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Autore: Isbazia    21/03/2015    1 recensioni
Osir gonplei nou ste odon (la nostra battaglia non è finita) ripercorre il rapporto tra Clarke, leader degli sky people, e Lexa, Comandante dei grounders. La storia si sviluppa dopo gli eventi della guerra contro Mount Weather, partendo da un finale diverso rispetto all'originale del season finale della serie tv. Qui infatti si vedranno Clarke tornata al campo Jaha e la popolazione di Mount Weather ancora in vita.
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, Clarke Griffin, Lincoln, Octavia Blake, Raven Reyes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Un mese dopo.

Lexa era distesa lì, ancora priva di conoscenze, con un’evidente espressione sofferente sul volto. Erano passati due giorni dall’attacco alla Capitale, due giorni dall’esplosione di quel missile sull’accampamento dei terrestri. Due giorni che Lexa stava distesa su quella branda, all’ospedale dell’Arca, priva di conoscenze.
Clarke andava a visitarla ogni volta che poteva, sperando sempre in un qualsiasi segno di miglioramento. Speranze che svanivano non appena incrociava lo sguardo mesto di sua madre fuori dalla porta della stanza. 
Lexa stava lì, con l’ago della flebo attaccato al braccio, il bendaggio ormai sporco sul collo, e la cicatrice sulla fronte, ricucita nel miglior modo possibile.

Clarke si avvicinò alla branda, prese la sedia lì accanto e si sedette con molta cautela, quasi avesse paura di fare troppo rumore. In realtà era proprio quello che sperava, magari così si sarebbe svegliata, dopo due interi giorni. Dentro di lei le emozioni erano contrastanti, si davano battaglia ogni volta che i suoi occhi studiavano le condizioni di Lexa. Era pervasa dalla preoccupazione e al tempo stesso dalla rabbia. Nonostante non le mancasse la speranza, non riusciva a sopprimere il timore che potesse accadere il peggio da un momento all’altro, ed era proprio lì che la rabbia si faceva spazio dentro di lei.

Quel missile era esploso proprio accanto alla tenda del Comandante. Lexa era rimasta viva per miracolo. Il missile  era stato preparato settimane prima per attaccare l’Arca, a quanto pare. Il Cancelliere era riuscito ad organizzare diversi incontri con il presidente di Mount Weather per evitare di ricorrere ad una soluzione così drastica. Erano riusciti a stipulare un accordo pacifico: l’Arca non sarebbe stata toccata a patto che gli abitanti della montagna potessero essere liberi di uscire, niente più prigionieri, niente più esecuzioni. L’accordo però richiedeva la fine di qualsiasi rapporto ancora esistente con i terrestri, in modo che ogni clan dovesse pensare solo al suo popolo, senza il rischio di strategie di contrattacco.

Clarke aveva scoperto dell’accordo il giorno stesso del bombardamento. Ad un mese dalla grande battaglia  la situazione governativa nell’Arca si era stabilizzata, e Clarke non godeva di alcun tipo di privilegio, riusciva solo a strappare qualche informazione ad Abby quando lavoravano insieme.                                                         
Il giorno del bombardamento alla Capitale Clarke era in perlustrazione con Octavia e Lincoln sul lato est della foresta, a poco più di un chilometro di distanza dall’accampamento del Popolo degli Alberi. L’esplosione era stata talmente forte che le ceneri erano arrivate fino a loro, oltre all’enorme boato. Erano stati proprio loro tre i primi ad arrivare all’accampamento e ad assistere ad una delle scene più raccapriccianti. Macerie ovunque. Corpi ovunque. Era stata proprio Clarke a trovare Lexa, quasi totalmente sepolta da un cumulo di legna e pietre, ancora viva.

Ora Lexa combatteva contro la morte su quella branda, da due giorni. La rabbia per non aver saputo niente dell’accordo, per non aver potuto fare nulla per evitare quell’attacco, per non aver avuto il coraggio di affrontare Lexa dopo l’ultimo incontro nella foresta. Quella rabbia la divorava, insieme alla paura di poter perdere una delle persone a cui teneva di più.
Gli occhi di Clarke si spostavano dall’enorme cicatrice che Lexa aveva sulla fronte, proprio sopra l’occhio sinistro, al livido ormai viola sul mento, al bendaggio sporco sul collo. Avrebbe dovuto cambiarlo, per l’ennesima volta. In quel momento però non aveva nemmeno la forza di stare in piedi, riusciva solo a tenere a bada le emozioni per evitare di esplodere un’altra volta, come dopo aver scoperto dell’accordo.
Chiuse gli occhi e sospirò. Poggiò i gomiti sul bordo della branda, all’altezza del braccio di Lexa, e abbandonò il volto tra le mani.
“Svegliati..” sussurrò tristemente. “Ci stai mettendo troppo”.
Il silenzio era diventato assordante. L’unico rumore nella stanza era il ronzio elettrico dei macchinari per la conservazione delle medicine. Fastidioso, ma allo stesso tempo quasi rilassante.
“Ci…”
Un suono quasi impercettibile, una sillaba soffocata. Clarke alzò di scatto la testa con lo sguardo dritto verso il volto di Lexa.  Il cuore le martellava impazzito nel petto. Le labbra di Lexa erano leggermente schiuse, ma immobili. Eppure l’aveva sentito, aveva sentito qualcosa, Lexa aveva parlato, ne era sicura. Non c’era nessun altro in quella stanza, e di certo non se l’era immaginato.
I suoi occhi continuavano a cercare un qualsiasi segno di movimento nelle labbra di Lexa, con il cuore che non smetteva di battere all’impazzata.
“…ci vuole...il tempo necessario”.
Aveva parlato. Lo aveva fatto.                                                                                                                                    
Clarke scattò in piedi e le strinse il braccio in preda ad un attimo di eccitazione. Lexa abbozzò una smorfia di dolore e Clarke mollò subito la presa, dispiaciuta.                                                                                                     
“Sei sveglia…” riuscì a dire con un fil di voce, ancora fortemente sorpresa.
Lexa aprì lentamente gli occhi e trovò subito lo sguardo emozionato di Clarke su di lei.
   
 
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