Il
grosso gatto bianco sghignazzò nel buio della sua dimora.
– Con questo nuovo miaracoloso farmaco, Shan-Pu
sarà finalmente miao moglie per
sempre!
Lo spirito osservò eccitato la piccola pasticca, tonda e
bianca, che teneva tra
le zampe: apparentemente si sarebbe detta una comune aspirina.
– Certo- rifletté
– miao è costato un occhio della testa, mia
l’importante è il risultato!
E in effetti il potente farmaco cinese, la cui tradizione risale
nientemeno che
alla dinastia Ming e del cui potere persino l’imperatore
Hongwu aveva avuto enorme
timore, non era costato poco allo spettro. –Non
c’è più riguardo nemmeno per
uno spirito del miao calibro! Ma dove andremeow a finire!
Con questo pensiero, tornò nel suo rumoroso e fluttuante
sonaglio gigante per
dirigersi al Neko Hanten, pronto ad attuare il suo nuovo, micidiale
piano.
Shan-Pu
si affrettava tra piatti, piattini, scatole e
scatoline, alla ricerca di qualcosa. –Bisnonna,
dov’è quel rimedio cinese che
mi hai detto? – urlò alla vecchia che trafficava
in cucina – Quello buono per
tutti i dolori!
– Cerca sul ripiano in alto, a destra! – rispose la
vecchia, cercando di
sovrastare la voce del paperotto che starnazzava irrequieto ai suoi
piedi. –E
taci, tu!
Un colpo di bastone e un quaaaak
dopo, fecero seguire il silenzio, interrotto solo dal rumore
dell’acqua che
bolliva.
– Trovato!- esclamò Shan-Pu vittoriosa.
Posò la scatolina sul bancone e ne estrasse
una pillolina bianca. Aveva appena posato il bicchiere
d’acqua accanto alla
pillola, quando una voce dalla cucina la invitò: –
Shan-Pu, potresti venire un
attimo?
La cinesina sospirò. – Arrivo, bisnonna, solo un
momento!- urlò di rimando
mentre portava il bicchiere e la medicina alla bocca.
– Dovresti venire subito, nipote!
Un altro sospiro. Shan-Pu capì perfettamente che il dovresti impiegato dalla sua bisnonna
altro non era che un
camuffato, anche non troppo bene, devi.
Armandosi di pazienza, entrò in cucina, dove Mousse riprese
a starnazzare
festante. – E sta’ un po’ zitto, Mousse!
Oggi sei più irritante del solito!
Stavolta il paperotto si beccò un vassoio in testa, come
indicò il rumore
metallico.
Maomoling approfittò del momento di confusione in cucina per
entrare di
soppiatto – o almeno così credette lui, dal
momento che non poteva sentire
quale baccano facesse il suo non troppo inosservabile sonaglio
– e sostituire
la medicina con il farmaco magico. –Solo un altro
po’ e Shan-Pu sarà finalmente
miao sposa!- esclamò euforico, ridendo sotto le vibrisse.
– Bisnonna, non ti sembra di aver sentito un campanello?
Il gatto fantasma trasalì: se l’avessero scoperto
il suo piano sarebbe andato
in fumo!
– Un campanello hai detto? No, non mi pare…
andrò a controllare per maggiore
sicurezza!
In men che non si dica, Maomoling rientrò nel suo sonaglio e
si dileguò,
proprio un attimo prima che Obaba uscisse nella sala zompettando sul
suo
bastone. Con un’alzata di spalle tornò in cucina
dalla nipote. Proprio in quel
momento qualcuno entrò nel ristorante e il rumore della
porta che si richiudeva
attirò l’attenzione di Obaba.
–Spiacente, siamo chiusi, apriamo fra un’ora! Oh,
ma sei tu, futuro marito! Qual buon vento ti porta da queste parti? Ti
sei
forse deciso a chiedere la mano di mia nipote?
Ranma alzò una mano in cenno di saluto e fece per
rispondere, ma fu interrotto
da una festante Shan-Pu, alla quale era bastato captare le parole
“futuro
marito”, “mano” e
“nipote” per andare letteralmente su di giri.
– Lanmaaaaaaaa! Finalmente ti sei deciso a prendermi in
moglie!
– N-no, veramente io…- cercò di
spiegare il ragazzo, mentre con le mani cercava
di allontanare, senza troppa convinzione, Shan-Pu che non aveva perso
un
secondo per gettarglisi addosso e strusciarglisi come una gatta in
calore.
– Veramente sono
qui solo perché sto
fuggendo da Akane!
Lupus in fabula, la diretta interessata aprì di scatto la
porta: uno sguardo
truce e un’aura maligna lasciavano presagire che Akane fosse
molto più che su
tutte le furie. Ma ciò che fece accapponare la pelle al
giovane con il codino
fu la pericolosissima arma che Akane reggeva nella mano destra: un
vassoio di
“biscotti”. –Raaaaaaaaaaaanma, sono due
giorni che traffico in cucina per
preparare questi maledetti biscotti e tu non hai avuto il coraggio di
assaggiarne neanche uno!
– Akane, ragiona per una buona volta! Lo vuoi capire o no che
i tuoi biscotti
sono immangiabili! Ma quando ti deciderai ad assaggiare i tuoi piatti
prima di
pensare anche solo lontanamente a servirli a qualcuno!
– Prima di giudicare… PERCHE’ NON LI
ASSAGGI, STUPIDO!
Ranma non seppe se quello che accadde dopo fosse stata la reazione di
una
ragazza furibonda o una nuova mossa ideata da Akane, fatto sta che si
ritrovò,
con una raffica di… no, non ce l’aveva proprio il
coraggio di definire
“biscotti” quei cosi orrendi e duri come la pietra
(lo vedeva da un miglio di
distanza)… insomma, con una raffica di quella roba in bocca.
Tale fu il
contraccolpo da spedirlo dritto dritto con la testa nel muro, proprio
sotto il
bancone sul quale era poggiato il bicchiere d’acqua con il
farmaco miracoloso,
che, inevitabilmente, finì in bocca al giovane o alla
giovane, per meglio dire,
considerate le sembianze che aveva assunto in seguito al rovesciamento
del
bicchiere sulla sua testa.
– Lanma, Lanma! - Shan-Pu si gettò sul corpo del
povero ragazzo che giaceva a
terra ancora privo di sensi. Con amorevole cura, allora,
cominciò a prenderlo a
schiaffi in faccia nella speranza di farlo rinsavire, poi a scuoterlo
con lo
stesso intento. Anche Akane, allora, vedendo il fidanzato ancora privo
di
sensi, si allarmò.
– Ranma, perdonami! Non pensavo di farti così
male!
– Come sarebbe a dire “non pensavo di farti
così male”?- attaccò Shan-Pu.
–Gli
hai assestato un colpo micidiale che avrebbe steso un elefante!
– Sì, ma che diamine ne sapevo io che due biscotti
gli avrebbero causato
quest’effetto!- protestò la giovane Tendo.
– Due biscotti? Ma ha
lasciato
l’impronta della testa nel muro! Povero il mio ai
len…
Ranma strizzò gli occhi e le due ragazze smisero per un
momento di
battibeccare.
– Sta riprendendo i sensi!
– Lanma!
Obaba si avvicinò alla ragazza con i capelli rossi e le
porse un bicchier
d’acqua, insieme ad una teiera di acqua bollente.
–Prendi futuro marito.
Ranma afferrò il bicchiere e lo tracannò tutto
d’un sorso, fino all’ultima
goccia, per togliere via il sapore tremendo d quei biscotti
incommestibili,
dopodiché si versò la teiera sulla testa per
riprendere le sue sembianze
normali. –Grazie, Obaba!
– Allora, com’erano?- chiese Akane speranzosa.
– E ME LO CHIEDI PURE?- sbottò Ranma. –
Un altro po’ e sarei andato all’altro
mondo per colpa di quei cosi!
– Oh, forse ti saranno capitati quelli un po’
più crudi, ma sono certa che
questi sono venuti benissimo!
– FOSSI MATTO!- gridò Ranma balzando in piedi e
correndo via.
–Aspetta, Ranma! Ranmaaaa!
Akane lo seguì a ruota, sotto gli occhi sbalorditi di
Shan-Pu e della sua
bisnonna.
– Ne ha di fegato quella ragazza per riproporgli quella
roba!- commentò la
cinesina.
– Credo che ne abbia di più il futuro marito ad
averla ingoiata!- rispose
Obaba.
Intanto in cucina un disperato Mousse combatteva tra pentole, fornelli
e una
catena al collo, degna da denuncia alla protezione animali.
–
Dannata Akane, ma che diavolo le passa per la testa?
Piuttosto che mangiare anche un altro solo dei suoi biscotti preferirei
la
morte!
Certo, di questo passo all’aldilà Ranma Saotome ci
sarebbe arrivato molto
presto se avesse sentito anche solo lontanamente il rivoltante odore
della
pietanza della sua fidanzata.
Ranma stava correndo per le strade di Nerima nella speranza di seminare
la sua
fidanzata (sì, l’implacabile Akanetor gli era alle
calcagna come un poliziotto,
nemmeno lui fosse il più inafferrabile dei fuggiaschi),
quando a un tratto una
poco gradevole sensazione allo stomaco lo costrinse a fermarsi. Ranma
si portò
una mano davanti alla bocca in preda alla nausea. –Lo sapevo
che quella
robaccia non mi avrebbero portato a niente di buono!
– Ranmaaaaa!
La voce squillante e alquanto furibonda della ragazza
unita al nauseante odore di quella porcheria
che lei chiamava “biscotti” si aggiunse al
già presente malessere.
– Oh, no, mi ha quasi raggiunto!- esclamò il
codinato in preda al panico, non
tanto all’idea di dover affrontare la furia della fidanzata
quanto a quella di
doversela vedere nuovamente con la sua pietanza. Così si
infilò nel primo
vicolo stretto che gli si presentò davanti e si
accucciò dietro un bidone
dell’immondizia. Intanto la sensazione di malessere
aumentava, tanto che Ranma
dovette tenersi lo stomaco tra le mani per il dolore.
Akane continuò a chiamarlo per tre minuti buoni - minuti che
al giovane
sembrarono un’eternità - poi decise di tornare
indietro e con lei sparì anche il
nauseabondo vassoio di biscotti. Intanto anche il dolore allo stomaco
si era
attenuato, anche se adesso Ranma avvertiva una sensazione ben
più strana: era
come se il mondo attorno a lui si fosse ingrandito. Quando fu certo del
pericolo scampato uscì fuori e con un sospiro di sollievo
esclamò: “Questa
volta me la sono vista proprio brutta! Ma al posto della sua voce
udì solo
rochi miagolii. Rabbrividì. Si voltò indietro con
cautela, sperando di non
trovarsi faccia a faccia
con uno di quei
cosi con i grandi occhi, la coda e i baffi: niente. Solo allora gli
venne in
mente di guardarsi le mani e quel che vide fu a dir poco terrificante:
due
grosse, paffute, pelose zampe nere con tanto di cuscinetti rosa.
“No” pensò
Ranma “ è un’allucinazione. Non
può essere come io credo che sia”. Ma la
conferma alle sue allucinazioni arrivò quando abbassando lo
sguardo vide una
curiosa sporgenza, la quale seguì con la coda
dell’occhio fino a scoprire che
terminava proprio dietro la sua schiena. Ancora incredulo
provò a muovere
quella strana cosa lunga e nera per avere la conferma che fosse davvero
parte
del suo corpo. La cosa ondeggiò.
A questo punto sudore freddo cominciò a scorrergli sulla
fronte e dietro la
schiena. “No, non posso essere
davvero…”. Ranma non osò pronunciare
– o meglio pensare
– quella parola, ma doveva
sapere, doveva avere la conferma definitiva ai suoi sospetti, per
quanto ormai
fosse solo questione di ammetterlo a se stesso. Individuò
una pozzanghera poco
lontano e, armato di coraggio, si avvicinò. Si prese qualche
secondo per
prepararsi psicologicamente, poi chiuse gli occhi e inglobò
aria. Lentamente si
sporse in avanti, aprì prima un occhio, poi
l’altro e ciò che vide riflesso
nella pozza lo pietrificò. Una grossa, affusolata testa nera
con due grandi
orecchie appuntite. Ranma cadde all’indietro, sbiancando.
“N-no, q-que-questo
è...è...è… un incubo!
Io…io s-sono un…” Deglutì.
“SONO UN GATTOOOOO!?” Ranma
inspirò, si alzò e iniziò a
passeggiare avanti e indietro, con le zampe
incrociate dietro la schiena. “Dunque, riflettiamo. Ho per
caso acquistato
qualcosa dai poteri sconosciuti da qualche ambulante cinese? No. A
parte quella
sbobba che Akane continua a definire biscotti,
ho mangiato ultimamente un piatto di Shan-Pu che avrebbe potuto
contenere
qualcuno dei suoi dannati incantesimi? Nemmeno. E anche se fosse al
massimo
avrebbe potuto ipnotizzarmi o cose del genere, giusto? Giusto. Un
momento…
l’altro ieri ho pranzato da Ucchan! Ma no, Ucchan non
è il tipo da meschinità
simili, non è possibile, lo escludo. E poi perché
trasformarmi in una
bestiaccia piena di
pulci come questa?
No no, è assolutamente da escludere. E allora…
PERCHE’ DIAVOLO MI TROVO IN
QUESTO MALEDETTO CORPOOOOOO!”
– Mamma, guarda com’è buffo quel gatto!
– Oh cielo, un gatto che cammina su due zampe!
– E che si tiene la testa con le altre due!
Ranma si guardò intorno: senza che se ne rendesse conto una
piccola folla di
persone si era accalcata e lo fissava, chi con uno sguardo divertito,
chi con
meraviglia, chi con curiosità.
–Possiamo tenerlo, mamma? Possiamo?
I bambini più piccoli strattonavano le gonne delle loro
mamme pregandole di
portare a casa quel buffo gatto nero che sapeva camminare sulle zampe
posteriori.
Ranma scappò a gambe – anzi a zampe
–
levate. “Qui finisce male!” pensò.
“Ci manca solo che mi vendano ad un circo o
mi sottopongano a qualche esperimento!”. Ranma pensava questo
mentre correva,
quando ad un tratto qualcosa attirò la sua attenzione.
“Ehi, ma quello è…”
Un piccolo porcellino nero era sbucato da un vicolo del quartiere e
trascinava
con sé a fatica un piccolo pacchetto di carta.
“Ryoga! Ehi Ryoga!”. Ranma riprese a correre in
direzione del porcellino.
“Ryoga!” chiamava sempre più forte, ma
dalla sua gola non uscivano che miagolii
acuti. Il porcellino però udendo quella voce si volse, ma
non appena vide il
grosso micione correre verso di lui, spalancò i
già enormi occhi neri,
sobbalzando ed emettendo un grugnito di terrore. Mise in moto le
piccole
zampette e cominciò a correre.
“Ehi, Ryoga! Maledetto prosciutto in miniatura, torna
indietro! Che ti è
passato per la testa non vorrai credere che voglia mangiarti!
Ryoga!” Le zampe
lunghe e affusolate di Ranma gli permisero di raggiungerlo in poco
tempo, ma
quando il porcellino si accorse che il gatto l’aveva quasi
raggiunto, spiccò un
balzo e accelerò a tal punto la sua corsa da lasciare dietro
di sé una grossa
nube di polvere. Ranma fu costretto a fermarsi dal momento che la
polvere gli
era entrata in gola attraverso le narici. “Maledetto Ryoga!
Che diavolo gli
sarà saltato in mente? Tsk, uno cerca di essere gentile
correndo a salutare un
amico e guarda come viene trattato!” Un sinistro rumore allo
stomaco gli
ricordò che quella mattina a causa di Akane non aveva
nemmeno fatto colazione.
“Dio, che fame!”.
Ranma non seppe
spiegarsi se qualcuno
davvero l’avesse ascoltato o fosse stata solo
un’allucinazione olfattiva, ma
non appena questo pensiero si materializzò nella sua mente
felina, un delizioso
profumino guidò i suoi passi fino ad un locale lì
vicino. La porta era aperta e
Ranma entrò.
– Per me un okonimiyaki ai gamberi!
– Per me uno al tonno!
– Per me uno ai frutti di mare!
–Arrivano!- esclamò una voce squillante da dietro
il bancone.
Ranma balzò su uno sgabello libero. “Ucchan, per
me un’okonomiyaki alle
seppie!” esclamò alzando una zampa, già
con l’acquolina in bocca.
Ranma sentì gli occhi dei presenti puntati su di lui.
“Dannazione, ho
dimenticato che adesso sono nel corpo di questa bestiaccia! Accidenti,
non
posso ordinare il mio okonomiyaki alle seppie!” Ranma
precipitò nel baratro
oscura della disperazione.
– Oh, ma che carino!- la voce di una dei clienti lo distolse
dalla sua scena
melodrammatica.
– Forse ha fame!
– Hai fame piccolo?- chiese Ukyo con la sua voce gentile. A
Ranma brillavano
gli occhi: sì, qualcuno doveva esistere lassù!
– Miaaaao!
– D’accordo, vado a prenderti del latte!
“No, no ma che latte e latte, Ucchan!”
Ranma iniziò a protestare miagolando contrariato.
– Che cosa c’è?
– Forse non gli piace il latte- suggerì un
ragazzo.
– Ma va’, a quale gatto non piace il latte,
Hiroto!- lo rimbeccò la ragazza di
prima.
– Ehi, non è che forse gradiresti uno dei miei
deliziosi okonomiyaki? – scherzò
Ukyo. Ranma, drizzate le orecchie, annuì con voga.
I presenti restarono sbalorditi.
– Questa la devo raccontare ai miei amici!-
esclamò l’altro ragazzo, balzando
giù dallo sgabello e uscendo.
– Un gatto che mangia un okonomiyaki! Le mie compagne di
classe impazzirebbero
se lo vedessero!- E così anche la ragazza e il fidanzato,
trascinato per il
colletto, uscirono.
–Ehi ma…
– Ti pagheremo al ritorno, Ukyo!
Ukyo si strinse nelle spalle. –Se portano altri clienti, ben
venga! Quanto a
te… - disse poi rivolgendosi al suo insolito cliente.
–Come lo preferisci
l’okonomiyaki? Alla soia, ai frutti di mare, di carne, alle
seppie…
“Seppie! Seppie, seppie, seppie!”. Istintivamente,
Ranma iniziò a scodinzolare
dalla gioia. –Oh, sei un buongustaio! Sai, anche al mio Ranma
piacciono da
morire gli okonomiyaki alle seppie! Sono i suoi preferiti!
Ukyo preparò in pochi minuti la sua specialità,
la depose in un cartone e la
poggiò per terra, accanto allo sgabello. Ranma
balzò giù e divorò letteralmente
l’okonomiyaki.
– Ehi, piano! Davvero, mi ricordi il mio caro Ranma! Non
sarà che in realtà tu
sei Ranma, vero?
L’ultimo pezzo di okonomiyaki andò di traverso al
povero codinato, il quale
iniziò tossire in modo convulso. Spaventata, la giovane
cuoca riempì una
ciotola d’acqua e la pose davanti al micetto che la
trangugiò tutta d’un sorso,
aiutandosi con le zampe anteriori.
– Stavo scherzando! Tu non puoi essere di certo Ranma, che
sciocchezze vado pensando!
– rise sinceramente divertita e Ranma tirò un
sospiro di sollievo, che durò
poco all’udire la frase di poco dopo. –Resta il
fatto però che sei uno strano
gatto.
Ukyo lo prese delicatamente in braccio, come se stesse tenendo un
neonato.
–Però sei molto carino, sai? Non li avevo notati
prima questi grandi occhioni
azzurri - sorrise accarezzandogli la testa. Ranma chiuse gli occhi
beandosi di
quella piacevole grattatina. Doveva ammetterlo: essere un gatto forse
non aveva
tutti questi svantaggi.
– Ma dai, sul serio credi che crediamo alla storia di un
gatto che mangia
okonomiyaki?
– Impossibile!
– Vi dico che è vero!
O forse no. Le voci dei clienti di poco prima gli ricordarono che se
non se la
fosse svignata immediatamente sarebbe diventata l’attrazione
del locale per
chissà quanto tempo. Con una punta di rammarico, Ranma
scattò via dalle braccia
della sua amica di infanzia e schizzò fuori dal locale,
attento a non farsi
notare dal gruppo di ragazzi.
– Come è andato via?
– Già - annuì Ukyo, togliendo via la
ciotola e il cartone dove non erano
rimaste nemmeno le briciole. – Appena dopo aver mangiato,
è scappato via.
Sapete come sono questi gatti randagi: non sono abituati a stare al
chiuso.
– Dici che tornerà?- chiese una delle compagne
della sua cliente.
Ukyo uscì fuori dal locale e guardò in
lontananza. –Beh, spero di sì. Era
proprio un gatto simpatico.
–
Miaooo
che guaio!
Maomoling era nel panico. Da uno spiraglio davanti alla porta aveva
spiato
tutta la scena – sotto lo sguardo attonito dei passanti che
restavano, non
senza ragione, sbalorditi nel vedere un gatto gigante acquattato
davanti alla
porta di un ristorante - e non gli era sfuggito che per errore la minuscola pasticca era
finita giù nella
faringe sbagliata. Era riuscito a nascondersi all’ultimo
secondo prima che
Ranma ricominciasse la sua folle corsa per i quartieri di Nerima,
fidanzata al
seguito.
– Questo è un vero disastro! –
esclamò –
Non
voglio che Ranma Saotome diventi
miao moglie! Devo escogitare qualcosa al più presto-
rifletteva, sudando
freddo.
Proprio quando stava per dileguarsi, però, qualcosa
colpì il suo sonaglio e il
Gatto Fantasma riapparve,
massaggiandosi
la testa. –Chi è stato a colpirmi, eh? Chiunque
sia stato assaggerà i miao
terribili artigli! – disse mostrando le affiliatissime
unghie.
– Sei completamente inutile, Mousse! Va’ fuori dai
piedi! – urlava una voce
dall’interno della cucina.
Il gatto perse tutta
la sua spavalderia
quando si trovò faccia a faccia con un paperotto bianco e
alquanto bizzarro,
dal momento che indossava un paio di spessissimi occhiali a spirale.
– M-ma tu sei…
– Quaaaaack!
Maomoling fece per svignarsela, ma Mousse fu più agile di
lui e riuscì a
bloccarlo tirando fuori quattro lunghe catene dalle grandi ali.
– Che cosa
succede qui fuori, cos’è tutto questo baccano?
Obaba uscì saltellando sul robusto bastone di legno. – Ma tu sei
Maomoling, il gatto che cerca
moglie! Che cosa ci fai qui? – chiese la vecchia amazzone con
occhio
indagatore. – Io? Miao niente, passavo da queste parti e
volevo salutare la
miao deliziosa Shan-Pu!
– Quack! Quack! Quack!
Mousse gli si scagliò contro e cominciò a
beccarlo, mentre lo spirito gatto
tentava, invano, di tenerlo lontano con le zampe posteriori,
considerato che
quelle anteriori erano bloccate dalle catene. – Tu adesso
vieni dentro e ci
racconti tutto per bene!
– No!-
protestò il micione bianco. – Non
potete costringermiao a parlare!
–
Se
non parlerai, posso assicurarti che
la tua pelliccia diventerà un morbido e caldo piumone per
quest’inverno! E
adesso muoviti, entra e non fare troppe storie! –
minacciò Obaba, spintonando
il gatto all’interno del locale “Neko
hanten”.
– Un giorno chiamerò la protezione animiali,
potete metterci la miano sul
fuoco! – brontolò Maomoling, entrando come un
condannato al patibolo, e giungendo
alla conclusione che gli conveniva confessare tutto dal principio,
prima che la
vecchia amazzone gli facesse la pelle. In tutti i sensi.
Ranma
si fermò quando ormai non aveva più un briciolo
di
fiato. Uno strano brontolio allo stomaco gli fece comprendere che quel
piccolo
okonomiyaki non gli era bastato a saziare la sua fame. Tutta quella
corsa
doveva aver smaltito in un attimo il pasto consumato poco prima.
Avrebbe potuto
avvicinarsi ad una bancarella di takoyaki
e fare gli occhioni dolci (diamine, se ci riusciva quando
era ragazza,
volete vedere che non era in grado di portare a termine il suo
astutissimo
piano anche in versione felina?) oppure posizionarsi davanti
l’ingresso di un
supermercato e iniziare a fare fusa strusciandosi vicino alle caviglie
delle
casalinghe che uscivano con le enormi buste della spesa. Ma che ne
sarebbe
stato del suo orgoglio? Era un gatto, sì, ma era pur sempre
Ranma Saotome, la
persona più orgogliosa di tutta la città, se non
della nazione o del mondo
intero.
“Ci vorrebbe un vero colpo di fortuna”
pensò Ranma, sconsolato.
– Ahhhhhhh Jean-Pierre!
Non questo colpo di fortuna. Una
vivace ragazzina dai lunghi capelli mossi afferrò il micetto
e lo strinse a sé,
fin quasi a soffocarlo. – Oh, il mio delizioso Jean-Pierre!
Ma che amore che
sei!
“Lasciami, squinternata! Lasciami subito, hai
capito!?”
Ranma si dimenava più che poteva, facendosi forza sulle
zampe anteriori e scalciando
con quelle posteriori per poter sfilare via dalle braccia di Azusa
appena la
ragazzina avesse allentato, anche di un solo centimetro, la presa. Ma
il
problema è che Azusa non aveva le braccia di una qualunque
ragazza di sedici
anni – nemmeno di un qualunque essere umano, a dire il vero -
bensì due
tenaglie da ferramenta. Ma se la ragazzina era testarda nel voler
tenere ben
salda la presa, Ranma Saotome lo era ancor di più nel voler
riconquistare la
sua libertà. “Devo assolutamente svincolarmi. Non
voglio finire nella
collezione di questa cleptomane psicopatica!”
Ma il peggio arrivò dopo.
– Hai di nuovo preso qualcosa che non ti apparteneva, vero
Azusa?
– Mikado, guarda che amore di gatto! Non è una
amore, eh? Eh eh? Eeeeeeeeeh?
Azusa piantò letteralmente il micio sulla faccia del
compagno di pattinaggio. –
Azusa, toglimi subito dalla faccia questa bestiaccia!
Dal canto suo, anche Ranma non è che gradisse star
lì piantato sulla faccia di
Mikado Sanzenin, memore ancora di quell’episodio quando il
giovane dongiovanni
del Cole House si prese la libertà di baciarlo. E di
causargli una serie
ininterrotta di conati di vomito poco dopo.
“Miaaaaaaaaaaaao!”. Irritato, Ranma
dimenò tutte e quattro le zampe dalle quali
tirò fuori affilatissimi artigli che deturparono il viso di
Mikado.
– Aaaaaah
dannato gattaccio, il mio
viso! Il mio splendido, affascinante viso!- piagnucolò
Sanzenin, tastandosi la
faccia dopo essersi specchiato e aver constatato il danno dei segni
lasciati
dal felino.
“Vendettaaaaaaa!” soffiò Ranma,
mostrando i canini appuntiti.
– Oh, hai visto? L’hai spaventato! Povero il mio
piccolo Jean-Pierre! Adesso
andiamo a casa, facciamo un bel bagno, mangiamo e poi passiamo
tuuuuuutta la
giornata a provare dei vestitini deliziosi che sono certa ti staranno
d’incanto!
– Come sarebbe, adesso vuoi vedere che è colpa
mia? – urlò alterato Mikado, ma la
giovane pattinatrice non lo degnò
della
minima attenzione.
Ranma , intanto, aveva ripreso a dimenarsi e a sgambettare, ma la
furbissima
Azusa Shiratori aveva un’arma letale.
– Oh, e sta’ buono, Jean-Pierre! – disse
colpendolo con un martelletto di legno
tirato fuori da chissà dove, senza però perdere
il suo solito sorriso
infantile. –Andiamo Jean-Pierre, la giornata è
ancora lunga!
E se ne andò, lasciandosi dietro un Mikado Sanzenin che
ancora non desisteva
nella sua protesta e pretendeva di essere almeno ascoltato. Protesta
che non
andò avanti ancora per molto quando sentì due
voci femminili confabulare alle
sue spalle.
– Ma quello non è Mikado Sanzenin, il famoso
pattinatore della Coppia d’Oro?
– Sì, sì, è proprio lui!
Più veloce della luce, Mikado si ravvivò il
ciuffo, si passò il fondotinta per
coprire i graffi e si voltò facendo ondeggiare i capelli.
– Mikado Sanzenin in
persona, fanciulle. Per servirvi!
Sorrise e le ragazze – alle quali poi se ne era aggiunto un
numero sempre
maggiore – andarono in visibilio.
Quanto a Ranma, avrebbe dovuto escogitare al più presto un
piano per evadere
dalla dimora degli Shiratori. Non appena avesse ripreso i sensi, chiaro.
–
… E questo è quanto.
Obaba sospirò. – Stavolta l’hai
combinata grossa, gatto. Veramente grossa.
– Povero, ai len! Bisnonna dobbiamo fare qualcosa!
Obaba annuì gravemente. – Avanti, gatto, parla!
Qual è il rimedio per rompere
l’incantesimo?
– Non ve lo rivelerò miai! Questo no! Non posso
assolutamente dirvelo!
– Maomoling… - Shan Pu si avvicinò con
fare suadente al grosso gatto bianco, il
quale subito avvampò e sentì fremere le vibrisse.
– Se ci dirai il rimedio
all’incantesimo che trasforma in gatto, io potrei anche
concederti un
appuntamento…che ne pensi? Ci stai?
Le orecchie del micione si mossero: aveva sentito bene?
–Un appuntamento… con te?
Shan Pu annuì sorridente. Maomoling sgranò gli
occhi (come se i suoi non
fossero già abbastanza grandi) e assunse un’aria
sognante. –Che gioia, che
felicità! Questo è il giorno più bello
della miao vita!
– NO, IO NON TE LO PERMETTERÒ! - Mousse comparve
improvvisamente dalla cucina, ancora
fumante per l’acqua calda versatasi addosso per riprendere le
sue sembianze
normali, e
avanzò deciso in direzione
del gatto. O almeno così credeva lui.
– Maledetto gattaccio!- imprecò puntando il dito
contro il grosso tanuki posto
all’ingresso del Neko Hanten. – Maledetto, non ti
permetterò ti avere un
appuntamento con la mia Shan-Pu!
Obaba lo colpì con la parte superiore del bastone.
– Se vuoi fare il gradasso,
almeno mettiti gli occhiali!
Mousse si sistemò gli occhiali in modo da poter mettere
meglio a fuoco il mondo
circostante, poi, individuato il reale rivale, gli puntò di
nuovo il dito
contro. – Non ti permetterò di avere un
appuntamento con la mia Shan-Pu! Lei è
la mia futura moglie ed è mio dovere di marito proteggerla
da scocciatori come
te!
Una secchiata d’acqua gelida investì il povero
cinese occhialuto. – Non
impicciarti, Mousse!
–Quack, quack, quack – protestò
l’anatra dimenando le ali, ma con un’abile
mossa Obaba intervenne ad acquietare gli animi troppo infervorati del
paperotto, che cadde al suolo privo di sensi. – Allora?-
chiese poi
rivolgendosi allo spirito.
– Beh, è molto semplice: la maledizione del gatto
si scioglierà non appena
Ranma Saotome avrà ricevuto il bacio del vero amore. Ma se
entro la mezzanotte
di oggi Ranma non avrà ricevuto il bacio, sarà
destinato a restare nel corpo di
un gatto per il resto della vita!
– Oh no, ma è terribile! –
esclamò Shan-Pu portandosi le mani davanti alla
bocca. – Devo trovare Lanma al più presto e
sciogliere l’incantesimo… non
temere ai len, io ti
salverò!
Shan-Pu si precipitò fuori di corsa.
– Ehi, è il miao appuntamento?
– Oh, ma io ho detto che avrei
potuto
concederti un appuntamento, non che te l’avrei concesso.
– sorrise furba Shan
Pu. – Zai jian!
– Beh, è quasi ora di aprire, meglio che mi
sbrighi… dai una ripulita ai
tavoli, dal momento che Mousse non è in condizione di
farlo…
– Ehi, esigo rispetto! Sono pur sempre Maomoling, lo spirito
del sonaglio
e…
– Taci e prendi l’acqua e uno straccio!-
ordinò Obaba.
– Come miao trattate male… sono un gatto
sensibile, io! Almeno slegatemi! Ehi…
c’è nessuno?
Da una parte imprecisa del locale un barattolo di latta
piombò sulla testa del
povero Maomoling.
– Ahio! Che vita crudele la miao!
–Oh
Jean-Pierre, ti sta divinamente!
Ci aveva provato con tutto se stesso ma non aveva avuto scampo. Ranma
Saotome
era stato incastrato, alla fine. Aveva passato quasi tre ore a scappare
e a
nascondersi sotto i mobili, dietro le tende, dentro i vasi, ovunque ma
Azusa
puntualmente l’aveva trovato, nemmeno fosse il più
esperto dei cani da tartufo.
E alla fine, quando ormai Ranma aveva esplorato palmo a palmo tutti gli
ambienti della villa degli Shiratori, Azusa era riuscita ad acciuffarlo
e a
fargli indossare un frac con tanto di coda e farfallino. Non si era mai
sentito
così ridicolo in tutta la sua vita. A parte forse quando era
stato costretto a
indossare il body.
– E adesso, un velo di trucco per ravvivare questo visino
spento!
Azusa tirò fuori fard, mascara e rossetto e a Ranma si
rizzarono i peli per il
terrore.
“Basta! Devo trovare il modo di andar via di qui! Ne va della
mia salute fisica
e mentale!”
Come una manna dal cielo, qualcuno sembrò captare la sua
disperata richiesta
d’aiuto.
Il maggiordomo bussò alla porta e ricevuto il permesso di
entrare, informò la
padrona di casa che c’era qualcuno ad attenderla al telefono.
– Oh proprio
adesso? E va bene, vorrà dire che rimanderemo a
più tardi il nostro maquillage,
caro Jean-Pierre! Mi raccomando, non muoverti, la mamma
tornerà tra un attimo!
Azusa trotterellò fuori e il maggiordomo richiuse la porta.
“ È il mio momento, ora o mai
più!”
Ranma si guardo intorno, alla ricerca di un’ispirazione. Se
fosse saltato sulla
maniglia della porta e fosse uscito dall’ingresso principale
la servitù lo
avrebbe di certo visto e riportato in camera e magari stavolta avrebbe
anche
chiuso la porta a chiave.
Cercò ancora. La finestra!
Lesto, Ranma saltò sul davanzale, spinse con il muso la
vetrata a scorrimento e
guardò giù. Certo che era alto un bel
po’, eh! Ma niente poteva essere più
spaventoso dell’idea di far da cavia agli esperimenti di
maquillage di quella
psicopatica di Azusa.
Ranma tirò fuori il muso e i tiepidi raggi del sole gli
scaldarono il viso.
“Andiamo Ranma, è solo un po’ di
altezza, che sarà mai? Questo è tutto
ciò che
ti separa dalla libertà!”
Il solo pensiero gli diede la carica necessaria per spiccare il primo
balzo sul
ramo più vicino. Da lì fu un gioco da ragazzi
arrivare a terra: corse giù per
il tronco per un paio di metri, poi spiccò un secondo balzo
e atterrò in
perfetto equilibrio sulle zampe.
“Un numero eccezionale! Sono un asso!” si
autoelogiò e sarebbe rimasto lì anche
per qualche minuto a complimentarsi con se stesso per la performance se
la voce
della giovane pattinatrice non fosse giunta alle sue sensibilissime
orecchie
feline. –Jean-Pierre, sto arrivando!
“Tsk, povera illusa!” pensò Ranma.
“Nessuno mette in scacco Ranma Saotome e
soprattutto nessuno può usarlo come cavia da
trucco!”
Ranma si mise in posizione con le quattro zampe leggermente piegate in
avanti e
si diede uno slancio quelle posteriori, atterrando sul muretto che
separava la
proprietà degli Shiratori dalla strada. “Addio e a
mai più rivederci, pazza
psicopatica!” sorrise gioioso di aver riconquistato la sua
libertà.
Mentre correva per il quartiere, il giovane tentò di
sbarazzarsi di quei
ridicoli abiti per bambole e, strappando con le unghie e con i denti,
alla fine
non restarono che brandelli di tessuto.
“Libertàààààà!”
esclamò contento, ma
uno scampanellare di bicicletta gli fece presagire che era troppo
presto per
cantar vittoria.
– Lanmaaaa! Lanma, dove sei?
“Oh no, è Shan-Pu! Ci mancava solo lei! Per oggi
ho avuto fin troppi guai!”
Ranma imboccò il primo vicolo che gli capitò a
tiro e attese che Shan-Pu gli
passasse davanti. Scampato il pericolo della cinesina, Ranma
tirò un sospiro di
sollievo. “E anche questa è andata!”
Ma ancora una volta aveva parlato troppo presto. Sinistri miagolii
uniti a
un’aura alquanto minacciosa gli fecero tremare pelo e
vibrisse. Con cautela
Ranma si voltò fino a incrociare una serie di sguardi che
andavano dal rosso al
verde al giallo. A poco a poco quella miriade di occhi diventarono
qualcosa di
più: musi, teste, zampe, corpi. Un centinaio di gatti avanzarono minacciosi da
ogni lato verso il
gatto nero che aveva osato invadere il loro territorio. Ranma
indietreggiò un
passo alla volta mentre la fronte gli si imperlava di sudore.
“Buoni, micetti,
state buoni… sono uno di voi, no? Mi vedete? Sono un
ga…un ga… “
No, proprio non ci riusciva a pronunciare quella parola. Quello che
sembrava il
capo lo fissò dritto negli occhi con le sue iridi
giallo-verdastre. Dalla zampa
destra fuoriuscirono quattro affilatissimi artigli; seguendo
l’esempio del capobranco,
anche tutti gli altri gatti mostrarono zanne e artigli. Ranma
ricominciò la sua
sfrenata corsa, trovandosi alle calcagna, stavolta, un fiume di gatti
randagi
che volevano fargli vedere chi comandava in quel quartiere.
“ Ma perché capitano tutte a meeee? Cosa ho mai
fatto di male per meritarmi
tutto questo, eh? AIUTOOOOOO, IO GATTI NON LI POSSO SOPPORTARE!
QUALCUNO FERMI
QUESTA MANDRIA INFEROCITA!”
Era quasi il tramonto quando Ranma, dopo aver setacciato tutte le vie
del
quartiere alla ricerca di un riparo, riuscì a seminare quel
fiume di gatti
indemoniati, trovò rifugio su di un albero. La colonia di
gatti si fermò
proprio sotto il suo albero, si guardò intorno e, perse le
tracce dell’intruso,
decise di tornare indietro, ma solo quando l’aura minacciosa
di quelle dannate
bestiacce sparì del tutto, Ranma si decise a scendere. Con
le orecchie basse e
il fiatone, il ragazzo riprese a camminare alla cieca, mentre il suo
stomaco lo
informava che era un po’ che non metteva qualcosa sotto i
denti.
“Non mi tengo in piedi, ho troppa fame!”
pensò. Sconsolato, credette che ormai
fosse giunta la sua fine, quando vide l’ombra di un essere
umano che arrivava
alle sue spalle. – Oh, ma tu guarda che bel gattino abbiamo
qui! Cosa ci fai
tutto solo soletto, piccolo micino, eh?
Ranma rabbrividì. “No, vi prego. Tutto ma non
questo, sarebbe troppo per il mio
equilibrio psico-fisico!”.
Cosa fare? Idea: continuare a camminare. Ranma continuò come
se la cosa non gli
riguardasse. “Non ti voltare, Ranma. Zitto e zampetta, zitto
e zampetta. Ignora
la persona alle tue spalle, ecco, così.”
Ma per l’ennesima volta Ranma Saotome aveva fatto i conti
senza l’oste. Un
nastro rosso gli bloccò la gola e il ragazzo si
sentì improvvisamente mancare
la terra sotto le zampe. Due mani lo afferrarono al volo e quando lo
portarono
faccia a faccia con la proprietaria di quell’ombra, Ranma non
nutrì più alcun
sospetto: Kodachi Kuno.
Il solo nome gli fece accapponare la pelle.
– Oh, povero micino, mi sembri così affamato!
Vieni, entriamo. “Entriamo?” Lo
sguardò di Ranma cercò istintivamente la targa
dell’abitazione davanti alla
quale si era fermato: Kuno.
Magnifico, la sua solita fortuna sfacciata.
– Dì un po’ ti piace il caviale?-
proseguì Kodachi.
“Lo odio.”
– E il fois gras?
“Piuttosto una lisca di pesce!”
– Oh, per essere un randagio hai buon gusto, micetto!
Ohohohoh!
“La vedo nera. Oh Kami, se la vedo nera!”
La Rosa Nera entrò nella villa trotterellando per la
felicità.
–Bentornata padroncina!- Sasuke sbucò fuori
all’improvviso e si prostrò davanti
alla minore dei Kuno.
– AAAAAAAAAH! UN GATTO NERO!-. Sasuke tirò fuori
un gohei
e
cominciò a invocare le divinità
affinché
allontanassero gli spiriti maligni da casa Kuno. – Oh morte,
oh sventura,
questa casa di te non ha paura! Oh sortilegio, oh maledizioni, siano
contro di
voi gli antenati delle generazioni!-.
La cantilena andò avanti per una buona mezz’ora.
Ranma tamburellò una zampa sul
braccio di Kodachi, finché non perse la pazienza.
Saltò dalle braccia della
ginnasta e si avventò sul povero servitore di casa Kuno.
– Ah, i demoni hanno
maledetto la nostra dimora!
– Oh, povero mio piccolo Ranma-sama!
La Rosa Nera riafferrò l’animale che –
per chissà quale motivo - le ricordava
l’amato Ranma.
– Sasuke! Non osare mai più trattare in un modo
così scortese il mio piccolo
Ranma-sama o la prossima volta…- Kodachi lasciò
volutamente la frase in sospeso
e lanciò un’occhiata fulminante al servitore, il
quale davvero non immaginava
quale altra punizione potesse riservargli la padroncina, dal momento
che, a suo
dire, aveva sperimentato di tutto: andare a letto senza cena, essere
umiliato
pubblicamente, bacchettato con una canna di bambù, senza
contare i continui
richiami dei fratelli Kuno. –Quanto a te, piccolo mio, adesso
conoscerai un
nuovo amichetto!- disse Kodachi, riprendendo il suo solito tono
stucchevole.
Ranma avvertì una strana sensazione. Le conoscenze della
famiglia Kuno andavano
da presidi fuori di testa, con uno strano accento inglese a vecchie
rivali di
ginnastica ritmica tornate per una sfida su chi avesse il fidanzato
più bello a
giovani astri di majorette che combattevano a colpi di pompon. E mentre
Ranma
pensava a quale razza di personaggio assolutamente non sano di mente
Kodachi
alludesse, il mondo d’improvviso gli parve essersi capovolto.
– Adesso farai amicizia con il mio cucciolotto: Tartaruga
Verde, vieni fuori!
Ti ho portato un amico!
“Tart… TARTATUGA VERDE!?”
Dal laghetto sopra il quale Ranma era sospeso emersero alcune bolle
sinistre,
seguite pochi istanti dopo da una colonna d’acqua. Ranma
riuscì a darsi una
spinta verso l’alto giusto un attimo prima che un paio di
fauci si chiudessero
sotto di lui come tenaglie.
“KODACHI MALEDETTA PAZZA, LIBERAMI SUBITO!”
– Oh, come
si vede che andate subito
d’accordo! Ohohohoh!”
“PERFAVORE, QUALCUNO MI AIUTI! CHIAMATE LA PROTEZIONE
ANIMALI! IO QUI CI LASCIO
LA PELLICCIA!”
– Bene, vi saluto miei adorati. A più tardi,
divertitevi! Ohohohoh!
“QUESTA ME LA PAGHI, FOLLE DI UNA KODACHI!”
Ma la giovane ginnasta si era già dileguata verso la cucina
e indossato un
grembiule si apprestava a preparare una deliziosa cenetta per il suo
nuovo
cucciolotto.
“EHI QUALCUNO MI SENTE? SLEGATEMI! VOGLIO ANDARE A
CASA!”
Ranma era ormai sull’orlo di una crisi isterica, quando
accadde l’incredibile. In
un ennesimo slancio, Tartaruga Verde addentò la corda e la
spezzò mentre Ranma
era ancora sospeso in aria nel tentativo di non diventare la cena del piccolo alligatore di casa Kuno.
“Perfetto,
è la mia occasione!” pensò, atterrando
sul ramo dell’albero al quale era stato
legato. Con uno scatto fulmineo balzò prima sul parapetto
del ponte che dava
sul laghetto, poi con un altro saltello si portò a terra.
Gli occhi si
illuminarono di felicità nel calcolare i metri che lo
separavano dall’entrata
della villa Kuno. “Ci siamo. Ancora un po’ e
sarò libero. Libero.
Libeeeeeerooooo!” .
Ranma già assaporava l’odore (beh, non proprio
gradevole, ma comunque un odore
di libertà) della strada, quando qualcosa gli si
parò davanti bloccando la sua
fuga. Il ragazzo-gatto ci andò a sbattere contro,
rimbalzando all’indietro, e
riuscì a tenere l’equilibrio solo grazie alla
lunga coda che fungeva da asse.
Per la seconda volta in quella giornata Ranma si sentì la
terra mancare sotto
le zampe.
– E tu chi saresti?
Magnifico. Eccolo là. Come aveva mai potuto, Ranma Saotome,
dimenticare lui, il
padrone di casa, la causa prima di tutte le sue disgrazie sia come uomo
che
come donna.
– Ben tornato a casa, padroncino!
Sasuke saltò alle spalle del giovane kendoka, il quale
cacciò fuori un urlo non
proprio virile. –Sasuke! Ti avrò detto un
centinaio di volte che non devi
arrivarmi alle spalle!
– Desolato padroncino! Chiamasi “deformazione
professionale”!
– Lasciamo perdere. Piuttosto spiegami
cos’è questo.
Tatewaki tese in avanti il braccio alla cui estremità
penzolava il povero
Ranma.
– E’ chiaramente un gatto, signore. –
rispose Sasuke con tranquillità.
–QUESTO LO VEDO ANCH’IO!- sottolineò il
Tuono Blu. – Intendevo dire che cosa ci
fa qui questo gatto!
– Ah, l’ha raccolto la signorina Kodachi dalla
strada.
– DALLA STRADA!?
Kuno lasciò di scatto la presa con un’espressione
inorridita. – Che orrore! In
questo momento sul mio corpo chissà quanti germi staranno
proliferando a causa
di quell’animale immondo e pieno di pulci! Urge un bagno
nella mia lussuosa
vasca idromassaggio!
Punto nell’orgoglio, Ranma rizzò il pelo e
scattò in avanti: nessuno poteva
permettersi di dargli del “animale pieno di pulci”.
Un paio di zampate e il viso
del senpai era ricoperto di graffi più o meno profondi.
– MALEDETTA KODACHI!- La chiamata in causa uscì
proprio in quel momento sulla
veranda
– Che cos’è tutto questo baccano?
Tatewaki cos’hai da urlare come se fossi uno
straccivendolo di campagna?
– Kodachi, tu e le tue idee assennate! Prendi
quest’animale immondo e mettilo
alla porta! Guarda, guarda cos’ha fatto ai miei nobili e
delicati lineamenti!
Con che faccia potrò presentarmi davanti alla dolce Akane
Tendo o alla
misteriosa Ragazza con il codino?
– Ah, il mio piccolo Ranma-sama!- Kodachi strappò
il gatto dalle perfide mani
del fratello. – Che cosa hai fatto al mio povero Ranma-sama,
eh?
Kuno inspirò profondamente. Oltre il danno, pure la beffa.
– A… chi?
– A Ranma-sama.- ripetè Kodachi, scandendo le
parole. –Guarda, non è identico
al mio adorato Ranma? Ha il suo stesso sguardo!
La rabbia di Kodachi si era sciolta in uno sguardo trasognante e Ranma,
in
tutta sincerità, non sapeva quale delle due
personalità della ginnasta fosse la
più inquietante. Quanto a Kuno, se prima era inorridito alla
sola idea che quel
gatto potesse trasmettergli una qualche malattia ancora non attestata
nemmeno
dalla comunità scientifica di Tokyo, adesso una serie di
spasmodiche
convulsioni gli attanagliavano la bocca dello stomaco. Spada di legno
alla
mano, Tatewaki puntò l’arma contro il muso del
felino. – Fa’ sparire quel gatto
e con lui anche quell’odioso nome!
– Non osare minacciarmi, Tatewaki! Sai quanto posso diventare
pericolosa!
– E va bene, sorellina. Se vuoi la guerra, guerra sia! -D’accordo,
Tatewaki! Ma ricordati che l’hai
voluto tu… in guardia! Kodachi spiccò un agile
salto all’indietro, si liberò
dell’ingombrante grembiule e nastro alla mano si
preparò al duello.
– Oh, no, ci risiamo!- esclamò sconsolato Sasuke,
il quale già immaginava
quando, a fine battaglia, avrebbe dovuto risistemare il disastro che i
due
fratelli Kuno avrebbero combinato. Beh, se non altro in giardino i
danni
sarebbero stati decisamente più esigui, provò a
pensare il povero giardiniere.
Proprio in quell’istante una tegola del tetto lo
colpì in fronte. Come non detto.
Ranma approfittò del momento di confusione per svignarsela.
Era il momento di
chiudere quella disastrosa giornata, sebbene non avesse trovato ancora
una
soluzione al suo problema principale: quello di avere le sembianze di
un
felino. Magari la vecchia Obaba o il maniaco avrebbero potuto aiutarlo.
Guardò in alto: ormai il sole era tramontato da un pezzo ed
era scesa la sera.
A casa lo stavano aspettando per la cena. “Ci
andrò domani” si disse, annuendo
per dare maggiore forza alla sua decisione. E a passo svelto
– era troppo
stanco persino per correre – si diresse verso la casa dei
Tendo.
Per la stanchezza impiegò più tempo di quanto
effettivamente ce ne volesse per
raggiungere il dojo e quando arrivò l’ora di cena
era ormai passata da un
pezzo. A parte il latrato di qualche cane in lontananza, non si udiva
altro
rumore nel quartiere ed eccetto il fioco bagliore dei lampioni in
strada, non
c’erano altre fonti di illuminazione . Buio e silenzio. A
quell’ora della notte
Nerima diventava un posto tranquillo e desolato.
“Forza
Ranma” si incoraggiò e con quel
briciolo di forze che gli restavano, balzò sul muro di cinta
di casa Tendo.
Furtivo, balzò nuovamente giù, al di
là del muro, attento a non fare il minimo
rumore, ma ignorò che qualcuno a quell’ora potesse
essere ancora sveglio.
– Chi c’è là!- Akane
uscì in giardino ponendo in bella vista il bastone di
bambù che aveva con sé.
Ranma si rifugiò dietro un cespuglio e la osservò
da lì. “Che cavolo ci fa
quella con un bastone di bambù appresso? Ah, più
la conosco, più non la
capisco!”
Ranma si grattò un orecchio con la zampa posteriore
sinistra, ma sfiorò le
foglie del cespuglio. Il rumore attirò maggiormente
l’attenzione di Akane.
– Avanti esci fuori, non ho paura di te! Lo so che sei dietro
quel cespuglio!
Colto in flagrante, Ranma si arrese e uscì allo scoperto un
passo alla volta,
le orecchie e la coda basse e l’aria timida. Doveva ammettere
che la
recitazione era sempre stato un talento innato in lui: se non si fosse
già
fatto un nome come artista marziale, avrebbe giurato che si sarebbe
buttato a
fare l’attore.
Alla vista di quel gattino spaurito, Akane si tranquillizzò
e abbassò
lentamente l’arma. – Oh, ma è solo un
povero gattino!
La minore delle Tendo si accovacciò e provò ad
avvicinare l’animale. – Vieni
qui, non avere paura… sono tua amica! “Ma guardala
come fa tutta la carina,
adesso! Vorrei vedere se lo facesse anche quando sono in versione
umana!” Ranma
arrossì di colpo, metabolizzando il suo stesso pensiero. Che
cosa voleva dire
con questo? Che avrebbe voluto che Akane fosse così gentile
con lui anche
quando è un ragazzo? Temendo la risposta decise di non
badarci troppo e di
attribuire quel pensiero solo alla stanchezza di quella lunga e
stressante
giornata.
Ranma si avvicinò con cautela, annusò la mano
della ragazza e si lasciò
accarezzare. – Ti sei perso, piccolino? Sai, fortuna che
Ranma non c’è,
altrimenti avrebbe dato di matto, lui odia i gatti! – rise
Akane e quella
piccola risata le illuminò il viso. “Dovrebbe
sorridere di più” pensò Ranma.
“Quando sorride diventa un’altra”
– Già, chissà dove si è
andato a cacciare
quello stupido.
“Eccola là. Deve sempre rovinare il momento, non
c’è niente da fare!”.
Sulle prime, Ranma si irritò per l’appellativo
poco carino – ma alquanto
consueto - della fidanzata, ma subito dopo si accorse dello sguardo
sinceramente preoccupato della ragazza. “Che sia
preoccupata… per me?”
Akane si sedette a gambe incrociate sull’erba umida del
giardino e sistemò il
gatto nello spazio tra le sua gambe. – È da
stamattina che non si fa vivo. E
tutto solo perché non ha voluto assaggiare i miei biscotti!
“Assaggiare? Ma se ci
stavo
rimettendo l’intero apparato digerente per quei dannati
biscotti!”
– Possibile che fossero tanto terribili?
“Sì, lo erano!”
– Eppure ci avevo messo tutto l’amore possibile!
“Sì, ma devi metterci anche gli ingredienti
giusti, incosciente!”
– Non è ritornato né per pranzo
né per cena, chissà che fine avrà
fatto. Magari
sarà andato a spassarsela con le sue fidanzate…
“Senti, non parliamo della mia giornata, per cortesia!
È solo da dimenticare,
altro che spassarmela!”
–… e si sarà rimpinzato di okonomiyaki
o di ramen, mentre io me ne sto qui a preoccuparmi
inutilmente!
“Ma sentitela! Per la cronaca, a parte il misero okonomiyaki
di Ukyo, non tocco
cibo da stamattina!”
Akane strinse a sé il malcapitato animale con la sua forza
sovrumana.
“Ahia, scema, mi fai male! Mi stai stritolando, molla la
presa”
– Miaooo!- Ranma tirò fuori gli artigli e
sfiorò appena la pelle della giovane,
solo per monito.
– Oh, scusami piccolino, non volevo stringerti
così forte! È che se solo penso
che Ranma a quest’ora starà di certo facendo il
cascamorto con le sue fidanzate,
mi sale un…un…
Akane arricciò le ciglia e strinse i pugni.
“Punto numero uno: io non sono un cascamorto. Punto numero
due. Questa si
chiama gelosia, mia cara. Ge-lo-si-a. Ma d’altronde come
non darti
torto: con un ragazzo forte, affascinante e scaltro come me, nessuno
potrebbe
resistere!”
Ranma si ravvivò un ciuffo con un movimento della testa,
compiacendosi dei
propri elogi.
– Però…- La giovane Tendo assunse di
nuovo un’aria malinconia e Ranma drizzò le
orecchie nere a punta per ascoltare il seguito della frase.
-… io ci tenevo che
trascorresse la serata con noi. Domani è il suo compleanno e
gli avevo anche
preparato una torta per l’occasione. Ma certo, quello stupido
preferisce andare
da Ukyo, da Kodachi o da Shan-Pu che di certo sono più abili
di me in cucina,
ma nemmeno io me la cavo poi così male, sai?
Compleanno? Già domani
sarebbe stato
il suo diciottesimo compleanno. Per la miseria, erano già
due anni che si era
trasferito dai Tendo!
Per quanto Akane fosse completamente negata in cucina, però
una cosa Ranma
doveva riconoscerla: era vero che Akane metteva il cuore in ogni cosa
facesse.
Sorrise senza neanche accorgersene: in fondo era stato un pensiero
gentile.
Certo, non era così folle da rischiare una seconda
gastroenterite nell’arco di
due giorni, ma avrebbe apprezzato comunque il gesto della fidanzata.
– Miaooo…
Ranma si alzò sulle zampe posteriori e allungò il
corpo verso il viso di Akane,
la quale, accortasi della preoccupazione del gatto, si passò
il dorso della
mano sugli occhi per asciugare due piccole lacrime invisibili.
– Non è niente,
tranquillo, sto bene. – disse, ostentando un finto sorriso.
Poi lo prese per il
ventre e lo sollevò in aria, con verso la luna: il bagliore
argenteo di quella
ne mise in risalto gli occhi. Occhi di un grigio-azzurro, insoliti per
un
gatto: questa fu la riflessione di Akane.
– Ma sai che sei proprio un gattino adorabile? Ti terrei
volentieri con me, se
solo Ranma non avesse la fobia dei gatti! Però credo che per
stasera non ci
siano problemi se resti qui, dal momento che Ranma non
c’è. Che ne dici, ti va
di restare, piccolino?
Akane avvicinò il gatto alle sue labbra e lo
baciò sul musetto umido: il gesto
fu tanto veloce e naturale che Ranma non ebbe nemmeno il tempo di
scostarsi.
L’orologio a pendolo suonò la mezzanotte. Ranma
cominciò ad avvertire una
strana sensazione alla bocca dello stomaco, la stessa che aveva provato
quella
mattina, prima di trasformarsi in un felino. “Oh no, vuoi
vedere che…?”
Fulmineo, sgusciò via dalle mani di Akane, balzò
sul tetto e sparì dall’altra
parte, prima ancora che la ragazza potesse alzarsi e fare il giro della
casa
per vedere dove si fosse andato a nascondere il furbo animale.
– Aspetta! – riuscì solo a gridare,
scattando all’in piedi,
ma il suo confidente era già sparito oltre il
tetto, nel buio della notte.
Ranma trasse un sospiro di sollievo: era riuscito a sgattaiolare nella
sua
stanza appena in tempo, prima che riprendesse le sue sembianze umane.
Si tastò
la faccia, il petto, le anche; poi si girò su se stesso per
verificare che non
vi fosse più traccia di quel dannato animale. –
Finalmente sono tornato
normale! Beh, forse “normale”
non è
proprio il termine adatto, ma, al diavolo, sono di nuovo un umano!
Ranma non stava più nella contentezza, al punto che non si
rese conto di aver
alzato un po’ troppo la voce. Un cartello di legno gli
arrivò in piena fronte e
un irritato panda gigante lo scrutava con uno sguardo truce, nonostante
le palpebre
semichiuse per il sonno.
“Hai idea di che ore sono?” recitava un secondo
cartello. “Qui c’è gente che
vuole dormire!”
– Ti sembrava il caso di tirarmi un cartello in piena
fronte?- si infuriò il
ragazzo, cercando di contenere il tono della voce.
Genma sbatté le palpebre un paio di volte.
“Perché sei nudo?” – Ah,
è una
storia lunga da spiegare. Non ci crederai, ma stamattina…
Tempo due minuti e Genma aveva ripreso a ronfare alla grande. Una vena
cominciò
a pulsare minacciosamente su una tempia del ragazzo con il codino,
mentre le
dita già gli scricchiolavano autonomamente, come se avessero
vita propria.
In un altro momento avrebbe tirato un calcio a suo padre
così forte da mandarlo
in orbita, annettendogli un poco garbato accompagnamento verbale, ma
quella
sera era troppo stanco persino per svegliarlo urlandogli di avere
almeno la
decenza di ascoltare quello che aveva da dire, considerato che era
stato
proprio lui a porgli una domanda.
Lanciò un ultimo sguardo alla finestra e vide
un’Akane indaffarata a cercare
qualcosa o meglio qualcuno.
Ranma sorrise teneramente. – Grazie, Akane.
Poi, infilatisi boxer e pigiama concluse finalmente quella folle ed
estenuante
giornata.
Intanto
una voce lontana risuonava nel silenzio della
notte: –Shan
Pu, ma perché non miao ami,
io ti renderei feliceeee! Che vita ingiusta, maramiao!
FINE
Salve, gente, è da un bel
po’ che non mi
faccio viva, vero? Perdonatemi, sono stata un po’ impegnata
(e lo sono tuttora
in verità!). Però avevo troppa voglia di tornare
alla carica e così, Word alla
mano, mi sono messa al lavoro! Spero abbiate gradito il mio ritorno con
questa
piccola storiella… siate indulgenti, sono un po’
arrugginita! ^^”
Scherzo, le critiche sono ben accette, come sempre, se costruttive!
Detto ciò, mi piacerebbe se lasciaste un segno del vostro
passaggio, un piccolo
commento per capire se, nonostante il tempo trascorso, sono ancora una
buona
scrittrice o è meglio che vada in Nuova Zelanda a piantare
pomodori.
Grazie per la lettura e alla prossima! <3 J