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Autore: tonksnape    27/03/2015    0 recensioni
Una fanfiction per immaginare un nuovo modo di stare insieme di un Mentore e di una Accompagnatrice che non hanno più motivo per sentirsi tali, ma non hanno ancora trovato un nuovo modo di vivere con se stessi e di stare vicini senza ripetere quello che hanno sempre fatto. Haymitch ed Effie fuori dal mondo degli Hunger Games.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Effie Trinket, Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 3

 

“Cosa potrebbe farle?” Peeta guardava Haymitch scegliere tra le cose di Effie ciò che voleva portare con sè e infilare ogni oggetto con sicurezza in una delle borse di Katniss.

“Tutto o niente, è imprevedibile.” Haymitch si fermò e guardò verso il gruppo di persone che era salito con lui nella stanza di Effie. Pulita, linda, impersonale. Era stato Gale, arrivato per salutare Annie, ad avvisare che Rufold era tornato al Distretto 12 e Haymitch, sapendo cosa dicevano di lui nei locali del Distretto era andato a prendere Effie immediatamente.

“Posso metterlo dentro in ogni momento, anche per una stupidaggine, se serve.” Gale era in piedi a fianco di Peeta.

“Non voglio dargli nessun motivo per rivalersi su Effie. L’ha sempre presa di mira anche a Capitol City, ma prima c’erano donne molto più disponibili con lui con le quali distrarsi.” Hamytch guardò dentro a borsa e poi andò nel bagno di Effie e lo sentirono aprire e chiudere gli sportelli degli armadi.

“Ok. Ho tutto.” Mentre usciva dal bagno con la borsa chiusa si guardò ancora in giro e poi verso Katniss e Johanna, anche loro nella stanza.

“Se serve altro vi faccio sapere. Per adesso resta da me. Anche se credo che vorrà tornare qui questa notte. Potete fare in modo di averla sotto controllo?”

“Posso dormire qui con lei.” Gli disse Johanna, appoggiata allo stipite della porta. “Ma sarebbe più semplice se ci dormissi tu con lei.”

Haymitch non vide Peeta e Gale sorridere, né Katniss spalancare gli occhi. Si limitò a guardare Johanna.

“Non ho voglia di scherzare in questo momento, Johanna. Ho passato con quella donna la maggior parte della mia vita e nonostante tutto quello che le ho fatto non è mai stata sleale. In questo momento non posso fare molto di più che proteggerla.”

“Appunto.” Si limitò a commentare Johanna senza distogliere gli occhi dai suoi.

Haymitch scosse la testa e uscì dalla porta, limitandosi a dire che sarebbe tornato per cena.

 

Haymitch non si era mai reso conto che Effie era la donna con la quale aveva trascorso la maggior parte della vita. Lo aveva detto senza pensarci, ma era proprio così. Quando Gale aveva nominato Rufold si era messo in allerta. Effie gli aveva raccontato più volte di come l’avesse infastidita e quanta fatica aveva fatto per tenerlo distante. Era stata una delle poche confidenze che gli aveva fatto, ma soprattutto era stata una delle poche volte in cui l’aveva vista agitata e impaurita. Sembrava che non ci fosse nessuno che poteva proteggerla, ma lui era troppo preso dall’alcool per occuparsi di lei.

Da quando era arrivato al Distretto 13, direttamente dall’Arena, Haymitch aveva avuto poche occasioni per poter pensare a se stesso, al suo passato e al suo presente. Ora invece trascorreva molto più tempo con i suoi pensieri. Era grato a Peeta per averlo costretto a lavorare insieme, a darsi da fare per sentire che il corpo poteva ancora sentire il dolore e il sollievo, ma non poteva farlo tutto il giorno e allora i pensieri arrivavano. Le domande soprattutto e il bisogno di cercare delle risposte. Una di queste domande era relativa a chi poteva considerare la sua famiglia, i suoi amici. Era facile pensare a Katniss, Peeta, gli altri Tributi, gli amici del 12. Ma Effie era il suo punto di domanda più grande. Aveva trascorso con lei molto tempo, aveva condiviso strategie, discussioni, scarsi momenti di felicità, molti di dolore. Continuava a ritornarle in mente.

Quando si erano incontrati per la prima volta Haymitch l’aveva vista come una nuova figurina del Distretto 1, come la solita fotocopia delle Accompagnatrici, in grado solo di eseguire il compito che era loro affidato; essere l’immagine copertina del regime. Fin da subito si era accorto però che Effie non era sciocca come chi l’aveva preceduta. Apparentemente non vedeva oltre le bugie di Panem, ma quando notava qualcosa che non la convinceva, lo ricordava e in qualche modo si era lasciata scalfire dalle incongruenze che le venivano raccontate. Con il tempo le era diventata simpatica, si divertiva a stuzzicarla e gli piaceva guardala. Sapeva di lei molte più cose che di qualsiasi altra persona: cosa e quanto mangiava o beveva, come mangiava, quali vestivi preferiva, quali colori, che espressione aveva quando si arrabbiava o si preoccupava, cosa pensava di lui, poteva anticipare cosa gli avrebbe detto e con quale tono. Anche Effie era una osservatrice acuta e riservata: doveva sapere di lui più di chiunque altro.

Arrivato davanti alla porta di casa, chiuse la mente a tutti questi pensieri (maledetta Johanna, per inciso) e chiamò Sae non appena entrato.

Sae uscì dalla cucina.

“L’ho lasciata dentro la vasca con l’acqua bollente. Ma è ferma e in silenzio da un po’. Non sono entrata perché so che non vorrebbe che lo facessi.”

“Già. Ma io sono bastardo.”

Haymitch salì le scale  con la borsa in mano e bussò alla porta del bagno.

“Effie?”

Silenzio.

“Effie? Sto per entrare.”

Silenzio.

Haymitch aprì la porta e la vide nella vasca, chiusa come un riccio con le braccia attorno alle ginocchia e con la testa appoggiata sopra. Stava guardando dall’altra parte della stanza, verso la finestra. Le tende erano aperte e si vedeva la foresta in lontananza.

“Ti ho portato uno dei tuoi profumi. Ho scelto io quello che volevo.”

“Quale hai scelto?” La voce era stanca, ma ferma.

“Agrumi.”

“Quello che ti piace.”

“Come lo sai?”

“Da come annusi il profumo quando ti sono attorno.”

Ecco, appunto. Haymitch appoggiò la borsa sulla poltrona nell’angolo della stanza e prese la boccetta di vetro.

“Mi posso avvicinare?”

A quel punto Effie si girò a guardarlo, gli occhi gonfi e rossi.

“Sono abbastanza nascosta?”

Haymitch le fece un cenno di assenso. Poteva vedere a stento qualcosa oltre le ginocchia e la schiena.

“Preferisci che chiami qualcun altro? Katniss?”

Effie negò con la testa. Haymitch si avvicinò il minimo indispensabile per lasciare la bottiglia di bagno schiuma a portata di Effie.

“Non ho trovato particolari medicine nel tuo bagno. Usi qualcosa per aiutarti a controllare la paura?”

Effie negò nuovamente con la testa. “Ho smesso il prima possibile.”

Haymitch pensò, per un attimo, che era più forte di quanto si aspettasse. Le diede le ultime indicazioni prima di andarsene.

“Porto il resto delle cose nella mia stanza, qui a fianco. Puoi usare tutto quello che ti serve. Io ti aspetto giù.”

 

Dopo aver salutato Sae, Haymitch si era fermato per cercare di preparare qualcosa di piacevole per Effie, Sicuramente della cioccolata calda, per quanto banale: questo non era un problema, sapeva farla. Ma dove metterla? Nel guardarsi intorno in cucina scoprì che possedeva un bellissimo servizio di porcellana con tanto di cioccolatiera. E anche un vassoio, forse più di uno. Cercò di fare tutto come se lo avesse preparato Effie e non appena la sentì muoversi al piano superiore portò il tutto in salotto. Dopo poco la sentì scendere le scale.

Indossava un enorme maglione scuro che doveva essere suo e dei pantaloni di panno che invece le aveva portato lui. Gli occhi erano meno arrossati.

“La maglia è tua. Avevo freddo e mi hai detto di prendere quello che mi serviva. Spero di non aver sbagliato.” La voce era ancora stanca.

“Nessun problema. Ti ho preparato della cioccolata.”

“Oh, Haymitch! Grazie!” Era sorpresa e finalmente Haymitch sentì un sorriso nella sua voce.

Le versò una tazza e mentre Effie si sedeva sul divano al suo fianco, le passò tazzina e piattino.

“Che meraviglioso servizio, Haymitch.”

“Non sapevo neppure di averlo, ma grazie.”

“No!” Haymitch si girò a guardarla sorpreso che il tono fosse un po’ di derisione, anche se lo aveva solo sussurrato. “Grazie per tutto quello che hai fatto. Offrirmi la tua casa, portarmi i vestiti, la cioccolata…la tua protezione… grazie Haymitch.” Lo sguardo di Effie era fermo sul volto di Haymitch e c’era un piccolo, insicuro sorriso sul suo volto.

“Nessuno di noi gli permetterebbe di farti del male o anche solo di offenderti, lo sai?”

Effie annuì di nuovo pericolosamente vicino alle lacrime. “Ho paura.” Effie non pensava di riuscire ad ammetterlo con tanta facilità. “Non voglio aver paura.” Stava quasi piagnucolando e per nascondere la cosa si concentrò nel bere la cioccolata.

Haymitch evitò di dire altro e rimase con lei sul divano a gustarsi la cioccolata. Per essere la sua prima opera culinaria non era male.

Fu Effie a sentire i passi che si avvicinavano. La vide bloccarsi con la tazzina vuota in mano e guardare verso l’ingresso. Haymitch le mise una mano sulla gamba, per rassicurarla e si alzò. In quel momento sentì la voce di Gale e entrambi si rilassarono.

“Haymitch?” E il campanello suonò.

“Ciao.” Prima ancora che finisse di suonare gli aveva aperto.

Con un cenno Gale entrò seguito da Johanna e andarono verso il salotto. Effie si era seduta, perfettamente eretta e rigida, come se dovessero riprenderla con una telecamera.

“Rilassati, ragazza.” Haymitch usò il solito tono arrogante. “Sono solo questi due.”

“Che amore.” Johanna si mise a sedere vicina ad Effie e le strizzo l’occhio. “Sei una donna estremamente paziente, visto quanto tempo ce l’hai avuto accanto.”

Effie deglutì e poi riuscì a farle un piccolo sorriso.

“Novità?” chiese Haymitch direttamente a Gale.

“Bah, non lo so. Mi hanno detto che rimarrà nell’ostello di Frius per altre due notti e lui ti farà sapere quando se ne andrà. Pensate che sia pericoloso?”

“Si.” Disse Haymitch.

“No.” Disse Effie.

“Scusa?” Haymitch guardò la donna come se fosse pazza. “Secondo te non rischi che ti segua, ti molesti e magari ti aggredisca se solo vi trovate lontano dalla gente? Mi sbaglio oppure ha già tentato di farlo in passato?”

Effie prese un profondo respiro. “Lo avevo trattato male in pubblico, lo avevo deriso. Voleva solo farmi vedere chi è il più forte.”

“Avresti anche dei dubbi? Sei più sciocca di quanto dimostri!”

“Haymitch, sei….” Effie si era alzata in piedi, tremante.

“Sono cosa?” Haymitch le si mise davanti. “Responsabile? Previdente? In grado di capire meglio di te cosa pensa un altro uomo? Vuoi piantarla di comportati come se fossi ancora a Capitol City?”

La fissò con rabbia. Sembrava che volesse cercarseli i problemi con quel disgraziato.

“So benissimo dove sono, grazie!” Effie si sentiva pericolosamente vicina al pianto. “So che non sono a Capitol City. Ma questo ho imparato a fare nella vita! So anche che devo cavarmela da sola. Io non ho nessuno che si occupi di me, adesso. Quindi non fare finta che ti interessi!” Ansante per la rabbia e per il dolore che sentiva Effie salì con passi decisi e veloci al piano superiore, piantando tutti in asso.

“Maledetta stupida femmina!” Haymitch diede un calcio al divano, proprio dove Effie era seduta poco prima, mentre lei era già a metà delle scale. “E’ ostinata come una capra! E altrettanto intelligente!”

Gale e Johanna rimasero in silenzio.

“Non vede che le cose sono cambiate! Non può sistemare le cose come faceva, distribuendo sorrisi e sentenze su cosa è giusto e sbagliato!” Haymitch si mise a girare per la stanza come un leone in gabbia. Agitava le braccia come volesse strozzarla. “Che razza di ostinata, cocciuta, rigida femmina!”

Gale strinse le labbra per non ridere ed evitò di guardare Johanna. Aveva visto Haymitch così fuori controllo solo quando era gonfio di alcool. Anche con Katniss, che pure non aveva quasi mai fatto quello che lui le chiedeva, non era mai arrivato ad alterarsi tanto.

“Come mai ti preoccupi tanto per lei?”

Johanna era più temeraria di lui, a quanto sembrava. Le lanciò uno sguardo di approvazione per il coraggio.

“Cosa?” Haymitch si bloccò, guardandola. “Cosa hai detto?”

“Come mai ti preoccupi tanto per lei? Se fossi io mi avresti semplicemente mandato…”

“Tu sei tu, lei è lei.” Haymitch si lanciò sul divano, ma si rialzò immediatamente.

“Sì, direi di sì.” Johanna fece un sorrisetto ironico.

“Quel mostro di donna,” continuò Haymitch alzando la voce per farsi sentire fino al piano superiore, “quel mostro di donna, “ripeté alzando un braccio verso il ballatoio che portava alle stanze da letto, “ha passato anni e anni a ripetermi che ero un ubriacone disgraziato e un imbecille della peggiore specie, ha passato anni a ripetermi che mi stavo uccidendo e a fare in modo che mi sistemassi almeno per fare il mio misero e ottuso ruolo di Mentore per quei disgraziati che arrivavano all’Arena.” Haymitch si girò direttamente verso il ballatoio. “Tu, maledetta bionda, ti sei presa cura di me per anni e adesso che provo a ricambiarti mi dici che non serve?”

Scese il silenzio.

“Allora, bionda, non hai nulla da dire?”

Gale e Johanna si spostarono verso il fondo della stanza.

“Pezzo di …, stupido uomo!” Effie apparve sul ballatoio con le mani sui fianchi e gli occhi lucidi. Forse le colava anche il naso, ma riusciva ad insultare con grazia. “Nessuno ti obbliga a prenderti cura di me, non lavoriamo più insieme!” Effie afferrò con forza il legno del ballatoio. “Piantala di fare finta che siamo ancora alleati per far vincere qualcuno. Io non sono niente per nessuno, adesso!”

Johanna chiuse gli occhi sentendo l’eco di quelle parole dentro di sè come se esplodessero tutta la loro verità anche per lei.

“Ma che diavolo….” Haymitch abbassò di colpo la voce, cercando di capire. “Che ca… centra essere alleati adesso? Non lo siamo da…. Da oltre un anno? Anzi, da quanto è iniziata l’Edizione della Memoria!” Riprese ad urlare. “Non ti passa proprio in quel piccolo cervellino biondo che forse se ho fatto il diavolo a quattro per portarti viva fino a qui un minimo, almeno un minimo, desiderio di esserti amico da qualche parte ce l’ho?”

Effie si bloccò e lo guardò e balbettò “Scusa?”

Continuando a guardarla iniziò a salire le scale due gradini alla volta mentre parlava con tono irritato. “Ricapitoliamo: tu,” e puntò un dito verso di lei, “e io” e si infilò letteralmente un dito nello sterno fermandosi in cima alle scale, “abbiamo passato un mucchio di tempo insieme e io non mi sono mai, dico mai, comportato in modo particolarmente gentile. Non era necessario. Tu eri parte del nemico, eri parte di quelli che mi avevano distrutto la vita da quando sono nato.”

Effie spalancò gli occhi.

“Poi mi sono reso conto che tu non eri poi così stupida come le altre oche con cui avevo dovuto lavorare e che sparavano sentenze sulla mia gente e il mio Distretto. Avevi qualche stupida idea che non volevi cambiare, ma almeno mi stavi ad ascoltare. Quanto ero sobrio, cioè per poco. Ci tenevi a quei poveri ragazzi mandati al macello. E vedevi qualcosa oltre il magico mondo di Panem. Mi eri anche simpatica a volte.”

“Grazie.” Effie aveva un tono sarcastico.

“Quando ero sobrio.” Stesso tono sarcastico. “Gli amici sono l’unica cosa che mi resta nella vita. E, spiacente bionda, ma tu ne fai parte. Adesso sei qui e qui ne so più di te su quali sono le regole da tenere, chiaro?”

Effie lo fissò a lungo. “Come se potessi fare altro.”

Erano le parole con le quali chiudevano spesso le loro solite discussioni prima di ogni inizio degli Hunger Games, solo che i ruoli erano invertiti. Allora Effie comandava e Haymitch faceva finta di eseguire.

“Fine dello spettacolo.” Haymitch si girò verso Gale e Johanna ancora fermi in salotto. “Ci rivediamo a cena, la porto io questa qui.” Era un chiaro congedo e i due uscirono senza dire altro.

Calò immediatamente il silenzio. Rimasero a guardarsi per qualche secondo e poi Haymitch scese le scale e si mise a riordinare il salotto, senza dire altro.

“Haymitch…”

Si girò a guardarla. Era seduta a metà delle scale, le braccia che circondavano le gambe, stretta come un riccio. Aveva il mento appoggiato alle ginocchia e lo guardava senza piangere.

Lui si appoggio contro lo stipite della porta della cucina, con le braccia conserte. In ascolto.

“Grazie.”

“Grazie a te.”

  
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