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Autore: _Briareos_    24/03/2015    0 recensioni
"I due combattono per difenderla, ma questo non vuol dire che sono completamente a proprio agio con quello che stanno difendendo."
Un uomo (o quasi) e una donna, guadagnandosi da vivere in un dopoguerra, affrontano un mondo distrutto e in ginocchio che ha visto la struttura del potere ridisegnata diverse volte e ora è senza dubbio agli sgoccioli. Quattro guerre mondiali sono trapelate cancellando gruppi di organizzazioni, l'ultimo Nuovo Ordine è costituito da un governo mondiale istituito nella città-Stato futuristica di Olympus, una delle poche metropoli sulla Terra ancora relativamente civilizzati e (molto) tecnologicamente avanzati. Un viaggio che inizia nel modo peggiore....
Genere: Avventura, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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un nuovo inizio2

Ecco il capitolo due. NOn l'ho fatto troppo lungo perchè volevo descrivere bene le situazioni. Buona lettura.

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“Briareos!!...Bri..!!”

Il corpo possente del cyborg era riverso a terra, schiena sul polveroso e rosso terreno, inerme e abbandonato. La testa ripiegata verso la spalla sinistra, il vento che gli depositava sulla pelle artificiale folate di terra.

Dopo venti minuti nel tentativo di risvegliarlo, Deunan provò con ogni mezzo a trascinarlo ma le era impossibile. Riusciva solo ad alzargli un braccio, per il resto era impotente. Strinse i capelli tra le dita, cercando di riflettere su cosa fare. Ormai sapeva bene che non vi era più nessuno o anche un idiota totale avrebbe capito che attaccarla in quella situazione era un azzardo possibile. Anche se non sapevano quali erano le sue abilità, ogni uomo vedeva in lei un bersaglio indifeso.

Provò a calmarsi. Sicuramente spostare l’enorme compagno era impensabile e per questo motivo non aveva altra scelta che restare in quel posto. Erano in una zona scoperta, troppo rischioso restarvi ma non poteva fare altro.

Frugò nel suo zaino e in quello di Briareos, prese il necessario e preparò un improvvisato campo base. Con delle tende preparò la zona notte, quella del bagno con un secchio bucato e un tubo da collegare a qualunque cosa potesse contenere acqua da usare con una corda, come faceva sempre, per la doccia. Con un telo, messo da parte, avrebbe protetto Briareos per la notte anche se era perfettamente cosciente del fatto che con il suo regolatore di temperatura, anche se ancora privo di sensi, non avrebbe rischiato di congelare.

Sistemò qualcosa per sedersi e si posizionò a lato di Briareos, rivolta però a guardarlo, cercando di fare la guardia. Più restava là a fissarlo e più le veniva un dolore sordo al petto, che non riusciva a scacciare via. Chiudendo gli occhi, se lo immaginava come un animaletto a forma di goccia semitrasparente che volteggiava con la codina e la tormentava da dentro. Era decisa a dare a quelle fitte questa spiegazione, anche per evitare di ammettere la sua disperazione all’inevitabile. La morte di Briareos.

Con un cenno del capo, decisa, cercò di scacciare quel pensiero. Non poteva morire per quello, lo sentiva. Poi le venne un’idea e si accucciò di nuovo vicino al compagno, poggiando delicatamente l’orecchio al petto del cyborg, e attese. Il cuore, anche se un servo motore che lo aiutava in realtà a vivere, sembrava funzionare. Sentiva alcuni ronzii e senza che se accorgesse, il suo corpo strinse con le braccia sul petto di lui rovesciando lacrime di felicità.

Posò il mento sul petto di lui che si muoveva regolare per la respirazione e si diede della scema per non aver pensato a fissarlo in quel senso. Poi chiuse gli occhi e ricordò di aver pianto a quel modo solo per lui, di nuovo, come la prima volta.Il giorno che entrò in quella camera asettica e lo vide con il corpo temporaneo di cyborg, quello che gli avevano applicato per lasciarlo vivere. Quello che dovette abbracciare disperata, sapendo che avrebbe visto solo quello. Non più il viso di un colore tra l’olivastro e lo scuro, i suoi occhi chiari che non sapeva mai definire come colore ma a volte diceva scherzosamente ‘color carta da zucchero luminoso’, il naso dritto e definito per via della chirurgia, la sua mascella definita. In un colpo solo, con un boato, era andato perso tutto. E a lei, era toccata la parte penosa, mettere la firma per definire quel cambiamento nell’uomo per cui provava affetto. Rendendolo definitivamente cyborg.

Si alzò, sistemò il fucile nell’incavo del suo braccio con le dita sull’anello del grilletto e attese qualsiasi cosa. Era come una speranza. Attendeva qualsiasi cosa che potesse cambiare quell’istante.

Un paio di ore dopo, quando ormai Deunan aveva finito di mangiare qualcosa mentre il sole scivolava pigramente fra le rovine della città e si perdeva agli occhi della ragazza in un tempo che per lei pareva infinito, ma era ancora comunque giorno,mentre alcune paffute nubi venivano sospinte dal vento, lei si alzò di scatto dalla sua posizione. Briareos, alla fine, si era mosso.

Deunan si accasciò al suo fianco, carezzandogli il petto per scuoterlo e vide il suo viso muoversi lentamente a destra e a sinistra. Quando le sue ottiche iniziarono a mettere a fuoco, stridendo per la polvere che si era annidata, lo sentì sussurrare il suo nome. Deunan sorrise con quanta felicità poteva mostrare in viso e gli chiese come stava.

“Non … lo so…”

“Vuoi restare ancora sdraiato o vuoi alzarti?”

“…voglio alzarmi…”

Deunan lo aiutò tirandolo per il braccio vicino a lei, il sinistro, facendolo sedere e carezzandogli la testa in ogni sua parte per vedere se aveva riportato danni.

“Dai ragazza, resisto …ai proiettili e mi… controlli per una caduta?”

“Una caduta con la tua stazza, ragazzone…non piagnucolare e lasciami controllare!”

Briareos emise un brontolio gutturale, ridacchiò lievemente e la cinse con il braccio sinistro stringendola a sé. La mise a fuoco e si accorse che aveva il viso rigato da lacrime ormai seccate e gliele pulì con il pollice dell’altro braccio.Ma questo tremava.

“Non essere in pensiero piccola, io…”

L’improvviso gesto del cyborg di scrollare la testa e buttarla in avanti, come fra le sue gambe, spaventò Deunan, che provò a tirarlo su di nuovo.

“Briareos, che succede?”

“…cazzo…ah!...”

“Bri…”

“NO!!”

Deunan si irrigidì allo strozzato verso del cyborg che si colpiva la testa con la mano destra con colpì via via sempre più forti. Lei cercò di bloccarlo chiedendoli che stesse facendo, provocando la rabbia di Briareos.

“lasciami…devo farlo..:”

“Perché??”

“Perché…perché non riesco a gestire l’OS..!”

Deunan lo fissò incerta, senza capire, con le labbra schiuse come a voler parlare ma non riuscire. Con il braccio sinistro, Briareos la tirò a se stringendo la sua vita, con la mano destra le spinse la testa sotto il suo mento, carezzandole con le dita la pelle della guancia.

Briareos era disperato, lo sapeva e non voleva esserlo. Lei lo aveva capito bene, lo aveva intuito. Tra loro non cèra bisogno di parole su certe cose, si comprendevano sempre. Gli chiese cosa stesse accadendo, ricevendo solo una risposta.

“Sono nei casini. Bimba…”



Deunan tornò a guardare il fuoco che sinuoso scacciava le tenebre intorno a lei, si morse il labbro e chiuse gli occhi. Si strinse con le braccia, come a cercare qualcosa da un ricordo e alla fine, si voltò verso la jeap a cercare con gli occhi la sagoma dell’uomo che aveva scelto al suo fianco. Chiuse di nuovo gli occhi, storcendo la bocca nel momento in cui qualcosa le tornò in mente.



“Sono nei casini ragazza e…”

Quella frase lasciata a metà la lasciò basita. Lo vide nel tentativo di alzarsi, chiedendole di farglielo fare da solo, incespicare ma non cadere. Lo seguì con gli occhi, ancora seduta a terra con le gambe di lato e le mani davanti a lei a stringere fin sotto le unghie la sporca polvere,mentre evidenti problemi motori gli impedivano di utilizzare un’andatura regolare. I problemi erano fin troppo evidenti.E qualcosa le stava morendo dentro, alla sola idea di saperlo invalido, incapace, bisognoso di aiuto. Proprio lui che era autonomo in tutto dal cambio di corpo.

“Bri, qualè il problema?”

“….”

“Bri…”

“….”

Qualche goccia di pioggia improvvisa cadde fra le mani di Deunan, poi intorno silenziosamente. Alzò gli occhi e le nubi che le erano parse batuffoli nel cielo stavano alleggerendo il loro carico su di lei e le parve che fossero in quel momento loro, al suo posto, a piangere. Buttò la testa a terra, poi la rialzò quando sentì Briareos camminare come in cerchio e lo fissò. Pareva incerto, tremolante nei movimenti, si fermava spesso e sembrava pensieroso. Si accasciò un ginocchio, fissando a terra come se fosse stanco o fosse cascato a terra con tutto il suo peso. Si rialzò, restando fermo in piedi.

Poi alla fine, Deunan udì la sua voce.

“Ho fatto una stronzata…” scuotendo la testa tenendola con una mano come se avesse mal di testa “una stronzata…!”

Deunan cambiò espressione come se volesse piangere tutte le lacrime del mondo, alzandosi e abbracciandolo come se ci fosse un qualche addio difficile senza lasciarlo andare, affondando la fronte sul suo petto. Singhiozzando debolmente avvertendo la pioggerella che era cresciuta sulla sua pelle, scivolare sulla nuca e bagnarla, stretta al suo cyborg.



Arrivata al bollore, Deunan tolse la cena dal fuoco. La lasciò un attimo su un disco di tronco di albero usato come poggia pentola e prese due ciotole di metallo, riempiendo subito una e lasciandola da parte. Fece lo stesso, con il mestolo, con l’altra ciotola e poi si buttò a sedere sulla sedia, mangiando lentamente e come se non avesse fame. Invece stava letteralmente morendo di fame, ma la zuppa in scatola ogni giorno, per mesi, non era una leccornia invitante.E si sentiva sola.

Deglutì l’ultimo boccone, controllò la temperatura della zuppa nell’altra ciotola e poi ne aggiunse ancora da quella che era rimasta nella pentola. Si alzò dirigendosi verso la jeap, salì sul pianale e si fermo davanti Briareos. Immobile, inerme. Sospirò, prese da uno scatolone un grosso imbuto e mettendosi sollevata con un oggetto, con le dita aprì i copri mascella del cyborg, poi la mandibola spalancandogli la bocca.

“Farò piano come al solito, te lo prometto…”

Inserì l’imbuto stando attenta a non fargli male o facendoglielo arrivare troppo in gola e poi con delicatezza rovesciò la cena ormai non bollente nell’imbuto, attendendo che per la gravità scendesse, sentendolo deglutire. Lui era là dentro. La bocca, la trachea, gli organi, tutto era ancora del vecchio Briareos. Non poteva fare errori, lui non poteva parlare con le sue corde vocali tranne qualche verso gutturale che ormai non emetteva più, non aveva forze per farlo. Era stata lei stessa a chiederglielo, vedendo quanto fosse difficile per lui farsi sentire. Non voleva vederlo soffrire.

Attese che avesse finito, cercò di fargli arrivare tutta la zuppa possibile. Tornò vicino al fuoco e riempì la ciotola con la zuppa rimanente. Voleva che lui fosse ben nutrito, avendo lei possibilità di mangiare quando ne aveva bisogno. Prese una borraccia e appena terminò di versare il resto della zuppa, gli fece mandar giù qualche sorso d’acqua. Alla fine delle operazioni, tolto l’imbuto, pulì il viso del compagno per essere sicura di non aver fatto errori e richiuse la mandibola. Lo fissò, triste, dandogli un profondo bacio e dicendogli di aspettare che sarebbe tornata per la notte.

Tornò lesta vicino il fuoco, pulì tutto e rimise gli oggetti nello scatolone. Ormai era notte, era stanca e sapeva di dover dormire abbastanza per poter guidare il giorno dopo. Portò tutto sulla jeap, poi prese il visore notturno e la lattina di zuppa vuota e disse a Briareos di aspettare qualche minuto. Si avvicinò a qualche cespuglio, controllò con il visore che non vi fosse nessuno e utilizzò la lattina per fare pipì. Odiava dover fare così ma lo trovava un modo più pulito del semplice farla per terra. Ancora di più, detestava il dover andare in bagno dovendo scavare una piccola fossa per bisogni più grossi. Si sentiva non solo sporca, ma qualcosa simile a un’incivile. Era così che lo vedeva. Detestava sopra ogni cosa il fattore bagno in situazioni come quella.

Finito, lasciò la lattina in piedi, si lavò come poteva con un panno apposito imbevuto d’acqua e si rivestì. Lasciare la lattina dopo i suoi bisogni la faceva sentire un pizzico più civilizzata. Non si sentiva un animale!

Tornò alla jeap, salì sul pianale e lo alzò dietro di lei. Prese una coperta da uno scatolone e si sistemò sulle gambe distese del compagno, poggiando la guancia destra sul suo petto.

“Buona notte ragazzone, riposati. Domani è un altro giorno”.

Si strinse nella coperta percependo il fresco della sera e si rannicchiò di più a lui, sognando il giorno che potesse sentire di nuovo il suo abbraccio, e quindi, il suo affetto per lei.

   
 
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