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Autore: Clexa_LoveBadass    20/03/2015    0 recensioni
"Adoro il rumore delle onde e la fresca brezza sulla pelle. L’acqua è calma, si muove con dolcezza. La luna splende alta e piena nel cielo, riflettendosi al centro del lago.
Ancora una volta sono scampato all’ira degli dei, tornando vincitore da un’impresa che tutti ritenevano impossibile. Invece io ce l’ho fatta e ho donato al mondo nuova speranza.
Sono addirittura finito sull’Olimpo, al cospetto di Zeus e delle altre divinità, che si sono complimentate con me.
Tutti sono felici, perché il pericolo è passato.
Tutti sono entusiasti… tutti, tranne me."
Così inizia la mia storia. E' una delle tante avventure che Percy e i suoi amici si ritrovano a dover affrontare. Però questa volta il pericolo non deriva da un mostro marino o da una divinità avversa. Come la mettiamo se il pericolo siamo noi stessi? O magari una parte della nostra personalità che ci è stata rubata? La situazione non vi è chiara..? Leggete la mia storia e capirete ogni cosa! ;)
(Percy&Annabeth,Percy&Rachel,altri)
Questa è la mia prima fanfiction,spero che vi piaccia! Sentitevi liberi di recensire,consigliare,criticare… e buona lettura!
-Avventura;Romantico-
Genere: Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo 6
 
Mi concentrai su tutta la rabbia che avevo in corpo da molto tempo, dall’ultima volta che ero stato sull’Olimpo, da quando avevo litigato con Annabeth e con Rachel e da quando mi ero addentrato in quella stramaledetta foresta!
Lasciai che tutta l’ira e l’odio che avevo in corpo si fondessero in un unico sentimento terribile. Poi, gli occhi infiammati di rabbia, lanciai un urlo lacerante e le rocce sotto i piedi di Mnemosine esplosero, colpite da un geyser d’acqua alto più di cinquanta metri.
La dea scomparve lì dentro e Annabeth, terrorizzata, si nascose dietro di me. C’era un piccolo problema: i grossi frammenti delle rocce erano stati in parte sparati nella nostra direzione e, come giganteschi proiettili, si avvicinavano a velocità supersonica.
Strinsi i denti e, con un ultimo sfogo di energia, richiamai una barriera d’acqua che ci si parò davanti. Normalmente, le rocce l’avrebbero bucata… ma quella non era semplicemente acqua: era la mia rabbia sotto forma di liquido.
Così, non appena si scontrarono con essa, le rocce si disintegrarono e noi fummo salvi.
Dopo essermi liberato di tutti quelle emozioni negative, mi sentii tanto debole che caddi faccia a terra, senza la forza di stare in piedi.
<< Percy! >> gridò Annabeth. L’ultima cosa che sentii furono le sue dita tra i miei capelli e i suoi singhiozzi strozzati… poi tutto divenne buio e silenzioso.
Quando riaprii gli occhi, ero disteso in acqua. Era notte fonda e, sparse per il prato, c’erano ancora parti delle rocce esplose.
Mi sedetti e subito ebbi un forte capogiro. “Cosa… cos è successo? Mi sento così debole” pensai, passandomi la mano tra i capelli.
Provai ad alzarmi, ma non riuscivo a fare leva con le braccia, mi mancavano le forze. “Uff… e ora che faccio?”. Mi guardai intorno, cercando Annabeth: la vidi sdraiata sull’erba, poco distante dal ruscello.
Stava dormendo profondamente e alla luce della luna sembrava bianca come latte.
Decisi di non svegliarla e, con le poche energie che avevo in corpo, riuscii a strisciare verso di lei. Non fu un’impresa semplice e quando finalmente la raggiunsi, mi lasciai cadere sul prato, con il fiato grosso.
Girandomi verso di lei, intrecciai le dita alle sue e mi addormentai, fissando il suo viso rilassato.
<< Percy… Percy… Percy! >> mi svegliai di soprassalto, quando Annabeth urlò il mio nome.
Eravamo ancora sdraiati sul prato e le tenevo ancora la mano; mollai immediatamente la presa, ritrovandomi con le dita appiccicose.
<< Ben svegliato, dormiglione! >> disse, leggermente rossa in viso.
<< Grazie… >> risposi sbadigliando.
<< Dobbiamo metterci in viaggio, al Campo saranno tutti in pensiero per noi! >> esclamò lei.
<< Sì, hai ragione… dammi due minuti per riprendermi, sento tutto il corpo dolorante >> risposi con una smorfia. Mi stiracchiai e fu come raddrizzare una vecchia fisarmonica arrugginita. Ahi!
<< Sei stato grandioso! >> mi disse Annabeth, sorridendo.
Io arrossii << Beh, non esageriamo… Mnemosine? >> chiesi, ricordandomi improvvisamente della dea.
Lei scosse la testa << Non si è più fatta vedere… immagino che non abbia gradito la batosta! >>.
<< Puoi scommetterci! >> risposi orgoglioso.
Tra le risate, ci fissammo intensamente negli occhi… in quel momento, sentivo che tutto il mondo sarebbe potuto esplodere senza che me n’accorgessi. L’unica cosa che vedevo erano i suoi occhi grigi come la tempesta.
Mi resi conto che avevo rischiato di perderla per sempre ed ero così felice di averla viva accanto a me che feci l’inimmaginabile: mi avvicinai per baciarla.
Sentii il suo respiro aumentare, gli occhi spalancati per la sorpresa; però, quando la distanza tra noi si ridusse a meno di un centimetro, si allontanò e, girandosi dall’altra parte, mi fece sprofondare nell’imbarazzo più totale che si possa provare.
Ero confuso, non capivo il senso della sua reazione. Così mi feci coraggio e glielo chiesi. << Annabeth, c’è qualcosa che non va? >>.
Lei, senza guardarmi, rispose << Sono felice di aver ritrovato la memoria… ma d’altro canto, non sono solamente i bei ricordi a essermi tornati alla mente >>. Tenne lo sguardo fisso altrove.
<< Ma che… Rachel? >> chiesi stupito, capendo al volo – stranamente – a chi si riferisse.
Lei non mi guardò, ma la vidi strizzare leggermente gli occhi… sembrava molto triste.
<< Annabeth… tra me e lei non c’è niente, davvero >> assicurai sorridendo. Purtroppo però, non riuscii a convincere neanche me stesso. Dopotutto, ero il primo a non capirci niente!
Lei si alzò e, girandosi verso la foresta, rispose << Dobbiamo andare, la tua amica con i capelli rossi sarà preoccupata >>. Detto questo, si mise a camminare impettita.
<< Annabeth! >> chiamai, correndo per raggiungerla. << Uffa, non capirò mai le ragazze! >> borbottai tra me e me.
Inoltratoci nel fitto labirinto di foglie, mi resi conto di non aver riavuto indietro il dono di navigatore satellitare. “Oh no! Ora come facciamo a uscire?” pensai disperato.
Con tempismo a dir poco perfetto, Atena apparve davanti a noi. << Grazie dell’aiuto, Percy Jackson >> disse, sorridendomi.
<< Ehm… non c’è di che >> risposi << Abbiamo un problema: non ho più le coordinate nella mia testa, non so come faremo a tornare al Campo >>.
<< Lo so, ma non preoccuparti, ho passato il dono ad Annabeth >> assicurò.
Oh certo, adesso che non le servivo più potevo tornare a essere inutile. Grazie tante.
<< Ti ringrazio, madre >> rispose l’interessata. << Andiamo, c’è molta strada da fare >>.
<< Sì, ciao… >> borbottai io. Ricevetti due occhiatacce grigie e identiche.
<< A presto >> rispose la dea e scomparve.
Annabeth cominciò a camminare ed io a cercare di starle dietro. Andava veloce e si muoveva fluidamente tra gli alberi.
<< Ehi, possiamo rallentare? >> chiesi esasperato, fermandomi. << Non reggeremo molto a questo ritmo! >>.
<< No, voglio andarmene da qui il prima possibile >> rispose secca.
Io sbuffai e, calciando un sasso, ricominciai a seguirla. Mi tenevo a distanza, non sopportavo di vederla così.
Dopo parecchio tempo di cammino ininterrotto, si fermò di colpo. Non si girò verso di me, ma continuò a guardare davanti a se.
La raggiunsi. << C’è qualche problema? >> poi vidi che, effettivamente, davanti a noi c’era un enorme tronco d’albero. Guardando a destra e sinistra, non si vedeva la fine. Qualcosa non quadrava, poco ma sicuro; probabilmente, Mnemosine – con le ultime risorse di energia – stava ancora tentando di ostacolarci.
“Bene, dobbiamo per forza scavalcarlo” pensai. Dopo qualche secondo di riflessione, mi venne un’idea geniale.
Chiamai dell’acqua dal terreno. Mi misi sul punto da cui fuori usciva e… fui schizzato in aria da un piccolo geyser!
Atterrai sul tronco, tenendomi in equilibrio per un soffio. << Percy! >> chiamò Annabeth. Era un paio di metri sotto di me.
<< Dai vieni, ti aiuto! >> le dissi. Mi sdraiai a pancia in giù e le tesi la mano.
All’inizio sembrò contrariata, poi si rese conto che non ce l’avrebbe fatta senza il mio aiuto. Così, con una smorfia, tese la mano verso la mia e spiccò un balzo. La afferrai e, tirando con tutta la forza che avevo in corpo, la portai al sicuro vicino a me.
<< Grazie >> disse, arrossendo ed evitando di guardarmi.
<< Fig-ura-ti… >> risposi con il fiatone. Era stato un momento molto intenso e non solo perché avevo dovuto tirare su 55 chili di ragazza, ma soprattutto perché avevo avuto l’opportunità di tenerle ancora la mano.
<< Vuoi riposarti un attimo? >> mi chiese.
<< S-sì… per favore… >> risposi ancora con il fiato grosso.
Quando fui certo di riuscire a parlare senza balbettii, chiesi << Annabeth, hai intenzione di tenermi il muso tutto il giorno? >>.
Lei corrugò la fronte << Tu che faresti al mio posto? >>.
<< Ne parlerei! >> risposi, senza pensarci un secondo di più.
<< D’accordo allora... parla, ti ascolto >> disse, guardandomi con aria di sfida.
“Dannazione, ora che le dico?” pensai disperato. Mi morsi il labbro inferiore. << Prima di tutto, vorrei sapere perché sei arrabbiata con me >>.
<< Per come mi hai trattata prima che partissi… >> rispose, gli occhi lucidi.
Appoggiai la mano sulla sua. << Sai perché l’ho fatto >> risposi.
Mi guardò con gli occhi pieni di lacrime << Sì, ma avresti dovuto parlarmene, avremmo trovato una soluzione… non sono mai stata così male in tutta la mia vita >> rispose con voce tremante.
<< Anch’io sono stato malissimo… mi dispiace, Annabeth >> avevo gli occhi umidi.
Lei appoggiò la testa sulla mia spalla e m’inzuppò la maglietta di lacrime. Io la abbracciai, affondando il viso nei suoi capelli.
<< Quindi Rachel non c’entra niente? >> chiesi, dopo un po’.
Si scostò, asciugandosi il viso con la manica della mia maglia – eh già, la indossava ancora! << Lei… è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso >> rispose evitando i miei occhi. << Non sopportavo l’idea che, poco dopo aver litigato con me, fossi già in sua allegra compagnia >> confessò, con un tono di rabbia repressa nella voce.
<< Capisco, ma ti assicuro che è stata una sorpresa anche per me! Io non avevo idea che sarebbe venuta al Campo! >> risposi sincero. Dovevo assolutamente chiarire quella situazione.
Lei mi guardò stupita. << Sul serio? >> chiese, con gli occhi ancora lucidi.
<< Sì, te lo giuro >> le dissi, guardandola intensamente e desiderando di veder sparire quelle lacrime amare dai suoi magnifici occhi.
Lentamente, un grande sorriso fece la comparsa sul suo viso; all’improvviso mi stritolò in un abbraccio e per poco non caddi dal tronco.
<< Ehi, hai deciso di soffocarmi…? >> chiesi sorridendo.
Lei ridacchiò, scostandosi da me. << Proseguiamo? >> chiese, finalmente con gli occhi asciutti e felici.
<< Certo >> risposi, poi la aiutai a scendere dall’enorme tronco.
Durante il viaggio ridemmo e scherzammo, spingendoci e rincorrendoci. Quella bella atmosfera rendeva meno opprimente l’idea di tutta la strada che avevamo ancora davanti a noi.
Arrivata la sera, decidemmo di arrampicarci su un albero e riposare. Salii prima io e, scelto il giusto ramo, la aiutai a raggiungermi.
<< Che fatica! >> esclamò con il fiatone quando si sedette al mio fianco.
Io ridacchiai << Ti stanchi per così poco? >>.
Lei mi lanciò un’occhiataccia << Vago per questa foresta da molte più tempo di te! >>.
<< In effetti… dai, mettiamoci a dormire >> conclusi, sdraiandomi.
<< Non c’è molto spazio su questo ramo… >> brontolò.
<< Poche storie, è il migliore che sono riuscito a trovare >> risposi, chiudendo le palpebre.
<< Uff, io ho paura di cadere… >> disse, mentre si stendeva cautamente vicino a me.
Sbuffando, le cinsi il fianco con un braccio e la strinsi contro al mio corpo. Aprii gli occhi, eravamo a pochi centimetri di distanza.
Lei arrossì << Ehi! >> cercò di allontanarsi, ma io non allentai la presa. Avvicinandomi lentamente, le diedi un piccolo bacio sulla punta del naso.
Quando divenne così rossa che riuscii a notare il cambiamento perfino al buio, non mi trattenni più dal ridere.
<< Antipatico… >> borbottò, tentando di sprofondare.
<< Buonanotte, Annabeth >> le dissi, sorridendo.
<< ‘Notte >> rispose, nascondendo la faccia contro il mio petto. Così ci addormentammo, mentre Artemide faceva risplendere la luna più che mai.
Il mattino dopo, fui svegliato da un fugace raggio di sole, che era riuscito in qualche modo a oltrepassare l’incredibile rete di foglie. Aprendo gli occhi a fatica, mi guardai attorno intontito.
Al mio fianco, Annabeth dormiva tenendo stretta la mia maglietta. Aveva le labbra distese in un sorriso, un’espressione felice e rilassata.
Guardandola teneramente, le accarezzai il viso con un dito, scostandole un ciuffo di biondi capelli. Lei strinse gli occhi, svegliandosi confusa. << Mm… ancora cinque minuti… >> borbottò, cercando di immergere la faccia nel mio braccio.
<< Ehi, svegliati Annabeth, dobbiamo rimetterci in viaggio >> le sussurrai nell’orecchio.
A quel punto, aprì gli occhi e si sedette di scatto. << Percy? >> mi guardò tentando di riprendere lucidità. << Oh… giusto, dobbiamo andare >>. Dopodiché sbadigliò e, nel momento in cui il raggio di sole illuminò i suoi occhi, il loro grigio divenne azzurro come l’acqua del mare.
Io rimasi a fissarla con una faccia da pesce lesso. << Ehm… Percy, tutto bene? >> chiese scrutandomi e arrossendo, rendendosi conto di come la stavo guardando.
Mi risvegliai dallo stato di trance in cui ero caduto << C-certo… dai, scendiamo da quest’albero >> dissi, tentando di nascondere il mio imbarazzo.
Fui il primo a toccare terra e subito alzai lo sguardo per vedere come se la cavava Annabeth. Stava cercando di poggiare i piedi su un ramo più in basso, ma sembrava in difficoltà; purtroppo le mie preoccupazioni non erano infondate e, poco dopo, la ragazza mise male il piede e perse la presa sul ramo, cadendo all’indietro.
Ecco cosa sarebbe successo: da quell’altezza, si sarebbe trasformata in una frittata di semidio non appena avesse toccato terra. Oppure, grazie al mio eroico intervento, sarebbe caduta su di me, spezzandomi qualche osso.
Ovviamente, ebbe luogo la seconda ipotesi… mi lanciai sulla sua traiettoria e lei, urlando, mi finì addosso, scaraventandomi a terra.
Ne uscii con sole due dita rotte – avevo tentato di prenderla al volo – e ora ero sdraiato dolorante, con un fagotto tremante sopra.
<< Ehi… n-non è che riesci a spostarti… ?>> chiesi, trattenendo il respiro per il male che mi procurava anche il solo parlare. Lei, lentamente, rotolò alla mia destra.
Restammo a lungo sdraiati con il fiato grosso, lei ancora tremando. Il dolore stava pian piano diminuendo, ma quello alle dita restava una tortura.
Annabeth si girò verso di me. << Grazie… sarei stata spacciata se non fosse stato per te… >> e, avvicinandosi dolorante, mi diede un delicato bacio sulla guancia. Io arrossii violentemente.
<< Non… non c’è di che >> risposi, sempre fissando le cime degli alberi sopra di me. << Sono abituato a salvarti la vita… >> ridacchiai, ma me ne pentii subito perché quel piccolo gesto mi provocò un dolore straziante al torace.
<< Sei ferito…? >> chiese preoccupata, sedendosi a fatica per controllarmi.
<< Due dita rotte… forse anche una costola… >> risposi, cercando di non far trasparire la sofferenza.
<< Scusami, è tutta colpa mia! >> disse tra le lacrime. << Se solo non fossi caduta! >>.
<< Ehi, tranquilla… non l’hai certo fatto apposta >> la rassicurai, ma non riuscii a trattenere una smorfia di dolore.
<< Hai bisogno di acqua! >> esclamò lei.
<< Posso provare a chiamarne un po’ dal terreno… >> mormorai. In effetti ci riuscii, ma ero così debole che fu pochissimo il liquido che uscì dal terriccio. Con quella misera quantità ci sarebbe voluto molto tempo per guarirmi, ma sempre meglio di niente.
Per circa tre ore la situazione fu sempre la stessa: io che mi riprendevo lentamente grazie all’acqua, Annabeth che camminava nervosamente avanti indietro, disperandosi per la sua momentanea inutilità.
Le chiesi di parlarmi, per far passare il tempo e concentrarmi su altro che non fosse il dolore. Mi raccontò del suo arrivo qui e del suo viaggio alla ricerca di Mnemosine, dei quattro mostri che aveva sconfitto durante il tragitto.
Compresi che era davvero coraggiosa e in gamba… cioè, lo sapevo già, ma questa piccola avventura mi convinse ancora di più che Annabeth Chase era davvero unica. Poi mi sorse un dubbio.
<< Non capisco: tu sei venuta fin qui per dimenticarti di me, ma dopo desideravi riavere i tuoi ricordi… hai cambiato idea? >> chiesi confuso.
Rispose molto sinteticamente << Capisci quanto tieni davvero a qualcosa quando la perdi >>. Non tornammo più sul discorso, era stata fin troppo chiara.
Dopo parecchio tempo, finalmente mi ripresi del tutto. << Ehi, mi aiuti ad alzarmi? >> le chiesi.
Subito si precipitò al mio fianco. << Sei sicuro di farcela? >> domandò preoccupata.
Io le sorrisi << Certo >>. Con il suo aiuto, poco dopo ero in piedi e scrocchiai le dita per assicurarmi che fossero guarite: come nuove.
<< Bene, direi che possiamo rimetterci in viaggio, abbiamo perso fin troppo tempo >> dissi, guardandomi intorno, tentando di capire quale fosse la giusta direzione… ovviamente non ci riuscii – era tutto uguale, sia a Nord sia a Sud, ovunque! – ma tanto c’era Navigatore-Annabeth-Satellitare.
<< Non preferiresti riposare e riprendere domani il viaggio? >> chiese, poco convinta.
Io mi girai verso di lei e, sbuffando, passai un braccio sotto alle sue ginocchia e con l’altro le sostenni il capo poco prima che toccasse terra. Ridacchiando, la tenni tra le braccia, cominciando a camminare in una direzione a caso.
<< Percy! >> strillò lei arrossendo. << Lasciami subito! Ho capito, sei di nuovo in forze… e stai andando dalla parte sbagliata! >>.
Sempre ridendo, la rimisi a terra. Rossa come un pomodoro, si girò e cominciò a camminare impettita dalla parte opposta di dove la stavo portando io.
La seguii, tentando di frenare le risate. Era tutto esattamente come prima del piccolo incidente, e tale rimase per il resto del viaggio di ritorno.
Non incontrammo mostri, dormimmo sugli alberi, mangiammo bacche trovate per strada e… ridemmo, ridemmo, ridemmo.
Al termine di quel lungo, ma entusiasmante viaggio, sbucammo fuori dalla foresta, ritrovandoci finalmente in una distesa d’erba senza alberi.
<< Wow! >> esclamò Annabeth, con gli occhi sbarrati.
<< Da quanto tempo non vedevo il cielo! >> risposi, ammirando il magnifico spettacolo.
C’erano poche nuvole rosa, e il sole sembrava un’enorme palla infuocata! Era basso all’orizzonte e, alzando sempre più lo sguardo, i colori arancione, giallo, rosa, azzurro, blu stellato, si alternavano dando luogo ad un fantastico tramonto. Perché era tutto così dannatamente bello, quando ero con lei?!
Mi girai verso Annabeth, che ancora fissava il panorama a bocca aperta. Il suo viso delicato era baciato dal riflesso rossiccio del sole e la rendeva, se possibile, ancor più bella del solito. I capelli prendevano sfumature arancioni, parevano un piccolo fuocherello e gli occhi… dii immortales! Non so nemmeno come definirli: erano a dir poco spettacolari! Non erano grigi come la tempesta, ma celesti come il cielo che la precede; inoltre erano contornati da scaglie dorate, risultato del rosso riflesso del sole mischiato al naturale colore delle sue iridi.
A sua volta si girò a guardarmi e – non so cosa vide – rimase a fissarmi con lo stesso sguardo che le riservavo io. C’era una strana atmosfera tra noi, sembrava circolasse elettricità nel ristretto spazio che ci divideva.
<< Annabeth… >> sussurrai, alzandole il mento con un dito, così che mi guardasse negli occhi mentre mi avvicinavo a lei.
Le nostre labbra erano a pochi millimetri di distanza, stavo già socchiudendo gli occhi… ma lei si scostò, di nuovo. Un altro rifiuto. Proprio non capivo il problema.
<< Scusami Percy, ma non posso… >> disse, mentre una lacrima le scendeva lungo la guancia, riflettendo per un attimo la luce del sole ormai quasi scomparso all’orizzonte.
La guardai affranto e confuso per qualche secondo; poi mi girai dall’altra parte e, messe due dita tra le labbra, lanciai un lungo fischio acuto.
Pochi secondi dopo, ecco spuntare due pegasi nel cielo: erano Blackjack e Guido.
Io montai a bordo del mio amico nero, mentre Annabeth salì sull’altro pegaso. Spiccammo immediatamente il volo, lasciando il labirinto di alberi che per – quanti giorni erano passati? Boh – parecchio tempo ci aveva ospitato. Ci lanciammo nel pieno del cielo stellato, sfrecciando a tutta velocità.
   
 
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