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Autore: AnyaTheThief    18/03/2015    4 recensioni
Viktoria è una ragazza giovane e bella. Abita a Vienna ed ogni giorno deve avere a che fare con gli orrori della guerra. Cos'ha a che fare tutto questo con i Moschettieri? Beh, vi dico solo che capisco che è una storia particolare e che non possa piacere a tutti, ma vi consiglio di concederle qualche capitolo prima di cassarmela! Spero che poi la troverete avvincente.
Attenzione agli spoiler, la fiction si colloca dopo l'episodio 8 della seconda stagione.
Genere: Avventura, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Aramis, Queen Anne
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 1



Si trovava in una stanza a lei molto familiare. Una camera da letto, un grande, grandissimo letto, con un baldacchino azzurro. Tutta la stanza era adornata da quadri, un grande arazzo, decorazioni sulle pareti che parevano scolpite dal più abile degli artisti. Una grossa specchiera incorniciata d'oro riflesse la sua immagine quando vi passò davanti.

Si vide sfilare con un bel vestito turchese di stoffa pregiata, i capelli le lasciavano scoperta la nuca, in un'elaborata pettinatura adornata di spilloni e perle, come quelle che spiccavano attorno al suo collo e che ciondolavano dalle sue orecchie.

E in braccio teneva un bambino. Il bambino più bello che avesse mai visto. La sua faccina rotonda le sorrideva spensierata, mentre agitava la manina in direzione del suo viso. Era suo figlio. Una certezza che nessuno avrebbe potuto toglierle: era suo figlio.

Si sarebbe dovuta sentire felice in quel momento, ma una grande ansia le saliva dallo stomaco, facendole bruciare il petto. Guardò fuori dalla finestra e vide due uomini a guardia del portone d'ingresso, due soldati. Si sentì d'improvviso impotente: non aveva alcuna via di fuga. Deglutì, sbattendo le ciglia un paio di volte per ricacciare le lacrime, poi un vagito richiamò la sua attenzione.

“Ehi...” sussurrò al bimbo, carezzandogli il viso in maniera giocosa. Ma poi tornò a guardare dalla finestra. Altri tre uomini stavano arrivando a cavallo, tre uomini che conosceva bene. Ma non avrebbero dovuto essere soltanto tre; cercò con lo sguardo un quarto uomo, invano.

I loro mantelli azzurri contrastavano con i vestiti in pelle scura che indossavano sotto, e i cappelli dalla tesa larga le impedivano di vedere in viso due di loro, ma non ce n'era alcun bisogno, sapeva benissimo chi fossero.

Li osservò scendere dal cavallo ed iniziare a discutere con i due soldati alla porta. Il suo sguardo rimbalzava da una fazione all'altra angosciato, finché sentì che il tono della discussione iniziava a scaldarsi: quando uno degli uomini col mantello azzurro tirò fuori una spada, scostò la tenda per impedirsi di continuare a guardare.

Strinse a sé il bambino, chiudendo gli occhi. Non voleva più restare lì, quello non era il suo posto, non erano i suoi vestiti, non era la sua camera. Non apparteneva a quel mondo, e non le piaceva la sensazione che stava provando in quel momento.

Poi udì dei passi pesanti al di fuori della sua porta, ed il suo istinto le gridò di fare qualcosa per bloccare l'ingresso. Ma per quanto si guardasse attorno in cerca di idee, le sue gambe erano bloccate e non rispondevano più ai suoi ordini.

La porta si spalancò con un rumore sordo che la fece sussultare. Strinse il neonato a sé, proteggendolo con il suo corpo, quando vide l'uomo che tanto temeva, scortato da mezza dozzina di guardie come quelle che sorvegliavano l'ingresso. Era biondo e l'unico occhio azzurro visibile sembrava una pietra preziosa incastonata su un viso segnato dai tratti spigolosi. L'altro occhio era coperto da una benda nera la cui vista le provocò un moto di soddisfazione.

Le sorrise viscidamente: avrebbe voluto pregarlo, scongiurarlo, di non fare del male al bambino, avrebbe voluto gettarsi ai suoi piedi e piangere, urlare.
Ma niente di tutto questo le riuscì, le parole le restavano incastrate in gola in una rassegnazione terrificante. Si sentiva nuda di fronte a quella persona, vestita soltanto del suo orgoglio.

“Vostra Maestà” disse l'uomo, accennando un inchino ipocrita in sua direzione.

Lei strinse le labbra per costringersi a non piangere, per mantenere quel poco di dignità che le era rimasta. Era una Regina. Sentì di dover affrontare tutto questo come tale, con grazia e compostezza. Ma era anche poco più di una ragazzina dopotutto, e la sua forza di volontà non riuscì a fermare quelle poche lacrime che le rigarono le guance al pensiero di suo figlio, del suo adorato bambino. Era quello che la preoccupava più di tutto, anche se sapeva di essere lei stessa in grandissimo pericolo.

Quando l'uomo biondo si fece da parte per farla passare attraverso le porte della camera, lei alzò il mento dandosi l'aria che le si addiceva, regale, un po' altezzosa. E a passo deciso uscì dalla stanza.

 

 

 

Il tonfo sordo della porta che si richiudeva fece svegliare Viktoria di colpo. Sussultò, e si rese conto di trovarsi in un bagno di sudore. Scostò subito le coperte, agitata, alla ricerca di qualcosa, ma quando non la trovò, parve calmarsi. Trasse un lungo sospiro mentre chiudeva gli occhi, e si asciugò la fronte cercando di tranquillizzarsi.

Si guardò attorno: era di nuovo nella sua stanza, per fortuna. Non c'era nessun bambino lì. Riconobbe le foto alle pareti, la sua libreria, la scrivania ordinata. Ma mano a mano che tornava alla realtà, si rendeva conto che qualcosa non andava. Finché poi non sentì una voce familiare che urlava il suo nome.

“Vicky! Vicky, muoviti!”

Eva la chiamava, evidentemente in panico. Ancora non aveva capito cosa fosse successo, ma saltò giù dal letto, dimenticò del tutto quanto fosse vogliosa di farsi una bella doccia calda, e si infilò le pantofole, schizzando fuori dalla stanza in camicia da notte.

Vide sua sorella sorreggere la nonna per un braccio, accompagnandola dalla sua stanza verso il salotto, e subito capì. Come aveva fatto a non sentire? Quel sogno sembrava così reale che le aveva fatto perdere la concezione della realtà stessa... Una sirena iniziò a suonare per strada, forte e chiara.

Ancora perplessa, scosse il capo per ricacciare il pensiero dell'ansia e del suo bambino... Lei non aveva nessun bambino, non aveva nemmeno un marito. Corse verso Eva, aiutandola a sorreggere la nonna. Nel momento in cui la raggiunse, in lontananza si udì una forte esplosione, che fece urlare tutte e tre, ed abbassarono istintivamente la testa coprendosela con le mani.

“Dov'è papà?” domandò Viktoria, cercando di fare aumentare il passo all'anziana nonna. Eva non rispose.

Il rifugio antiaereo era a pochi passi da casa loro, ma ogni volta a Viktoria sembrava una strada lunghissima. Con la nonna sottobraccio, poi, pareva un viaggio infinito. Di solito il padre la prendeva tra le sue braccia forti e correvano molto più velocemente. Ma la sera precedente non era tornato dal lavoro: spesso faceva molto tardi, e Viktoria in quel momento non riusciva nemmeno a capire quante ore o minuti fossero passati da quando si era addormentata.

Il cielo fuori era scuro, nell'aria si respirava tensione, ancora poche persone correvano per le strade, e si rese conto in quel momento che con la sua lentezza ad uscire dalla stanza aveva messo in pericolo tutta la sua famiglia.

“Andiamo, nonna!” cercò di esortare l'anziana donna, che a fatica posava un piccolo passo dietro l'altro, trascinata dalle nipoti. Viktoria vide una lunga colonna di fumo nero che saliva in cielo, a est. Sentì ronzare un aereo sopra di loro, e poi udì un fischio. Un'altra bomba esplose, anch'essa in lontananza per fortuna, ma non poté fare a meno di chiudere gli occhi e ripensare a quell'uomo del suo sogno.

Allungarono di nuovo il passo, fino a raggiungere finalmente le porte del bunker sotterraneo, nel quale si infilarono poco prima che venisse chiuso. Sapeva che quello era uno dei più sicuro di Vienna, ma era anche rischioso perché quando chiudevano le porte non venivano più riaperte per nessuno. Non sarebbe stato un problema così grande, dopotutto ce n'erano altri nei dintorni facilmente raggiungibili in uno o due minuti di corsa, ma con la nonna tutto si complicava. Era stata perciò una fortuna che fossero riuscite ad arrivarci sane e salve.

Guardò i soliti volti che ben conosceva dei suoi vicini di casa. Ogni tanto c'era qualcuno di nuovo, qualcuno che magari passava di lì quando iniziavano a bombardare.

“Ma dov'è papà?” domandò di nuovo alla sorella, mentre facevano sedere la nonna su una delle due lunghe panche che correvano per tutta la lunghezza del tunnel.

“Non è tornato. Vedrai che sta bene.” cercò di rassicurarla Eva, con quella sua sicurezza da sorella maggiore che spesso ostentava, e che Viktoria non riusciva mai a capire se fosse sincera o soltanto una facciata. Si sedette, guardando nel vuoto e giocherellando nervosamente con la camicia da notte. Non le piaceva mostrarsi agli sconosciuti in quel modo, ma dopotutto non era certo l'unica a non essere vestita propriamente. Sua sorella aveva saggiamente afferrato la propria vestaglia e anche la nonna era ben coperta. Si guardò attorno, preoccupata. Sperò quasi di trovare tra quei volti quello del padre, ma sapeva che era impossibile.

“Di nuovo quel sogno?”

Un'altra bomba fece sobbalzare tutti, questa volta un po' più vicina, ma Viktoria non fece finta di non aver sentito la domanda della sorella.

“Cosa?” domandò, per farsela ripetere. Era un sollievo poterne parlare con qualcuno.

“Ho detto: di nuovo quel sogno?” domandò nuovamente, sporgendosi verso di lei, per avere una visuale migliore al di là della nonna seduta tra di loro. L'anziana donna sembrava non starci molto con la testa, come se fosse altrove. Sorrideva al nulla, persa con lo sguardo nel soffitto del rifugio.

Viktoria annuì.

“Ma questa volta... La porta si è aperta.”

Eva strabuzzò gli occhi. E' da quando erano bambine che Viktoria le raccontava quel sogno. Si svegliava sempre nel cuore della notte madida di sudore, terrorizzata; a volte capitava una volta al mese, a volte una volta a settimana. E' capitato anche che non lo rifacesse per anni, e poi all'improvviso... Ma da quel che può ricordare, non era mai capitato che la porta si aprisse. Si svegliava sempre nel momento in cui sentiva i passi nel corridoio, e non appena i battenti si smuovevano, il sogno terminava.

“E chi c'era?”

Di nuovo una bomba fischiò ed esplose, ma questa volta molto più lontana della precedente. Viktoria si limitò ad ignorarla, come se fosse completamente abituata.

“Un uomo... Un uomo biondo!” vide che la donna seduta di fianco a sua sorella la guardava con aria stranita, quindi abbasso la voce. “Mi faceva uscire dalla stanza... E non lo so, era tutto molto strano. Avevo paura di quell'uomo.” spiegò, passandosi una mano tra i capelli biondi sciolti sulle spalle. “Avevo paura per il mio bambino.” lo disse così seria che, per quanto assurda potesse suonare quella frase, la sorella non rise.

“Era...?” fece per chiedere, ma lei la anticipò.

“No. Non era l'uomo che cercavo.”

Restarono in silenzio per un po'. Viktoria guardò una donna in fondo al bunker che stringeva a sé un piccolo di cinque o sei mesi che piangeva singhiozzando e urlando. Un fortissimo istinto materno la fece quasi alzare dal suo posto per andare ad aiutare quella madre. Riabbassò lo sguardo preoccupata.

“Secondo me l'hai...” iniziò la sorella.

“Non dire che l'ho...” la interruppe subito Viktoria, parlandole sopra.

“Letto in un libro.” dissero all'unisono, la prima scettica, la seconda irritata.

“Non posso averlo letto in un libro, lo sogno da ancora prima che imparassi a leggere!” glielo aveva spiegato centinaia di volte.

“Mamma ci leggeva un sacco di libri...” insistette la sorella.

“... ma nessuno di questo genere.”

La conversazione cadde assieme ad un'altra bomba, sempre più lontana dal loro rifugio. Il pensiero della madre faceva sempre venire il magone ad entrambe. Quando saltava fuori per caso in un discorso, questo poi puntualmente si interrompeva in maniera brusca.

Non si sentirono più altre esplosioni, e la sirena smise di suonare dopo una mezzora abbondante. Tutti si avviarono verso le porte del rifugio: finalmente potevano tornare alle loro case. Aiutarono la nonna ad alzarsi e anche loro si misero in coda per uscire.

“Signorina.” Viktoria non sentì la voce dell'uomo dietro di lei, o quantomeno non pensò che si stesse rivolgendo proprio a lei.

“Stai bene, nonna?” domandò all'anziana, che annuì sorridendo, sempre inconsapevole di ciò che fosse successo attorno a lei.

“Signorina.” questa volta la ragazza si voltò. Riconobbe il signore che abitava al primo piano del loro palazzo: stava indicando la sua schiena. “Ha un po' di sangue sulla schiena.”

Viktoria andò a toccarsi la nuca, sgombra dei lunghi capelli che aveva scostato poco prima sul davanti. Si guardò la mano macchiata di alcune tracce rosso scuro. Eva la aiutò a scostarsi i capelli, e poi la rassicurò.

“Non è niente, devi aver grattato il tuo neo per sbaglio.”

Viktoria si sfregò la mano cercando di pulirsela, poi ringraziò l'uomo con un sorriso. Quel piccolo difetto in una posizione così fastidiosa le dava spesso noia, soprattutto quando si spazzolava i capelli, quindi non se ne preoccupò più di tanto. Erano altri i suoi pensieri in questo momento. Anche il sogno ormai le sembrava lontano ed offuscato e nonostante avesse subito un profondo cambiamento da tutte le altre volte, non le interessava poi più di tanto.

Voleva solo sapere se suo padre stesse bene.

  
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