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Autore: IleWriters    27/03/2015    2 recensioni
[Storia scritta con Misery007]
Capelli biondi e occhi blu. Capelli neri e occhi viola. Le due gemelle Ilenia e Misery non potrebbero essere più diverse. Nate sotto l'influsso di una cattiva stella, entrambe sono costrette a convivere con un'immenso dolore. Una per via di un dolore che pian piano, segretamente, le sta divorando l'anima. L'altra per la malattia e le sue conseguenze. Una dovrà essere la luce per l'altra. Una le tenebre. I due ragazzi che hanno fatto breccia nei loro cuori dilaniati ce la faranno a salvarle? O le gemelle si autodistruggeranno prima?
Genere: Comico, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Armin, Castiel, Dolcetta, Nathaniel, Un po' tutti
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo IV - It's really a bad day (part II)


 

Rientro in casa dopo aver salutato il professore e vado a mettere a posto il quaderno e l'astuccio. Oggi abbiamo parlato della letteratura italiana, più precisamente di Dante, e siamo arrivati a quando lui entra all'Inferno, quindi il canto III. Così riprendo il quaderno e rileggo la parte dell'entrata all'Inferno.

 

PER ME SI VA NE LA CITTÀ DOLENTE,
PER ME SI VA NE L'ETTERNO DOLORE,
PER ME SI VA TRA LA PERDUTA GENTE.

 

Io non sarò nella città dolente, ma ehi, anche io sono all'Inferno in un eterno dolore.

 

«Benvenuto a bordo, amico» mormoro alla fotocopia del volto di Dante sul quaderno.

«Con chi stai parlando?» chiede la mamma mentre entra in cucina.

«Chi? Io? Oh con nessuno» tiro fuori il mio solito sorriso e metto di nuovo via il quaderno.

«Com'è andata la lezione?» me lo chiede con un sorriso. «Avrei voluto tanto impararlo anche io» lo dice con aria dispiaciuta.

«Beh potevi fare lezione con me» sorrido, poi mi ricordo della sua prima domanda. «Comunque è andato tutto bene» sorrido e guardo papà entrare.

 

Non mi chiede nulla, ma sapeva che ho lezione di italiano, a pranzo glielo avevo detto e lui aveva annuito, ma forse annuiva a quel tipo con cui sbraitava in inglese tramite Bluetooth, così faccio un piccolo sospiro rassegnato e anche deluso e esco dalla cucina, meglio andare nella mia stanza degli hobby.

 

 

Apro la prima porta a destra del primo piano e accendo le luci, nonostante la stanza sia rischiarata dalla porta a vetri che porta sul piccolo terrazzo, le luci dei tre lampadari avvolti come delle lanterne tonde, a cui io sopra vi ho spruzzato la vernice spray rosa con i brillantini, rischiara dolcemente la grande stanza dalle pareti color bianco avorio con una striscia rosa che va dal pavimento sino ad altezza del mio polpaccio. Mi ricordo che il giorno prima mi ero promessa di mettere il mio computer nuovo al suo posto, così prendo la scatola del Mac e mi avvio alla destra della stanza, dove c'è la mia scrivania in legno di ciliegio e ci poggio sopra la scatola che apro delicatamente, il Macbook è bianco con l'inconfondibile logo della Apple, sorrido e lo tiro fuori insieme alla piccola bustina che lo copre, poi tiro fuori anche il caricabatterie prima di lanciare la scatola vuota sul divano in pelle nero a quattro posti. Poggio il PC sulla scrivania, sotto la mia TV al plasma da 84 pollici, un regalo dei miei nonni materni più il nonno paterno per i miei diciotto anni. Sorrido pensando al nonno Louis, il padre di papà, ha due occhi autoritari color nocciola e i capelli ormai sono pepe e sale, ma un tempo erano corvini. Sembra un tipo associale ma appena mi vede lo sguardo gli si illumina, mi ha sempre viziata e coccolata, al contrario di Claudine e Pierre, i genitori della mamma. Non ne capisco il motivo, ma non mi hanno mai sopportata, ma d'altronde io non ho mai sopportato loro, i loro modi snob e altezzosi, il loro credersi perfetti e quindi di poter sputare veleno sugli altri. Infatti appena sono entrata nella preadolescenza ho smesso di chiamarli nonni e ho iniziato a chiamarli con i loro nomi, quando l'ho fatto la prima volta Claudine mi ha guardata con i suoi piccoli occhi viola e storgendo il naso, mentre Pierre prima mi ha scrutata con i suoi occhi di ghiaccio con le ciglia lunghe e nere, e senza batter ciglio si è voltato per riprendere la conversazione con la mamma. Ma ho sentito bene Claudine sussurrare.

 

«Tale padre, tale figlia, lei è tutta razza Dorian, non ha nulla di noi Dubois» poi è tornata a parlare con il marito e la mamma, sistemandosi i capelli grigi tenuti su dalla crocchia.

 

Non hanno mai sopportato nemmeno papà, e mi chiedo il perché. Mi blocco a quel pensiero, perché non sopportano papà? Per poco non mi cade il caricabatterie di mano, quando mi rendo conto che io non conosco così a fondo mio padre, il sangue del mio sangue, l'uomo che ha contribuito a mettermi al mondo. Mi sento quasi spezzare da quella rivelazione. Io non conosco mio padre e mia sorella.

Metto giù il caricabatterie e accendo la TV, sedendomi sulla poltrona a bolla di plastica color rosa fluo trasparente, una di quelle che dondolano perché una catena dipinta di argento la tiene attaccata al soffitto. Mi lascio affondare nel cuscino nero e ne abbraccio uno rosa mentre con un piede mi do una leggera spinta iniziando a dondolare dolcemente.

Stringo il cuscino e guardo la lampada situata sopra il divano, lascio che la luce mi faccia lacrimare gli occhi prima di distogliere lo sguardo. Io non conosco papà e lui non conosce me, e non c'è mai stato, non c'è stato al mio primo saggio di danza, tutte le volte che avevo la febbre, i miei primi giorni di scuola o al mio diciottesimo, dove mi ha fatto una telefonata di appena cinque minuti per dirmi tanti auguri e passarmi Missy così che ce li facessimo a vicenda.

In quel momento una piccola vocina bastarda mi sussurra cosa crudeli.

 

«Non ha cercato un posto più vicino»

«Non vi ha proposto di venire con loro»

«Tu non varrai mai quanto Misery per i tuoi genitori»

 

Così mi prendo la testa tra le mani e soffoco un singhiozzo, sono vicina a urlare “Zitta! Zitta! ZITTA!” quando sento che le mie braccia vengono bagnate dalle mie lacrime. Apro gli occhi e guardo la piccola goccia nera scorrere lungo il mio avambraccio. Nera. Come le tenebre che sento divorarmi dentro e che spero che presto mi sovrasteranno, annientandomi, distruggendomi e spazzandomi via come polvere.

Fermo la poltrona e mi alzo, dirigendomi verso la porta di legno dipinta di bianco e entro nel bagno blu con cui la mia stanza, grazie alla suddetta porta che ho fatto mettere, comunica.

 

 

Mi guardo allo specchio, delle righe nere mi solcano le guance, gli occhi sono rossi e gonfi, rispecchiando la ragazza che tengo nascosta sotto la polvere di solarità che mostro a tutti. Ci vorrebbero i sottotitoli per conoscermi meglio, ma siccome per le persone non esistono, tutti conoscono solo la parte che voglio far conoscere. Perché io vorrei essere coccolata ma odio la pietà.

Sospiro e mi sciacquo la faccia con il sapone, per cancellare quelle righe di tenebra che sono fuoriuscite da me e cercando a tentoni l'asciugamano mi asciugo via tutto.

Mi riguardo allo specchio e riecco la ragazza piena di luce e solarità, talmente tanta che potrei anche donarla, secondo alcuni. Poveri illusi.

Mi abbasso e apro lo sportello del mobiletto, dove trovo una dei miei sacchetti con dentro dei trucchi di emergenza, così mi rimetto il trucco e stavolta metto pure un rossetto rosso intenso. Sorrido al mio riflesso e sento un vociare provenire dalla mia stanza.

 

«Questo è un fottuto paradiso!» esclama una voce maschile

«Armin andiamo! Lo vedi che Ilenia non c'è?» dice seccata una seconda voce, sicuramente quella di Alexy. «Armin andiamo a vedere dov'è Misery, scollati da quella vetrinetta!» esclama Alexy

«Aspetta, non vedi che sto leggendo?» gli risponde Armin.

 

Io mi affaccio dal bagno e vedo Alexy guardare Armin con un sopracciglio inarcato prima di prenderlo per l'orecchio. Mi chiedo com'è che ancora il moro abbia le orecchie attaccate alla testa, dato che il gemello gliele tira sempre. Eppure mi sembrano più affiatati di me e Misery, ma è normale, loro sono cresciuti insieme.

 

«Tu? Che leggi? Ma non dire stronzate, razza di cazzone» gli dice tirandolo per l'orecchio, ma appena mi nota si affretta a lasciarglielo e mi viene incontro. «Oh allora ci sei» sorride e mi abbraccia.

 

Io mi irrigidisco, non amo molto che degli sconosciuti invadano così il mio spazio personale. O almeno non lo amo dai miei quindici anni. Così lo guardo.

 

«Ero nel bagno» gli dico indicando la porta bianca aperta con la testa.

«Capito, tua mamma ci ha detto che potevamo trovarti qua» mi dice Alexy lasciandomi andare e sorridendo. Ma cos'ha? Una paralisi facciale?

 

Io fanno un cenno di assenso con il capo e guardo Armin, intendo a sbavare guardando la mia collezione di videogiochi, così mi avvicino a lui e alla mia vetrina in stile povero in legno di ciliegio.

 

«Ti piace quello che vedi?» gli chiedo sorridendo.

«Porco Templare sì!» esclama lui indicando la prima mensolina in vetro in cui tengo esposti tutti e sette le custodie dei CD di Assassin's Creed, gli ultimi due per la Xbox One mentre gli altri cinque per la 360. «Quindi anche tu sei una fan di Assassin's Creed» dice sorridendo mentre guarda la terza mensolina dove tengo le statuette che ho preso insieme ai videogiochi, le enciclopedie dei giochi e i libri.

«Ovviamente sì, ma me li sono fatti recapitare dall'Italia, così come i gadget» sorrido.

«Quindi è tutto in italiano?» mi chiede leggermente deluso.

 

Io rido e annuisco, mentre vedo il suo sguardo deluso, poi guarda la TV appesa al muro, con accanto le casse per creare l'effetto cinema una volta attaccate alla TV.

 

«Giochi con quelle attaccate alla TV?» mi chiede Armin

«Ovviamente» rido mentre lui torna a sbavare sui miei giochi

 

Così mi giro verso Alexy e lo avviso che andrò a chiamare Misery.

 

 

Il mio passo adesso è leggero, come quando ballo sulle punte, mi succede sempre con ospiti in casa, divento più leggera di una farfalla.

Entro in mansarda e sorrido.

 

«Hey Misery, ci son...» solo adesso mi accorgo di Castiel, notando la sua capigliatura rossa con la coda dell'occhio, così mi giro e gli sorrido, un sorriso sincero, che solo lui mi suscita. «Ciao Cass… dunque dicevo… a sì, ci sono i gemelli giù» mi giro nuovamente verso mia sorella sorridendole.

«Ottimo, falli salire» mi dice restituendomi un sorriso e sistemandosi l'abito.

«Hem… La vedo un po’ difficile la cosa, Armin si è paralizzato a vedere i miei videogiochi» le dico in tono rassegnato

«O santo cielo» ha un tono contrariato mentre scuote la testa. «Armin è incorreggibile. Tranquilla scendo io e cerco di farlo tornare in se» mi rassicura mentre spegne lo stereo.

 

 

Mentre scendiamo le scale noto lo sguardo sconfortato di Misery mentre studia Castiel, la cosa mi fa sospettare che le abbia detto qualcosa che non doveva. Così mentre mi riprometto di domandare a entrambi che cavolo è successo, apro la porta di acero che porta alla mia stanza.

 

 

Armin è ancora piantato davanti ai videogame, mentre Alexy guarda la parte di stanza dove ho fatto applicare degli specchi a tutta parete. Sono tre specchi, il primo parte dalla sinistra della porta di entrata e occupa tutta la parete, e davanti a pochi centimetri di distanza c'è una sbarra nera in metallo che arriva sino alla fine della parete. Il secondo specchio occupa la parete di fronte alla TV e a terra si trova un borsone nero con sopra delle scarpette di danza classica cucite con del filo bianco, mentre il terzo specchio occupa lo stesso spazio del primo. Dove ci sono gli specchi a terra c'è del parquet in legno chiaro. Quello è il mio angolo della danza, dove smetto di essere Ilenia la solare e lascio che la danza esprima tutto il mio dolore. Sorrido mentre Alexy sbava sullo stereo nero con dei dettagli viola della sony, quello da 2400 watt e sopra lo stereo si trova il disegno di due scarpette rosa con la punta di gesso, le punte sono tirate e i loro nastri si intrecciano in modo tale da formare un cuore, al cui centro c'è una mia foto di quando avevo sei anni, al mio primo saggio di danza, con una crocchia laccata e un body rosa con la gonnellina svolazzante del medesimo colore.

Sorrido, ricordando che la danza era la sola cosa che mi distraeva dal vuoto che papà e Misery avevano lasciato nella nostra enorme villa.

Missy entra e si fionda verso la libreria, sempre in legno di ciliegio, che si trova tra lo stereo e la porta a vetri. Legge i titoli e poi si gira a guardarmi.

 

«Sono tutti in italiano» constata lei, sorridendo.

 

Io annuisco e guardo il mio migliore amico buttarsi sul divano in pelle mettendo le scarpe sui braccioli. La cosa mi ha sempre fatta incazzare e anche di brutto.

 

«Castiel! Togli quei cazzo di piedi dal mio divano e presentati!» esclamo avvicinandomi al divano con aria stizzita.

«Salve, mi chiamo Castiel Vincent e sono il migliore amico di Ilenia» dice lui levandosi il giacchetto e buttandolo nella poltrona appesa vicino al divano, senza togliere quelle fette di piedi dal mio fottuto divano.

«I piedi! Porco Cesare!» dico sollevandogli le caviglie con una mano.

 

Lui per tutta risposta fa un sorrisetto da bastardo e inizia a fare forza con le gambe, così io mi aiuto con l'altra mano e gliela pianto sulle cosce, alzandogli di più le gambe e facendolo sgusciare leggermente in avanti, così la maglia si alza mostrando gli addominali abbronzati di Castiel.

 

«Porca puttana» mormora Alexy, e io lo vedo con lo sguardo adorante verso gli addominali del mio migliore amico.

 

Mi sembrava leggermente gay, ma pensavo fosse solo un ragazzo a cui piace la moda, dato che ne esistono molti. Sorrido mentre tengo su le gambe del rosso. Ora una mia mano tiene i suoi polpacci e l'altra lo tiene a inizio coscia.

 

«He-hem! Gigante! He-hem! Gigante!» tossicchia Missy in italiano.

 

Io riconosco la parola gigante, che nel nostro linguaggio segreto vuol dire “papà” così mi giro e lo vedo.

E' sulla porta, con le braccia incrociate al petto e le saette che gli fuoriescono dagli occhi, si avvicina lentamente. Brutto segno per me.

 

«Ilenia, cara, chi sarebbe il ragazzo sul divano?» mi chiede guardandomi, o meglio, fissando la mia pancia scoperta, dato che alzando le braccia pure la canottiera si è alzata, lascio subito andare le gambe di Castiel, che lui apre lasciandole cadere accanto ai miei fianchi.

«Lui è Castiel papà» noto che adesso il rosso si è tirato a sedere, tenendosi su con le mani appoggiate dietro di se, sul divano.

«Salve signore» dice Castiel

«E dimmi, tu tutti i tuoi amici li prendi per il culo?» mi chiede papà.

«Beh sì» rispondo senza pensarci. Mossa sbagliata, ora papà ha le fiamme negli occhi. Mi affretto a correggermi. «Cioè! Nel senso che li prendo in giro! Ovvio che non li prendo per il culo! Pf! Ma dai! Che cosa ridicola!» e faccio un sorriso nervoso.

«Tua madre lo conosce?» mi chiede. Ma che razza di domande stupide mi fa?

«Oh sì, la signora Amandine mi conosce» risponde Cass. «Sua moglie è una gran donna» dice Castiel.

 

Papà ha gli occhi fuori dalle orbite e Misery sta per sputare un polmone tanto tossisce.

 

«He-hem! Vulcano in eruzione! He-hem!» tossisce forte, sempre parlando in italiano, e io metto a tacere Castiel con una gomitata in pieno stomaco, che lo fa di nuovo stendere sul divano.

«Intende dire che è una gran brava donna, papà» ma lui già non mi presta più attenzione, dato che si è voltato verso Misery.

«Tesoro, stai bene?» le chiede con voce gentile.

 

Lei annuisce e gli dice che aveva la saliva di traverso, ma io già non li ascolto più. Papà ha perso interesse per me appena Misery ha tossito la seconda volta, sono sparita dalla sua vista tanto quanto velocemente ci sono entrata. Sento Castiel tirarsi su e guardarmi, per poi sussurrarmi all'orecchio.

 

«Ti sei rabbuiata, hai paura di tuo padre?» mi chiede.

 

Io scuoto la testa e gli sorrido, per poi andare verso la poltrona e toglierci da sopra la giacca del mio amico.

 

«E la porta resta aperta» mi informa papà.

«Sì sì, certo» gli rispondo con voce leggermente fredda e mi volto a fissarlo negli occhi.

 

Lo vedo intristirsi mentre esce dalla stanza, scoccando un bacio sulla fronte di Misery prima di uscire. Ho sperato vivamente che lo facesse anche con me, invece si è semplicemente voltato, andandosene. Come se io non fossi sua figlia. Così lancio la giacca a Castiel.

 

«Giù quei cazzo di piedi» gli dico prima di scostare la tenda con stelle di plastica, ognuna con un colore dell'arcobaleno e aprire la porta di vetro, uscendo sul balcone.

 

Lascio che la brezza pomeridiana mi accarezzi dolcemente, mentre mi siedo sulla sedia di metallo, guardando la piscina che abbiamo sul retro della casa. Quante volte avrei voluto annegarmici dentro, poi pensavo alla mamma, e mi trattenevo dal farlo. Ma tante volte avevo immaginato il mio corpo immerso nell'acqua, con i capelli fluttuanti e la pelle bianca e cadaverica, le labbra bluastre. Mi passo una mano nei capelli e caccio via quei pensieri, guardando il cielo.

Sento un odore vanigliato arrivarmi alle narici e mi giro verso Misery.

 

«Ehy» sorride e si siede sulla sedia vicino alla mia.

«Ehy» le dico. «Che ti ha detto Castiel, prima che arrivassi io?» le chiedo.

«Pensava fossi tu e ha detto che hai un gran bel culo, beh in realtà ha detto che io ho un gran bel culo, ma parlava di te quindi l'ha detto a te... Oh vabbé! Hai capito» dice incrociando le braccia sotto al seno.

 

Io la guardo, lei ha lo sguardo serio, provo a reggerlo, ma non ci riesco e scoppio a ridere buttando la testa indietro e battendo una mano sul bracciolo in metallo della sedia. Immagino che Misery non sia abituata al genere di ragazzi come Castiel, che fanno sempre allusioni al sesso e ti fanno i complimenti più volgari. Ma ormai io con Castiel sono abituata, per questo gli voglio bene. Se un vestito mi sta male non si fa di certo scrupoli a dirmi che quel vestito mi fa il culo come una mongolfiera, o i fianchi di una balena, certo io dopo gli tengo il broncio, offesa, ma dopo mi passa subito e salto sulla sua schiena, facendomi scarrozzare per mezzo centro commerciale. Mentre penso a Castiel mi accorgo che lui ha più o meno colmato la mancanza di mio padre. In lui io ho sempre visto il mio punto di riferimento. Lui era al mio primo saggio di danza e c'è stato a tutti quelli seguenti. Lui c'è sempre stato quando stavo male. Lui è quello che ha picchiato il primo ragazzo che mi ha spezzato il cuore, lui mi ha insegnato a guidare il motorino, la moto e la macchina. Mi ha insegnato a fare persino le impennate, okay forse un padre questo non lo insegna, ma ehy, sono fighe le impennate! Insomma lui c'è sempre stato, come io ci sono sempre stata per lui, anche quando stava con Debrah e ci aveva abbandonati, io avevo continuato a cercarlo, e quando lo aveva lasciato io ero lì, pronta a fargli da psicologa.

A distogliermi dai miei pensieri è Armin, che esce con in mano la custodia di “Resident Evil 6”

 

«Hai ancora la 360?» mi chiede sorridendo.

«Ma certamente» sorrido e mi alzo, tornando dentro. «Però la devo ricollegare alla TV» gli dico mentre mi avvicino alla vetrinetta con i videogiochi e sulle altre mensole varie foto di momenti della mia vita. La mia prima comunione, la mia cresima, il mio primo saggio di danza con le punte, lì sì che me la facevo addosso, era la prima volta che ballavo davanti a tutti senza le mezze punte, e ancora non riuscivo a girare e camminare bene sulle punte di gesso. Ma tutto sommato riuscì a non cadere, al contrario di un'altra bambina. Certo sono tornata a casa con i piedi rossi e gonfi, ma ero felice.

Apro gli sportelli che sono alla base della vetrinetta e tiro fuori la console nera e i due telecomandi, e vedo Castiel che stacca la One e la toglie dal piccolo ripiano sopraelevato che ha la mia scrivania, e la mette delicatamente sotto la scrivania. Poi io mi accingo a passargli la 360 e lui mi sorride mentre attacca i fili alla TV.

Io prendo posto sulla poltrona appesa, mentre Castiel spegne le luci e Armin accende la console e la TV, con fare molto esperto. Sorrido, pensando che probabilmente non ha mai guardato una ragazza come guarda le console.

Castiel si siede sul lato del divano accanto alla poltrona in cui mi trovo io, e accanto a lui si fionda Alexy, con sguardo sognante, non so perché, ma credo che Alexy si stia immaginando sposato con Castiel e con tanti mini Castiel e Alexy che girano per casa. La cosa mi fa ridacchiare mentre Armin prende posto accanto al gemello e passa il secondo telecomando della console a mia sorella, che si siede accanto a lui.

 

«Ma io non so giocare!» esclama Misery

«Tranquilla, te lo dice il tutorial a inizio gioco» la rassicura il moro.

 

Così io gli dico che il profilo di Misery che avevo creato è vuoto e senza nessun salvataggio, lui annuisce e sceglie il profilo con l'avatar dalla pelle chiara e i capelli lunghi e neri. Vedo Misery sorridere mentre Armin avvia il gioco.

 

 

Così abbiamo passato il pomeriggio a giocare la campagna di Leon, passandoci i telecomandi quando qualcuno muore. Ovviamente Misery e Alexy sono quelli che sono morti più volte. Entrambi urlano come galline e fanno correre in cerchio il personaggio appena uno zombie fuoriesce all'improvviso, invece che prendere la mira e sparare. Mentre io ho lasciato morire Castiel tutte le volte che lui mi ha lasciata senza munizioni, prendendosele tutte per se, con la scusa che senza munizioni mica potevo aiutarlo. Mentre tra me e Armin abbiamo fatto gran parte del capitolo giocato, finché Castiel non si stufa e mi copre gli occhi, facendomi morire e quindi passare il telecomando a Misery o Alexy, già perché Castiel non vuole Helena, lui vuole il maschio, Leon, quindi aspetta solo che Misery e Alexy lascino Armin morire, dato che vanno in preda al panico perché si ritrovano circondati da mostri, peccato che abbiano lasciato morire molte volte anche lui, provocando le sue imprecazioni contro i fifoni.

 

 

Quando mamma ci viene a chiamare per cena, dicendoci che i genitori dei gemelli sono arrivati, io e Armin abbiamo appena finito il capitolo 4 di Leon.

 

«Ah-ah!» esclamo. «Io ho preso la S di super e tu solo la A» gli dico vittoriosa, mentre vado ad accendere le luci e spengo la console.

«Pf» bofonchia lui. «Ti ho lasciata vincere, per educazione» dice lui.

«Certo certo, sognatelo» dico ridendo.

«Voi e i videogiochi» dice la mamma sconsolata, poi guarda Castiel e gli sorride. «Castiel caro, resti per cena?» gli chiede. In realtà sappiamo entrambi che ha già apparecchiato anche per lui.

«Se non sono di disturbo» dice lui, con fare ruffiano. Che leccaculo.

«Sai che non lo sei! Quindi resti a cena, e ora tutti a tavola!» esclama la mamma sorridendo e tornando di sotto.

 

Tutti si alzano dal divano e si sbrigano a scendere di sotto. Io li seguo e ripenso a com'è iniziata questa giornata. Non bene, non è proseguita meglio e sono sicura che succederà anche qualcos'altro, come sono sicura che a Castiel serviranno massimo 1000 quadrifogli, appena papà scoprirà che resta a cena.

 

 

-<>-*-<>-

 

 

Quando papà esce dalla stanza degli hobby di Ilenia le ordina di tenere la porta aperta o meglio, come sbraita lui, spalancata. Io sono sempre stata iperemotiva, infatti non è mai un mistero cosa provi e nella vita non sono mai riuscita a nascondere un emozione, ci ho provato molte volte però non ci sono riuscita non fa per me. Oltre a questo sono pure estremamente empatica e riesco a percepire ed ad immedesimarmi a pieno in ciò che provano gli altri, per questo non appena papà se ne è andato ho notato subito una piccola luce spegnersi negli occhi di Ilenia. Solo ora mia rendo conto che in realtà in questi lunghi tredici anni io ho conosciuto ben poco della mia sorellina e che tutte le volte che mi ha detto di stare bene in realtà forse non era così. Ricordo che i primi anni tra di noi erano frequenti le video chiamate tramite Skype. Ricordo i suoi sorrisi, uniti alla sua dolcezza che mi colpiva dritta al cuore, con i suoi "mi manchi tanto" e i suoi "ti voglio bene Missy" erano le uniche cose che mi spingevano a continuare le cure. Poi però con gli anni e le terapie ho cominciato a perdere i capelli per questo mi rifiutavo di risponderle con la webcam, le dicevo che si era rotta e che papà doveva andare a comprarne una nuova, ma che non aveva mai tempo. Poi col passare del tempo però anche lei smesse di accendere la webcam e le chiamate diventarono soltanto vocali e, a poco a poco, con gli anni sono diminuite diventando da chiamate un giorno sì e un giorno no a chiamate rade una volta a settimana. Noi siamo gemelle e abbiamo un forte legame emotivo che soltanto due gemelli possono avere, riusciamo a capirci al volo, ma tutto sommato il nostro rapporto è stato spezzato e non potrà mai essere come quello di Armin e Alexy che hanno vissuto tutta la loro vita insieme. Tutto sommato però sento che lei ha bisogno di me e in qualche modo dovrò tentare di aiutarla, glielo devo per tutte le volte in cui non ci sono stata. Sono immersa nei miei pensieri mentre, in silenzio, mi dirigo a tenerle compagnia sul balcone vedendola seduta su una sedia di metallo lavorato mentre guarda il vuota immersa nei suoi pensieri.

 

«Ehy» Provo a dirle sorridendo e sedendomi sulla sedia vicino alla sua.

«Ehy» Mi risponde con un sorriso sulle labbra come se quello che la turbava non importasse. «Che ti ha detto Castiel, prima che arrivassi io?» Mi chiede cercando di evitare qualsiasi domanda parlando per prima.

«Pensava fossi tu e ha detto che hai un gran bel culo, beh in realtà ha detto che io ho un gran bel culo, ma parlava di te quindi l'ha detto a te... Oh vabbé! Hai capito.» Dico incrociando le braccia sotto al seno lievemente stizzita e con tono serio.

 

Lei mi guarda, io ho lo sguardo serio e lei scoppia a ridere buttando la testa indietro e battendo una mano sul bracciolo in metallo della sedia. Io non sono abituata a commenti del genere ed ero irritata ed imbarazzata da quello che quel ragazzo aveva detto eppure a lei sembrava divertire, la cosa mi è decisamente poco chiara. Era imbarazzante e persino irritante ciò che quel ragazzo mi aveva detto con così tanta indifferenza, eppure a lei sembrava divertire la cosa. Mentre sta ridendo le sorrido, ma poco dopo noto nuovamente quell’aria assente nei suoi occhi e mentre sto per dirle qualcosa vedo Armin, che esce con in mano la custodia di un videogioco in mano, o almeno credo che lo sia dato che io non ne ho mai avuti e non ne ho mai usati in vita mia.

 

«Hai ancora la 360?» Le chiede sorridendole con quel suo suo sorriso che ogni volta mi scioglie il cuore, annullando così ogni mio possibile tentativo di parlare.

«Ma certamente.» Dice lei sorridendogli ed alzandosi tornando poi dentro la sua camera degli hobby. «Però la devo ricollegare alla TV.» Gli dice mentre si avvicina alla vetrinetta con i videogiochi dove tiene un sacco di foto di avvenimenti che ha vissuto, certo che lei ha fatto così tante esperienze, lo notavo anche ieri in camera sua con tutte quelle foto appese al muro e sulla scrivania, lei ha avuto tutto io invece non ho avuto nulla, nemmeno il ragazzo che mi piace si è mai accorto della mia esistenza. Penso osservando tutte quelle svariate foto mentre una voce nella mi testa mi rimprovera dicendo.

«Che fai ora? La invidi pure? Ricordati che sei forte e che non c'è nessun dolore che possa ferirti più della malattia che hai già sconfitto. Tu ora puoi recuperare tutti gli anni che hai perso, finalmente puoi vivere pienamente.»

 

Detto ciò comincio a battere le ciglia una decina di volte, uno dei miei tanti tic, poi mi dirigo a sedermi sull’ultimo posto libero rimasto sul divano, posto accanto al mio caro Armin che mi passa il secondo della console sfiorandomi con le sue calde mani.

 

«Ma io non so giocare!» Esclamo sorpresa da questo suo gesto inusuale, non mi aveva mai passato un telecomando ne insegnato a giocare con nessuna delle sue console prima d’ora eppure ora aveva scelto proprio me come sua compagna di gioco.

«Tranquilla, te lo dice il tutorial a inizio gioco.» Mi rassicura lui come se parlasse con una demente.

 

La cosa mi infastidisce lievemente, ma non ci bado, perdonandogli il suo tono di superiorità, e gli sorrido dato che tra tutti aveva scelto di cominciare a giocare proprio con me. Passiamo il pomeriggio a giocare ad un videogioco in cui spuntavano zombi armati da ogni parte passandoci il telecomando ogni volta che morivamo. Ovviamente io e Alexy siamo quelli che sono morti più volte mentre urlavamo come galline terrorizzate non appena uno zombie fuoriusciva all'improvviso.

 

Quando mamma ci viene a chiamare per cena, dicendoci che i genitori dei gemelli sono arrivati, Ilenia e Armin hanno appena finito il capitolo 4 di quel gioco, o almeno credo non è che ci capisca molto di queste cose. Per essere il primo gioco a cui giocavo era a dir poco inquietante, adoro i film e i libri horror, ma questo era il mio primo videogioco e forse avrei dovuto iniziare con qualcosa di un po' più soft.

 

«Ah-ah!» Esclama Ile. «Io ho preso la S di super e tu solo la A.» Si vanta a dispetto di Armin mentre accende le luci e spegne la console.

«Pf.» Bofonchia lui. «Ti ho lasciata vincere, per educazione» Dice lui con il suo solito tono che sa tanto di scusa campata in aria.

«Certo certo, sognatelo» Dice lei ridendo con gli occhi che le brillano mentre la malinconia di prima sembra essersi totalmente eclissata.

«Voi e i videogiochi» Dice mamma sconsolata, poi guarda Castiel e gli sorride. «Castiel caro, resti per cena?» Gli chiede.

«Se non sono di disturbo» Dice lui, con fare ruffiano e a me sa tanto di leccaculo.

«Sai che non lo sei! Quindi resti a cena, e ora tutti a tavola!» Esclama mamma sorridendo a Ilenia e Castiel prima di tornando di sotto ignorandomi completamente.

 

Ci alziamo dal divanetto e cominciamo ad avviarci verso la sala da pranzo al piano terra, io sono davanti con Alexy che mi strattona il braccio continuando a sussurrarmi quanto gli piaccia Castiel e quanto lo trovi attraente. Ricordo ancora oggi il giorno in cui ho scoperto che era gay e la scena fu a dir poco esilarante ripensandoci adesso, ma in quel momento non lo era affatto.

 

 

Ero a casa da sola, papà era a lavoro e la mia insegnante privata di francese, che papà aveva assunto da poco più di un mese dopo le altre ventisette che si erano successe nel tempo, aveva detto che avrebbe portato a lezione anche i suoi due figli che mi aveva presentato la settimana scorsa e che da allora portava qui ogni giorno sotto ordine di papà. Era andata a farmi una doccia ed ero appena uscita dal bagno con addosso solo la biancheria quando suonò il citofono, mi avvolsi un asciugamano attorno e andai al citofono.

 

«Chi è?» Chiesi dato che non si trattava di un videocitofono.

«Sono Emily.» Rispose la mia insegnante dall’altro capo dell’apparecchio.

«Sali pure.» Dissi aprendo il portone d’ingresso con il pulsantino. «Sempre al quarto piano, prima porta sulla destra. L’ascensore è rotto.» Dissi socchiudendo la porta d’ingresso.

 

Poi andai in camera chiudendo la porta alle mie spalle, ma scordandomi di chiudere a chiave. Tolsi di dosso l’asciugamano appoggiandolo sullo schienale della sedia di legno di abete chiaro di fronte alla scrivania dello stesso materiale. Mi avvicinai al cassettone bianco sotto alla finestra con addosso solo il mio intimo color blu notte e aprii il primo cassetto prendendo una maglia nera a maniche corte con una faccia di tigre albina dagli occhi azzurri stampata davanti con una mano e una canotta blu con stampato davanti il simbolo dello Ying e Yang in bianco e nero sul davanti. Ero indecisa sul quale indossare quando sentii la voce di Alexy dire.

 

«Io fossi in te metterei quella blu, anche perché altrimenti sei sempre vestita di nero.» Disse sorridendo mentre mi guardava tenendo chiusa la porta da dietro la quale Armin tentava di entrare.

 

Io mi appoggiai quegli indumenti davanti dando la schiena alla finestra e urlando terrorizzata, non mi aspettavo di ritrovarmelo in camera all'improvviso e il mio cuore batteva all'impazzata per la paura che stavo provando.

 

«Calmati, non lo faccio entrare tesoro, tranquilla.» Mi disse lui come se nulla fosse.

«Non urlo perché lui vuole entrare, ma perché tu sei entrato e io non sono ancora vestita, sei un ragazzo ed io una ragazza, mai sentito parlare di privacy?» Dissi mentre il mio volto diventava più rosso di un peperone e le mie sopracciglia erano talmente inarcate che sembravo volerlo incenerire con lo sguardo.

 

Ero in imbarazzo e mi sentivo morire dentro per essermi fatta vedere così da un ragazzo che conoscevo appena, ero una sedicenne terrorizzata che si sentiva in trappola tra le grinfie di un ragazzo che a malapena conosceva. Lui guardandomi reagire in quel modo e leggendo la paura nel mio sguardo scoppiò a ridere e la cosa mi fece arrabbiare ancora di più, così, fregandomene di come ero conciata, mi avvicinai a lui e gli diedi uno schiaffo sulla guancia.

 

«Si può sapere che ti ridi? Esci di qui.» Dissi mentre delle lacrime mi rigavano il volto data l’esasperazione che provavo.

«Shhhhhhhhhhhh, stai calma tesoro, va tutto bene.» Mi disse lui che, con la schiena appoggiata alla porta, mi abbracciò stringendomi a lui anche se io mi divincolavo spaventata. «Non hai nulla da temere, io non potrei mai farti del male perché… ecco vedi… insomma a me non piacciono le ragazze.» Concluse la frase farfugliando imbarazzato quelle parole, allora io smisi di divincolarmi alzai lo sguardo e gli chiesi.

«Tu sei gay?» Chiesi con la bocca spalancata, so che non era da me usare quel tono e quel comportamento, ma cavoli ero scioccata.

«Così sembra e ora che ti ho visto vorrei essere come te per poter fare colpo sui ragazzi che mi piacciono. Non sai quanto ti invidio, farai cadere tutti i ragazzi ai tuoi piedi con un corpo così.» Disse lasciandomi mentre corrucciava il viso mettendo un broncio per nascondere la sua evidente invidia.

«Certo i ragazzi ne conosco solo due e uno ho appena scoperto essere omosessuale, ne stendo proprio tantissimi con questo corpo. Certo era strano che seguissi tanti programmi e settimanali di moda, ma non avrei mai pensato una cosa simile.» Dissi calmandomi mentre quasi impercettibilmente allungai il braccio per prendere il cuscino del mio letto.

 

«Però potevi bussare maleducato.» Dissi lanciandogli quel cuscino addosso per poi scoppiare a ridere.

 

Alla fine quel giorno fu il vero e proprio inizio della nostra amicizia, anche se per dispetto indossai la maglia nera e non la canotta blu che mi aveva consigliato lui.

 

 

Scendiamo le scale tutti insieme con Armin dietro di noi tornato a giocare con la sua PSP, mentre Castiel e Ilenia chiudevano il gruppo chiacchierando tra loro del più e del meno ridacchiando. Percorriamo pochi passi nell'ampio e meraviglioso ingresso prima che una cascata di lunghi e mossi capelli blu mi travolga stringendomi in un dolce abbraccio mentre ancora sono intenta a parlare di ragazzi con Alexy.

 

«Ma uffa mamma, io e Missy stavamo parlando.» Si lamenta Alexy come un bimbo a cui hanno rubato le caramelle.

«Perdonami piccolo mio, ma non potevo non abbracciare la mia piccola e preziosa gemma.» Disse continuando a stringermi e dondolarmi mentre Castiel, Ilenia e Armin scoppiavano a ridere.

«Buonasera Emily, è un piacere rivederti.» Le sorrido mentre divento rossa dall’imbarazzo.

 

Quella donna è peggio di un vulcano in eruzione e non pensa mai alle reazioni delle persone alle sue manifestazioni eccessive d’affetto, ha un’immensa voglia di vivere che per mia fortuna è riuscita ad insegnarmi e a trasmettermi. Da quando papà l’assunse come insegnante privata lei è stata per me molto più di questo, la conosco da quasi due anni, ma in questo tempo lei è riuscita ad essere per me un’amica ed anche una madre, ha lottato contro le fissazioni di papà permettendomi di ottenere un po’ più di libertà e di cominciare a vivere come una qualsiasi altra adolescente. Emily è una donna altra un metro e sessantacinque circa, la sua carnagione è olivastra, la pelle è fresca e priva di rughe nonostante i suoi quarantotto anni compiuti, ha due grandi occhi azzurri che brillano come preziosi diamanti, gli stessi occhi che mi fecero palpitare il cuore la prima volta quando incontrai Armin, i quali lei contorna e accentua perfettamente con un semplice velo di trucco scuro. Ha delle labbra carnose sempre sorridenti e quest’oggi tinte di rosso ciliegia, il volto è tondo e circondato da una lunga cascata di capelli mossi tinti di un color blu notte che lasciava intravedere il naturale colore turchino, stesso colore dei capelli di Alexy, dalla ricrescita che sembra quasi lasciata intravedere appositamente. Quando scioglie l’abbraccio io noto il suo abito leggero color arancio, l’abito è senza spalline e la sua forma è stretta fino all’altezza della vita per poi terminare con una gonna ampia e morbida che le arriva sino a metà della lunghezza delle cosce, indossa un paio di scarpe col tacco in tinta con l’abito e delle parigine nere, in più il suo look è ultimato da un girocollo di perle bianco abbinato ad orecchini e bracciale dello stesso materiale e dai tre brillantini bianchi dei suoi piercing all’orecchio sinistro. Le sorrido quando la vedo passare ad abbracciare Alexy.

 

«Vieni qui gelosona mia che abbraccio anche te.» Dice stringendo tra le braccia il turchino che rideva tutto contento, mentre Armin indietreggiava lentamente. «Dove vai tu, vieni e fatti abbracciare dalla tua mamma.» Dice lasciando Alexy guardando Armin.

«No, no, no. Mamma ti prego.» Dice cercando inutilmente di allontanarla. «Ti prego mamma, ci sono le ragazze.» Ma le sue lamentele non servono a nulla dato che lo abbraccia comunque stringendolo forte tra le braccia.

«E dai mamma scollati.» Dice il moro diventando dello stesso colore dei capelli dell’amico di Ilenia.

«Non sono bellissimi i miei piccini?» Chiede arruffando le chiome dei gemelli.

 

Dopo di che arriviamo in sala da pranzo dove ci aspettano mamma, papà e Max. Quando entriamo in sala Max mi saluta con un cenno del capo e io mi soffermo ad osservarlo, i suoi capelli neri sono perfettamente in ordine, come sempre al contrario di quelli scompigliati che tanto gli piacciono nel figlio, e i suoi occhi rosei sono dolci, ma severi allo stesso tempo. Max è da sempre un uomo silenzioso e taciturno, ma protettivo e presente. So per certo che i gemelli lo adorano e da quando l’ho conosciuto mi ha sempre trattato come una di famiglia ed io l’ho sempre visto come una sorta di zio. Gli sorrido e poi mamma ci invita a sederci, papà si mette a capotavola mentre Max si siede alla sua destra con Emily di fronte alla sinistra di papà. Mamma si siede dopo Max e al suo fianco si sistemano Ile con accanto Castiel, Alexy si siede accanto alla madre facendo sedere Armin al suo fianco il quale mi implora con lo sguardo di sedermi accanto a lui. Non capisco come mai oggi abbia così tanto bisogno di me e l’idea che finalmente mi abbia notato mi fa arrossire ed aumentare i battiti cardiaci. Mangiamo tutti insieme chiacchierando serenamente fino a che Ilenia non chiede.

 

«Ma scusate ragazzi, se siete americani com’è che conoscete così bene il francese?» Chiede prendendo l’ultima forchettata della sua insalata.

«Cos’è, non dovevano mica conoscere le loro origini?» Risponde a quel punto Emily che si intromette nel discorso di noi ragazzi mentre io e i gemelli ridiamo della faccia confusa che assume mia sorella. «Vedi cara la mia famiglia è francese da più di sette generazioni ed io non avrei mai lasciato Parigi se non mi fossi innamorata di Max durante i miei studi in America.»

 

Parliamo un altro po’ mentre Alexy continua ad insistere di voler vedere la mia camera facendomi scoppiare la testa, sa essere così assillante da farmi venire mal di testa, ma a parte questo è un buon amico sempre pronto ad aiutarmi in qualsiasi istante. Quando stiamo finendo il dolce il dolce Castiel sembra avere un idea geniale da proporci, così ascoltiamo che hai da dire mentre i nostri genitori parlano di politica e di finanza. Chi sa se pure io quando avrò l’età di papà mi ritroverò seduta ad un tavolo a fare discorsi simili, spero proprio di no perché la finanza mi annoia a morte anche se me la cavo a gestire i soldi.

 

«Ragazzi che ne dite di andare ad una festa? Disco-pub per tutti questa sera?» Chiede Castiel all’intero gruppo.

«Certo, sai che non dico mai di no ad una festa.» Disse Ilenia sorridendogli ed alzandosi da tavola.

«Io non credo proprio.» Aggiunse papà guardandola male con tono accigliato, mi ha sempre messo i brividi con questo tono e anche sta volta al sentirlo tremo. «Ilenia torna seduta, Misery non può uscire a questa tarda ora e non puoi farlo neanche tu. In più non ho fiducia in quel ragazzo e non permetterò a nessuna delle due di uscire con lui sta sera.»

«Jacques» Dice Ilenia guardando papà con uno sguardo rabbioso che fa gelare il sangue quanto il suo. «Ho diciotto anni compiuti e tu non hai il diritto di dirmi quando e con chi andare ad una festa. Prendo io le mie decisioni e quindi ci vado.» Detto ciò se ne va dalla sala da pranzo senza nemmeno ascoltare altri pareri.

«Ilenia torna qui, come osi mancarmi di rispetto?» Si lamenta papà pur non essendo minimamente calcolato.

«Voi venite ragazzi?» Ci chiede Castiel non curante di papà.

«Certo, ci piacerebbe.» Aggiunge Alexy tutto emozionato.

«Per me è uguale.» Risponde Armin incrociando le braccia.

«Hem ecco io…» Tento di dire.

«Tu invece non vai.» Aggiunge papà alzandosi e battendo il pugno sul tavolo.

«Ma papà.» Sbuffo esasperata.

«Non credi di essere troppo duro Jacques? Sai che la mia piccola Missy è una ragazza con la testa sulle spalle.» Cerca di prendere le mie difese Emily contrariamente a mamma che è lì zitta e ferma a guardarsi le unghie.

«Lei non andrà in giro con quel tipo che ha l’aspetto di un teppista.» Aggiunge lui in risposta.

«Ma ci saranno sua sorella e i gemelli con lei, non fare lo sciocco lasciala andare.» Cerca di ribattere Emily.

«Grazie mille Emily, ma non serve. Se papà non vuole allora non importa, andrò un'altra volta.» Dico cercando di nascondere la mia delusione.

 

E dopo quella discussione era ormai passata una buona mezzora. Cerco di non pensare al fatto che sono l’unica del gruppo che resterà a casa mentre accompagno i gemelli alla porta e vedo scendere le scale ad Ilenia. Tutto sommato non c’ha messo molto a cambiarsi, io impiego mezzora solo per decidere che colore indossare. La guardo e le sorrido, non ho modo di essere delusa, devo essere felice perché almeno lei sta sera andrà a divertirsi. Si è messa un abito corto senza palline con una rusche in vita interamente di colore blu, ha uno stupendo scollo a cuore con tante minuscole borchiette applicate richiamate dal grosso bracciale che porta al polso destro, è un bracciale formato da tante piccole borchie unite ad un cordoncino in cuoio nero molto sportivo, ma decisamente elegante, poi ha delle scarpe dello stesso blu dell’abito con l’alto tacco tempestato di borchie ed una piccola pochette argentata, i suoi capelli sono lasciati sciolti e quella cascata di ricci biondi incornicia perfettamente il suo volto sorridente con le labbra tinte di rosso fuoco, gli occhi blu sono perfettamente accentuati dall’ombretto bianco sfumato sulle palpebre unito ad una sottile linea di eyeliner nero, dalla matita dello stesso colore e dal mascara argento brillante che sembra impreziosire il suo già stupendo sguardo.

 

«Andiamo?» Chiede sistemandosi i grossi orecchini a cerchio argentati che porta.

«Certo andiamo.» Risponde Castiel aprendo la porta e facendo uscire i gemelli.

«Divertitevi.» Auguro loro salendo il primo gradino.

«Tu non vieni?» Mi chiede Ilenia rattristata.

«No, sono stanca, sarà per un’ altra volta. Divertiti anche per me.» Mento per non farla rattristare, tanto so per certo che Alexy le dirà il vero motivo non appena avranno voltato l’angolo.

«D’accordo, a domani.» Dice uscendo mentre io salgo un altro gradino.

«Comunque, hem Misery giusto?» Chiede Castiel guardandomi.

«Sì Misery, dimmi.» Dico voltandomi a guardarlo.

«La visuale che avevo davanti durante la cena non era male, dieci più per la scollatura. Ciao.» Dice uscendo e chiudendosi la porta alle spalle come se quella fosse casa sua.

«Disgraziato.» Esclamo esasperata salendo le scale.

 

Arrivo in camera e mi soffermo a guardarli fermi dalla fontana ad accordarsi su come raggiungere il locale e su come tornare a casa. Sospiro, andandomi a sedere sul mio letto, sapevo in partenza che quando papà batte i pugni l’unica cosa che può fargli cambiare idea non esiste, però l’intervento di Emily mi aveva fatto sperare per una volta. Mi sdraio sul letto e penso alle uniche volte che ero uscita alla sera tardi, solo tre e solo negli ultimi sei mesi.

 

«Cambierà, ora sono a casa, sarà diverso.» Dico mentre sento bussare alla porta. «Chi è?» Chiedo voltando la testa verso la porta.

«Sono io piccina.» Dice Emily da dietro la porta.

«Entra.» Dico tornando a sedere sul letto.

«Tutto bene?» Mi chiede avvicinandosi a me.

«Sì, tutto bene.» Dico accennandole un sorriso.

«Sai che vuole solo proteggerti vero?» Mi dice abbracciandomi forte.

«Lo so.» Dico ricambiando l’abbraccio.

«Noi andiamo a casa, ricorda che anche se ora non sono più la tua insegnante di francese io per te ci sono sempre piccina. Tu sei come la figlia che non ho mai avuto.» Mi dice dandomi un bacio sulla fronte.

«Alexy potrebbe offendersi.» Dico facendole la linguaccia. «Comunque lo sai che per me sei come una seconda madre.» Concludo sorridendole. «Buon ritorno a casa.»

 

Dopo questo discorsetto affettuoso lei esce dalla mia stanza, io mi affaccio alla finestra e saluto lei e Max vedendoli andarsene via in macchina, poi entro nella cabina armadio, mi svesto indossando la mia sottoveste in seta bianca, mi strucco e poi metto i vestiti utilizzati durante la giornata, dopo averli perfettamente piegati, sul divano nella stanza e mi metto a dormire. Non vedo l’ora di cominciare la nuova vita qui, niente potrà più impedirmi di vivere a pieno la mia vita.

 

La notte tutto sommato passa serenamente fino a che non vengo svegliata dal suono del dolce canto degli usignoli che mi riporta alla realtà dal meraviglioso mondo dei sogni. Mi stiracchio e poi mi alzo per scostare le tende e aprire la finestra. Resto un po’lì ferma a guardare il nostro immenso giardino.

 

«Tesoro sei sveglia?» Chiede papà entrando in camera.

«Sì papà, stavo guardando la fontana.» Dico voltandomi e spostando delle ciocche di capelli dietro l’orecchio.

«Sei arrabbiata?» Chiede avvicinandosi e chiudendo la porta alle sue spalle.

«No papà, dopotutto l’hai fatto per il mio bene.» Dico sorridendogli mentre ripenso alla sera precedente.

«Ti va di venire con me a svegliare tua sorella?» Chiede scompigliandomi i capelli.

«Certo papà.» Dico chiudendo la finestra.

 

Facciamo un paio di passi nel corridoio arrivando di fronte all’ingresso della stanza di Ilenia, papà spinge lievemente la porta socchiusa e la scena che ci troviamo di fronte è a dir poco sconvolgente, non mi sarei mai immaginata di avere un’immagine simile di fronte ai miei occhi.



Angoletto delle autrici:

Salve!! Buona sera, buon venerdì e buon week-end!
Scusateci per il ritardo nella pubblicazione D: siamo profondamente dispiaciute TAT ma non siamo riuscite a finirlo primo >.< ancora tante scuse! Ma speriamo che l'attesa sia stata ben ricompensata con il capitolo :3
Bene in sto capitolo succede un po' di robetta :) speriamo che vi piaccia :)
Boh oggi non abbiamo molto da dire ahahaha xD quindi nulla :) è tutto :)
Bene! Noi ci leggiamo il prossimo venerdì con il quinto capitolo :)
Baci e abbracci.
IleWriters Misery007


 

Pubblicato il: 27 marzo 2015

  
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