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Autore: Blood Candy    22/03/2015    0 recensioni
Un avvenente ricco avvocato, giovanissimo, per una questione d'affari si trova a bere con un cliente in un bar. Qui rimane colpito dallo stile audace e speciale di un cameriere, e decide, per sfida personale, che riuscirà a conoscerlo e nel migliore dei casi stringere amicizia con lui...
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Northern Downpour

Capitolo 1 – La follia del folletto Wentz

Pensandoci col senno di poi, quella giornata sarebbe dovuta essere speciale e di fondamentale importanza sin dal principio, anche se non immaginavo neppur lontanamente quanto avrebbe rivoluzionato la mia vita.
Le mie speranze per quel dì erano molte, seppur non fossi ben cosciente di ciò che sarebbe dovuto accadere; ma quando mi svegliai in quella fresca mattina di febbraio avvertii un calore tanto speciale quanto insolito, accompagnato da un incoerente brivido che veloce mi percorse la colonna vertebrale, paralizzando anche tutti i muscoli adiacenti ad essa.
E quando la pesante trapunta di piume che mi ricopriva venne rapidamente (per non dire selvaggiamente) spostata, irruppi nel freddo silenzio mattutino della mia grande casa con una gioiosa esclamazione: «Buongiorno, fortuito mattino!»
Per quale astruso motivo gridavo la mia gioia? Volevo forse informare le stanze vuote di quanto la mia giornata si prospettasse proficua? O forse i muri si interessavano ai miei affari? 
Ma il mio animo giovane e allegro ben poco si curava di essere il solo ad abitare quella grande, vecchia casa. 
Mi alzai dunque in gran fretta dal calore del letto (con enorme sforzo), consapevole del ritardo che mi incalzava - anche se ormai era divenuto un mio tratto distintivo: un marchio di fabbrica, quasi - e mi preparai senza indugio.
Volevo scappare al più presto da quella casa morta e maligna, che mi tratteneva tra i suoi calcinacci con un mutuo che mi dissanguava e impegnava da tempo, redatto anni prima. 
Le circostanze nelle quali avevo compiuto l’avventato gesto di acquistare una tale dimora erano da tempo state classificate come infauste e preferibilmente allontanabili dalla mia mente, ma ogni volta che, al ritorno da una giornata al lavoro o da una visita in casa di amici o parenti, mi accingevo ad entrare nella mia informale prigione, le finestre eleganti ammiccavano perfidamente e la porta di scuro legno massiccio pareva un ghigno beffardo che mi rammentava le mie disgrazie passate.
Avrei dovuto sbrigarmi quindi ad uscire, penserete. Certo, vi do ragione, ma qualche magica catena mi teneva legato a quel castello degli orrori, e quasi provavo rimorso e nostalgia ad abbandonarlo.
Così mi fermai accanto alla porta e per qualche minuto tornò vivo il ricordo triste del dramma, svoltosi accanto a quelle mura innocenti colpevolizzate da me per egoistiche ragioni, per cause infondate.
Era utile stare là immobile a pensare, accasciato in un angolo di quel corridoio stretto nel silenzio, e abbandonarmi alla tristezza in quei cinque minuti: avrei poi potuto godere delle più grandi gioie durante il giorno senza l’angoscia di quel prepotente pensiero, che si stava in quei giorni facendo spesso sentire.
Quando finalmente uscii, l'aria invernale mi arrossì le gote, gravando sul mio aspetto d'uomo professionale e trasformando il mio viso in quello di un bambino: lo detestavo. 
Odiavo sentitamente il fatto che il mio volto dovesse mostrare l’esigua cifra dei miei anni, mentre la mia mente e le mie esperienze erano da tempo quelle di un uomo maturo.
Tutti si stupivano quando venivano a conoscenza della mia giovane età, e spesso questa pecca numerica mi aveva fatto perdere clienti che mi avevano erroneamente considerato ingenuo ed inesperto (ma in quei casi non ero l’unico che ne usciva perdente, poiché anche loro perdevano l’occasione di lavorare con me, il più giovane e brillante avvocato Londinese del momento).
Ma no: quel giorno non sarebbe avvenuta un'altra sconfitta! 
Avrei ottenuto quel contratto ad ogni costo, anche se il mio cliente avesse pensato che 25 anni fossero troppi pochi per esercitare diligentemente la professione di avvocato.
Notai letizio che Londra quel giorno era particolarmente bella, ma non posso esserne oggettivamente certo: potrebbe darsi che questo ricordo idilliaco sia influenzato dalle emozioni più che felici collegate a quell’evento.
Certo era che il cielo azzurro stranamente privo di nuvole ed il sole distante, che non infastidiva affatto con il suo torpore appena percettibile (sebbene fosse certamente più piacevole del freddo pungente dei mesi passati) era un evento climatico particolare per la mia città, e di certo non negativo!
In effetti, la mia liscia giacca di calda lana irlandese e la grossa camicia mi tenevano quasi fin troppo caldo, mentre l'ossigeno stentava ad entrare nei miei polmoni schiacciati sotto al gilet. O forse era l’ansia, a rendere l’aria vischiosa come catrame?
Quando arrivai al bar mi soffermai qualche decina di metri dall'entrata ad osservare quel luogo: là dentro avrei potuto ottenere l'incarico della mia vita, l’occasione che certi uomini non ricevono mai e che a me, appena venticinquenne, era già pervenuta, e i miei fondi già colmi sarebbero divenuti tanti che avrei potuto dedicarmi totalmente alla mia passione, lasciando il lavoro per un po' e vivendo di rendita; dovevo solo essere convincente, era l’unico trucco.
Così presi un po' di coraggio, e scuotendo l'ansia giù dalle spalle con un sussulto, entrai.
Mi tolsi cappello e giacca, porgendoli al giovane appositamente appostato lì, e scrutai tra i tavoli alla ricerca del mio cliente.
Notai, distrattamente, un cameriere che, asciugando in modo esperto dei bicchieri, mi fissava.
Ma fu solo un dettaglio, in quel momento.
Nella mia perlustrazione fui colpito dalla calda atmosfera di casa che quel luogo ricreava con il semplice ausilio delle luci ed i materiali.
I grandi lampadari pendenti erano, seppur minuziosamente lavorati, semplici e si sposavano perfettamente con i legni rossastri dei tavoli ed il marmo verde del bancone posto in fondo alla sala.
Le luci, aiutate dalle candele disposte apparentemente a caso per tutto il locale, emanavano un colore aranciato e pacato, tranquillizzante ed amorevole, come un abbraccio materno.
Ma eccola, nel suo tavolo numerato, la persona che cercavo!
Mi diressi al riservato tavolino d’angolo, con una calma apparente incredibilmente ben riuscita e con una nonchalance più finta del parrucchino dell’uomo del tavolo affianco, chiesi educatamente se avessi trovato proprio la persona che andavo cercando.
«Mi scusi, per caso ho il piacere di parlare con il signor Wentz?»
«Quindi lei è il signor Urie! Quanto è giovane? Dev'essere proprio uno di quei nuovi talenti, un prodigio!»
Possibile che anche quell’uomo, all’apparenza così simpatico, m'avesse gabbato con la fatidica domanda!? 
Dovevo distrarlo e cambiare argomento, conquistare la sua benevolenza, per poi ottenere i suoi soldi.
«Mi chiami Brendon, la prego! E no, non sono affatto un prodigio signore, cosa va dicendo! Devo tutto ai miei efficientissimi collaboratori ed impiegati, che proprio come faccio io mettono tutta la loro passione in questo lavoro!»
Mi stupii di quanto fosse divertente mentire: credevo che fosse uno svago usuale solo alle donne, eppure io, certamente uomo, ero piuttosto bravo in tale arte.
«Che giovanotto simpatico, Brendon! Ma torniamo al lavoro, ragione del nostro incontro!» esortò poco dopo lui, che pareva più emozionato di me.
Mentre relativamente seri discutevamo d’affari venne verso di noi il cameriere che poco prima avevo superficialmente notato, scusandosi dell'attesa causataci, ma tanto eravamo assorti nel dialogo che neppure lo avevamo notato il ritardo!
Osservai compiaciuto che quel cameriere aveva proprio uno stile unico: l'anonima uniforme da lavoro era personalizzata da una sciarpa in flanella d’un beige grigiastro tanto ricercato quanto particolare, e teneva alle mani dei guanti a mezza nocca neri. 
I capelli leggermente mossi gli affusolavano il viso fanciullesco, mentre una fascia, posta in parte anche sulla fronte proprio per farsi notare, faceva sì che i ciuffi non raggiungessero gli occhi ed infastidissero quindi la visuale.
Questa capigliatura sbarazzina e nuova lo facevano sembrare un adolescente, e per quanto questo, molto probabilmente, non fosse l’effetto da lui desiderato, non appariva male.
Porgeva un vassoio argenteo dal quale ci offriva in scusa un assaggio del più pregiato whiskey posseduto dal negozio, mentre osservava il signor Wentz con incerto timore e divertimento.
Lo comprendevo: un uomo di mezz’età, alto 1 metro e 65 circa e che in ogni cosa che faceva metteva tanto gaudio ed emozione e che indossava un visibile strato di trucco nero attorno agli occhi, avrebbe stranito chiunque. Ricordava quasi un folletto, non era però un uomo cattivo, altroché! Era di gran cuore e possedeva una grande conoscenza, ma questo non toglieva l’ironia nel suo aspetto.
Notai quindi che anche lui era, seppur lievemente, truccato: proprio come Mr. Wentz (seppur con molta più moderazione) con della matita nera era andato a colorare le rime interne inferiori dei suoi occhi. 
“Un tocco di classe: gli risalta enormemente lo sguardo già luminoso”, apprezzai. Avessi avuto io i suoi occhi avrei fatto la medesima cosa, ne son certo.
Non presentava traccia di barba, e quando notai quei suoi grandi occhi splendere per la visione d’un altro uomo che come lui usava truccarsi, constatai che era certamente un bambino cresciuto troppo in fretta, non c'era altra spiegazione.
E così, con un cenno celato gli sorrisi, per ringraziarlo dell’omaggio fattoci, e poi osservare l’esitante e timida espressione di letizia che gli apparve sul volto in resa. 
Aveva la classica disinvoltura dei camerieri e più tipicamente ancora dei barman, sempre pronti ad ascoltare gli affanni e i dolori di un uomo per poi rispondere con saggi consigli, ma si scorgeva una timidezza principesca, dietro l’abbigliamento particolare, che tentava di essere informale ma appariva pensato e studiato con impegno, e l’aria da vissuto ragazzo di città.
Solo quando poi si voltò per andare mi accorsi di quanto fosse slanciato: le lunghe gambe magre si muovevano leggiadre come ali d'una piccola farfalla
In mezzora avevo ottenuto il contratto, ma questa cosa non mi scalfì più di tanto: ero piuttosto sicuro delle mie capacità, e mi aspettavo un successo.
Trascorsi quindi la successiva ora tra le gioiose bevute di vittoria offertemi da Mr. Wentz, che rideva gagliardo e si rallegrava di aver trovato ciò che cercava: un capace avvocato che lo avrebbe degnamente difeso in tribunale dopo quelle accuse fattegli dalla moglie, convinta di aver subito adulterio.
Non era una causa particolare in realtà, ciò che la rendeva tanto bramata era il profumato conto in banca dell’accusato.
Ma nella mia testa ronzava persistente il desiderio di conoscere meglio il cameriere che ci aveva servito quella sera, e lo osservai ancora un attimo, ero rapito dal suo stile sbarazzino che si univa perfettamente alla sua docile goffaggine.
In realtà la raffinatezza delle sue movenze e della sua espressione sarebbe stata meglio su un agiato gentiluomo, ma creava uno stimolante contrasto con la semplicità della sua divisa (eccezione fatta per la sciarpa) e quindi del suo rango sociale. Mi chiesi così da dove venisse, quale fosse la sua storia e chi fossero i suoi genitori.
Lo rimiravo, dal mio tavolo, mentre serio lavava qualche piatto e si soffermava ad osservare apparentemente apatico la folla di gente che riempiva il locale: chissà cosa pensava.
Fissavo poi il suo sguardo perso e distante, che chiedeva solo di poter uscire da quell’inferno di gente ebbra e confusionaria, che attendeva solo la fine della giornata. Chissà che avrebbe fatto poi, una volta arrivato a casa. Chissà dove abitava...
Si distingueva proprio dagli altri 19 camerieri che, come trottole diligentemente oliate e caricate, giravano veloci e precisi per il locale: non avrei potuto discernere tra loro nessuno, fuorché quel ragazzetto dai capelli scompigliati che perso nei suoi pensieri svolgeva distratto i compiti assegnatili. Chissà come mai lavorava lì, se non apprezzava ciò che doveva fare.
Quando poi, nel primo pomeriggio, il signor Wentz propose di tornare nelle nostre rispettive abitazioni per iniziare il lavoro, accettai la proposta e lasciai il luogo, cosciente del fatto che il giorno seguente sarei tornato là.
Riflettendoci, quella giornata di Gennaio apparentemente innocente fu una porta a trabocchetto: vi ero entrato con la convinzione che ne sarei uscito incolume, solo più agiato di prima, mentre già alla sera notai una frizzante aria di cambiamento in giro, che non riguardava di certo le mie finanze quanto la mia vita ed una certezza fondamentale che per tutta la vita avevo creduto, ma ancora questo non lo sapevo.


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Note dell'autrice: 
grazie intanto a tutti coloro che hanno letto. 
I nomi dei personaggi sono reali, come potete notare: questo perché nasce come fanfiction, ma è talmente AU e OOC che ho deciso di pubblicarla come original.
Non ho molto altro da dirvi, in realtà, ma una cosa mi preme: la storia è stata per metà (o poco meno di metà) già scritta, e posso dire che i capitoli incrementano, per quanto riguarda la lunghezza, molto.
E niente, spero che vi piaccia! 
A presto
Blood Candy
   
 
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