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Autore: deine    20/03/2015    2 recensioni
Dopo la battaglia alla Montagna Solitaria, Legolas parte per cercare Aragorn, seguendo il consiglio di Thranduil. L'Elfo dovrà affrontare un lungo viaggio, seguendo il corso del Grande Fiume, ma non sarà solo in questa avventura...
Dal testo:" La sua mano si strinse attorno all’arco istintivamente, quando sentì il grido disperato che aveva squarciato il silenzio. Si alzò precipitosamente, preparando una freccia con movimenti veloci e ormai automatici, mentre cercava di capire da che direzione provenisse il grido, che non si ripeté. Legolas si mise a correre verso Ovest, da dove pensava fosse arrivata quella disperata richiesta d’aiuto."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aragorn, Legolas, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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“Sei una stupida.” Vis pensava questo, mentre cercava di mantenere quel poco di orgoglio che le restava, evitando di cercare la fuga e puntando il pugnale verso l’essere che la fronteggiava. Le tremavano le gambe, e lei sperava non fosse troppo evidente il suo terrore. Già, in quel momento si era resa conto che sarebbe morta, ed era terribilmente spaventata: l’Orco non sarebbe stato tenero con lei, si sarebbe assicurato che pagasse per la cicatrice che attraversava il punto dove in precedenza v’era stato il suo occhio. Il dolore era una piaga che non aveva mai imparato ad affrontare e che l’aveva sempre ripugnata. Aveva temuto spesso che la scelta di inseguire Eazar, tanti anni prima, l’avrebbe portata a un simile destino, ma non aveva mai pensato che fosse così complesso vedere un nemico di fronte a sé e sapere di non aver possibilità di vittoria . Di fronte a quel terrore cieco Vis pensò di lasciare cadere il pugnale e aspettare che egli la uccidesse, sperando che non fosse troppo cruento, ma poi si riscosse: sua madre non l’avrebbe voluto, suo padre, i suoi fratelli e sua sorella non l’avrebbero voluto, non dopo avere aspettato per così tanto di poter vendicarsi appieno. Legolas non l’avrebbe voluto. Le tremò un labbro al pensiero che non l’avrebbe mai più rivisto, che non avrebbe mai più sentito le sue braccia circondarle i fianchi, e lei non si sarebbe più sentita così serena come lo era appoggiata al suo petto. In quell’esatto istante capì che non ne sarebbe mai valsa la pena, di lottare, di lacerare la pelle di quell’infima bestia che aspettava una sua mossa a pochi metri da lei, perché sarebbe certo morta, ed egli non sarebbe stato con lei. Ciò che la convinse ad allentare la presa sull’arma che teneva in mano fu il fatto che, se non si fosse arresa, se avesse lottato per la propria vita, Eazar avrebbe allungato all’inverosimile la durata delle sue sofferenze e Vis, mentre la vita lasciava il suo corpo, avrebbe avuto gli occhi pieni di lacrime, pensando a quell’Elfo biondo che non avrebbe mai più visto. Si rese conto che il dolore fisico unito a quello mentale sarebbe stato troppo, troppo forte. Lentamente aprì la mano, facendo scivolare l’elsa del pugnale finemente lavorato a terra, con le dita bene aperte, come se temesse che i suoi muscoli e le sue ossa non rispondessero al cervello e si attaccassero al metallo dell’arma, per tentare un ultima volta di salvarsi. Mentre sul volto sfigurato del suo avversario compariva un sorriso feroce, Vis chiuse gli occhi. “Sei una stupida Vis. Come hai potuto credere che morire fosse facile?” pensò.
Mentre vedeva l’Orco caricare un colpo rimase immobile, con il pugnale a meno di un metro di distanza dalla sua mano. Proprio mentre Eazar stava per colpire, e il suo animo si svuotava di ogni sensazione, arrivando a percepire solo un vago spettro di ciò che le succedeva intorno, un sibilo la distrasse, e in un attimo l’Orco non era più davanti a lei, ma si teneva un braccio, da cui perdeva sangue, poco più in là, imprecando a voce bassa. Vis non perse tempo: afferrò di nuovo il coltello e si girò un attimo nella direzione da cui era giunta la freccia; non fu stupita di trovare Legolas alle sue spalle, intento a posizionare un altro dardo sull’arco. Sorrise, rivolta a se stessa, e scattò, diretta verso Eazar. L’aveva sottovalutato: pensava che la ferita fosse grave e dolorosa, ma l’Orco scattò con improvvisa rapidità, parando un colpo diretto alla tempia e raddrizzandosi. Le torse il braccio, ed ella lasciò cadere la sua unica arma, mentre sentiva un dolore acuto invaderle l’arto sinistro, con cui maneggiava il pugnale. Era disarmata e ferita, e poteva semplicemente tentare di schivare i colpi. Eazar maneggiava la spada, grande e pesante, con abilità e leggerezza, usando solo una mano, mentre l’altra era appoggiata alla vita; sembrava che stesse giocando con un bambino. Questo pensiero fece infuriare Vis, che si distrasse e subì due colpi, fortunatamente dati con l’elsa della spada, che le mozzarono il respiro per la loro violenza. Ella indietreggiò, boccheggiando, e il suo avversario menò un fendente di piatto, che l’avrebbe certamente decapitata se l’Elfa non si fosse provvidenzialmente abbassata. Stava perdendo terreno e concentrazione, quando una freccia attraversò fischiando l’aria che intercorreva tra lei e l’Orco. Quest’ultimo fissò per un paio di attimi il dardo, passato a una distanza infinitesimale dal suo occhio; Vis ne approfittò, e si gettò a terra, arrivando presto a toccare di nuovo la lama del coltello nel momento in cui il suo nemico schiantava al suolo un colpo tremendo, reso furioso dalla paura di perdere il suo solo, ultimo occhio. L’Elfa lo schivò rotolando, e spinse la lama dell’arma nella coscia dell’avversario. L’Orco ruggì di dolore e scaraventò l’arma verso di lei con tutta la sua forza. Quella volta Vis non fu abbastanza veloce: pur spostandosi, rimase preda della lama baluginante, che squarciò la carne del fianco ferito, la cui lacerazione si era appena rimarginata. Il dolore le attraversò il corpo come se fosse stata colpita da un fulmine, arrivando al cervello e obnubilandole la vista, che si annebbiò. L’Orco spinse la lama ancora più in profondità, ed ella lanciò un disperato grido di dolore, che le strappò tutta l’aria che le era rimasta nei polmoni. Quell’essere non ebbe però tempo di continuare il suo martirio, perché Legolas gli si scagliò addosso, arma alla mano. Eazar vacillò un attimo, dando la possibilità a Vis di riprendere fiato e di trascinarsi più lontano dai due duellanti, che ora si fronteggiavano. Sentì una goccia di pioggia caderle sul viso, prima che la vista le si annebbiasse di nuovo, e i rumori delle lame che si scontravano diventasse più fioco e lontano. Poi perse i sensi.
 
 
 
Era davvero spaventoso: più alto di un Orco normale, con enormi avambracci e un sorriso crudele sul volto, che non faceva altro che rendere il suo viso ancora più ripugnante. Aveva la pelle biancastra e glabra, come se fosse semplicemente una guaina; il punto dove doveva esserci stato l’occhio che Vis gli aveva strappato era attraversato da una cicatrice rossastra, dal tratto impreciso. L’altro occhio mostrava un odio intenso, ma pur sempre lucido e crudele. Aveva visto l’Elfa svenire poco più in là, e si sentiva in colpa per non essere stato lì ad impedire che Eazar la colpisse, ma l’Orco aveva nuovamente dimostrato di non essere stupido come i suoi simili, e aveva portato con lui qualche orchetto che gli guardasse le spalle mentre riduceva Vis in poltiglia. Il pensiero dei suoi occhi fissi, abbandonati da ogni barlume di vita, lo convinsero ad attaccare per primo, venendo fulmineamente respinto da Eazar, che tentò di colpirlo nello stesso punto in cui aveva lacerato la pelle della ragazza pochi minuti prima. Legolas non glielo permise, ruotando su stesso e ferendolo di striscio vicino all’orecchio. Fu una pessima mossa: il suo nemico si infuriò ancora di più, poiché temeva per la sua vista, e raddoppiò la sua forza, già considerevole. Con un latrato disumano, colpì l’Elfo con un pugno diretto al viso, e lo spedì a terra con la bocca sanguinante; senza dargli neanche la possibilità di riprendere fiato, l’Orco iniziò a percuoterlo con poderosi calci diretti alla mandibola, alle gambe, al ventre, alla testa. Ad ogni colpo Legolas si sentiva sempre più simile ad una bambola di pezza, con ogni arto, vena, organo ed osso che strillava di dolore; stava per soccombere, quando Eazar caricò un colpo talmente forte che sbilanciò la sua enorme massa corporea, e Legolas colse l’occasione per togliergli il respiro, conficcando l’asta dell’arco nello stomaco del nemico con tutta la forza che gli rimaneva. Eazar boccheggiò un paio di volte e si piegò in avanti, allentando la presa sull’arma che stringeva nella mano destra. Legolas si portò leggermente alle sue spalle, per colpirlo e finire quello scontro per poter andare a controllare come stava Vis che, poteva vederlo nonostante la pioggia che ormai scendeva fitta, respirava a malapena. Sentiva solo voglia di correre accanto a lei, e ammirare il suo viso sereno, come non lo era stato da quando la conosceva. E se fosse morta… Legolas avrebbe ucciso ogni Orco della Terra di Mezzo se fosse servito a salvare quella vita che tanto gli era cara, avrebbe spezzato la propria vita se fosse servito a far rifiorire quella di Vis. L’arco ancora stretto nella sua mano cadde a terra, ed egli allentò la presa sul pugnale sporco di sangue che stringeva nel pugno. L’acqua si mescolava al sangue che colava da un sopracciglio spaccato, rendendo meno chiara la sua vista. Legolas guardava Vis, e dell’Orco che gli stava davanti non gli importava più, come non gli importava più del regno di suo padre, della pioggia, del suo destino, del dolore che invadeva la gamba sinistra e del colpo che lo buttò a terra in quell’istante. Urlò, perché la lama gli aveva trafitto il petto, e nel punto in cui aveva lacerato la carne ora sentiva freddo, e una larga macchia scura si allargava inesorabilmente. Eazar, il carnefice, l’assassino, il ladro, aveva vinto. Quel giorno incideva altre due tacche sulla sua spada. Legolas si sentì triste: non avrebbe voluto morire senza vedere il mare almeno una volta. E infatti non sarebbe morto lì, in quel momento: la sua mente gli impose questo pensiero, ed egli si risollevò per un attimo. Mentre il suo avversario si avvicinava, ansioso di finire quel lavoro, Legolas ebbe la consapevolezza che anche lui era stanco e ferito, e quindi impreparato. Tuttavia non aveva un’arma con cui ucciderlo. Già, lui no, ma Eazar l’aveva, e pendeva inerme dalla sua mano. L’Elfo aspettò; quando l’Orco fu abbastanza vicino e, preparandosi ad uccidere, tirò la spada sopra la testa, per dare forza al colpo, in quel momento Legolas raccolse tutta l’energia che gli era rimasta, nonostante lo squarcio nel petto, e balzò in piedi; afferrò le mani del nemico, congiunte sull’elsa della spada, e le spinse con tutta la sua forza verso lo stomaco del loro padrone. Eazar cadde a terra con un sussulto, mentre nella pelle bianca si apriva una lacerazione, e il sangue caldo di colui che aveva ucciso ed era stato ucciso sgorgava, imbrattando il terreno e mischiandosi al fango.
Legolas raccolse l’arco e spiccò un’ultima corsa, prima di cadere a terra accanto all’Elfa, che aveva gli occhi chiusi e respirava appena. I due Elfi intrecciarono le dita e avvicinarono le labbra, scambiandosi un bacio semplice, che racchiudeva tutto ciò che non ci sarebbe stato. Legolas appoggiò la testa al petto di Vis ed ella posò la mano sui suoi capelli. Rimasero lì, in silenzio, mentre la pioggia si arrendeva, e un timido arcobaleno spuntava nel cielo, rimanendo in disparte, visibile solo ad alcuni. Legolas lo scorse prima di chiudere gli occhi, e sorrise.
 
 
 
 
 
 
Si sarebbe svegliato tre giorni dopo, a Rohan, ed ella non sarebbe più stata al suo fianco. Gli avrebbero spiegato che li avevano trovati dei raminghi, insieme al cavallo, ed erano stati portati lì, per essere curati. Gli avrebbero detto della fuga di lei, del furto dell’equino, del suo bellissimo sorriso mentre ripartiva, dedita all’avventura. L’avrebbero calmato, quando la sua furia avesse messo in pericolo chi gli aveva fatto l’ambasciata. Si sarebbe rifiutato di mangiare, e avrebbe ordinato di cercare in ogni angolo della Terra di Mezzo quella creatura dai tratti spigolosi e i capelli scuri, bella in quel modo che solo lui sentiva di potere comprendere. Avrebbe capito la sua voglia di libertà, che aveva percepito da subito, e si sarebbe distratto tornando ad allenarsi, e scoprendo che, fortunatamente, l’unica cosa che quell’esperienza gli aveva lasciato era una lunga cicatrice, insieme ad un mare di solitudine e rabbia. Poi avrebbe scovato ciò che lei gli aveva lasciato, e che aveva nascosto nella sua sacca: il suo pugnale lavorato. Avrebbe sorriso e smesso di soffrire e di aspettarla invano. Sarebbe ripartito per altre avventure, coltivando sempre, in fondo al cuore, un pizzico di speranza.
 
 
 
 
 
 
 
 
Wow, ho finito! Lo so, avevo detto che i capitoli sarebbero stati due, ma alla fine era più continuo e sensato mettere tutto insieme, e così ho fatto. Con questo capitolo finisce questa “mini long” di cinque capitoli (se ho capito bene come si fa a contare) ringrazio quelli che mi hanno seguita, apprezzata, spronata, aiutata e criticata, perché mi hanno aiutato a finire questo lavoro in modo, spero, dignitoso. Avrei voluto parlare di più di come l’occhio di Eazar se ne sia andato in vacanza, ma fuoriusciva un po’ dal contesto secondo me, e al massimo scriverò qualcosa in seguito per raccontare quell’episodio. Spero che il finale non vi abbia infastidito, ma questa era l’idea da cui ero partita e ci tenevo a seguire l’istinto almeno alla fine. Mi farebbe molto piacere leggere cosa ne pensate della storia e quindi vi invito gentilmente a lasciarmi una recensione! Grazie mille ancora a tutti e tanti baci da Mela!
   
 
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