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Autore: Nadie    26/03/2015    3 recensioni
Un giorno ha chiesto cosa fosse quell’amore ripetuto dai dischi in vinile di papà.
«Una cosa che aggiusta tutto.» gli hanno risposto.
«Come una super colla?»
«Proprio come una super colla.»
Adesso che il bambino che è stato lo ha abbandonato, capisce che gli hanno mentito.

[Ben e Prudence]
[La Legge del Resto - sentivo il bisogno di cambiar titolo]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Temporale '
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18. Dear Prudence



C’era una volta una ragazza di nome Prudence che decise di chiudersi a chiave in una stanza e cercare, scavare dentro se stessa per afferrare il suo io, la sua vera essenza.
Prudence non mangiava, non beveva, non parlava.
Chiusa nella sua stanza, ascoltava ciò che aveva sotto la pelle.
Un giorno un certo John Lennon le scrisse una canzone per convincerla ad uscire fuori e, insieme al suo amico Paul McCartney, si mise dietro la porta con la sua chitarra e cantò.
 
Cara Prudence, non uscirai a giocare?
Cara Prudence, saluta il nuovo giorno!
Il sole splende, il cielo è blu, è bellissimo e lo sei anche tu.
Cara Prudence, non uscirai a giocare?
 
Purtroppo non erano più gli anni Sessanta e nessuno dei Beatles avrebbe mai chiesto a Prudence Gallagher di uscire fuori a giocare.
Nascosta tra le pareti ammuffite del suo piccolo appartamento, Prudence guardava distratta la televisione.
Era una calda giornata di Agosto, anche su Dublino splendeva un sole quasi soffocante e lei, accaldata ed annoiata, si stringeva nel suo asciugamano bianco dopo una doccia fredda.
Non aveva voglia di ascoltare le notizie di crisi al telegiornale, sapeva già che le cose non andavano affatto bene: lo sperimentava ogni giorno sulla sua pelle.
Cambiò canale: un uomo in giacca e cravatta e con una faccia rugosa presentava un talk show.
Prudence sbuffò e cominciò a frizionarsi i capelli bagnati.
La voce del presentatore le dava un gran fastidio, continuava a blaterare ininterrottamente e lei, se solo lo avesse avuto davanti, gli avrebbe intimato di smetterla di sprecare parole.
Ma sentì qualcosa incrinarsi nel suo petto quando quel fastidioso conduttore disse: ‘Ben Barnes’ e all’improvviso partì un caloroso applauso.
Lasciò che i capelli gocciolanti le ricadessero sul seno e alzò immediatamente gli occhi verso il piccolo televisore.
Non sorrise né pianse, restò ferma a fissare un ragazzo con gli occhi scuri entrare nello studio televisivo e sedersi su una poltrona, accanto al presentatore.
Un vuoto brutale sembrò quasi ingoiarle lo stomaco mentre, perfettamente immobile, Prudence osservava quel volto così diverso, così cambiato.
Si ricordava di un ragazzo con capelli corti e spettinati, sempre un filo di barba sulle guance e uno sguardo furbo malcelato dentro a due occhi neri-neri-neri; un ragazzo che indossava jeans sgualciti e felpe in cui lei amava stringersi, avvolgersi e che buon odore che hai, quanto calore che dai.
Forse, se non avesse sentito pronunciare il suo nome, Prudence non sarebbe nemmeno stata capace di riconoscere quel ragazzo con i capelli cresciuti, nessuna traccia di barba ed un abito elegante addosso.
Ascoltò attenta l’intervista, ne cavò fuori ogni informazione, registrò le cose importanti ed è il mio primo, grosso film e sono piuttosto emozionato; mi piace un sacco New York; abbiamo girato molte scene in Nuova Zelanda ed il paesaggio è semplicemente magnifico; no, non sono mai stato innamorato.
Prudence si guardò attorno e vide un piccolo appartamento spoglio, con le pareti ammuffite e piccoli ragni che calpestavano il soffitto con le loro zampette silenziose.
E invece, a chilometri e chilometri di distanza, c’era un giovane e promettente attore con la faccia pulita e le spalle alleggerite da qualsiasi fallimento, da qualsiasi problema.
Lo osservò e no, no che non aveva più bisogno di una birra e di un davanzale da cui guardare stupidi ed insignificanti tetti irlandesi: adesso c’erano aerei, hotel ed eleganti terrazze sul mare.
E di certo non si sarebbe sdraiato sulla sabbia sporca di una spiaggia anonima per ascoltare qualche canzone, per canticchiare le parole degli Oasis e a lui non serviva proprio nessuna ancora di salvezza, nessun muro delle meraviglie.
Prudence si sentì definitivamente spezzata, spaccata esattamente a metà di se stessa e non avrebbe mai, mai voluto rivederlo.
A lei piaceva vivere avvolta dal dubbio, dal-chi-e-come-sarà-diventato? e ripetere il suo nome a bassa voce, aggrapparsi stretta alle lettere; a lei piaceva aprire il barattolo di borotalco, intingere le dita nella polvere e ricordarsi del suo buon odore; a lei piaceva nascondersi sotto l’ombra del loro albero grande, chiudere gli occhi, immaginarlo accanto a lei e raccontargli dello schifo di giornata appena passata e a te invece com’è andata? Ma ci pensi mai a quanto le cose possano cambiare solo per colpa di uno sbaglio?
Ma quel ragazzo, quell’attore sorridente che rispondeva alle stupide domande di un presentatore, di certo non avrebbe avuto tempo da perdere con lei e con le sue inutili parole, cosa vuoi che m’importi della tua giornata? E lo sai che la tua lettera l’ho fatta a pezzetti così piccoli che non la si potrebbe mai più rimettere insieme? E sei sparita, non ci sei più nella mia memoria, non hai lasciato traccia.
Prudence serrò le dita attorno al telecomando e lo scagliò contro lo schermo, un colpo preciso che scheggiò e fece cadere a terra il piccolo televisore.
Non pulì né raccolse i cocci, lasciò ogni cosa sul pavimento e finì di asciugarsi.
Si vestì svelta e rimirò la sua figura nello specchio.
Le bruciava la pelle il solo pensiero che lui, dannatamente realizzato e felice, potesse essersi scordato di lei.
Avrebbe voluto essere contenta per la sua promettente carriera, ma il suo sorriso sfacciato e pulito la tagliava a metà.
Lei voleva esserci, voleva egoisticamente essere presente sul suo viso, dentro ai suoi occhi, sulle sue labbra perché io e te siamo stati insieme e tu non puoi, non puoi dimenticarti tutto così.
La loro rottura non risaliva nemmeno ad un anno fa e lei non poteva sopportare quella leggerezza, quel suo rimuovere le cose, ma del resto lei cosa gli aveva fatto?
Tradito e lasciato solo e nudo in un letto vuoto.
‘Sei troppo sporca per avanzare pretese, Prudence. Sporca!’
Ma lei non avanzava pretese, lei voleva solo poter avere la consapevolezza di aver lasciato traccia, ma si sentiva invisibile, fatta di nulla.
Nessuno. Non sei nessuno.
Invisibile.
Eppure c’era, c’era al di là dello specchio una donna nascosta in una paio di jeans e una canotta blu, c’erano un paio di labbra rosso fuoco che sapevano lasciarsi baciare, e mani che sapeva aggrapparsi strette ad una schiena.
C’era.
Poteva non aver lasciato traccia, ma lei c’era.
Infilò le chiavi in tasca e, con i capelli ancora umidi, uscì di casa.
Dublino, sotto tutto quel sole, aveva perso un po’ del fascino che solo la pioggia o un cielo nuvoloso sapevano darle.
Prudence passeggiò per le strade assolate, la gente felice sui marciapiedi che la spintonava per sbaglio, osservò i turisti con le loro macchine fotografiche alla mano e si chiese quale potesse essere la loro visione di Dublino.
Si sarebbe avvicinata volentieri a domandare.
Che cosa ne pensi di questa città? Che cosa vedi? Come la vedi? Come ti sembrano i prati, a me ricordano un disegno verde pennarello fatto dalle mani sognanti di un bambino. E il sole? Non passa spesso sopra questo cielo, ma oggi somiglia ad una gelatina di frutta.
Ti piacciono gli U2? Perché devi sapere che, vicino agli ormai vecchi studi in cui erano soliti registrare, c’è un muro a loro dedicato su cui, chiunque abbia qualcosa da dire, può scrivere.
E cos’è, cos’è che ti ha spinto ad arrivare fin qui, a fotografare gli angoli di Dublino?
Le sarebbe piaciuto chiedere, provare a guardare Dublino con gli occhi dei turisti stranieri, ma tirò dritta per la sua strada e si infilò in un bar.
Comprò delle sigarette e prese un caffè, si sentiva stanca e sudata, ma non aveva voglia di ritornare già nel suo appartamento freddo, e ripulire il pavimento da ciò che restava del televisore.
Era da settimane che non usciva di casa, ed ora voleva restare sotto tutto quel sole, farsi vedere e lasciare traccia.
Esserci.
 
Restò a lungo seduta in quel bar, l’odore di birra e l’odore di caffè si confondevano, e lei fissava silenziosa l’ombra del rossetto sulla tazzina bianca e lo smalto nero sulle sue unghie, ormai visibilmente mangiucchiato.
Sentiva un lancinante fastidio dentro sé, mentre le parole di Benjamin si ripetevano confuse nella sua mente.
Nonostante il suo numero fosse ancora in cima alla rubrica del telefono, non lo avrebbe chiamato: era troppo orgogliosa per farlo.
Ci aveva provato, c’erano state notti in cui non riusciva a dormire, in cui aveva avuto bisogno di ascoltarlo parlare e si era ritrovata a fissare il suo stupido numero sullo schermo del cellulare.
Ma non era riuscita a schiacciare il tasto verde, lo aveva sfiorato appena.
«Tutto bene?» la voce del barista si intrufolò tra i suoi pensieri.
Alzò lo sguardo ed incontrò un paio di occhi azzurri che la guardavano curiosi.
«Certo.» rispose, accennando un sorriso.
Ma quella curiosità e quell’interesse la infastidirono.
Si ricordò di una notte non troppo lontana, di un altro bar e di un altro ragazzo troppo interessato, e della sua rabbia e la sua vergogna, il suo sentirsi un peso opprimente e mani fastidiose che l’avevano sporcata.
Salutò freddamente il barista e uscì di fretta.
Passeggiò per una buona mezz’ora, guardando a terra senza prestare troppa attenzione al paesaggio già fin troppo conosciuto.
Si addentrò tra le aiuole fiorite di St. Stephen’s Green, uno dei parchi più grandi di Dublino, particolarmente amato da abitanti e turisti per l’atmosfera pacifica e per il lago, dimora di oche e cigni.
Quel giorno era particolarmente affollato, Prudence si sdraiò sull’erba incredibilmente verde e accese una sigaretta.
A pochi passi da lei, una band cominciò ad improvvisare alcune canzoni dei Beatles.
Lei riconobbe subito quel riff di chitarra, riconobbe subito quella canzone che portava il suo stesso nome.
 
Cara Prudence, non uscirai a giocare?
Cara Prudence, saluta il nuovo giorno!
Il sole splende, il cielo è blu, è bellissimo e lo sei anche tu.
Cara Prudence, non uscirai a giocare?
 
 
Sorrise, tra un tiro di sigaretta ed una boccata d’aria, ascoltò quella band suonare e si aggrappò alle loro parole.
Alle parole dei Beatles.
E lei non voleva restar chiusa in una stanza, non aveva bisogno di scavare oltre se stessa per scoprire chi fosse; non aveva più tempo da perdere a pensare, nascosta tra pareti ammuffite, ad un ragazzo con gli occhi neri che ormai non ci pensava più, alla loro storia.
Stavolta avrebbe dimostrato a se stessa di saper lasciare traccia, di non essere invisibile, di potercela fare benissimo da sola.
Stavolta - e rimpiangeva di non averlo fatto prima- sarebbe uscita a giocare.
 
 
 
 
 
 
Mi vergogno assaissimo di questo ritardo, ma è un periodo un po' incasinato!
Chiedo venia!
Dunque, l'intero capitolo è un grosso missing moment dal punto di vista di Prue, ambientato poco meno un anno dopo la sfigatissima rottura con Barny.
Spero non vi abbia annoiati, comunque dal prossimo capitolo si ritorna al presente(non so ancora se dal punto di vista di Prue o di Ben)
Bene, me ne vado, ma prima ringrazio tutti voi lettori di cuore!
A presto,
C.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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