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Autore: Rowena    17/12/2008    1 recensioni
La Terza Prova del grande Torneo Trimaghi si è conclusa con una tragedia. Uno dei concorrenti è morto, Voldemort è tornato e Harry Potter è stato testimone della sua rinascita. Silente e i suoi amici hanno un gran bel daffare in una situazione tanto delicata, perciò l'ultima cosa che desiderano è un'impicciona ficcanaso come Rita Skeeter tra i piedi. Ci vuole un mago a distrarla e tenerla buona per un po', un mago che non possa essere utile al momento in nessun altro modo... Sei libero per questa notte, Sirius?
Genere: Demenziale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Altro personaggio, Rita Skeeter, Severus Piton, Sirius Black
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Era quasi l’alba, ormai, quando una sagoma magra e scarna riuscì finalmente a entrare a Hogwarts, sotto lo sguardo pietoso di una comprensiva e preoccupata Minerva McGranitt, stremata per la notte insonne.
Sirius Black arrancava in pessime condizioni, e tuttavia, una volta entrato nel castello, ebbe la lucidità necessaria per trasformarsi in cane prima che un qualsiasi studente potesse notarlo e dare l’allarme.
Aveva bisogno d’aiuto, decisamente: recarsi verso l’infermeria era fuori discussione, almeno non senza mettere in agitazione Harry ed essere costretto a raccontare la verità al figlioccio, e non aveva alcuna intenzione di andare a rifugiarsi nello studio di Silente. Il vecchio gli doveva un enorme favore, pensò, e tuttavia non sarebbe tornato a elemosinare aiuto da lui tanto presto, nemmeno se avesse potuto far revocare tutte le accuse che pendevano sulla sua testa.
Al momento di prendere le scale che portavano ai sotterranei, tuttavia, Sirius si domandò se la recente esperienza non avesse terminato il lavoro di Azkaban, eliminando quel poco di ragione che gli era rimasto. Non aveva scelta, però: sentiva il bisogno disperato di parlare con qualcuno, e Mocciosus era il solo con una vita talmente dissestata da trovarsi essere costretto ad ascoltarlo.
Severus Piton stava pulendo il bancone di legno scuro, lo stesso su cui era solito trattare tutti gli ingredienti necessari per le sue pozioni, con uno straccio di tela che sembrava aver giorni migliori.
«Spiacente, non sono ammessi animali qui. A meno che non servano organi freschi, sai: un fegato di cane può sempre servire, soprattutto se ancora caldo». Disse il professore di pozioni senza nemmeno alzare lo sguardo. I suoi poteri paranormali erano sempre più inquietanti.
Con due balzi, l’animale nero si portò di fronte all’eterno avversario, dall’altro lato del tavolo, e riprese sembianze umane.
«Sei gentile ed ospitale come sempre, noto. Versami qualcosa, piuttosto».
Piton sbuffò, rendendosi conto che ignorarlo e basta sarebbe stato impossibile. «Questo non è un locale, Black: se vuoi un drink, vai a cercarlo da Madama Rosmerta, è probabile che caschi ancora ai tuoi piedi al primo frivolo complimento, come quando eravamo ragazzi».
Ricordi di gioventù s’intromisero tra loro, riportandoli ai quindici anni e a un pomeriggio nevoso passato a Hogsmeade; i Malandrini tenevano spettacolo ai Tre Manici di Scopa, neanche a dirlo, e un giovane Severus se ne stava a un tavolo in angolo, nel tentativo di isolarsi dal baccano che i quattro Grifondoro provocavano.
Sirius sogghignò, sempre felice di ripensare ai bei vecchi tempi; recuperò uno sgabello da un angolo della stanza e si accomodò, deciso a portare avanti il discorso.
«Sei invidioso perché io riuscivo ad avere tutte le Burrobirra di questo mondo senza tirare fuori un solo Zellino, mentre tu hai sempre dovuto pagare. O forse erano le risatine di Rosmerta a infastidirti? Eri geloso, per caso?» Domandò con un sorriso sornione, grattandosi un orecchio con la punta delle dita; le abitudini canine erano difficili da ignorare, ormai.
Il professore di Pozioni scrollò le spalle, infastidito da simili insinuazioni. «Se una donna è tanto idiota da farsi prendere in giro da uno come te, non merita considerazione. Piuttosto, com’è andato il tuo appuntamento?»
Incapace di rispondere, Sirius rabbrividì, mentre l’altro mago riprendeva a pulire il pianale con aria decisamente soddisfatta, deciso a far sparire anche la più piccola macchia.
Il ricercato si accorse solo in quel momento, mentre stava vagando con lo sguardo per cercare un buon argomento con cui sviare la conversazione, di quale noioso compito si stava occupando l’eterno rivale e rimase a fissarlo, stupito. «Non so se te l’hanno mai detto, ma ho una notizia per te: questi lavori si possono ovviare con la magia».
«Questa è la differenza basilare tra te e me: tu sei un lavativo, mentre io preferisco non impigrirmi, svolgendo a mano queste piccole faccende, senza usare un solo incantesimo. Non amo abusare dei miei poteri anche per le questioni più insignificanti».
Eh, perché lui era più bravo, più perfetto, più intelligente… «Certo, come dici tu. In quel marasma dei tuoi scaffali c’è anche qualcosa per farmi dimenticare la notte appena trascorsa?» Chiese maleducatamente Sirius, scocciato da quelle chiacchiere insensate e dai costanti tentativi di Mocciosus per risultare il migliore dei due.
Piton, d’altra parte, prese fiato per iniziare a spiegare il perfetto e preciso sistema di catalogazione di Pozioni, filtri, ingredienti e distillati che aveva adottato fin da quando era stato assunto, ma rinunciò prima ancora di pronunciare una sillaba: Black era troppo ottuso, secondo il suo giudizio, per comprendere una simile prova di genio. Decise, invece, di continuare ad indagare su ciò che era avvenuto tra il ricercato numero uno del mondo magico e la giornalista più insopportabile che si fosse mai vista.
La curiosità lo stava divorando, così come la sensazione che presto avrebbe conosciuto un segreto che gli avrebbe permesso di ricattare il vecchio rivale. «È stata una serata così pessima?»
Felpato sapeva di non essere in compagnia di una persona degna di fiducia, così come non gli era difficile immaginare che nel giro di dieci minuti si sarebbe pentito di aver aperto bocca; aveva decisamente bisogno di sfogarsi, però, e visto che Mocciosus era la sola persona nei paraggi…
«La prossima volta io affronto Voldemort e tutti i suoi allegri amici e tu vai a divertirti con quella…» Sirius non riuscì nemmeno a terminare la frase, troppo preso a rabbrividire al ricordo di ciò che gli era capitato. «Ti giuro che io ho avuto un sacco di donne, anche con pretese strane, ma questa davvero le batte tutte. Credo che chiamerò la protezione animali per cercare conforto, oppure mi costituirò e tornerò ad Azkaban».
Messo là, appollaiato su uno sgabello e con l’aria di un vero derelitto, Black sembrava più comico e attaccabile che mai. Il professore di pozioni stiracchiò le labbra sottili in un sorriso ben poco amichevole: «Il solito melodrammatico. Cambierai mai, Black?»
Per nulla colpito, Sirius scrollò le spalle. Mai, mai sarebbe diventato un’altra persona: ci aveva provato chi aveva deciso per la sua condanna ad Azkaban, e i Dissennatori erano quasi riusciti ad annullare la sua coscienza, eppure era ancora lo stesso mago di sempre. Se non l’aveva cambiato l’esperienza di quella notte, nulla poteva! «Potrei farti la stessa domanda, credo» ribatté con voce piatta, stanco di quel battibecco; all’improvviso voleva andarsene, chiedere a Remus asilo per qualche giorno e dormire, dormire, dormire. «Allora, hai la pozione che ti ho chiesto? Così posso andarmene e lasciarti a giocare alla sguattera».
«L’ho finita, mi dispiace», replicò Piton incrociando due dita dietro la schiena. «Per il tempo necessario a distillarla di nuovo, purtroppo, il ricordo sarà troppo radicato nel tuo subconscio; ti consiglierei un incantesimo Obliviatore, a questo punto».
Nel vedere il pozionista tirare fuori la bacchetta, Sirius fece un balzo indietro, spaventato; certo il ghigno che incurvava il volto del mago era ben altro che rassicurante. «Non sono così pazzo da affidarmi a te per un problema simile, Mocciosus, perciò torna a lustrare il tuo tavolaccio: non ti lascerò manipolare i miei ricordi, anche a costo di tenermi stretti quelli drammatici di ieri notte!»
E con quella declamazione da palcoscenico, Sirius si ritrasformò in cane e corse via, diretto al confine della barriera magica che impediva di Smaterializzarsi; non l’avrebbe mai confessato, ma aveva un bisogno incredibile di coccole e di cioccolato.
«Peccato» sibilò Severus Piton, prima di mettersi a ridacchiare. Anche un mago come lui aveva bisogno di divertirsi, ogni tanto.

Nel frattempo, il preside di Hogwarts scendeva lungo il sentiero in direzione del villaggio; si fermò un attimo, ormai sulla soglia della Testa di Porco, per osservare l’alba. Un attimo prezioso di serenità dopo una notte d’inferno; per fortuna tutti avevano fatto la loro parte, così da rendergli il compito meno gravoso.
C’era ancora così tanto da fare… «Allora, vuoi rimanere ancora lì fuori a meditare sull’immensità dell’infinito o ti decidi ad entrare?»
La voce burbera del fratello minore riscosse il mago riportandolo alla realtà. «Sto ancora cercando di svegliarmi, a dir la verità: come mai questa chiamata improvvisa?»
Aberforth si strinse nelle spalle, agitando uno strofinaccio lurido in direzione di Albus. «Vieni dentro, ho bisogno del tuo aiuto».
Accidenti. Il maggiore dei due ubbidì aggiustandosi gli occhiali a mezzaluna sul naso: suo fratello era maledettamente orgoglioso, in genere, e non gli aveva mai chiesto una mano se non per quella questione degli esperimenti sulla capra… Doveva essere successo qualcosa di grave, se si abbassava a tanto.
Merlino, com’era presto! Non aveva più l’età per simili levatacce. «Hai un po’ di caffè?»
«Meglio, fidati» rispose burbero Aberforth, mettendogli davanti un calice sottile in cui ribolliva uno strano intruglio vischioso e nero. Indeciso, Albus decise di prendere tempo, chiedendo di nuovo per che genere di questione era stato convocato via camino.
La risposta fu quantomeno singolare. «Le mie caprette sono scappate questa notte e da solo non riuscirò mai a stanarle tutte: prega che siano tutte sane e salve o non sarò tanto tenero».
Albus Silente aveva vissuto una vita straordinariamente lunga e aveva visto ogni genere di cose, assurde e stravaganti che fossero, eppure quella mattina rimase spiazzato dalle parole di suo fratello.
«E per quale motivo sarebbe colpa mia?» chiese temendo già la risposta.
«Vedi, questa notte ho avuto due strani clienti: una giornalista pazza e un poveraccio che ha dovuto… Come dire, intrattenerla?» chiese il gestore del pub, sfoderando un sorriso sarcastico. «Neanche a farlo apposta, era la stessa giornalista che tu avevi allontanato dalla scuola e che tu desideravi tenere lontana da Harry Potter. Ne sai qualcosa?»
«Oh, ma certo. Andiamo, una passeggiata farà più che bene a due vecchietti come noi» rispose Albus in fretta prima di sentire altro. Trattenne a stento una risata al pensiero di Sirius intrappolato in una camera polverosa della Testa di Porco con una così poco piacevole compagnia, cercando di mantenere un contegno.
«Vecchietto sarai tu, forse» mugugnò Aberforth prima di servirsi un goccio e buttarlo giù tutto d’un fiato. «Andiamo, su».
Era una coppia davvero particolare, ben vestito seppure stravagante il maggiore dei due, sporco e mal tenuto l’altro; non vi era nessuno a guardarli, nella fresca mattina scozzese.
«Non ho capito, però, come avrebbero fatto Sirius e Rita a far scappare le tue capre» disse pacato Albus richiamando con un Incantesimo di Appello una delle cinque bestiole che brucavano il prato al limitare della Foresta Proibita.
Il fratello sbuffò, mettendosi a rincorrere un altro degli animali in maniera più babbana. «Non hai idea dei rumori che sono arrivati dalla loro camera. Betsie si è innervosita e ha rotto il recinto, e le altre l’hanno seguita subito. Quel povero ragazzo, non lo invidio neanche un po’».
Silente era dello stesso parere, e tuttavia si compiaceva per aver trovato una soluzione accettabile al problema Skeeter: Harry ancora dormiva tranquillo, riposandosi dopo la notte terribile che aveva vissuto.
Forse rimuginando su quanto poteva essere invasata la più temuta giornalista del mondo magico, forse rabbrividendo al pensiero di cosa doveva aver patito il povero Sirius, i due uomini continuarono il loro lavoro in silenzio: aveva appena finito e Albus stava già muovendo la bacchetta per spedire nel cortile dietro al pub del fratello le cinque evase, quando un grosso cane nero si tuffò tra di loro e disperse nuovamente le capre abbaiando a più non posso.
Aberforth tentò di cacciarlo, ma riuscì solo a farsi gettare a terra dalla bestiaccia.
«Ma che… Sirius!» gridò il preside, incerto se ridere o sgridare il colpevole.
Senza neanche guardare l’anziano mago, il cane riprese a correre all’impazzata: con quello che aveva subito, almeno quella piccola vendetta gli era dovuta, oh sì.
 



   
 
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