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Autore: gingersnapped    21/03/2015    2 recensioni
Hiccup Horrendous Haddock III era tutto fuorché orrendo, come invece suggeriva il suo nome
Merida Dunbroch era una ragazza non convenzionale.
Jackson Overland Frost era il tipico adolescente che si nascondeva dietro una maschera
Rapunzel Corona era di una bellezza che rasentava la perfezione.
Questa però, non è una raccolta d’amore. Questa è una raccolta di come questi quattro amici si innamorarono –e alcuni scoprirono più tardi di esserlo già in precedenza. Questa è una raccolta di giorni normali resi speciali da momenti e da parole, oppure da un semplice gesto.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hiccup Horrendous Haddock III, Jack Frost, Merida, Rapunzel
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: Incompiuta
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Mericcup





“Sono stanca”, sbuffò Merida, una mano sulla guancia rosea, l’altra sui capelli per far sì che non le cadessero davanti agli occhi. L’angolo sinistro della bocca di Hiccup si alzò in un sorriso che tentava in tutti i modi di nascondere: non era assolutamente dalla ragazza starsene ferma e concentrata per quasi un intero pomeriggio a svolgere gli esercizi di matematica. Ovviamente, la minaccia di sua madre di distruggerle l’arco, l’oggetto che preferiva di più al mondo, se non fosse migliorata in quella materia aveva sortito i suoi effetti.
“Dai, mancano ormai pochi esercizi..”, provò a rispondere lui ma la ragazza si era già alzata e dopo essersi stiracchiata accuratamente, si ritrovò a girovagare nella stanza dell’amico.
“Dai, Merida, finiamo questi esercizi e poi facciamo quello che vuoi”, cercò ancora a dissuaderla, ma la ragazza alzò i suoi occhi acquamarina al soffitto. Aveva temuto per tutto il pomeriggio che si comportasse in quel modo, esattamente da Merida e a quanto pare i suoi timori non erano del tutto infondati.
“Sono stanca, Hic”, ripeté lei, “e poi credo di aver capito il procedimento.”
“Ah, si? E perché non me lo dimostri svolgendo questo esercizio?”
Lei sorrise, bofonchiando un “magari dopo”, e posò lo sguardo, adesso malizioso, sul primo cassetto del mobile accanto al letto del moro. Hiccup deglutì, la faccia bianca come un lenzuolo.
“Merida, non apri-“, provò a fermarla, ma era troppo tardi. Sul suo volto si dipinse una curiosa espressione di stupore, per poi venire rimpiazzata da una sana risata.
“Ti pieghi i calzini”, riuscì a dire, tenendosi la pancia per le troppe risate.
Hiccup sentì le guance cosparse di lentiggini bruciare dall’imbarazzo, maledicendosi mentalmente per aver acconsentito a studiare matematica con lei, o semplicemente, per essersi piegato i calzini. Quindi, con un’espressione infastidita, guardò la ragazza, sperando che capisse quanto fosse poco opportuna la sua constatazione, e che non aprisse il secondo cassetto, dove ad essere piegate erano le mutande. Non era sicuro che avrebbe retto dall’imbarazzo.
“Oh, come sei carino quando sei imbarazzato! Aggrotti le sopracciglia in modo buffo!”, commentò lei, prendendolo sempre in giro, e dimenticandosi momentaneamente di frugare negli altri cassetti. Le orecchie del moro diventarono ancor più rosse, dello stesso colore dei capelli di Merida.
“E se te la facessi pagare?”, le chiese Hiccup, fingendo sempre di essere infastidito.
“Ti pieghi i calzini, Hic. Perdonami se non tremo di fronte al tuo cospetto”, rispose lei, allargando le braccia. Fu allora che il moro si alzò, avvicinandosi lentamente alla ragazza con aria solenne –finalmente l’aveva superata in altezza, l’estate scorsa, e ogni volta con un sorriso soddisfatto si compiaceva del fatto che ormai lei arrivava alle sue spalle- e con le braccia conserte si parò di fronte a  lei.
“Ti concedo un solo tentativo per redimerti.”
“Non ci penso nemmeno”, bisbigliò lei, con uno sguardo di sfida. E fu proprio allora che lui la prese e la spinse sul letto, facendole il solletico proprio perché sapeva che non lo sopportava. E lei iniziò a ridere, così tanto che le spuntarono le lacrime agli occhi. Dopo circa un paio di minuti, il moro decise di concedere alla ragazza un po’ di pace.
“Sei terribile!”, esclamò, una frase che contrastava non poco con la sua espressione, ancora sorridente, e il suo tono di voce. Hiccup, di conseguenza, sorrise.
“Ti avevo detto che te l’avrei fatta pagare”, si giustificò lui, e Merida fece una smorfia.
Sembravano stare così bene in quel momento: almeno Hiccup stava veramente bene. E sempre Hiccup stava lentamente realizzando di star da ormai cinque minuti sopra la rossa, in una posizione che sarebbe apparsa equivoca –forse proprio perché lasciava poco spazio ai fraintendimenti come quello- e che ancora non si erano staccati. Merida affondò i suoi occhi chiari, finalmente sorridenti e vivaci dopo un intero pomeriggio di mortorio con gli esercizi di matematica, su quelli verdi del moro, e poi realizzò anche lei. Le guance, anche le sue ricoperte di lentiggini come se qualcuno le avesse spruzzate del succo alla pesca, si arrossarono e posò lo sguardo altrove. 
“Hic, sei un tantino pesante. Non è che potresti..?”, chiese, dissimulando il tono di sempre, e Hiccup si spostò immediatamente, sdraiandosi sul letto accanto a lei, rendendosi conto di essere stranamente stanco.
Merida rimase in silenzio, persa nei suoi pensieri. Era sempre stato così facile stare con Hiccup, eppure ultimamente era così tremendamente difficile. Non era mai stata attenta ad impegnarsi troppo, a misurare le parole, o ad arrovellarsi il cervello per capire cosa gli passasse per la testa. Soprattutto lei non si nascondeva. Lei lo aveva sempre messo a parte dei propri sentimenti, solo che in quel frangente..non ci capiva molto neanche lei.
“Sai, sono rimasti gli ultimi esercizi di matematica..”, disse lui, interrompendo quel silenzio che si era formato. Immaginò Merida alzare gli occhi al cielo, infastidita. La ragazza lo colpì sul petto, sbuffando sonoramente.
“Non ci pensar nemmeno.”
“E cosa vuoi fare?”
La rossa alzò il busto, guardando Hiccup rimanere fermo a guardare il soffitto. Si guardarono per pochi secondi, poi Merida si sdraiò nuovamente accanto a lui.
“Niente”, rispose.
“E niente sia.”
 


 
Jackunzel 

 



 
“Andiamo al cinema?”
Accontentata. Almeno, in parte. Ovviamente l’invito della bionda era rivolto non solo all’albino, ma anche a Hiccup e Merida che con la scusa di studiare matematica –che per Jack non stava comunque né in cielo né in terra, tanto era ridicola- avevano declinato quella proposta e questo era il motivo per cui quel pomeriggio Jack e Rapunzel si ritrovavano soli al cinema a guardare un film romantico. Come sapeva Jack che era un film romantico senza sapere il titolo e senza aver visto la locandina? Semplicemente perché lo aveva scelto lei, e nell’ultimo film che erano andati a vedere tutti assieme, Jack avrebbe potuto giurare di aver visto Merida piangere.
“Ti è piaciuto il film?”, chiese lei, gli occhi verdi lucidi, appena le luci si riaccesero in sala.
“Certo”, si affrettò a rispondere Jack, anche se di quel film aveva visto soltanto i primi cinque minuti, ovvero fino alla prima rottura. Lei si alzò, ed insieme uscirono dal cinema.
“Grazie per essere venuto, anche se non è il tuo genere preferito”, lo ringraziò lei, poggiando la testa sulla spalla dell’albino.
“Scherzi? Adoro vedere film in cui i ragazzi si lasciano e si rimettono assieme e si lasciano di nuovo”, commentò lui, facendola ridere. E in quell’attimo, nella sua testa immaginò le voci di Merida e di Hiccup dargli consigli, come nel film che avevano appena visto assieme.
Chiedile se a lei è piaciuto il film, sussurrò Hiccup nella sua mente.
Ovvio che le è piaciuto, ribatté seccata Merida, chiedile piuttosto come sta. Dopotutto è andata a vedere un film romantico con te piuttosto che con il suo fidanzato.
Jack, sorpreso e anche abbastanza sconvolto dalle voci dei suoi amici nella sua testa –soprattutto perché quella di Merida sembrava più assennata di Hiccup-  decise di seguire i suggerimenti.
“Così.. c-come stai?”, chiese, titubante, e la bionda rimase in silenzio. Quando i loro sguardi si incrociarono, Jack notò che gli occhi verdi della ragazza erano colmi di lacrime che aspettavano di traboccare.
Abbracciala!, esclamarono unanime Merida e Hiccup. L’albino si avvicinò per darle un abbraccio ma lei fece un passo indietro.
“Se mi abbracci non credo che riuscirò più a smettere di piangere”, lo intimò, ma Jack la abbracciò lo stesso.
“Scusami”, disse lei, sempre tra le sue braccia, “ma va così male con Flynn e non so perché.”
“Sicura di non sapere il perché?”, sussurrò Jack, accarezzandole la testa.
Tanto vale che ti dichiari stasera, idiota, non ti sembra?, domandò Merida, mentre Hiccup alzò gli occhi al cielo. Perché diavolo devi insultarmi anche nei miei pensieri, rossa?, pensò l’albino, aspettando la risposta della bionda. Rapunzel sbatté un paio di volta le lunghe ciglia, con qualche lacrime incastonata tra esse, e cercò più volte di rispondere alla domanda. Lo sapeva? Forse sì, ma non voleva dirlo. Eppure ci aveva sperato, aveva davvero sperato che ci fosse qualcosa tra lei e Flynn, oltre al mero romanticismo che poteva vedere solo lei. Ricordava con estrema precisione l’ultimo bacio con Flynn: le sue labbra erano calde. Era delicato, senza pretese ed accorto, si muoveva lentamente ed aspettava il via libera da lei. Ricordava anche il bacio sembrava peccare di romanticismo ed era una fortuna, perché il suo animo era decisamente romantico. E lei non se lo sarebbe mai aspettata da un ragazzo come Flynn, che faceva lo spavaldo e l’arrogante. Ovviamente per lei il romanticismo era una buona cosa però una voce fastidiosa le suggeriva continuamente che la sua mente non avrebbe dovuto vagabondare. Si chiese come sarebbe stato baciare un altro ragazzo che non fosse Flynn, immaginando le sue labbra non calde ma gelide, quasi percependo un gesto appassionante. E, in cuor suo, aveva desiderato più di una volta che gli occhi castani, caldi e sorridenti di Flynn fossero stati blu, gelidi e magnetici come quelli di…
“Accompagnami a casa, Jack.”
 

 
Le classiche conversazioni tra amici che non vorresti fare ma che capitano continuamente


 
“Allora, avete studiato matematica alla fine?”, chiese Rapunzel a Merida, e così Jack a Hiccup, la prima durante l’ora di arte, il secondo durante fisica, distraendo il moro da una lezione che avrebbe reputato interessante se solo l’avesse ascoltata.
I due annuirono, e questo servì da espediente per raccontare cosa fosse successo quel pomeriggio.

“Penso che Hiccup sia così strano”, iniziò a raccontare la rossa, macchiandosi distrattamente la faccia con i colori a tempera “e non perché si piega i calzini, no.”
“Si piega i calzini?”, chiese Rapunzel, e la ragazza annuì, accennando ad un sorriso.
“È una cosa carina”, commentò la bionda, e Merida continuò.
“Lo credo anch’io! Hiccup è strano per il semplice motivo che prima era esattamente dove doveva stare, adesso è, invece, dove nessuno può trovarlo.”
La bionda si fermò a guardare l’amica, la mano con il pennello in aria, e puntò gli occhi verdi, perplessi, in quelli acquamarina di lei. “Non credo di aver capito.”

“Sapevo esattamente cosa avrebbe fatto”, disse Hiccup, abbandonandosi all’idea di seguire la lezione e rassegnandosi al fatto di venir rimproverato in quell’ora, “sapevo esattamente cosa avrebbe fatto eppure il fatto che l’abbia fatto mi ha sorpreso.”
Jack alzò un sopracciglio, scettico. “Cosa?”
Hiccup alzò gli occhi al cielo, cercando le parole esatte. “Prima era prevedibile, nella sua imprevedibilità. Adesso è diventata imprevedibile nella sua prevedibilità che continua ad essere imprevedibile.”
“Secondo me sei tu ad essere impazzito”, commentò l’albino.
“Grazie per il supporto, Jack. Tu sì che sai sempre come tirarmi su di morale”, disse fortemente sarcastico il moro.

“Nel senso che lui adesso è chiuso in sé, non mi dice mai niente, non è affatto collaborativo e io..”
“Sei innamorata”, concluse Rapunzel, semplicemente. Questa volta fu il turno di Merida a bloccarsi e a rimaner ferma, riflettendo.
“No, io non sono innamorata di Hiccup”, disse, scuotendo la testa. Rapunzel posò i suoi occhi indagatori sul capo della rossa.
“E come fai ad esserne sicura?”
“Se ne fossi innamorata, cosa che non sono, sarebbe diverso.”
“Ma è già diverso!”

“Vi piacete, che c’è di male ad ammetterlo?”, chiese Jack.
“Non ci piacciamo!”, esclamò Hiccup, e allo sguardo dell’amico aggiunse: “A me piace lei, ma io non piaccio a lei.”

“Sicura che non ti piaccia Hiccup?”
“Ovvio che mi piace”, rispose Merida, prima di diventare rossa quanto i suoi capelli. “N-non in q-quel sen-senso”, si affrettò a dire. “E anche se mi piacesse in quel senso, rimango sempre io quella che non piace a lui, almeno in quel senso.”

“E perché non glielo dici?”
“E tu perché non glielo dici a Rapunzel?”
“Non cambiare argomento”, lo accusò Jack.
“Questo era completamente pertinente.”

“Sicura che tu non piaccia ad Hiccup?”
La rossa alzò gli occhi al cielo, sbuffando, ma Rapunzel non voleva affatto far cadere la conversazione.
“Insomma, se non glielo dici non lo saprai mai!”
“Facciamo così: io glielo dico ad Hiccup quando tu molli quel Flynn e ti dichiari a Jack.”
Rapunzel arrossì all’istante. “C-cosa? Che c’entra Jack adesso?”

“Si vede lontano un miglio che sei cotto di lei”, continuò Hiccup, neanche preoccupandosi di tenere bassa la voce per non farsi rimproverare dal professore.
“Cosa? Vedi male”, rispose l’albino.
“No, è lei a vederci male, per non accorgersene.”
“Frost! Haddock! La vogliamo smettere?”, urlò il professore, richiamandoli all’attenzione.

“C’entra. Voi due sì che vi piacete reciprocamente.”
La bionda abbassò gli occhi verdi, e si limitò a sussurrare un “non è così” che Merida non comprese appieno. Rimasero per qualche minuto in silenzio, non sapendo esattamente cosa dire.
“Io non parlerò più di te e Jack se tu non parlerai più di me ed Hiccup”, propose lei, e l’altra timidamente annuì.

“Argomento chiuso”, sussurrò poi Jack, quando il professore riprese a spiegare.
Per sempre”, aggiunse Hiccup, ritornando a guardare la lavagna.

Peccato che il per sempre di Hiccup fosse destinato a durare non più di qualche giorno.
 
   
 
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