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Autore: MiyakoAkasawa    26/03/2015    2 recensioni
Fatti strani cominciano ad accadere nel mondo ma solo Evangeline sente che c’è qualcosa di sbagliato nella piuma trovata tra le mani di un cadavere; una piuma molto simile a quelle delle ali degli angeli che, morti, infestano i suoi sogni da settimane. E tutto è cominciato a causa sua, o meglio, all’anima demoniaca che è annidata nella sua da ancora prima che lei nascesse. I demoni si nascondono tra le ombre e presto molti altri sorgeranno direttamente dall’Inferno e Evangeline si troverà al centro di tutto: una guerra tra i demoni che vogliono riconquistare ciò che gli spetta, la Superficie, e la volontà di una ragazza che intende mantenere integro il suo lato umano a qualsiasi costo. Fortunatamente Evangeline potrà contare sulle forze angeliche: su Declan, anch’egli solo per una parte umano e per un’altra angelo, lo spirito di un angelo mandato direttamente dal Paradiso per uccidere Lucifero. Evangeline dovrà lottare contro la propria natura demoniaca oltre che contro i demoni che insorgono sempre più numerosi dall’Inferno, ma non sa che questi hanno molti mezzi per impossessarsi della sua anima e alla fine non tutto potrebbe andare come sperato...
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Capitolo III
Ciò che si nasconde dentro di me

 
         Passò una settimana da quando Evangeline parlò dei suoi problemi con i suoi amici e così arrivò anche febbraio. In quei sette giorni non aveva combinato niente che le avesse fruttato qualcosa. Non aveva scoperto nulla, non erano capitati altri fatti strani e il barbone con cui aveva tanto bisogno di parlare era come scomparso in qualche vicolo sconosciuto della città.
         L'unica cosa cambiata era la sua età. Due giorni prima aveva festeggiato il suo compleanno in un locale con Hellawe e Nathan: aveva bevuto così tanto che non si ricordava più come raggiungere casa sua e ora, dopo due giorni, sentiva ancora i postumi della sbornia che le fracassavano il cervello.
         Per fortuna che i suoi genitori non l'avevano sentita rientrare e andare in bagno a vomitare tutto quanto altrimenti avrebbero cominciato con i soliti discorsi da genitori: sei maggiorenne ora! Ubriacarti e tornare a casa alle quattro di notte non è il modo migliore per cominciare quella parte della vita in cui dovrai prenderti le tue responsabilità!
         Ora aveva un mal di testa da paura e una così brutta cera da passare per influenzata. Per fortuna si stava riprendendo, doveva cominciare le ricerche il prima possibile perché le sue domande non avevano ancora trovato risposta.
         La cosa positiva era che, mentre stava male, non dormiva mai così profondamente da poter sognare e, tra un ora e l'altra, quando non si svegliava con la sensazione di avere un peso sullo stomaco che la trascinava giù, riusciva a fare sonni tranquilli.
         La mattina si svegliò molto presto con il suono acuto della sveglia che le martellava nei timpani. Si stava così bene sotto il piumone invernale; era ancora avvolta dal tepore del sonno e Phobos ai suoi piedi pareva una stufa.
         Con immensa forza di volontà abbandonò quella piacevole sensazione per alzarsi ed essere subito inondata dal freddo della casa che la pungeva sotto il pigiama e le provocava fastidiosi brividi. Però non faceva più così freddo come alcuni giorni prima. Una volta passato gennaio le temperature cominciavano ad alzarsi, smetteva di nevicare e la neve caduta si congelava ai lati della strada per rimanere lì, sporca per lo smog delle auto, finché, in primavera, si sarebbe completamente sciolta sotto al sole.
         Quella giornata, che cominciava sempre in quel modo, aveva tutta l'aria di essere una giornata normale di una qualunque persona. Chissà se sarebbe successo qualcosa di diverso. Evangeline non sapeva cosa sperare di più: se voler passare un altro giorno nella più semplice monotonia, il solito tram tram, o se preferire che le accadesse qualcosa di nuovo, magari qualcosa che le mostrasse il significato di ciò che aveva visto e sentito la settimana scorsa.
         Per il momento non era in grado di pensare a niente. L'effetto che fa il troppo alcol nel sangue di una persona era quasi svanito e ora poteva, in tutta pace, andare in bagno a vestirsi, truccarsi e fare colazione come una qualunque teenager.
         Mentre camminava per i corridoio di casa come fosse una zombi vide sua madre scorrazzare avanti e indietro per cercare le scarpe giuste da abbinare al tailleur che indossava e suo padre in cucina, sui fornelli, a preparare la colazione.
         -Buongiorno tesoro- la salutò la madre un po' di fretta.
         -Buongiorno- Evangeline sbadigliò.
         Sarah Goodchild ogni mattina si svegliava prima di tutti per avere il tempo di fare la doccia, la piega ai capelli, truccarsi e scegliere come abbinare al meglio i suoi abiti di alta classe. Lavorava per una rivista di moda e di conseguenza la sua uniforme per il lavoro non era altro che stile e capi firmati.
         Suo padre invece faceva il commercialista, un altro lavoro che portava a casa grandi entrate e in cui devi farti rispettare sotto giacca e cravatta.
         Evangeline proprio non capiva cosa lei centrasse tra loro due. In che modo i geni di due persone così si erano combinati per dare vita a lei? Loro in abiti firmati, non un capello fuori posto, non un pelo della barba più lungo degli altri, e lei, felpa e anfibi e un velo di trucco nero sugli occhi.
         Evangeline arrivò in cucina: -Ciao papà-
         -Buongiorno Evangeline dormito bene?-.
         Si sedette al tavolo davanti ad una tazza di latte e cereali: -Si abbastanza. Meglio di ieri notte-
         -La testa ti fa ancora male?-
         -Un po'. Terrò un analgesico nello zaino per sicurezza-
         -Sicura? Ancora non capisco perché non sei voluta stare a casa qualche giorno. Un'altra ragazza al posto tuo avrebbe accettato l'offerta senza farselo dire due volte-
         -Papà, a me stare a casa o andare a scuola non mi cambia niente. Almeno se vado sto con i miei amici-
         -Senti ma...- si avvicinò come per non farsi sentire da nessun altro che da lei -... non è che al tuo compleanno hai fatto troppo festa?-
         Evangeline pensò alla domanda. In effetti non ricordava molto di quello che era successo -No, ho passato la serata normalmente bevendo solo un paio di drink se è questo che intendi-
         la guardò un po' sospettoso ma disse: -Va bene, voglio fidarmi di te. Hai diciott'anni ormai e ti do la mia fiducia-
         - Grazie pa- bevve dalla sua tazza.
         -Sentì...- ricominciò a parlare -Pensavo di fare già la patente-
         -Oh, be si, non è una cattiva idea, insomma, a chi non piacerebbe imparare a guidare-
         -Allora è deciso?-
         Curtis rifletté un istante -Ne parleremo meglio oggi pomeriggio con la mamma. La mattina presto non è il momento migliore per i discorsi più seri-
         -Sì, hai ragione- in effetti non aveva tutti i torni. La stessa ragazza si sentiva ancora rintronata dalla notte mezza insonne.
         Evangeline lasciò la sua tazza nel lavandino, infilò il giaccone, prese lo zaino e si preparò ad uscire quando la intercettò sua madre.
         -Eve tesoro, dormito bene stanotte?-
         -Si, insomma, come la notte scorsa-
         -Sicura? Mi sembri ancora troppo addormentata- finalmente aveva trovato le scarpe.
         -No mamma, tranquilla, sto bene- guardò l'orologio -Ma sono in ritardo, devo andare-
         - D'accordo cara ma quando esci da scuola non stare in giro. Torna a casa subito va bene?-
         -Certo- le disse quando era già sul pianerottolo -Non ho niente da fare oggi dopo la scuola, tornerò al solito orario. Ciao-
         -Ciao Eve, buona giornata- le gridò.
         Evangeline uscì dal cancello della palazzina e diresse alla fermata. Dovette fare una corsa per arrivare in tempo perché l'autobus era già quasi pronto a ripartire. Riuscì a salire quando le porte si stavano per chiudere e la voce di Aaron l'accolse.
         -Ci siamo alzati tardi oggi?-
         -In realtà no- disse seccata.
         Perché tutti gli autisti dovevano ripetere quella frase ad ogni ragazzo che arrivava all'ultimo secondo? Le dava sui nervi.
         Poteva chiedergli qualcosa riguardo all'incendio ma quella mattina non ne aveva le forze. Andò a sedersi al primo posto liberò che trovò, infilò gli auricolari dell'Ipod nelle orecchie e lasciò che quel mezzo rumoroso la portasse a scuola.
 
         La scuola era sempre noiosa. Il tempo non passava mai. Trascorrevi sei ore seduto su una sedia piatta piegato su un banco a prendere appunti e scovare nuovi metodi per evitare di addormentarti quando le ore si facevano ancora più noiose. Avevi solo venti minuti per sgranchirti le gambe e nulla di più.
         Evangeline, prima di entrare in classe, aveva visto ancora quell'antipatico di Cameron ma per fortuna lui non l'aveva notata. Se ne era andata dritta filata mentre lo osservava parlare con un altro ragazzo. Non faceva parte della sua compagnia ma chiunque fosse non le importava.
         Per le prime ore della mattina non accadde nulla finché non arrivò il tremendo momento di fare educazione fisica. Il professore di ginnastica era un tipo tutto muscoli che amava impartire ordini a destra e a sinistra in ogni momento.
         Evangeline entrò in palestra dopo essersi cambiata nello spogliatoio insieme alle altre ragazze e si scaldò i muscoli per prepararsi a giocare a pallavolo. Non le piaceva come sport: lo trovava noioso. Se proprio doveva muoversi e fare attività fisica preferiva divertirsi con qualche sport che richiedeva agilità: con il suo corpo snello e minuto era veloce ed elastica
         Il professore arrivò e mise tutti subito al lavoro.
         -Non capisco come fa a non piacerti la pallavolo Eve-
         -Hellawe non so cosa dirti. Mi annoia da morire-
         -E invece io lo trovo divertentissimo-
         Le ragazze si erano sfidate una contro l'altra in una partita perditempo amichevole. Si passavano la palle di continuo anche se a volte a Evangeline scappava. Hellawe era imbattibile in quello sport.
         -Preferirei andare a giocare con i ragazzi a calcio, almeno lì ti muovi un po'-
         -E sudi tanto-
         -Esistono le docce apposta per questo negli spogliatoi. E poi non capisco perché i ragazzi devono giocare a calcio mentre noi ragazze a questo-
         -Bè diciamo che il nostro prof è un po' maschilista-
         lo guardarono: -Non si nota sotto tutti quei muscoli- lo prese in giro Hellawe
         -Sopra tutto non sotto tutti quegli steroidi. E’ solo un palestrato pompato-
         le due ragazze ridacchiarono alle sue spalle. 
         La partita continuò ma ormai le due ragazze erano sfinite. Evangeline non faceva più caso al movimento intorno a lei tanto è vero che si prese una palla in faccia.
         Sentì dapprima la forte botta appena sotto l'occhio e poi il sedere per terra. Hellawe le corse incontro.
         -Eve tutto bene?- l'aiutò ad alzarsi.
         La ragazza si lasciò aiutare e nel frattempo vide  un suo compagno di classe venire verso di lei.
         -Scusami Evangeline, senti male?-
         La ragazza si massaggiò la guancia -No, Colin, non più di tanto-
         -Colpa mia, ho lanciato male il pallone-
         -Non preoccuparti, non è successo niente-
         Quel ragazzo era sempre un po' troppo apprensivo, si lasciava impressionare in fretta.
         -Eve stai sanguinando-
         -Davvero?- Si toccò la guancia e vide le dita leggermente sporche di sangue.
         Colin ritornò in campo con la palla stretta in mano. Nathan la guardò da lontano ma Hellawe gli fece segno che era tutto ok.  
         -Meglio se vai a sciacquarti la faccia-
         -Si d'accordo-
         -Vuoi che ti accompagni?-
         -No, non preoccuparti, faccio da sola-
         La ragazza chiese il permesso al professore che la lasciò andare. Uscì quindi dalla palestra e salì le scale diretta al corridoio che portava allo spogliatoio femminile.
Le lampade a soffitto erano stranamente spente e non c'erano finestre da cui potesse entrare un po' di luce. Faceva così freddo che a ogni respiro uscivano dal naso piccole nuvolette di condensa. Infatti i termosifoni erano gelidi. La ragazza in pantaloncini e maniche corte si sentì raggelare mentre il sudore le si asciugava istantaneamente sulla pelle.
         Evangeline si girò indietro, poi in avanti e si accorse che non c'era nessuno. Era sola, completamente. Non si sentivano nemmeno i rumori rimbombare dalla palestra; le sembrava di essere immersa in un sogno.
         Si appoggiò al calorifero e stette in ascolto ma non udì nulla; ad un tratto la testa cominciò a farle male. Prima un leggero dolore lontano all'altezza delle tempie, poi sempre più forte in ogni lato e presto ebbe la sensazione di cadere nel vuoto come quando si è a letto influenzati.
         Evangeline cominciò a sentire l’ansia crescerle dentro. Cosa mi sta capitando? Non riusciva a capire a cosa erano dovute tutte quelle brutte sensazioni. Succederà altro?
         Si allontanò dal termosifone ma si sentì la testa girare così tanto forte che dovette appoggiarsi al muro opposto. Si appoggiò ma dopo pochi istanti vide il muro liquefarsi e il proprio braccio entrare in quel liquido vischioso fino ad essere inghiottito completamente, fino alla spalla. Ritrasse il braccio così violentemente che cadde per terra. Il muro emanava una luce argentea e accecante, sembrava mercurio liquido.
         Evangeline sentì la ferita sulla guancia aprirsi ancora di più e bruciare fino a quando un rivolo rosso di sangue non gocciolò fino al mento, raggiungendo il collo e sporcandole i vestiti.
         La ragazza voleva urlare ma i muscoli e i nervi si rifiutavano di muoversi. Era bloccata sul pavimento dalla sua stessa paura o da qualunque cosa stesse animando in quel modo quel corridoio stregato.
         Le pareti tornarono scure e rigide in un secondo, come se non fosse accaduto nulla e le lampade appese al soffitto si accesero tremolando come fossero luci stroboscopiche.
         È tutto finito? L'elettricità stava tornando e presto tutto sarebbe tornato come doveva essere: normale. Evangeline lo sperava. Ancora incollata al pavimento freddo, stava riprendendo il controllo di sé e si rialzò mettendosi carponi quando accadde un altra cosa: le  luci da bianche divennero nere.
         Le luci ormai fisse divennero nere ma allo stesso tempo così accecanti che la ragazza dovette coprirsi gli occhi. Come può una luce nera essere così tanto luminosa?
         Evangeline aveva la vista annebbiata. Due forti flash le arrivarono dalla sua mente accecandola dall'interno. Non era ancora finita. Possibile che io abbia le allucinazioni? Una cosa del genere non poteva accadere realmente. E perché nessun altro si è accorto?
         Evangeline camminò avanti sforzandosi di non cadere, mettendo prima un piede e poi l'altro. Lentamente. Rimase piegata in avanti con le mani sugli occhi per proteggersi. Quei piccoli passi le costarono tanta fatica, tanto che riprese a sudare e ad avere caldo anche in quel corridoio immerso in temperature glaciali. Il fuoco le salì dalle gambe e dalle braccia diretto alla testa che le scoppiava da prima. Non si sarebbe meravigliata se i grossi goccioloni di sudore, che aveva sulla fronte, invece di scivolarle lungo il viso, si fossero trasformati in vapore.
         Ancora non capiva e non riusciva a spiegarsi quelle cose che le stavano succedendo. Non c'era niente di normale e sicuramente non era nemmeno reale. Non poteva esserlo. Il problema era lei, era la sua mente a proiettarle quelle immagini e sensazioni, ma allo stesso tempo sembrava tutto vero.
         Sentiva il dolore pungerle ogni centimetro del corpo, muovendosi sotto la pelle, insidioso come un insetto. Il fuoco che la bruciava dall'interno lasciò presto posto ad un nuovo freddo, ancora più terribile, che la pervase completamente e le provocò profondi brividi che, partendo dalla bassa schiena, arrivarono fino al collo inondando ogni singola vertebra di paura glaciale. La ragazza voleva gridare, gridare forte per chiedere aiuto ma dalla sua gola non usciva un solo sibilo. Le corde vocali erano paralizzate dalla morsa irreale del freddo che le toglieva il respiro.
         Evangeline camminò ancora, a fatica, fino a giungere nello spogliatoio. Si trovava sotto lo stipite della porta aggrappata ai lati come una moribonda, e vide lontano il riflesso di sé nello specchio appeso alla parete di fronte a lei, proprio sopra il lavandino. Doveva raggiungerlo a tutti i costi.
         Con un enorme sforzò si sganciò dalla porta e costrinse le gambe a portare il suo corpo più avanti evitando che cedessero sotto il proprio peso. Voleva poter sentire l'acqua fresca bagnarle il viso per alleviare il bruciore che provava agli occhi anche solo tenendoli aperti, voleva far smettere di sanguinare la ferita che si allargava sempre di più facendole perdere sempre più sangue e, ancora di più, voleva che tutto quello smettesse definitivamente.
         Era a pochi metri dal suo obbiettivo.  Anche se stava male e, in una situazione come quella, la cosa migliore da fare era sedersi, anche per terra, per non sforzarsi ancora di più, Evangeline non voleva cedere perché sapeva che sarebbe rimasta ulteriormente in balia di quella tempesta demoniaca. Era la paura a spingerla ad andare avanti, ma, forse, più di tutte, era l'istinto. Si sentiva come una preda braccata che sperava in un ultima via di fuga.
         Un forte colpo di emicrania la costrinse a serrare gli occhi. Si portò le mani alla testa ma perse l'equilibrio e cadde sulle ginocchia provocandosi un forte dolore. Alzò le palpebre e quando lo fece un lampo, generato dalla sua stessa mente, le accecò la vista. Per un solo istante le sembrò di vedere un’immagine, un singolo fotogramma che poi sparì. Era l'immagine di un'immensa palla di fuoco, sospesa chissà dove ad ardere, che emetteva luce come di cento soli uniti insieme. Era immenso, di proporzioni bibliche.
         Quell'immagine scomparve e Evangeline provò un ulteriore senso di inquietudine: possibile che fosse il sole bruciante del mio sogno? Giunse un altro colpo di emicrania simile al precedente e vide un'altra scena: ora la palla di fuoco era sparita ma al suo posto si vedevano solo un terreno inaridito, lava bollente che scorreva nelle profondità di enormi crepacci emettendo un calore insostenibile e l’odore di cenere e zolfo trasportati dall'aria. Non c'era un solo arbusto, un solo filo di erba secca, niente.         L'immagine svanì improvvisamente così come era arrivata e lasciò Evangeline di nuovo sola in quel bagno con le ginocchia a terra su quelle piastrelle lisce e fredde.
         Tutto questo accadde nella frazione di pochi secondi e ora la ragazza fu certa che stava sognando ad occhi aperti. Ma il fatto che sapeva di essere sveglia e sognare quelle cose la misero ancora più a disagio; stava impazzendo veramente. Sentiva il calore di quella palla di fuoco sulla pelle come se si trovasse a pochi centimetri da una fiamma, la cenere che c'era nell'aria le si appiccicò sul viso e sui vestiti mischiandosi al sudore e quell'odore pungente di zolfo le penetrò le narici bruciandole i polmoni.
         Era tutto così dannatamente innaturale; Evangeline non sarebbe riuscita a sopportare quella situazione ancora per molto.
         Mentre cercava di rimettersi in piedi arrivarono altri frammenti di sogno e ad ogni immagine poteva riconoscere sempre di più l'ambientazione macabra che tormentava le sue notti.
         Evangeline si rialzò e riuscì lentamente a raggiungere lo specchio di fronte a sé. La superficie liscia rifletteva il suo viso pallido e cadaverico come se si fosse appena trovata davanti alla faccia la morte in persona. Sembrava un fantasma.
         Evangeline si aggrappò ai bordi del lavandino davanti a lei con i rubinetti arrugginiti. Piccole gocce d'acqua cadevano dritte nel buco della tubatura che emettevano un suono metallico e ritmico; per i sensi della ragazza quel ticchettio regolare era snervante, se lo sentiva rimbombare nella testa come se fossero spari di cannone.
         Per fortuna quelle visioni era scomparse. Ora c'erano solo lei, quell'immagine riflessa e la paura che le attanagliava le viscere.
         Eccessiva pallidezza a parte, le occhiaie e quel piccolo graffio sulla guancia, la ragazza riflessa era sempre la stessa Evangeline.
         -Eve stai bene? Sto arrivando-.
         Quella voce era di Hellawe. Non doveva in alcun modo farla salire. Doveva risponderle, dirle che andava tutto bene e che presto sarebbe riscesa in campo, ma non aveva la capacità di farlo. Era paralizzata al suo posto, davanti allo specchio, ansimante.
         Se Hellawe mi sta seguendo cosa le capiterà? Temeva che potevano capitarle le stesse cose che erano successe anche a lei poco prima. Sarebbe entrata anche lei in quel vortice maledetto? Doveva salvarla finché era in tempo ma aveva anche un disperato bisogno di aiuto: non voleva rimanere sola un minuto di più.
         -Eve ci sei? Sicura che è tutto apposto?-.
         No, niente andava bene. Tra poco l'avrebbe raggiunta, sentiva i suoi passi rimbombare e la sua voce sempre più vicina.
         Ormai Hellawe doveva essere già al corridoio e allora perché non le stava capitando niente? Forse era solo Evangeline il problema, forse vedeva e provava solo lei quelle cose mentre Hellawe non le percepiva.
         Sentiva ancora più vicina quella voce che la chiamava. Era sempre la voce dolce e acuta dell'amica che la sollevò un po' ma all'improvviso accadde una cosa. Quella voce melodica scomparve e prese il suo posto un'altra voce, tremendamente grave e terrificante.
         Evangeline ebbe un sussulto. Non era più Hellawe, sembrava il lamento di un mostro.
         -E’ ora di destarsi Azrael- quel lamento si mutò in parole che ora Evangeline riusciva a capire.
         -Per lungo tempo sei rimasto dormiente, è arrivato il momento-.
         La ragazza si guardò attorno con gli occhi spalancati -Chi è? Chi sta parlando?-. La sua voce risultava isterica.
         Chiunque fosse a parlare, riprese il suo discorso -E’ giunto il tempo di svegliarsi, devi scoprire la tua vera natura, ciò che sei-
         Evangeline si girò e rigirò in ogni direzione. Guardò il pavimento e il soffitto, ogni angolo della stanza, guardò dentro tutti i bagni e le docce ma non vide nessuno.
         -Abbiamo atteso a lungo la tua venuta ed ora è tempo che tu ci apra la via per insorgere in Superficie-
         -Chi sei? Non mi spaventi sai, mostrati- Evangeline cercò di apparire il più sicura possibile ma la verità è che moriva di paura e sapeva che tutte quelle parole erano inutili. Chiunque fosse a parlare non si sarebbe mostrato ai suoi occhi e lo sperava perché, per avere una voce così, doveva avere un aspetto spaventoso.
         -Azrael, risvegliati- sibilava -Dimentica ciò che sono gli umani, dimentica le debolezze che affliggono la tua esistenza, scopri ciò che sei veramente e aiutaci a insorgere. Verremmo in tuo aiuto nell'ascesa-.
         Quella cosa l'aveva appena chiamata Azrael; ma chi era?
         -Chi è Azrael?-.
         Ma quell'essere non l'ascoltava: -Inferno e Superficie saranno un tutt'uno d'ora in poi-.
         Quella voce non aveva nulla di umano. Era ignoto e terrore puri incatenati ad un suono, una voce infernale.
         -io sono conosciuto con il nome di Dantalian. Ti stiamo tutti aspettando, Azrael, e tuo padre ha bisogno di te-.
         Ci fu un forte fischio e poi la voce, così come era arrivata, scomparve, tramutandosi di nuovo in quella dolce di Hellawe.
         Evangeline non capiva molto di quello che era successo: una creatura di nome Dantalian l'aveva appena chiamata Azrael e probabilmente era stato lui a stregare il corridoio. Facendola impazzire, ma nessuno prima di allora l'aveva chiamata così. Che diavolo significa?
         Non ci mise molto a fare due più due: Dantalian aveva appena detto che Azrael si sta svegliando e quel barbone l'altro giorno che il male sta arrivando. Il male ed Azrael erano la medesima cosa e lei era stata chiamata in quel modo. Ma non era possibile. Come potrei essere io il male? Finché a dirlo era solo un barbone poteva anche non darci troppo peso ma ora, dopo tutto quello che era successo... Evangeline si meravigliò anche solo di riuscire a pensare a tutto questo.
         Inoltre aveva parlato di Superficie e di Inferno: lei non credeva in queste assurdità religiose ma se esistesse davvero un Inferno? E chi avrei dovuto far insorgere? I demoni? I morti?
         Evangeline aveva la testa che le scoppiava ma con la scomparsa della voce tutto stava tornando alla normalità. Non avvertiva più la sensazione di pericolo. Era tutto finito, almeno per ora.
         Ancora davanti allo specchio la ragazza si stava lentamente riprendendo. In quel momento non voleva pensare a niente, voleva solo sapere di trovarsi al sicuro. Si mise dritta in piedi e si asciugò con la maglietta il viso e il collo: era completamente bagnata di sudore.
         Passò alcuni secondi a guardarsi intorno; non c'era nessuno: ma Hellawe dove sei finita? Dal corridoio non proveniva nessun suono, probabilmente l'amica non era mai salita e si trovava ancora in campo ignara di tutto ad aspettarla.
         Decise di dare  un occhiata al graffio e un sorrisino appena percettibile le si creò sulle labbra segno che era felice che tutto fosse finito. Era un sorriso nervoso e tirato ma per ora non poteva aspettarsi di meglio.
         Il taglio non era nulla di grave esattamente come si aspettava. Bruciava un po' ma bastò bagnarsi con l'acqua fresca perché passasse. Si tolse il sangue dai vestiti e dalla pelle dove era colato e si guardò: aveva ripreso un po' di colore e si sentiva bene.
         Ma non appena si toccò di nuovo il taglio giunse un altro colpo di emicrania senza preavviso e più forte di tutti gli altri che aveva provato. Evangeline svenne e si sentì riportata indietro in un tempo lontano e in un luogo ignoto della sua mente, lì dove risiedeva la cosa che si nascondeva dentro di lei da ancora prima che nascesse. Azrael sarebbe sorto dal suo sonno e la semplice Evangeline che lei stessa credeva di essere sarebbe sparita per sempre.
  
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