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Autore: AnyaTheThief    24/03/2015    2 recensioni
Viktoria è una ragazza giovane e bella. Abita a Vienna ed ogni giorno deve avere a che fare con gli orrori della guerra. Cos'ha a che fare tutto questo con i Moschettieri? Beh, vi dico solo che capisco che è una storia particolare e che non possa piacere a tutti, ma vi consiglio di concederle qualche capitolo prima di cassarmela! Spero che poi la troverete avvincente.
Attenzione agli spoiler, la fiction si colloca dopo l'episodio 8 della seconda stagione.
Genere: Avventura, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Aramis, Queen Anne
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Come dopo ogni bombardamento, la vita era tornata alla normalità. Per quanto normale tutto ciò potesse essere; Viktoria era cresciuta con alti valori morali, e non poteva sopportare gli orrori che la guerra stava portando nel suo Paese e in tutta l'Europa. La gente sui vagoni ammassata come bestie, lei l'aveva vista: quando andava ancora a scuola, passava davanti alla stazione e li vedeva camminare a testa bassa, spinti dai soldati, malmenati se solo si fermavano o osavano parlare.

Avrebbe voluto fare qualcosa per quelle persone, ma tristemente conosceva bene la pena per chi si ribellava al regime.

Ma non abbassava la testa. Mai. Guardava quelle scene orribili coraggiosamente, affrontando con se stessa una grande sfida. Ed era in quei momenti che si sentiva impotente come nel suo sogno, ma in quel caso essere da un'altra parte non avrebbe risolto nulla, perché con o senza di lei i maltrattamenti e gli abusi sugli ebrei sarebbero continuati.

Vedeva anche suo padre soffrire quando camminavano per le strade e si imbattevano in certe scene, ma lui si voltava dall'altra parte e cercava di intavolare una conversazione frivola per distrarla. Non era più una bambina. Un giorno glielo aveva detto, e lui aveva risposto, commosso:

“Non è questo il mondo in cui vorrei che vivessi.”

E lei, fermamente, aveva replicato: “Ma è il mondo in cui viviamo, e non possiamo fare finta di essere altrove. La mamma non lo ha fatto.”

Lesse nello sguardo di suo padre una sincera preoccupazione e vide l'ansia che lo assaliva. L'argomento era quasi tabù. Sapeva cosa avrebbe voluto risponderle, ma forse aveva capito da solo che per quanto somigliasse a sua madre, non avrebbe mai avuto il coraggio di comportarsi come aveva fatto lei, anche se avrebbe voluto.

Ma quel giorno tacque e insieme assistettero all'arresto di una famiglia di ebrei, che vennero portati via a insulti e calci. Insieme provarono pietà, rabbia e compassione, e insieme sopportarono l'impotenza.

 

Non era passata nemmeno un'ora da quando le sirene avevano smesso di suonare. Viktoria ed Eva avevano rimesso la nonna a letto, e poi si erano sedute assieme in salotto ad aspettare, in silenzio, sotto una coperta pesante, finché con grande sollievo non avevano sentito la porta aprirsi.

L'episodio era stato dimenticato. Non era la prima volta che il signor Haas tardava al lavoro. Si era precipitato a casa appena aveva potuto uscire dal rifugio in tutta sicurezza.

Il padre delle due ragazze gestiva una produzione di scarpe, ma le cose non andavano molto bene; tutte le aziende stavano chiudendo per venire trasformate in fabbriche di armi, e anche la sua amata attività era a rischio. Inoltre molti dei suoi operai erano stati costretti a licenziarsi per via delle leggi razziali; erano brave persone, ma non sapeva cosa ne era stato di loro e questo lo rimpiangeva moltissimo. Uno dei punti di forza della sua azienda consisteva nel fatto che tra lui e i dipendenti intercorreva un buonissimo rapporto: spesso si erano trovati ad ospitare a cena alcuni di loro.

Molte volte aveva parlato alle ragazze di quanto fosse bravo quello lì ad usare quel tale macchinario, o quanto fosse veloce l'altro a fare lo smistamento, e di quanto gli mancasse quell'ebreo che lo faceva tanto ridere con le sue barzellette.

Le ragazze lo consolavano, gli dicevano “vedrai che non si è fatto prendere, era uno in gamba, vedrai che è riuscito a nascondersi da qualche parte...”, ma nemmeno loro ci credevano veramente. Si scambiavano di nascosto degli sguardi scettici e preoccupati. Lui sorrideva, prendendole per mano. “Le mie belle ragazze... Come farei senza di voi...”

Viktoria senza dubbio era la più bella delle due. Aggraziata nei modi e nel portamento, il viso a forma di cuore era incorniciato da una lunga chioma bionda che le ricadeva morbida e leggermente ondulata sulle spalle, ma di solito la teneva raccolta per far risaltare quel collo lungo e fine che le dava un'aria ancor più elegante. Gli occhi azzurri e grandi sembravano quelli di una bambola, ma erano decisamente più espressivi, così come la bocca piccola e carnosa che spesso storceva quando qualcosa non le andava a genio. Senza dubbio era intelligente e prendeva sul serio i suoi studi, ma non le dispiaceva mai concedersi delle pause; anche suo padre la incoraggiava a prendersi tutto il tempo necessario. Era ancora molto giovane, e comunque molte ragazze erano indietro con gli studi per via di tutto ciò che stava succedendo.

Eva aveva soltanto un paio d'anni in più, ma il tempo era stato più crudele con lei. Oggettivamente era una bella ragazza, quasi quanto la sorella, ma la sua era una bellezza diversa, più rude. Un paio di solchi ai lati della bocca le mettevano in evidenza gli zigomi quando sorrideva. Anche lei bionda, più alta di Viktoria ma anche leggermente più magra.

A differenza della sorella, aveva imparato ad abbassare la testa di fronte ad alcune situazioni: non era forte, non voleva vedere e non voleva sapere. Spesso spegneva la radio e la televisione se qualcuno la accendeva mentre si cenava. Abbassava la testa per strada quando vedeva i tedeschi; abbassava la testa al lavoro, sulla sua macchina da scrivere; anche quando andava ancora a scuola, abbassava sempre la testa quando non voleva farsi notare. Soltanto in casa, in una sorta di redenzione, osava sfidare gli eventi e si comportava naturalmente.

Il signor Haas era molto orgoglioso delle sue figlie, non faceva che ripetere loro quanto fossero belle e brave. All'inizio aveva pensato di mandarle a stare da suo fratello, in montagna, per farle vivere più al sicuro dai bombardamenti. Ma loro si erano rifiutate. “Non potremmo mai lasciarti qui.”

L'argomento tabù era una motivazione in più per non separarsi, ma ovviamente la diedero come sottintesa. Non potevano lasciarlo solo ad affrontare il lutto.

Eva era sicuramente più apprensiva della sorella che, a volte, non ci arrivava proprio ad alcune cose basilari come aiutare la nonna a tagliare la carne, o non ascoltare davanti al padre le canzoni che ascoltava sempre la mamma. Lo faceva con un'ingenuità che non le si poteva rimproverare, perché tutti sapevano che teneva alla famiglia esattamente tanto quanto la sorella maggiore.

Anche per via di questo suo aspetto non si era resa conto delle stranezze degli ultimi tempi. Era stata Eva a parlargliene.

“Hai visto la faccia di papà quando è tornato oggi? Sembrava proprio giù, chissà cos'è successo al lavoro... Dovremmo chiederglielo?”

Viktoria cadeva dalle nuvole.

“Avanti, hai notato che torna sempre più tardi? E poi è così smunto... Spero non si stia ammalando.”

“Io credo che stia bene. Sarà solo un po' stanco.” aveva glissato Viktoria sollevando le spalle. Eva ci era rimasta un po' male, aveva cercato supporto nella sorella per indagare, ma si era di nuovo trovata di fronte ad un muro di ingenuità.

Non passarono che un paio di giorni, prima che i suoi sospetti si rivelarono fondati.

 

Viktoria si svegliò di nuovo nel cuore della notte. Vivido nella sua mente il ricordo del suo bambino, i tre uomini a cavallo, l'uomo biondo che le sorrideva; ma dopo di quello, nient'altro: era arrivato di nuovo ad un punto morto. Si alzò dal letto cercando di non fare rumore: aveva bisogno di rinfrescarsi il viso sudato. Quando uscì dalla stanza per andare in bagno, però, sentì dei lamenti provenienti dalla camera del padre.

Lo trovò nel letto che si agitava irrequieto. La febbre alta lo aveva reso bollente e forti brividi lo scuotevano tutto, facendogli sudare freddo. Tossiva forte, senza nemmeno accorgersene.

Rimase in quelle condizioni per due giorni pieni. Il dottore disse loro di non preoccuparsi, che si sarebbe rimesso entro una settimana, ma le due ragazze non poterono fare a meno di restare al suo capezzale per tutto il tempo, almeno finché la febbre non iniziò a calare. Fortunatamente il suo socio in affari poteva cavarsela da solo per qualche tempo, così la fabbrica non dovette chiudere.

All'alba del terzo giorno si risvegliò finalmente in uno stato cosciente, nonostante fosse evidente che forti dolori ancora gli pervadevano tutto il corpo. Viktoria era seduta semi addormentata sulla poltrona, ma si fiondò subito accanto al letto quando lo vide aprire gli occhi.

“Papà!” esclamò sorridente. “Stai meglio?” gli posò una mano sulla fronte, e sentì che scottava molto meno della sera precedente, anche se ancora era scosso da colpi di tosse continui. “Il dottore ha detto che è broncopolmonite. Ma hai preso tutti gli antibiotici, ed ora starai meglio.” lo rassicura, accarezzandogli il viso.

“Da... quanto tempo sono a letto?” domandò con voce rauca e stanca.

“Due giorni. Ma stai tranquillo, passerà presto. Il signor Pohl è venuto a farti visita e dice che va tutto bene giù in fabbrica.”

Viktoria non si accorse che suo padre aveva smesso di ascoltarla subito dopo che aveva risposto alla sua domanda. Sbarrò gli occhi incredulo, e restò a fissarla come se fosse un alieno, ma la ragazza era così concentrata a rimboccargli le coperte che non se ne accorse nemmeno.

“Due... Due giorni?” ripeté, con aria sconvolta. Questa volta Viktoria si rese conto che qualcosa non andava e lo guardò confusa. “Due... Due... Oh, Dio.” il signor Haas si coprì il viso con le mani, in un gesto disperato.

“Cosa...?” fece per chiedere la ragazza, ma subito lui la interruppe.

“Devo andare.” dichiarò poi.

“N-No, non puoi...” non ebbe tempo di reclamare, che si trovò subito a doverlo bloccare mentre tentava di uscire dal letto.

“Devo andare, lasciami andare, tesoro!” sembrava più determinato che mai, ma un calo di pressione dovuto anche al fatto che era stato a letto sdraiato per tutto quel tempo lo rimise subito al suo posto, facilitando il lavoro della figlia. Gli si girarono gli occhi all'indietro, e ricadde sul letto come una marionetta a cui sono stati tagliati i fili.

“Papà! Ma cosa fai?” Viktoria lo scosse per le spalle, finché non riaprì gli occhi, confuso.

“Cos--?”

“Devi stare a letto, non puoi alzarti per nessun motivo!”

Il signor Haas si guardò attorno un po' confuso, rinvenendo immediatamente dal leggero svenimento, poi si soffermò con lo sguardo sulla sua figlia minore.

“Vicky.” annunciò molto seriamente. “Ho bisogno che tu faccia una cosa per me.”

 

  
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