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Autore: Isbazia    25/03/2015    1 recensioni
Osir gonplei nou ste odon (la nostra battaglia non è finita) ripercorre il rapporto tra Clarke, leader degli sky people, e Lexa, Comandante dei grounders. La storia si sviluppa dopo gli eventi della guerra contro Mount Weather, partendo da un finale diverso rispetto all'originale del season finale della serie tv. Qui infatti si vedranno Clarke tornata al campo Jaha e la popolazione di Mount Weather ancora in vita.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Clarke Griffin, Lincoln, Octavia Blake, Raven Reyes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Il coltello volò talmente veloce che il mietitore non ebbe neanche il tempo di girarsi al suono della voce della  Comandante. Un colpo netto, dritto in gola. Clarke rimase seduta per terra immobile, guardando inorridita il corpo del mietitore che si accasciava morente ai suoi piedi. Alzò velocemente lo sguardo per incontrare quello di Lexa , che dall’alto del sentiero sovrastante la guardava con espressione preoccupata. Clarke si alzò in piedi, tenendosi il braccio destro, visibilmente dolorante. Lexa la raggiunse immediatamente. Con una mossa svelta estrasse il coltello dal collo del mietitore, lo pulì noncurante su un drappo della sua veste e lo ripose nella custodia agganciata alla cinta.

“Stai bene?” chiese subito, notando la posizione in cui Clarke teneva in braccio. I loro occhi si incontrarono, e Clarke annuì con una leggera smorfia.
“Credo sia solo un po’ ammaccato, nulla di grave” sospirò. Il battito cardiaco cominciava a tornare regolare, il respiro rallentava e la mente cominciava a riprendere lucidità.

Quel mietitore era spuntato all’improvviso, da solo. I mietitori non viaggiavano mai per la foresta da soli. Quella mattina Clarke aveva deciso di portare Lexa fuori da Camp Jaha, dopo aver passato gli ultimi due giorni di convalescenza sotto lo sguardo ostile degli abitanti dell’arca. Lexa sarebbe dovuta stare ancora a riposo, ma lei stessa aveva più volte espresso il volere di uscire ed allontanarsi da possibili problemi di convivenza forzata, nonostante i fermi divieti sia di Abby che di Clarke stessa. Quella mattina però era successa una cosa che aveva seriamente rischiato di scatenare una guerra interna al campo. Qualcuno era riuscito a mettere mano sul cibo destinato a Lexa, aggiungendo del coji, un’erba secca potenzialmente pericolosa, se ingerita in grosse quantità. Fortunatamente Clarke ne aveva sentito subito l’odore, prima ancora di portare il piatto nella sua tenda, e lo aveva direttamente buttato via, senza farne parola con nessuno, specialmente con Lexa. La foresta era il luogo migliore per cambiare aria, e ormai la convalescenza era quasi terminata, così Clarke si era decisa a portare Lexa con sé nella sua perlustrazione, in cerca di piante medicinali utili.

Si erano separate solo per cinque minuti. Clarke aveva deviato dal sentiero per scendere più vicina alla riva del ruscello, mentre Lexa era rimasta lì ad aspettarla. Il mietitore era sbucato da dietro la parete rocciosa che costeggiava il ruscello, ed era saltato dritto addosso a Clarke, che si era appena accovacciata per strappare delle radici e non aveva fatto in tempo a tirarsi su per mettersi in difensiva. Il peso del mietitore le aveva fatto sbattere violentemente il braccio contro il terreno pietroso su cui si trovavano, facendole scappare un grido di dolore. Fu lì che Lexa si precipitò in suo aiuto.

“Avresti potuto colpire me” disse Clarke in tono di sfida.
“Sai bene che non sarebbe successo” rispose prontamente Lexa.

Il sole cominciava a calare dietro le montagne che circondavano la foresta. Ormai erano ad almeno un’ora di cammino da Camp Jaha. Entrambe avevano bisogno di riposare; Lexa risentiva ancora della convalescenza, con fastidiosi mal di testa e sporadici cali di pressione; Clarke lottava contro il dolore al braccio, precariamente fasciato con un pezzo di stoffa della veste di Lexa. Avevano deciso di passare la notte nella foresta, in un piccolo spazio riparato da una parete rocciosa, all’interno di una fitta linea di cespugli di rovi. Sembrava abbastanza sicuro come riparo.
Il fuoco scoppiettava in un silenzio pesante. Dovevano essere le nove ormai. Lexa era seduta di fronte al fuoco, appoggiata alla parete dietro di lei, e osservava assorta Clarke, al di là delle fiamme, intenta a spostare un ceppo di legno per sistemarsi comodamente davanti al calore del fuoco.

“A che stai pensando?” chiese Clarke, notando lo sguardo attento di Lexa su di lei.
“Cerco di capirti” rispose lei, senza distogliere lo sguardo.
Clarke provò un leggero imbarazzo. Avvertiva tutta l’intensità di quello sguardo. Aggrottò la fronte e inclinò leggermente la testa. “Che vuoi dire?”

Lexa sospirò, poggiò la testa alla parete e chiuse gli occhi. Una fitta di dolore le attraversò la fronte, propagandosi per tutto il cranio. Trenta interminabili secondi di dolore la costrinsero in quella posizione, impedendole di proferire parola.
Clarke scattò in piedi e la raggiunse, inginocchiandosi accanto a lei, preoccupata.
“Avrei dovuto portare più medicine” disse agitata, cercando di interpretare l’espressione concentrata di Lexa.
“Sto bene adesso. Non preoccuparti, Clarke”. Riaprì gli occhi e posò lo sguardo sui movimenti fluenti delle fiamme che li lanciavano verso l’alto e si dissolvevano velocemente.
Clarke si sedette e anche lei si lasciò catturare dal fascino di quella danza. Il silenzio che era calato su di loro venne interrotto dalla voce sottile di Lexa. “Cerco di capire perché mi hai salvata”.
Clarke si voltò verso di lei, cercando il suo sguardo, ma Lexa teneva gli occhi fissi sul fuoco, impassibile. I ricordi di quel giorno cominciarono a riaffiorare nella mente di Clarke, e un vuoto la pervase.
“ Non ti avrei mai lasciata lì. Non dopo aver visto che eri ancora viva”.
Ora aveva spostato lo sguardo verso il basso. Il braccio sinistro appoggiato sul ginocchio e un rametto in mano che batteva ritmicamente per terra. Lexa distolse lo sguardo dal fuoco e posò gli occhi prima sul volto di Clarke e poi su quel rametto.

“Come mi hai trovata?” sospirò d’un tratto.
Clarke si bloccò per un attimo. 
Silenzio.
Poi cominciò lentamente “C’erano fumo e macerie ovunque…”.
Lexa ascoltava attenta, mentre Clarke si prendeva qualche secondo tra una frase e l’altra, tentando di scacciare le immagini di quell’orrore dalla mente.
“Il tuo tatuaggio” disse dopo almeno un minuto di silenzio.
Lexa alzò il capo e incontrò gli occhi di Clarke su di lei. “Ho visto il tuo braccio tra le macerie. Ho riconosciuto il tatuaggio”.
La voce di Clarke si era fatta sempre più debole, i suoi occhi cominciavano a riempirsi di lacrime. Il ricordo vivido di quell’immagine l’aveva investita in pieno. Lexa venne colta di sorpresa, non si aspettava quella reazione così sentita. Forse Clarke non aveva mai provato tutto quel rancore nei suoi confronti, come quello che lei provava per se stessa, soprattutto dopo Mount Weather. Forse quello che provava Clarke, qualunque cosa fosse, era riuscito ad andare oltre tutto quello che era successo. Forse c’era ancora qualche speranza per costruire un solido rapporto con lei.

La luce delle fiamme si rifletteva pienamente negli occhi umidi di Clarke, che, trattenendo le lacrime, continuava a guardare una Lexa visibilmente spiazzata. Il silenzio aveva preso il sopravvento. Nonostante lo scoppiettare del legno bruciato, entrambe avevano eliminato qualsiasi tipo di rumore attorno a loro, e continuavano a guardarsi negli occhi con un’intensità talmente forte da diventare ipnotica. L’una sapeva cosa provava l’altra, ed entrambe stavano zitte, sapevano che parlare era superfluo, quello scambio di sguardi diceva già tutto. Era sempre stato così tra loro. Sin dal primo giorno era bastato uno sguardo per leggersi nell’anima, ed era stato questo ad alimentare il loro rapporto particolare giorno dopo giorno. Nessuno era mai riuscito a capire profondamente il vero carattere di Clarke come c’era riuscita Lexa, e viceversa, nessuno era mai riuscito ad abbattere le barriere che Lexa aveva costruito attorno al suo cuore come c’era riuscita Clarke. Due persone paradossalmente tanto diverse quanto simili. Negli occhi di Clarke si leggeva il dolore di quei ricordi, la difficoltà di elaborare quella tragedia, la paura di un pericolo costante. Pericolo che continuava a inseguire le persone a cui teneva di più. Lexa lo aveva capito e quasi si pentì di averle fatto quella domanda.

Ad interrompere il contatto visivo fu Clarke, che spostò rapidamente lo sguardo sulle labbra di Lexa e improvvisamente si sporse verso di lei. Fu un movimento lento ma deciso. Le loro labbra si toccarono dolcemente, entrambe chiusero gli occhi e si lasciarono trasportare dal momento. Stavolta era Clarke a guidare la situazione. Le sue labbra continuavano a cercare quelle di Lexa che, colta di sorpresa, sentiva di risultare leggermente impreparata. Clarke lasciò cadere il rametto e allungò la mano verso il volto di Lexa, avvicinandolo al suo. Fu un bacio lento, molto dolce, accompagnato dalle lacrime di Clarke, che ora scorrevano libere.

Quando le loro labbra si separarono, i loro occhi si cercarono immediatamente.
Silenzio.

“Percepisco del dubbio nei tuoi occhi” commentò Lexa d’un tratto.
Clarke si prese qualche secondo prima di rispondere. “Devo ammettere che tutto questo è nuovo per me. Un intero mondo da scoprire”. La sua voce era tranquilla. Spostò nuovamente lo sguardo verso il fuoco e sospirò. Lexa tentò di interpretare al meglio quella risposta. Poteva voler dire tutto, ma anche niente. Ma forse era meglio non soffermarsi troppo su quelle parole, non in quel momento.
“Abbi fiducia, Clarke” rispose con un sospiro “Andrà tutto bene. Fidati di me, almeno per stanotte”.
Quelle parole scatenarono qualcosa di strano dentro Clarke, un misto tra agitazione, ma anche conforto. Non immaginava che Lexa potesse evitare l’argomento in quel modo, ma le era grata. In quel preciso momento sarebbe stato distruttivo affrontare una discussione di quello spessore, e Lexa lo aveva capito subito. Ormai sapeva come comportarsi con lei, sapeva come agire e in che modo, cosa evitare e quando farlo.
Ora anche lei guardava il fuoco, con sguardo fisso sulle fiamme ed espressione stanca. Non passò neanche un minuto e Clarke appoggiò delicatamente il capo sulla spalla di Lexa, abbandonandosi alla stanchezza con gli occhi chiusi. Quelle parole la facevano sentire tranquilla, sapeva che stavolta Lexa avrebbe mantenuto la parola, sapeva di potersi affidare a lei, almeno per quella notte.
   
 
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