nel profumo vanigliato dei miei prodotti. Esco dalla doccia insieme ad una nube di vapore profumato prendendo poi i miei asciugamani e iniziando ad asciugarmi. Mi districo i capelli per poi acconciarli in una semplice treccia spostata sul davanti della mia spalla sinistra e fermata alla fine da un elastico di color violaceo. Mi guardo allo specchio, sistemo il mio adorato ciuffo di capelli, che con la sua lunghezza mi copre quasi interamente l’occhio destro, e noto che il mio candido viso è sereno come non lo era da tempo. Non dormivo così bene da tredici anni ormai, la sola idea di poter essere nuovamente a casa mi ha come fatto rinascere, provo una gioia immensa e mi sento come se nulla potesse andare storto d’ora in poi. Mi avvolgo l’asciugamano, il più lungo dell’intero set, attorno al corpo ancora nudo poi, dopo aver indossato le mie ciabatte e ripreso la mia busta viola con tutti i prodotti riposti al suo interno, esco dal bagno e mi dirigo verso la mia stanza.


 


 

Con passo leggiadro salgo le scale e arrivo di fronte alla mia stanza, mentre sto per entrarvi però sento dei rumori molto sospetti provenire dalla camera dei miei, come dei gemiti soffocati, mi faccio sfuggire una piccolissima risata praticamente impercettibile e poi entro in camera mia sempre senza fare alcun rumore. Appena chiudo la porta alle mie spalle sento il campanello suonare e poco dopo, mentre spero con tutta me stessa che tocchi a qualcun altro andare ad aprire dato che sono ancora avvolta soltanto da un asciugamano, sento qualcuno correre come un elefante per il corridoio. Socchiudo appena la porta e vedo una lunga cascata di ricci biondi scendere le scale.


 

«Grazie Ile, mi salvi la vita.» Bisbiglio chiudendo la porta.

 

Mi dirigo alla cabina armadio, fermandomi prima a raccogliere il mio orologio da taschino da sopra il comodino. Una volta entrata e chiusa la porta guardo l'ora, sono le 9:50, quindi è tempo di vestirsi, ma cosa mi metto? Appoggio la busta di plastica viola sul primo mobiletto dei sei che compongono quella stanza, apro il trolley e prendo il beauty nero che contiene i pochi trucchi naturali e ipoallergenici che ero riuscita, dopo una lunga e sfiancante battaglia, ad avere il permesso di usare da papà. Ok che son sempre stata debole fisicamente, ma lui spesso esagera, insomma ho diciotto anni compiuti, non sei. Appoggio il beauty davanti alla specchiera da trucco in fondo alla stanza e poi torno al trolley cominciando a tirare fuori i vari vestiti che avevo portato e scegliendo cosa mettere. Per prima cosa indosso un completino intimo di pizzo color viola, poi indosso un paio di calze in seta nere in stile anni venti, insomma quel tipo di calze con la cucitura esterna sulla parte posteriore tanto per capirci. Mi soffermo un attimo ad osservare i pochi indumenti appesi, sorrido e opto per un abito corto disegnato e realizzato personalmente da me qualche mese fa. Lo indosso e vado ad ammirarmi allo specchio a figura intera che è nella mia cabina armadio, l’abito è nero con una gonna irregolare poco più corta delle ginocchia sul davanti e poco più lunga di esse sulla parte posteriore, il corpetto è semplice con un ampio scollo a V formato da due lembi di tessuto sovrapposti ed incrociati dal quale si intravede appena il pizzo viola che fascia alla perfezione la mia quinta di seno, l’abito ha delle lunghe maniche rese particolari dagli svariati fori che vi ho apportato. Vedo l’effetto completo di quell’abito allo specchio, ma sento che ancora manca qualcosa. Mi volto e comincio a frugare tra gli accessori che ancora sono nella tasca interna del trolley, finirò mai di svuotarlo questo dannato coso? Chiedo a me stessa lievemente esasperata. Cerco un po’ fino a che le mie dita non sfiorano qualcosa di freddo e liscio, sorrido e stringo ciò che ho appena sfiorato prendendo così la mia cintura a fascia in eco-pelle viola e avvolgendola intorno al mio corpo nel punto sotto seno, mi specchio nuovamente e sta volta il look mi sembra decisamente più completo anche se mancano ancora il trucco e i gioielli, ho passato un giorno senza metterli, ma oggi voglio assolutamente essere al meglio, ne va della mia reputazione. Mi chino per l’ultima volta sulla mia valigia e dal suo interno prendo le altre tre cinture che avevo portato con me, che ripongo nel primo cassetto del secondo mobiletto, e una busta blu notte fatta di un tessuto trapuntato con cuciture in argento. Questa busta, a differenza delle altre, è chiusa da due cerniere che sono orientate in due diverse direzioni e fermate da un lucchetto argentato. Chiudo il trolley e lo appoggio al muro di fianco allo specchio poi, mentre ho ancora la busta blu in mano, estraggo un mazzo di chiavi dalla borsa e apro il lucchetto con quella più piccola del mazzo. Vado a sedermi sulla sedia di fronte alla postazione da trucco, appoggio la busta blu e ne estraggo un anello nero che indosso sul dito medio della mano destra, poi prendo tre grossi bracciali di plastica colorata lievemente anni cinquanta di cui due viola e uno nero che indosso mettendo i colori alternati sul braccio sinistro, in seguito estraggo da quella busta una scatolina rettangolare scamosciata nera che apro prendendo i grossi orecchini tondi pendenti con il con il simbolo dello Yin e Yang in bianco e nero, stesso simbolo che ritrovo nel ciondolo in oro bianco che pende sulla mia scollatura grazie al cordoncino in caucciù nero agganciato sul retro del mio collo. Il look è quasi concluso, manca solo il trucco, così chiudo la bustina blu e apro il beauty nero estraendo una eyeliner nero ipoallergenico che ho cercato per ben sei mesi, comincio a disegnarmi una linea sottile sulla palpebra superiore sinistra per poi ripetere l’operazione su quella destra. Chiudo l’eyeliner osservando se il risultato allo specchio è uniforme, sorrido e poi, mettendo al suo posto l’eyeliner, prendo una matita ipoallergenica naturale e mi evidenzio la linea del contorno occhi, concludo lo sguardo passando le ciglia superiori con il mio preziosissimo mascara nero sempre ipoallergenico e poi mi specchio e sorrido fiera del mio sguardo perfettamente incorniciato. Per finire prendo un rossetto naturale color viola scuro che uso per accentuare le mia pallida carnagione, una volta finito mi sento fiera di me stessa e del mio operato, do un ultima occhiata allo specchio sistemando treccia e ciuffo in modo da essere perfetta.

Controllo l’ora sul mio orologio da taschino e noto che sono passati già venti minuti, tutto sommato non ci ho messo molto, penso soddisfatta del risultato ottenuto. Aggancio la catena dell’orologio alla cintura lasciandolo dondolare accanto al mio fianco e poi, infilandomi le mie pelose ciabatte viola ai piedi, esco dalla cabina armadio tornando nella mia stanza, ora l’aria comincia ad essere fredda così voltandomi noto che la vetrata della finestra è ancora spalancata, mi ci avvicino e la chiudo sentendo così il leggiadro passo di mia sorella, paragonabile a quello di un elefante in una cristalleria, salire le scale diretta alla mansarda. Evidentemente al citofono prima era la ditta di traslochi con i pacchi che aspettavamo da Seattle. A quel punto mi viene in mente l’assurda idea di farle uno scherzo, così mi avvicino alle due porte a specchio e, questa volta, apro quella sulla sinistra accendo i faretti che illuminano l’imponente scala a chiocciola in ferro battuto nero che porta direttamente dalla mia camera alla mansarda.

 

 

Salgo le scale ed entro nella mansarda ampia e luminosa, in cui la luce entra principalmente grazie alla piccola porta finestra che da sul piccolo balcone, le pareti sono tinte d’azzurro e per la maggior parte sono ricoperte da librerie color acero ancora completamente vuote a causa di tutti i libri che mi ero portata via tredici anni fa, al centro della stanza vi era una vecchia scrivania con tre cassetti ed un enorme e comodissima sedia con braccioli e rotelle totalmente nera. Tutto era esattamente come lo ricordavo, tutto tranne la visione di mia sorella chinata ad appoggiare a terra uno dei miei scatoloni, mi avvicino a lei sorridendo col mio passo leggiadro e quando lei si gira mi vede ed indietreggiando finisce inevitabilmente col sedere a terra urlando per lo spavento mentre io, non riuscendo a trattenermi, rido della sua esilarante caduta.

 

«Scusa, ma dovevo farti uno scherzo.» Dico ridendo.

«Ma che gentile, è così che tratti tua sorella maggiore dopo tredici anni che non la vedi?» Mi chiede trattenendo un sorriso.

«Sei più grande di soli quattro minuti» Ribatto lievemente stizzita ridendo e aiutandola ad alzarsi.

«Resto sempre più grande.» Sorride e riprende fiato per colpa della lunga salita sino a qui.

«Vieni, ti aiuto a portare gli scatoloni.» Dico sorridendole. «Hai sentito dei rumori strani dalla camera di mamma e papà?» Le chiedo mentre scendiamo le scale che portano sull'atrio.

«Ooooh sì.» Dice ridendo.

«Beh è tredici anni che non si vedono.» Sorrido mentre prendo uno scatolone di libri.

«Sì, ma se continuano così ci fanno un fratellino.» Dice lei seria.

 

Poi ci guardiamo negli occhi e scoppiamo a ridere. Forse risulterà strano, ma la sua risata è l’unica cosa per cui ho accettato ogni tipologia di terapia, tutto solo e unicamente per risentire la sua melodica risata. Passiamo un ora intera a fare su e giù per le scale con i miei scatoloni e, mentre io sto dividendo quelli da portare giù nella cabina armadio e nella mia camera, la sua voce mi distrae dalla mio ordine estremo.

 

«Ma tu ti metti sempre così in tiro per restare in casa?» Chiede lei osservandomi da capo a piedi.

«Parla quella che si è messa un reggiseno a cui sono stati applicati degli strass.» Ribatto io senza nemmeno guardarla, per i vestiti ho una memoria fotografica praticamente da sempre.

«Ma… ma… ma… Ok, uno a zero per te.» Bofonchia lei rassegnata. «Quali di questi vanno in camera tua?» Conclude cambiando discorso.

«Questi qui.» Aggiungo mostrandogli una decina di scatoloni che avevo messo da parte.

«Vuoi una mano?» Mi chiede sorridendo.

«Se vuoi certo, seguimi per di qui faremo prima.» Dico raccogliendo uno scatolone e dirigendomi verso il mio personale passaggio segreto.

«Sai, non credo di essere mai entrata nella tua stanza.» Aggiunge lei posando gli ultimi scatoloni a terra in centro alla stanza.

«Veramente? Beh allora benvenuta nel mio piccolo regno personale, se non sai dove trovarmi cercami qui oppure in mansarda.» Dico sorridendole.

 

Chiacchieriamo per una decina di minuti sedute sul mio letto poi lei scende ad aiutare mamma a preparare il pranzo e io mi metto a sistemare il contenuto degli scatoloni mettendo ogni cosa al proprio posto fino a che papà non viene a chiamarmi per il pranzo.

 

 

La mamma serve la pasta al forno, poi pranziamo tutti in armonia, anche se papà è intento in una telefonata di lavoro, io ormai ci sono abituata perché a Seattle capitava spesso che durante il pranzo o durante la cena lui cominciasse a sbraitare in quell’affarino nero che portava all’orecchio destro e che era connesso al suo cellulare tramite Bluetooth, ma alla mamma non sembrava piacere dato che continuava a sbuffare. Comunque tranne questo piccolo particolare il pranzo procede tranquillo e una volta ogni tanto non ci sono battibecchi, anzi non sembra neanche aver notato come siamo vestite io ed Ile, speriamo che continui così tutto il giorno altrimenti non sarà così divertente la continuazione della giornata.

 

 

Finito il pranzo, con l’aiuto di mamma, porto le stoviglie in cucina e, dopo essermi fatta spiegare da lei dove si trovano i vari prodotti, mi sfilo i miei bracciali e l’anello, posandoli alla fine del ripiano in granito nero con striature argentee in modo tale che nessun eventuale schizzo di detersivo possa raggiungerli, indosso il grembiule bianco e i guanti azzurri prima di immergere le mani nell’acqua bollente piena di bianche bolle create dal detersivo che riempie la cucina di un fresco profumo di lime. Quando finisco di lavare e asciugare tutte le stoviglie sono ormai quasi le due e a me non resta che pulire il bancone da lavoro della cucina. Mentre lo asciugo, assicurandomi che brilli come se non fosse mai stato usato, sento suonare il campanello e mentre mi sto togliendo il grembiule sento mia sorella scendere di corsa le scale e urlare.

 

«Tranquilli, vado io.»

 

A quel punto tolgo il grembiule e i guanti, li piego e li ripongo dove mamma mi aveva mostrato tenerli.

 

«Sorellina puoi venire un attimo in sala da pranzo?» Mi chiede lei con voce gentile e lievemente orgogliosa.

«Arrivo subito.» Aggiungo rimettendomi i bracciali e l’anello prima di dirigermi da lei.

 

Quando entro in salotto mi trovo davanti un uomo che non avevo mai visto che mi sorride, lo osservo e noto che si tratta di un uomo adulto che avrà tra i quaranta e i cinquant’anni. Spero che questo non sia il Nathaniel di cui parlava ieri mamma oppure Ile sarà proprio nei guai con papà, penso mentre osservo quell’uomo, i suoi capelli sono castano scuro, mentre gli occhi sono grigio chiaro, un colore molto simile all'argento, è alto e sembra ancora ben messo di fisico, mi sorride ed avvicinandosi mi porge la mano.

 

«Buongiorno signorina Dorian. Sono Emanuele Marchesi, l’insegnante d’italiano di Ilenia, ed è un vero piacere conoscerla, sua sorella mi ha parlato molto di lei.» Mi dice lui parlando in italiano.

«S-s-s-s-s-salve.» Aggiungo con un po’ di titubanza iniziale rispondendogli in italiano. «Il piacere è tutto mio signor Emanuele, Io sono Misery Dorian.»

 

Detto ciò stiamo lì a chiacchierare per una decina di minuti in cui Emanuele si complimenta per la mia padronanza della lingua e successivamente mi invita ad unirmi alle loro lezioni ogni qual volta io ne abbia il desiderio, ma per oggi decido di lasciare Ilenia studiare da sola, in fondo io ho centinai di scatoloni da sistemare e quelli certo non si sistemeranno da soli, quindi mi congedo educatamente e torno in camera mia per sistemare gli ultimi due o tre scatoloni ricolmi di vestiti ed accessori che ripongo secondo un ordine assoluto nella cabina armadio.

 

 

Alle tre di pomeriggio ho appena finito con la mia camera quando sento un rumore provenire dal giardino, mi affaccio e noto mia sorella salutare il suo insegnante così apro la finestra e lo saluto a mia volta da quassù e poi lo vedo salire su una piccola cinquecento nera ed uscire dal grande cancello all’ingresso. Chiudo la finestra e poi apro la porta-specchio sulla sinistra salendo la mia elegante scala in ferro battuto nero, arrivo alla mansarda e comincio a spostare gli scatoloni e a disporne il contenuto nella stanza, per prima cosa accendo lo stereo inserendo un CD degli Skillet e facendolo andare a tutto volume. Papà non approva che io ascolti questo genere di musica, ma a me non importa così ascoltandola comincio a sistemare con uno scatolone con scritto “aste manichini Misery.” Lo apro e ne estraggo le due aste in acciaio componibili e le due piattaforme tonde che compongono la base, li compongo mettendoli ai due lati dell’imponente scrivania, poi cerco i due scatoloni con scritto “corpo manichino uomo” e “corpo manichino donna”, dopo una decina di minuti li trovo e li aggancio ai loro piedistalli posizionando il mio manichino femminile alla destra della scrivania e il manichino maschile sulla sinistra.

Poi mi accingo ad aprire uno scatolone con su scritto aghi, fili e bottoni, anche se in realtà non era quello in contenuto di quell’enorme scatolone, ma ci tenevo troppo ai miei disegni e ai miei modelli per elencare tutto ciò che vi era dentro. Lo apro e trovo subito il set da cucito e i campioni di stoffa che poggio in cima alla scrivania che era esattamente sopra quello scatolone, ma tra tutti quei rotoli di stoffa non riesco a trovare il mio album delle idee, cioè il block notes che racchiude tutti gli schizzi di tutti i vestiti che mi passano nella testa. Così, mettendomi in punta di piedi, praticamente mi immergo nello scatolone di fronte a me con la treccia che cade anch’essa al suo interno, l’unica cosa che si vede di me entrando in mansarda in quel momento è il mio fondo schiena per aria che si agita data l’ansia che provo non trovando quel mio preziosissimo blocco. Mentre io sono presa con la mia ricerca e dallo stereo parte la canzone Hero degli Skillet, in assoluto la mia preferita, sento dei passi salire le scale che portano in questa stanza dal secondo piano, ma non me ne preoccupo fino a che non sento uno strano profumo di pino silvestre misto ad un retrogusto appena accennato di tabacco, evidente segnale che chi è arrivato in mansarda è un fumatore o lo è stato fino a non molto tempo fa, arrivare dalle mie spalle.

 

«Che bella visuale Ile, non mi ricordavo avessi un così bel culo.» Aggiunge una voce maschile seguita da una risata alle mie spalle.

«Ma che…» Esclamo alzandomi e scordandomi che mi trovo sotto la scrivania prendendo così una dolorosa botta in testa. «AI.» Esclamo indietreggiando un passo e voltandomi.

 

Quando mi giro vedo una ragazzo con dei capelli rossi, decisamente troppo rossi per essere naturali, fissarmi a bocca aperta e con uno sguardo al quanto stranito, come se avesse visto un ladro. Ha le braccia incrociate ed è appoggiato allo stipite della porta, indossa un paio di pantaloni sportivi neri con svariate tasche e una catena a penzoloni sulla parte destra, ha delle converse rosse ai piedi, mentre a sovrastare i pantaloni possiede una maglia rossa, probabilmente a maniche corte, con un teschio stampato davanti, simbolo che ho già visto da qualche parte anche se in questo momento non riesco a ricordare dove. A concludere il suo look indossa una giacca in pelle nera ed una collana al collo formata da una semplice catena d’acciaio che gli fa da girocollo. I suoi occhi color grigio fumo mi fissano e dopo alcuni minuti di silenzio imbarazzante lui intreccia le labbra sottili e mi fissa da capo a piedi intento a pensare a chi sa cosa che, dopo il commento di poco fa, non voglio nemmeno immaginare.

 

«Tu non sei Ilenia.» Mi dice con sguardo perplesso.

«Hem… Evidentemente no.» Aggiungo sarcastica.

«E quindi chi sei?» Chiede lui gesticolando con le mani mentre il suo sguardo è fisso sulla mia ampia scollatura.

«Io sono Misery, sua sorella.» Aggiungo incrociando le braccia davanti alla scollatura e inarcando un sopracciglio, «E tu saresti?» Chiedo lievemente stizzita.

«Castiel, un amico di Ilenia.» Aggiunge lui con un sorriso smorfioso stampato in volto.

«E dimmi tutti i suoi amici sono soliti fare espliciti apprezzamenti sul suo fondo schiena? Per quanto ne so io a Seattle non funziona così.» Dico mentre lo guardo con uno sguardo che sembra dire perché capitano tutte a me?

«Hem… Ecco…» mentre lui cerca di dire inutilmente qualcosa, Ilenia entra con la sua travolgente energia.

«Hey Misery ci son…» Dice lei sorpassando l’amico all’ingresso della stanza e notandolo con la coda dell’occhio poco dopo. «Ciao Cass… dunque dicevo… a sì, ci sono i gemelli giù.» Conclude sorridendomi.

«Ottimo, falli salire.» Aggiungo sorridendole e lisciandomi il vestito con le mani.

«Hem… La vedo un po’ difficile la cosa, Armin si è paralizzato a vedere i miei videogiochi.» Aggiunge con un tono lievemente rassegnato.

«O santo cielo.» Aggiungo scuotendo la testa contrariata. «Armin è incorreggibile. Tranquilla scendo io e cerco di farlo tornare in se.»

 

Detto ciò spengo lo stereo e seguo Ilenia e il suo bizzarro amico giù per le scale, ancora mi chiedo che razza di amico sia quel tipo lì, certo nemmeno i gemelli sono tanto normali, Armin praticamente vive per la sua PSP e si esclude dall’intero universo mentre Alexy praticamente è una ragazza ciclopatica in preda ad una crisi di nervi mestruali, ma se Ilenia ha tutti amici come questo qui io sarò rassegnata a passare le mie giornate tra libri e tessuti, che amarezza, se il futuro si prospetta così forse era meglio restare a Seattle.



Angoletto delle autrici:

Salve biscottini cioccolatosi! Buon venerdì, buon fine settimana e inizio week-end!
Rieccoci qui, tanto sappiamo che ci attendete con ansia! (Se come no, illuse)
Come avrete notato dal titolo, questo capitolo è stato spezzato in due parti, altrimenti sarebbe stato na pappardella interminabile e a metà capitolo non avreste più seguito nulla >.<
In questo capitolo ecco comparire Castiel! Per la giuoia delle Castielline :D e compare facendo una figura di m... Marmellata! Che pensavate? Che fossimo scurrili? Eheheh f... Fregati :)
Cooooomunque :3 speriamo che il capitolo vi sia piaciuto (e se siete arrivati qui vuol dire che siete sopravvissuti al capitolo :3) ovviamente vogliamo sapere che ne pensate :D 
Questo è tutto, ci leggiamo il prossimo venerdì con la seconda parte :)
N.B: Il vestito indossato da Misery e il suo intero look, è stato interamente creato e pensato da Misery007 :3 ci si è spremuta tipo un giorno intero :3
Baci e abbracci :D
IleWriters Misery007


 

Pubblicato il: 20 marzo 2015

 
  
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