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Autore: Pluma    16/12/2008    1 recensioni
(Dal II° capitolo) “Molto piacere. Come ho già detto io sono Richard Heart. Questa bellissima donna è Sheril Water, il mio braccio destro. Il più vecchio tra noi è Asriel Stern. La ragazza che le ha recuperato la borsetta si chiama Savannah Runner; infine, lui è Jack Salvador, in realtà non si chiama così, ma il suo nome è per tutti noi impronunciabile perciò…Jack.” (...) “E ora che abbiamo fatto tutte le presentazioni, cosa volete dai Predators?” I Predators è un'agenzia tutto fare formata da cinque persone decisamente molto diverse tra loro... partendo dall'età, per continuare con la nazionalità, finendo con il loro carattere. Non disdegnano commissioni che li portano in giro per il mondo, sebbene siano lavori che hanno poco a che vedere con la legalità. Sinceramente non mi importa se li amerete o li odierete, dato che sono degli anti-eroi, la mia speranza è che non vi lascino indifferenti. Per questo spero tanto che recensirete, almeno un pochino...
Genere: Azione, Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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VI° CAPITOLO

DOLORE

 

Nel dolore

Non c’è nessun sole dopo le nuvole

Nemmeno guardando un altro cielo

 

“Pronto?” rispose Sheril al telefono della camera, con una voce resa roca dal sonno.

“Buongiorno signorina Water. Sono le sette meno un quarto.”

“Grazie e buona giornata” rispose con un moto di stizza riagganciando la cornetta con un po’ troppa forza.

“Maledizione!” disse fra sé e sé, immaginando il receptionist che l’aveva svegliata inerte, con la parte superiore del corpo appoggiata al bancone, le braccia penzolanti e…il collo spezzato. Stava ancora pensando ai pro e ai contro di una sua eventuale scelta di mettere in pratica le immagini che aveva nella testa, quando si ricordò perché il dipendente dell’hotel l’aveva svegliata a quell’ora ignobile.

“Ops, gliel’ho chiesto io!” si ricordò, ridendo.

Di fatto, la sera precedente quando, dopo la cena con Richard e Asriel, era rientrata, aveva lasciato in portineria la consegna di svegliarla un’ora prima rispetto ai suoi compagni. Il motivo era semplice: aveva bisogno di un po’ di tempo per inquadrare la situazione di Savannah e assicurarsi che i postumi della sbornia non fossero troppo evidenti.

Si alzò, ancora un po’ di malavoglia, ma con un leggero sforzo riuscì a raggiungere il bagno. La figura che veniva riflessa dallo specchio non si avvicinava nemmeno minimamente alla Sheril che tutti erano abituati a vedere, con tutti i più piccoli particolari del suo aspetto in ordine e al posto giusto. Ora i capelli corti erano scompigliati e arruffati come il pelo di un cucciolo di tigre bagnato; persino il ciuffo, che veniva sottoposto con regolarità allo stress del pettine e della piastra, a quell’ora si rifiutava di stare al suo posto. Le occhiaie, che Sheril, copriva ogni mattina, facevano bella mostra di sé, appesantendo lo sguardo della donna.

Al contrario di quello che sarebbe successo se Sheril si fosse presentata in pubblico in quello stato, la trentaseienne si passò la mano destra tra la chioma castana chiara, arruffandola con non curanza, ancora di più. Aprì il beauty rosso, dal quale trasse lo spazzolino e il dentifricio. L’operazione di tolettatura fu minuziosa e accurata tanto quanto lo sarebbero state, una decina di minuti dopo, l’operazione di vestizione e di make up. Una sera, dopo aver visto “American Psycho I”, i suoi colleghi l’avevano presa in giro, paragonandola al giovane protagonista, interpretato da Christian Bale che, all’inizio del film, aveva descritto nei minimi particolari tutta la sua routine: dai vari prodotti di bellezza alla ginnastica mattutina.

“Ho sempre pensato che tu non fossi del tutto normale” disse Richard, dopo i titoli di coda.

“Potresti descrivere anche tu, tutto quello che usi e fai per essere sempre così bella. Faresti sicuramente meno fatica a uccidere qualcuno” continuò Jack.

Finalmente, dopo varie manovre, lo specchio riflesse la Sheril Water di tutti i giorni e uscì.

Per arrivare nella camera di Savannah doveva passare davanti alla porta di Richard. Quell’uomo era tremendo! Nessuno aveva mai capito come facesse, comunque sia tutto ciò che poteva essergli utile lo sentiva o lo veniva a scoprire in altri modi; trucchi segreti e conoscenze che teneva gelosamente per sé e che lo rendeva il leader indiscusso dei Predators. Fortunatamente, nel mezzo del corridoio, era stato steso un piccolo strato di tappeto rosso, sufficiente ad attutire il ticchettio delle scarpe alte di Sheril.

Bussò più e più volte cercando di fare il meno rumore possibile e quando stava cominciando a perdere la pazienza, qualcuno aprì leggermente la porta in una modesta fessura. Quello che Sheril vide, però, non era la pupilla nocciola della ragazza, ma quella verde di Jack; il quale, una volta resosi conto chi lo aveva svegliato aprì maggiormente.

Il vice dei Predators, non si stupì più di tanto. Non fece domande; in realtà non fece nemmeno supposizioni. Non le importava; ciascuno dei cinque componenti del gruppo aveva una propria vita e ognuno le teneva per sé. Sheril non si sarebbe nemmeno preoccupata di scoprire qual’era il problema di Savannah che l’aveva portata ad ubriacarsi, se non fosse stata convinta che avrebbe potuto compromettere il risultato del lavoro.

A Sheril bastò un semplice comando:

“Lasciami sola con lei” disse accompagnando le sue parole con un appena accennato movimento della testa in direzione della stanza di Jack.

Il ragazzo, senza proferire parola, le scivolò accanto e, silenzioso come sempre, se ne ritornò a dormire.

Sheril entrò nella penombra, chiudendosi la porta alle spalle e stando bene attenta che il click della serratura non fosse troppo rumoroso. Non si poteva mai sapere con Richard a due passi di distanza. Guardò verso il letto, dove Savannah si era addormentata pesantemente e, senza troppe cerimonie, dopo essersi avvicinata, la svegliò.

“Io e te dobbiamo farci una bella chiacchierata!”

“Che ore sono?” farfugliò l’altra.

“Le sette e trenta; quindi non abbiamo molto tempo.”

“Ma tempo per cosa?” protestò Savannah, facendo il gesto di girarsi dall’altra parte.

“Non ci provare, signorinella” la bloccò Sheril, afferrandole un braccio.

La prepotenza di quel gesto fece svegliare completamente l’americana che, con uno sguardo furente si mise a sedere sul materasso. Appoggiò la schiena al cuscino, incrociando le braccia al petto. La sua espressione era di sfida, ma entrambe sapevano che era semplicemente questo: una protesta per non dargliela subito vinta.

“Allora cosa vuoi?”

“Qual’ è il problema?”

“Il problema è che tu sei piombata in camera mia senza un mio invito, ad un orario indecente; ti comporti in modo prepotente e non hai una vera motivazione per essere qui!” rispose impertinente Savannah tutto d’un fiato.

A quelle parole Sheril avvicinò il suo viso a quello della sottoposta. Era buio, e la sua espressione, come conseguenza, era celata, ma il sibilo della sua voce compensò la mancanza.

“Non fare la furbetta. So che in aereo tu e Jack avete parlato di qualche cosa, di talmente segreto da dover sussurrare nelle orecchie come spie.”

“Ma di cosa ti impicci? Sono affari miei! Ma è mai possibile che volete tenerci con il moroso stretto?”

“Non fare la vittima ragazzina! In nessun lavoro saresti così libero di fare ciò che vuoi.”

“Non mi risulta che Richard si sia mai lamentato di come eseguo i suoi ordini.”

“Vorrà dire che ti nomineremo impiegato dell’anno…oh che bello” disse con un tono palesemente falso e accompagnando le parole con una gestualità affettata. “Allora sii coerente con il tuo stato di servizio e ubbidisci senza tante storie anche a me.”

“Sesso! Ci siamo messi d’accordo per fare sesso. Infatti lui era qui prima, ma tu lo sai, visto che ti ha aperto lui. a proposito come ti è sembrato? Soddisfatto, stremato, eccitato?” rispose Savannah.

“Non offendere la mia intelligenza! Da quello che ha detto Richard eri talmente ubriaca che non avresti avuto le forze neanche per i preliminari.”

“Che c’è di strano? Lo sapete che mi piace bere e che ogni tanto non tengo conto dei limiti. Asriel non perde occasione per farmelo notare. Perché oggi è un problema?”

“E’ un problema perché non hai mai esagerato la sera prima di una giornata impegnativa come quella di oggi. Tu vieni da questa città e conosci i Rizzo. Non è che hai avuto a che fare con loro?”

“No, non ho mai visto, nemmeno da vicino, i Rizzo” rispose sinceramente la ragazza in allerta. Non era più offesa per essere stata svegliata in malo modo, non poteva più deviare le domande di Sheril. Era suo dovere rispondere e se non voleva lasciarsi sfuggire niente doveva misurare le parole, esattamente come stava facendo.

“Ma li conosci” insistette Sheril.

“Tutti li conoscono, maledizione! Hanno fatto del male a mezza città e l’altra metà è sotto la loro protezione.”

“E tu da che parte della torta sei?”

Savannah non rispose. Abbassò lo sguardo sulla coperta, seguendo con l’indice la fantasia ricamata sopra.

“Non hai chiesto a Jack di uccidere uno dei Rizzo per vendetta, vero?”

“No, nessun componente della famiglia sarà ucciso per mio volere” rispose la bionda tenendo sempre lo sguardo abbassato.

“Non comprometterai la missione per i tuoi affari personali?”  

“E’ la stessa risposta di prima. Non ho intenzione di rovinare nulla.”

Sheril rimase in silenzio, cercando di cogliere qualsiasi cosa che l’aiutasse a capire cosa aveva nella testa Savannah. Perché qualche cosa sotto c’era; e questo era poco ma sicuro. A dire il vero troppo poco e troppo sicuro tanto quanto lo era il fatto che qualche cosa, quel giorno sarebbe successo e avrebbe complicato il lavoro. Purtroppo, la politica dei Predators, era basata sul presupposto che tutti avevano una loro privacy e avevano tutto il diritto di difenderla. Aveva le mani legate. Insoddisfatta e impotente, Sheril si alzò dal letto, su cui si era seduta durante quella sottospecie di interrogatorio.

“Almeno cerca in tutti i modi di contenere i danni che farai” aggiunse poco prima di uscire dalla stanza.

Nella penombra, Savannah Runner, lasciata sola, sorrise amaramente.

“Avrei dovuto rimanere a casa per contenere i danni.”

In quel momento le si riempirono gli occhi di lacrime che, piano piano, cominciarono a rigarle il viso serio. Nella sua testa, l’alcool stava perdendo di efficacia e il cancello dei ricordi cominciò a cigolare. Si trattava di un cancello vecchio, arrugginito forse, ma sicuramente molto robusto. Era il risultato di anni di lotta interna. Una maledetta lotta interna che aveva portato Savannah, promessa dell’atletica leggera non solo nella squadra della sua scuola, ad attaccarsi alla bottiglia, rovinando il suo futuro. Alla fine era riuscita ad erigere il cancello e credeva di aver fatto un buon lavoro, ma a quanto pare si sbagliava. Era bastato il ritorno in patria per far crollare la sua costruzione che le era costato tutti i suoi sogni e le sue speranze.

Il cancello cigolava e scricchiolava sotto il peso dei ricordi, che aleggiavano pericolosi nei recessi del suo essere, avanzando solo un poco per volta, ma inesorabile. Savannah cominciò ad aprire e chiudere le mani, stringendo il lenzuolo bianco dell’hotel. Ogni volta che serrava la forza aumentava e le nocche diventavano sempre più bianche. Quando sentì di essere arrivata al limite, con uno scatto si buttò verso la bottiglia che, la sera prima, Jack le aveva tolto dalle mani. Ma se la sua mente non sentiva gli effetti della sbronza della sera prima, non poteva dire la stessa cosa del suo corpo. I suoi piedi incespicarono tra le lenzuola che aveva gettato per terra per alzarsi, e le fecero perdere l’equilibrio. Con una spalla urtò il tavolino dove il suo compagno aveva appoggiato il whisky senza tappo, che si rovesciò sul parquet della stanza.

Arrabbiata, furiosa e isterica, Savannah cominciò a picchiare i pugni sulla pozza di liquido con violenza, in modo incontrollabile, tanto che, in un momento di maggiore foga scivolò, finendo faccia a terra. Le lacrime continuavano a scendere ininterrottamente e le immagini, nella sua testa si moltiplicarono, accavallandosi una sull’altra.

In un momento di lucidità ritrovata, Savannah si rese conto dell’assurdità della sua posizione e provò vergogna, nonostante non ci fosse nessuno a guardarla.

“Ok, va bene così!” si disse. “ Abituati ad essere umiliata, perché oggi andrà anche peggio!”

 

leuconoe: no, non vi abbandono! Allora il tuo preferito è Richard! Bè buona lettura, scusa se la mia risposta è un po’ superficiale, ma non è un buon periodo…comunque sia buon natale!

   
 
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