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Autore: Jiuliet    16/12/2008    1 recensioni
Che ci fa Bo Duke ad Atlanta? La famiglia Duke: errori, malintesi e litigi, ma anche affetto, buone intenzioni e legami indissolubili. Il sommario, decisamente, non è il mio forte; la storia è migliore (almeno spero!!!) Read, enjoy and review!!!
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bo Duke, Daisy Duke, Jesse Duke, Luke Duke
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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8: Incontro

Non si può
fare quello che si vuole
non si può spingere
solo l'acceleratore.
Guarda un po’
ci si deve accontentare.
( Vasco Rossi – Il mondo che vorrei)


Come due fratelli veri che fanno un po’ per uno di metà
Nella stessa casa io e te rinchiusi in una sola libertà
(O.R.O. -  A mio fratello)


Atlanta - Dicembre
“Bo ho bisogno di te…per favore….”
Bo era davvero sorpreso di sentire la voce della cugina, per diversi motivi:
in primo luogo era andata via da Atlanta, una settimana prima, e, proprio come lui le aveva chiesto esplicitamente, non si era più fatta viva.
Secondariamente non ricordava di averle mai detto dove lavorava, figurarsi poi averle dato il numero di telefono della ditta!
Terzo aveva tagliato i ponti da mesi con il suo passato, perché mai Daisy si rivolgeva proprio a lui, anziché a qualcun altro della famiglia?
Tuttavia, ancora una volta, non seppe resistere alla voce implorante della cugina
“Cosa è successo?” le chiese, le altre risposte potevano aspettare.
“Mi sono fatta male…” piagnucolò Daisy, all’altro capo dell’apparecchio.
“Che significa che ti sei fatta male?” domandò ancora lui, allarmato.
“Esattamente quello che ti ho detto Bo! Mi sono fatta male e ho bisogno di te!” ripeté lei, spazientita.
“Io sto per uscire dal lavoro, dove sei?”
“Sono alla tavola calda vicino a casa tua…Muoviti, ti aspetto qui” dichiarò lei, prima di interrompere la conversazione.





Luke Duke guidava come un matto.
Correre per le strade di Atlanta non era certo come farlo negli spazi aperti delle amate campagne di Hazzard o nelle sue strade polverose, ma Luke era disposto a fare qualsiasi cosa per raggiungere l’indirizzo che Daisy gli aveva dato nel minor tempo possibile.
Quando sua cugina aveva chiamato per dirgli che si era fatta male e aspettava in un locale che andasse a prenderla si era davvero spaventato.
Daisy era andata in città a trovare una sua amica, ma evidentemente qualcosa era andato storto.
C’erano mille ragioni che mettevano Luke in ansia:
-    l’incidente di Daisy
-    il fatto che lo zio Jesse si trovasse anche lui fuori città, a far visita alla cugina Lavinia; non sapeva se considerarlo una fortuna, visti i precedenti, o meno…
-    e l’auto che guidava.   Lo zio Jesse aveva preso il suo furgone e  Daisy aveva portato la macchina da Cooter, quindi lui era stato costretto ad usare il Generale.
Il vecchio Generale Lee ( l’auto dei suoi sogni, che lui e Bo avevano costruito e reso membro affettivo di tutte le loro avventure) e che era rimasto chiuso nel granaio per due lunghi mesi.

Luke sentì una dolorosa fitta di amarezza, pensando al cugino,ma la ricacciò indietro con forza.
“Non sono stato io a scappare” pensò, indirizzando immediatamente le proprie considerazioni ad altri argomenti e stringendo il volante talmente forte che le nocche gli diventarono bianche.





Bo corse velocemente verso la tavola calda di Franck e Meg.
“Che diavolo ci fai qui Daisy? Cosa sei venuta a fare ad Atlanta?” si domandò, sapendo che, in realtà, la sola cosa che gli importava veramente era il benessere della cugina.
Spalancò la porta e si stupì di trovarla deserta.
“Daisy? Franck? Meg? C’è nessuno? Dove siete?” gridò. “Siamo nel retro Bo, vieni” rispose Meg  e lui non se lo fece ripetere due volte.





Luke parcheggiò il Generale e lesse per l’ennesima volta l’indirizzo che Daisy gli aveva dato e che aveva scarabocchiato frettolosamente su un pezzo di carta.
Entrò nell’unica tavola calda dei paraggi.
“Buonasera, sono Luke Duke, cerco mia cugina” disse alla donna indaffarata dietro il bancone del bar.
“Oh, certo, venga pure, l’abbiamo fatta sistemare nel retro, pensando sarebbe stata più comoda, vada pure” rispose lei con un sorriso.
“Grazie mille. Scusate per il disturbo…” ribatté lui
“Ma si figuri, vada, vada…Non faccia aspettare sua cugina” ribadì la donna.




Luke si ritrovò improvvisamente in una stanza buia.
“Ma che succede? – chiese, cominciando ad allarmarsi – Daisy dove sei?”
Sentì una porta chiudersi alle proprie spalle e, nello stesso momento, si accese la luce.
Quello sembrava, realmente, il retrobottega, anche piuttosto confortevole, di un locale, ma non c’era alcuna traccia di sua cugina e lui era chiuso là dentro.
Provò a buttare giù la porta, ma era robusta e chiusa dall’esterno per cui ogni tentativo fu inutile.
“Che significa?” gridò ed inaspettatamente  sentì la voce di Daisy
“Significa che sono stanca di sopportarvi! Che vi state comportando come bambini capricciosi! E siccome siete cocciuti come muli e non riuscite a mettere da parte il vostro stupidissimo orgoglio ci ho pensato io! È ora che affrontiate la situazione!”
Luke non capiva assolutamente nulla di ciò che stava succedendo.
“Che vuoi dire? Daisy apri immediatamente questa porta!” ordinò, ma non ottenne alcuna risposta.

“Che ci faccio qui? Perché Daisy ha organizzato tutta questa storia?” si chiese, ispezionando la stanza.
Vide un’altra porta e non esitò un attimo ad aprirla.
Ciò che si trovò di fronte lo lasciò senza fiato.

All’interno di un piccolo sgabuzzino c’era Bo, imbavagliato e legato ad un sedia.

Involontariamente Luke cominciò a ridere di cuore, mentre si affrettava a liberarlo.
“Chi è stato?” gli chiese.
Bo fece un lungo respiro, poi rispose “Ha organizzato tutto Daisy! Quando usciremo di qui la strozzerò, lo giuro!”
Luke continuò a ridere.
“Io non ci trovo nulla di divertente! - sbottò Bo, seccato – mi ha detto che era stufa di sopportare di avere a che fare con uomini sciocchi e testardi e che aveva deciso di risolvere la cosa a modo suo…”
“Ha detto la stessa cosa anche a me” ammise Luke, facendosi serio.
I due ragazzi, che non si vedevano da mesi, si guardarono con circospezione, per qualche minuto.
Erano impacciati e nessuno di loro sapeva che dire.
Fu Luke a rompere il silenzio.
“Stai bene?” chiese.
“Si” fu la lapidaria risposta di Bo.
“Come mai Daisy è qui?” domandò ancora Luke.
Bo gli raccontò brevemente i precedenti incontri con la cugina.
“Quando usciremo di qui tornatevene ad Hazzard e dimenticatevi di me!” dichiarò, deciso.
“È questo quello che vuoi eh? Te ne sei andato buttandosi tutto alle spalle e ora non vuoi che nulla interferisca con la tua nuova vita, no?” disse Luke, sarcasticamente.
“Come ti permetti di dire una cosa del genere? Forse non ricordi che sei stato tu a dirmi che avevo mandato zio Jesse in ospedale!” ribatté Bo, con rabbia
“Dimmi che avevo torto, se ne hai il coraggio!” berciò Luke.

Erano in piedi e la loro presenza sembrava riempire la piccola stanza.
Occhi negli occhi,fiammeggianti di collera, mascelle serrate, mento proteso e pugni chiusi entrambi sembravano pronti a scontrarsi di nuovo, come due mesi prima.

“Non servirebbe a nulla! Tu non vuoi ascoltare nessuno, me meno che mai…..Sei chiuso nelle tue assurde convinzioni deciso a non cambiare idea per nulla al mondo. Qualsiasi cosa possa dire o fare sarebbe inutile” dichiarò Bo.

Luke fece per rispondere, ma sentirono della voci, provenire dal locale.
“Non è la voce di Franck – sussurrò Bo sottovoce, facendo cenno a Luke di tacere – spegni la luce”

Luke non pensò neppure per un momento di obbiettare.

“Ehi Jim, non vedo nulla, accendi quella maledettissima torcia!”
“Fa’ piano, sei cretino e vuoi che ci senta tutto il palazzo?”
“Ho detto accendi quella torcia!”
“Ecco sei contento ora?”
“Certo, almeno vedrò dov’è la cassa e potrò prendere i soldi, tu sei troppo stupido per farlo!”
“Finiscila di cercare rogne e muoviti! Non vorrai che quel tipo ci trovi qui per colazione o che qualcuno avverta la polizia,vero?”
“Certo che no! Sbrighiamoci!”


“Hai sentito?” chiese Bo.
“Ma certo che ho sentito. Sai dove posso trovare un coltello qui dentro?” domandò Luke.
“No che non lo so! Ma ho visto un tagliacarte sulla scrivania, credo vada bene ugualmente…” rispose Bo che aveva capito immediatamente le intenzioni del cugino.
Luke armeggiò con la serratura della porta per pochi secondi e si ritrovarono faccia a faccia con i due ladri che cercavano di svaligiare la tavola calda.

Quella che seguì fu una lite in piena regola.
E durante ogni rissa, da sempre, Bo guardava le spalle a Luke e Luke guardava le spalle a Bo, ciascuno dei due pronto a spalleggiare l’altro.
“Luke!”
Il pronto avvertimento di Bo salvò Luke da una sedia in testa, ma la distrazione gli costò una rovinosa caduta contro una delle finestre e permise ai due malviventi di scappare.

In un attimo Luke fu accanto al cugino.
“Tutto bene? chiese.
“Si - rispose brevemente Bo – Dobbiamo chiamare Franck”
“Chi?”
“Meg e Franck Jones, sono i padroni di questo posto. Il loro numero dev’essere sull’elenco; ce n’è uno accanto al telefono, laggiù – Bo indicava un apparecchio, all’angolo del locale – potresti chiamarli, per favore?”
Luke non se lo fece ripetere due volte.

Quando si voltò vide suo cugino che cercava maldestramente di fasciarsi una mano con uno straccio.

“Che fai?” gli chiese, sinceramente preoccupato.
“Nulla” borbottò Bo.
“Fammi vedere la mano!” gli ordinò.
“Smettila Luke! Non è nulla!” ribatté.
“Se non è nulla perché non posso vederlo? Mi sembra che stia sanguinando…” insistette Luke.
“Mi sono tagliato con il vetro… - ammise Bo -  ma non è niente!”
“Fammi vedere la mano!” ripeté Luke, perentorio.
Bo, se pure controvoglia, gli porse la mano.
“Non credo ci vorranno dei punti, ma devi comunque disinfettarla… - disse – credi che avranno qualcosa qui?”
“Cosa ha detto Franck?” chiese Bo, cambiando discorso.
“Sta arrivando – rispose Luke – tu sta’ fermo, io vedo se riesco a trovare qualcosa per quel taglio”
“Puoi farne a meno. Contrariamente a quello che pensi so cavarmela anche da solo. Anzi, ora che ci penso, non c’è bisogno che resti qui.” Ribatté Bo, in tono duro.
Luke guardò il cugino negli occhi, quegli stessi occhi che si erano rivolti fiduciosamente a lui per ventun’anni e quello che vide lo spaventò.
Non c’era fiducia, né ammirazione né gioia di vivere, divertimento o felicità in quegli occhi azzurri e il viso di Bo non aveva la solita espressione scanzonata, un po’ irriverente e allegra.
“Cosa ti ho fatto?” pensò, terrorizzato.
E la rabbia nei confronti del cugino, la rabbia che per mesi l’aveva tenuto chiuso nel proprio dolore, assurdamente puntato sulla propria posizione che considerava quella giusta, si trasformò in rimorsi e ripianti.
Quando Bo era arrivato alla fattoria aveva voluto prenderlo in braccio ad ogni costo, tormentando lo zio Jesse e la zia Martha che, alla fine avevano ceduto alle sue insistenze. Luke si era ritrovato tra le braccia un fagottino scalpitante di pochi mesi che l’aveva conquistato con un sorriso senza denti e due limpidi occhi celesti.
Bo aveva imparato a parlare imitando Luke e a camminare per stargli dietro.
Luke gli aveva insegnato a guidare e, prima ancora, ad andare in bicicletta, a sparare, a nuotare, a cacciare, a cavalcare, a pescare…
Avevano vissuto sempre insieme, condividendo ogni cosa…….

Luke andò nel retro per tornare, poco dopo, con una cassetta del pronto soccorso.
“Ho trovato questa, dovrebbe bastare… - disse – dammi la mano”
“Luke…ti ho già detto che me la caverò. Vattene!” ripeté Bo.
“Ok. Per me non è facile, parlare di certe cose. Non lo è mai stato, ma ora per favore, ascoltami. Daisy ha ragione,sai? Ci siamo comportati come bambini viziati e capricciosi e nessuno dei due ha più l’età per i capricci. Io non avrei dovuto aggredirti in quel modo, la notte in cui zio Jesse è stato male. Non ti ho dato la possibilità di spiegarti,hai ragione…. Ho deciso a priori che tutto quello che successo era colpa tua perché avevo bisogno di un capro espiatorio…Sai zio Jesse malato…..io credo di aver avuto paura perché…non è mai stato male prima di allora ed l’unico…l’unico punto fermo nella mia vita….Non ho pensato che tu sicuramente provavi le stesse cose e per questo ti chiedo scusa. E anche prima, con quei due…mi hai salvato, come hai vecchi tempi. Grazie.” rispose Luke.
Bo guardò il cugino, incredulo.
“Mi stai chiedendo scusa? Mi sembrava di essere stato io a combinare quell’enorme casino… Perché questo cambiamento improvviso?” gli chiese.
Luke sospirò.
“Sei una testa dura eh? Ma di cosa mi stupisco, lo sei sempre stato! Tu sei stato irresponsabile, ma hai agito a fin di bene. Se le cose sono degenerate la colpa è di entrambi. Non avrei dovuto parlarti in quel modo né tanto meno colpirti, quel giorno”
“Non devi chiedermi scusa. Ho combinato un disastro e, sai una cosa? Quella sera…bhè…io credo che tu avessi ragione. È stata tutta colpa mia…”
“No, non è vero. Hai commesso uno stupido errore, ma non sei stato tu a far star male zio Jesse.”
“Lo pensi sul serio?”

Dio quanto era sempre stata importante per Bo, l’approvazione di Luke!!!

E quanto si sentiva stupido, Luke, per avere lasciato che Bo se ne andasse e non averlo cercato e riportato a casa!

“Mai stato più serio di così”  dichiarò Luke, mentre medicava la mano del cugino.
“Ecco fatto. Non sono bravo come zio Jesse, ma dovrebbe andar bene comunque” disse.

“Dimmi che mi hai perdonato” ribatté Bo, inaspettatamente.
“È tanto importante ciò che penso io?” domandò Luke, per tutta risposta
“Lo è sempre stato” ammise, sinceramente, Bo.
“Ok io ti perdono, ma solo se tu perdoni me” ribatté Luke
“Questo pareggia i conti?” chiese Bo
“Immagino di si… Solo una cosa, cugino…” borbottò Luke
“Dimmi”
“Se ti salta in mente di fare di nuovo una cosa così stupida fai in modo che io non ne venga mai a conoscenza, perché se dovessi scoprirla giuro che ti chiudo nel granaio fino a quando non riacquisterai la ragione!” dichiarò Luke.
Bo sorrise, ricordando le volte in cui suo cugino l’aveva fatto sul serio.
“Promesso”



Ecco qui il penultimo capitolo.
Come sempre spero vi piaccia.
Un grazie speciale a chi mi lascia un commento (Lella, Lu, Marzia e i1976), ma anche a chi legge soltanto.
A presto col 9° e ultimo capitolo, Jiul.













  
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