Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
Ricorda la storia  |      
Autore: JoiningJoice    28/03/2015    3 recensioni
Hybris Kai Nemesis - Extra 2
Erwin Smith si sposa. La notizia aveva fatto il giro del quartiere a tempo zero, complici le chiacchiere della madre della sposa e la buona reputazione che il giovane poliziotto aveva tra gli abitanti. Ora capitava sempre più spesso che gli avventori del The Styx si fermassero per dare una pacca sulla spalla a Levi e rivolgergli una parola di incoraggiamento, cose di cui lui non sentiva il bisogno. Le domande erano sempre le stesse, le risposte altrettanto. Sei nervoso all'idea di essere il testimone del tuo migliore amico? No. Hai già pronto un discorso? Sì. (Bugia palese, ma loro non avevano bisogno di saperlo).
One-shot Eruri ambientata nell'universo di Hybris Kai Nemesis (Hades/Persephone Reincarnation AU). Nel caso non abbiate letto la fic, pensate semplicemente a una modern AU con Levi barman e Erwin poliziotto.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Hanji, Zoe, Irvin, Smith
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Of Flowers and Oblivion '
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Starry, Starry Night






Erwin Smith si sposa. La notizia aveva fatto il giro del quartiere a tempo zero, complici le chiacchiere della madre della sposa e la buona reputazione che il giovane poliziotto aveva tra gli abitanti. Ora capitava sempre più spesso che gli avventori del The Styx si fermassero per dare una pacca sulla spalla a Levi e rivolgergli una parola di incoraggiamento, cose di cui lui non sentiva il bisogno. Le domande erano sempre le stesse, le risposte altrettanto. Sei nervoso all'idea di essere il testimone del tuo migliore amico? No. Hai già pronto un discorso? Sì. (Bugia palese, ma loro non avevano bisogno di saperlo).

E poi c'era Hanji – Hanji, a conoscenza di tutto ciò che riguardava entrambi; l'amica che era stata testimone del loro cambiamento e giudice imparziale della disfatta della loro relazioni, ed era rimasta ad annodare pazientemente il filo che si era spezzato, riavvicinandoli.

- Secondo me è proprio da stronzi. - annunciò una sera, battendo i pugni sul bancone e voltandosi verso i due ragazzi seduti al suo fianco. - È da stronzi o non è da stronzi? Insomma, sono stati assieme per cinque anni e lui gli chiede di fargli da testimone assieme a te, Mike. È da stronzi! -

Levi asciugò la birra che era volata via dal boccale di Hanji mentre l'interpellato, un ragazzo alto e biondo, si massaggiava il pizzetto sul mento, pensieroso. - Non saprei, Hanji. Credo che Erwin avrebbe lasciato perdere se Levi gli avesse detto che non voleva. Ho torto? -

Levi scosse la testa. La cosa non lo tangeva minimamente – si sentiva apatico circa tutta la situazione. Conosceva il pensiero di Erwin circa il matrimonio: era qualcosa che tendeva a prendere fin troppo seriamente, come tutto ciò che faceva. La riteneva una responsabilità enorme, e l'essersi proposto a Irene dopo solamente tre anni di relazione indicava solamente quanto Erwin facesse sul serio. - Non mi importa. - rispose, riponendo il panno e appoggiandosi al bancone. - Devo solo stare in piedi accanto a lui ingessato in una stupida giacca e leggere quattro parole su quanto siamo amici e quanto sono felice per lui. E stare attento a non lasciarmi scappare che abbiamo scopato per cinque anni all'insaputa di tutti. Niente di troppo problematico. -

Mike affondò il proprio sorriso nella birra, ma Hanji non sembrò convinta. Naturale che non lo fosse – sapeva quanto amaro fosse il suo sarcasmo e quanto dolore represso vi fosse nascosto dietro; forse lo sapeva più di Levi stesso, che per sfuggire al suo sguardo pietoso si voltò a sistemare le bottiglie di alcolici. Fu Nanaba a distrarla da quei pensieri, domandandole cosa avrebbe indossato all'evento e lasciando che la tensione del momento si sciogliesse in chiacchiere inutili. Ad ogni sillaba Levi si convinceva sempre di più che non era importante – la sua relazione con Erwin era arrivata e passata, l'avevano vissuta appieno per cinque lunghi, stupidi anni. Se avessero chiesto ad entrambi cosa ci fosse stato tra di loro, nessuno dei due avrebbe risposto “siamo stati assieme”. Sarebbe stata un'esagerazione e un eufemismo al tempo stesso, un termine che non descriveva niente di ciò che erano stati. Loro erano un fuoco debole, facile da nascondere alla vista di chiunque, capace di aizzarsi e donare calore solo quando entrambi decidevano che era arrivato il momento di nutrirlo. La loro relazione consisteva in momenti di instabilità in cui a nessuno dei due era possibile separarsi dall'altro, intensi e rari; per il resto del tempo, a chiunque che non fosse loro amico intimo sarebbero sembrati solo due amici intenti a battibeccare su ogni argomento, estremamente diversi. Il mondo non conosceva il modo in cui le loro mani si cercavano impazienti nei giorni in cui per uno esisteva solamente l'altro, non poteva avvertire l'intensità di quel fuoco nascosto.

Eventualmente, anche l'ultimo tizzone era stato spento dal cinismo di Levi. Era stato lui a insistere che Erwin non meritava nulla del genere – che le strade che avevano deciso di intraprendere erano troppo diverse, che un rapporto del genere era qualcosa che sarebbe dovuto morire negli anni dell'adolescenza. Nel dolore sul volto di Erwin a Levi era sembrato di vedere l'ultima fiammella cercare di rimanere viva e poi spegnersi piano. Non si erano urlati contro. Era stata una decisione di comune d'accordo. Non c'erano rimorsi, né rimpianti.

Ricostruire un rapporto con nient'altro che cenere tra le mani si era rivelato inutile.

- Che mi dici del discorso? - la voce dolce di Nanaba interruppe i suoi pensieri. La giovane donna bionda giocherellava con l'ombrellino del cocktail tra le dita, fissandolo con quei suoi grandi occhi azzurri. - Perché se davvero hai intenzione di dire che sei l'ex di Erwin, sappi che io ti appoggio. Renderesti la cerimonia interessante. -

- Il padre di Erwin potrebbe avere un infarto. - constatò Mike. Levi intravide alle sue spalle due clienti, e si diresse alla cassa per il conto. - E la madre di Irene tenterebbe di ucciderlo. Come te la cavi nel corpo a corpo, Lev? La signora è cintura verde di karate. -

- Irene arriverebbe prima. - rise Nanaba. Levi si allontanò dalle loro chiacchiere; sentiva onnipresente lo sguardo di Hanji su di sé, e poco dopo la voce della donna rimbombò nella sua testa, come quando erano bambini e le loro capacità sovrannaturali sembravano semplici giochi.

Non sei onesto con te stesso.

Levi consegnò lo scontrino alla coppia e li salutò con un cenno della testa, per poi portare lo sguardo su Hanji.

Quando mai lo sono stato?



* * *



C'era qualcosa nei matrimoni che la agitava estremamente. Se c'era da divertirsi era la prima a buttarsi nella mischia, ma il modo in cui la madre di Irene aveva architettato tutto e lo orchestrava perfettamente innervosiva Hanji in maniera incredibile. Quando fece irruzione nella stanza di Erwin nessuno dei due uomini presenti batté ciglio, nemmeno vedendola sollevare una bottiglia di vodka liscia e portarsela alle labbra. Lo sguardo perso nel vuoto, Mike le fece cenno di passargli la bottiglia.

- Che diavolo stai facendo? - borbottò Hanji. Si passò una mano tra i capelli, rovinando l'acconciatura elaborata, e si gettò nella poltrona accanto a quella di Mike. - CHE DIAVOLO STAI FACENDO?! -

L'abito grigio scuro stringeva il corpo di Erwin in maniera perfetta. Mike aveva insistito che si lasciasse ingelatinare i capelli all'indietro, e gli occhi dell'azzurro intenso più intenso che si potesse immaginare facevano impallidire gli zaffiri incastonati nei gemelli che stava sistemando sul polso. Era l'uomo più attraente che Hanji avesse mai visto, e non aveva dubbi sul perché Irene non avesse esitato un momento nel dirgli di sì. Era bello, gentile e pronto a sacrificare ogni parte di sé per la persona che amava – in maniere e con conseguenze che lei non avrebbe mai nemmeno immaginato. Era uscito dall'accademia di polizia con il favore di tutti i superiori e gli istruttori, che ammiravano la sua tenacia e competenza; un partito perfetto sotto ogni punti di vista. Hanji ci avrebbe quasi creduto, non fosse che l'unica persona per cui Erwin aveva mai mostrato il minimo interesse di natura sessuale era il grande assente del momento.

- Lui dov'è? - domandò Mike ignorando le sue urla isteriche. Hanji vide che Erwin stava sudando, mostrando almeno ai suoi amici più intimi quanto la situazione lo agitasse. - Posso capire non si sia presentato alle prove, ma a quest'ora avrebbe dovuto essere qui. -

- È solo in ritardo. - sorrise Erwin, terminando di allacciarsi i gemelli e guardandosi allo specchio. Lo sguardo di Hanji quasi gli perforava la schiena, innervosendolo quasi più dell'assenza di Levi. Qualcuno bussò alla porta, e l'attimo dopo una testa bionda si affacciò alla stanza, cacciò un urlo e si coprì gli occhi.

- Marie, quella che non deve vedermi è Irene, non la sua testimone di nozze. - rise Erwin. La donna abbassò la mano esitante.

- Veramente mi coprivo perché non voglio Nile si ingelosisca. - sorrise lei. Alle sue spalle, il marito protestò e lei si voltò a posargli un bacio leggero sulle labbra. - Come va? Possiamo entrare? Ooooh, quella è vodka? -

Si intrufolò nella stanza trascinando Nile con sé e richiudendosi la porta alle spalle. L'attimo dopo rubava la bottiglia dalle mani di Mike, sedendosi sul comò con un balzo agile e stando attenta a non spiegazzare troppo l'abito rosato che le stringeva i fianchi. - La signora suocera gira per la chiesa come uno squalo. Brindo ai tuoi prossimi cenoni di Natale! -

- Il primo testimone di nozze dov'è? - domandò Nile, posando una mano sulla spalla di Erwin e facendolo voltare. - Questa cravatta è un disastro... - borbottò.

- In ritardo. - rimarcò Erwin, evitando di cacciare via Nile. Nessuno gli avrebbe rimproverato un gesto nervoso vista la pressione psicologica, ma non voleva allontanare da sé l'amico. - E la cravatta va benissimo. -

Mike aveva gettato la testa all'indietro, sullo schienale della poltrona. - Levi non è mai in ritardo. - borbottò, gesticolando in direzione di Marie per farsi restituire la bottiglia.

- C'è sempre una prima volta per tutti. Io mi sposo, lui fa ritardo. -

Nile strinse la cravatta e lo fissò un'ultima volta, prima di sospirare. Era un sospiro esasperato, che rifletteva bene il pensiero di tutti i presenti.

- Quindici minuti. - mormorò Erwin, più a sé stesso che agli altri.

- Non sei pronto. - constatò Hanji. Si alzò e prima che Erwin potesse rendersene conto lo stava abbracciando. - Brutto scemo, non sei affatto pronto. -

Erwin le carezzò i capelli in silenzio. A nessuno degli occupanti della stanza sfuggì il fatto che non avesse risposto all'accusa di Hanji, e nessuno glielo fece notare. Si avviarono fuori dalla stanza uno ad uno; Marie raggiunse Irene, e gli altri seguirono Erwin fuori dall'hotel e verso la macchina che li avrebbe portati in chiesa. Mike e Nile non potevano avvertirlo, ma l'agitazione di Erwin si rifletteva nei pensieri di Hanji quasi involontariamente. Erano pensieri confusi, immagini e parole che dipingevano un quadro irruento all'interno della mente della donna.

È semplicemente in ritardo.

È in chiesa. È in ritardo, e ha deciso di andare direttamente in chiesa.

È così da lui, farmi penare tanto prima di farsi vedere. Neanche fosse lui la sposa.

Quest'ultimo pensiero fece sobbalzare Hanji, che si voltò verso Erwin. Stava sorridendo mestamente, fissando il paesaggio scorrere rapido accanto a loro.

Fu l'ultima cosa che le disse prima di arrivare in chiesa. Non appena ebbe messo piede nella navata principale e gli invitati si furono voltati verso di lui, fu come se avesse innalzato una barriera d'acciaio tra i suoi pensieri e quelli di Hanji, e lei non poté più comunicargli le proprie ansie. Sfilò a braccetto di una zia sotto lo sguardo dei colleghi e le loro famiglie, gli amici più cari, i pochi parenti, il padre che già piangeva, scostandosi gli occhiali dal volto e asciugandosi gli occhi, tremando, aiutato da Nile alla sua sinistra.

Non c'era traccia di Levi.

Hanji si sedette alla destra del padre di Erwin e, rigida, ascoltò l'organo suonare a festa e accompagnare l'ingresso della sposa e suo padre. Irene era una donna bellissima, e non riusciva a nascondere un sorriso a trentadue denti mentre raggiungeva l'uomo che amava senza dubbi da tre anni. Hanji la vide rivolgere piccoli saluti ai parenti e gli amici, tentata di sistemare le ciocche di capelli rossi che erano sfuggite al cerchietto di perle bianche sotto il velo. Raggiunse Erwin e lui le prese la mano tra le sue, senza distogliere lo sguardo dal suo volto per un solo momento mentre il prete dava inizio alla cerimonia.

Fu solo al momento dello scambio delle promesse che Erwin abbatté le barriere che aveva innalzato, e Hanji dovette soffocare un urlo mentre l'onda della sua pensieri si abbatteva sulla sua mente con la forza di uno tsunami.

Non è qui perché non è qui

credevo sarebbe stato felice

cosa ho fatto? Cosa sto facendo?

Credevo sarebbe stato felice, sorrideva, sai quanto raramente sorride

non verrà

non verrà

- Prometto di amarti e onorarti ogni giorno della mia vita. - sorrise a Irene.

Irene è incinta di due mesi. Non potevo fare altrimenti. Non potevo.

- Finché morte non ci separi. -

Non lo vedrò mai più.



* * *



Hanji aveva le chiavi del locale, Levi lo sapeva. Non si sorprese quando sentì la porta del retro aprirsi e passi veloci raggiungerlo nel salone principale, vuoto a causa della chiusura. Aveva appeso un cartello quella stessa mattina sulla vetrina. Chiuso per festa. Oh, il dolce sapore dell'ironia.

La testa premuta contro il legno di uno dei tavolini, la vide con la coda dell'occhio fermarsi accanto a lui e constatare il danno. - Oh mio dio. Ti hanno fatto mettere i tacchi, Zoe. I tacchi. -

- Hai fatto piangere Erwin. - dichiarò lei, una nota irata nella voce. Levi premette la fronte contro il legno, sperando di cancellare il mal di testa causato dalla sbronza e il senso di colpa che non lo aveva abbandonato fin da quando, quella mattina, aveva deciso di non presentarsi al matrimonio.

- Oh, dire il perché a Irene e i suoi sarà stato divertentissimo. -

Ci fu un attimo di silenzio; quello dopo, sulla schiena di Levi si abbatté tutta la furia di Hanji, sotto forma della sua borsa. - SEI! UN! MALEDETTO! STRONZO! - urlò lei, rovesciando le bottiglie accumulate sul tavolo a terra. - Sai quando è stata l'ultima volta che ho visto Erwin piangere? Quando lo hai mollato senza nemmeno avere abbastanza palle da dirgli davvero il perché! -

- Che cazzo fai? - strillò Levi, alzando un braccio per allontanare la borsa. La afferrò al volo e scaraventò lontano, alzandosi su gambe tremanti per fissare Hanji in volto. Gli occhiali affondavano nei capelli scuri in disordine, e le sue sopracciglia erano tanto corrucciate da sembrare una linea unica. Lei gli afferrò il bavero della camicia e lui fece lo stesso con quello del suo tailleur; si fissarono in cagnesco per qualche secondo, prima che lei lo lasciasse andare e si voltasse per sedersi sullo sgabello lì a fianco. Si portò le mani alle tempie e le massaggiò con violenza, emettendo un lungo lamento.

- Urgh, siete così patetici... - borbottò. Levi si risedette e la fissò fino a quando lei non appoggiò le braccia sul tavolino e vi poggiò la testa sopra, ricambiando il suo sguardo. - Perché sono finita in quella maledetta stanza d'ospedale con voi? -

- Quando si è messo a piangere? - domandò Levi, ignorando quell'ultima sua domanda.

- Durante il primo ballo, quando ci eravamo già spostati al ristorante e tutti avevano capito che sei un figlio di puttana e che non saresti venuto. - afferrò una lattina di birra per il collo e la agitò, controllando se era rimasta qualche goccia. - Ha detto che era l'emozione nel vedere Irene ballare con suo padre. Ha tappato la testa e non ha lasciato che cercassi di confortarlo. Credo l'esser scoppiato durante il rito lo avesse traumatizzato abbastanza. -

Rimasero in silenzio per un po', Levi con la testa gettata all'indietro e gli occhi fissi nelle travi di legno del soffitto, Hanji con la testa sulle braccia e gli occhi chiusi. - Sei davvero un pezzo di merda. -

- Ripetilo un'altra volta e ti butto fuori. -

- Pezzo di merda. - cantilenò lei. Lui le tirò un calcio da sotto il tavolo, mancandola soltanto a causa dell'alcool in corpo; dopodiché scivolarono in un silenzio colpevole.

- Non potevo andare lì e fare finta che andasse tutto bene. - mormorò Levi. Hanji alzò il capo, interessata. - Lo hai letto il mio discorso del cazzo? Buona fortuna, divertitevi, passate una vita amandovi. -

Si portò una mano sugli occhi, e per un momento Hanji temette che sarebbe scoppiato a piangere anche lui. L'unica volta in cui l'aveva visto piangere era stato quando aveva solamente nove anni, e i dottori l'avevano costretto a rimanere a letto e a sopportare il dolore di una malattia a cui non potevano dare un nome; la stessa che aveva intrappolato lei ed Erwin in quella quarantena che li aveva portati a conoscersi. Ma Levi non stava piangendo: solo la sua voce suonava distrutta dal dolore. Era peggio che vederlo singhiozzare.

- Cosa dovevo fare, starmene lì e sentirgli dire quanto la ama? - domandò. Vide le sue labbra incurvarsi in un sorriso amaro. - A me non l'ha mai detto. -

- Levi... - iniziò lei, ma lui la interruppe. Tolse la mano dagli occhi e la fissò, improvvisamente più sobrio. Aveva negli occhi una rabbia disumana.

- Fuori dal mio locale. - sibilò. - FUORI! -

- Sei ubriaco, Levi! - urlò lei, tenendogli testa. Lui si alzò e la afferrò per un braccio, ignorando le sue proteste. - Cerca di capire cosa vuoi dalla tua cazzo di vita! Non ci hai nemmeno mai provato, a fermarlo! -

- Non ho bisogno delle tue lezioncine da insegnante fallita, Zoe! - aprì la porta del retro, ma nel farlo dovette mollarla. Fu allora che lei ne approfittò per mollargli un cazzotto sul volto; Levi cadde per terra nel vicolo del retro, e si rialzò dopo un attimo di stordimento totale, gettandosi addosso ad Hanji e tirandole un pugno che la mancò di striscio. Colpì il muro e si fermò a guardare le nocche graffiate, puntellate da piccole gocce di sangue.

- Lasciami in pace! - urlò, voltandosi; ma Hanji non lo stava guardando. Fissava il fondo del vicolo in silenzio, sconvolta. Levi seguì piano la direzione in cui lei stava guardando e sentì le gambe cedergli nel vedere la sagoma alta di Erwin, a pochi metri da loro.

- Io... - iniziò lui. Indossava ancora l'abito del matrimonio, ma si era tolto la giacca e arrotolato le maniche fino al gomito, e ogni traccia di gel era scomparsa dai capelli, che ora premevano contro la fronte. A giudicare dal modo in cui ansimava, sembrava fosse corso fino a lì. - I...io...posso ripassare, se volete. -

- Che cazzo dici?! - strillò Hanji. Levi si sentì spingere in avanti e crollò verso Erwin, che lo fissava sconvolto. - Io vado dentro a riordinare. Voi due...uh. Parlate. Ci vediamo dopo. -

Aprì la porta del retro e si infilò nel locale, lasciandoli a fissarsi in silenzio. Fu Erwin a prendere parola per primo.

- Non sono arrabbiato perché non ti sei presentato. - mormorò. - Non avrei dovuto invitarti, tanto per cominciare. O chiederti di farmi da testimone. -

Levi non poté che annuire. La mano gli pulsava dolorosamente. - No, non avresti dovuto. - Ignorò il modo in cui Erwin aveva alzato il capo alla sua risposta, e il dolore nei suoi occhi. - E io avrei dovuto avvisarti in tempo. Fine del discorso. -

Erwin annuì, stropicciandosi gli occhi. - N...no. Non è la fine del discorso. Levi, è così egoista volerti come amico? Sto cercando di rispettare la tua decisione. L'ho rispettata per tre anni. - sospirò. - Dove ho sbagliato? -

Un pensiero colpì Levi all'improvviso: la dolorosa consapevolezza che Erwin non aveva sbagliato, nemmeno una volta. Lui gli aveva chiesto di smetterla di essere qualunque cosa fossero – ed era inutile ripetersi che lo aveva fatto per Erwin: lo aveva fatto perché aveva paura. Lui gli aveva chiesto di non sentirsi, e Erwin l'aveva fatto fino a quando Hanji non li aveva costretti a tornare a parlarsi.

Lui gli aveva chiesto di smetterla di provare ciò che provava per lui, ed Erwin lo aveva fatto. Ma ecco il punto cruciale, l'errore: Erwin non aveva mai chiesto a Levi di fare lo stesso.

Non riuscì a pronunciare quell'accusa ad alta voce. Erwin non lo meritava. Erwin non meritava niente di ciò che Levi gli aveva fatto, e gli stava facendo.

- Tu non hai mai fatto niente di male. - sussurrò. - Sei sempre stato soltanto quello più fortunato dei due. Quello con un padre e una madre, quello con più amici. Se fallivi in qualcosa, io cercavo di farmi carico di quel fallimento, ed è sempre andata bene. -

- Levi. - il modo in cui pronunciava il suo nome – lo amava, lo odiava a morte. Avrebbe voluto tacesse per sempre, e lo ripetesse fino a perdere l'uso della voce. Erwin – no, lui ed Erwin erano pura contraddizione. Non sarebbero mai potuti essere nulla di nulla – amici, amanti, anime gemelle. Non era il loro destino.

Sentì il proprio cuore tremare e si rese conto che non era solo una sensazione – Erwin stava sfiorandolo, carezzando il suo petto. Quando si era avvicinato? Perché si era avvicinato?

- È troppo tardi per tutto quanto, vero? - domandò. Levi annuì – ecco, così era perfetto. Voleva bearsi della sensazione di essere la causa dei problemi dell'altro uomo un'ultima volta, essere al centro delle sue preoccupazioni. Voleva essere, e voleva essere per Erwin ed Erwin solamente.

- Tu non hai mai fatto niente di male. - ripeté, allontanandosi da quel tocco gentile. - È sempre stata colpa mia. -

Qualcosa mutò nei lineamenti di Erwin. Lo aveva già visto accadere – il giorno in cui era morta sua madre, il giorno in cui aveva deciso che la pittura era solamente un hobby infantile, e quello in cui lo avevano gettato fuori dal corso di medicina. Sotto la pioggia di un cielo da funerale, di fronte al fuoco che bruciava i quadri dipinti fino a quel giorno e immerso nel buio della sua stanza mentre Levi lo abbracciava e cercava di riportarlo in sé dall'apatia in cui era caduto, era come se in tutte quelle occasioni sul volto di Erwin fosse calato un velo; come se qualcuno avesse lasciato colare nelle crepe del suo cuore del cemento. Ad ogni nuova crepa il cemento lo rendeva più forte ma meno bello, meno umano, più distante da lui e dal mondo.

- Molto bene. - mormorò. - Allora...ti saluto. -

Levi annuì, senza smettere di guardarlo negli occhi. Aveva baciato quelle palpebre, quegli zigomi e quelle labbra decine, centinaia di volte, e ora non gli appartenevano più in ogni senso. Si voltò e poggiò la mano sulla maniglia della porta del retro, prendendosi solo un momento per considerare l'idea di dire qualcos'altro.

Forse avrebbe potuto dirgli quelle due maledette parole, quelle che non aveva mai pronunciato. Fissò la schiena di Erwin, che già si allontanava, e non aprì bocca fino a quando lui non fu scomparso nella strada principale. Regalò quelle stupide parole all'aria, chiedendosi se davvero c'era bisogno di pronunciarle per dimostrare a Erwin cosa provava nei suoi confronti.

Non se lo meritava.



* * *



Non fu Hanji ad informarlo della gravidanza di Irene, ma il chiacchiericcio dei clienti. Nei mesi che seguirono quasi nessuno menzionò il fatto che non si fosse presentato alla cerimonia – forse non lo avevano saputo, o più probabilmente non volevano offenderlo. Le uniche volte in cui vedeva Erwin era quando lui si presentava al locale per arrestare un cliente, e le uniche parole che si scambiavano riguardavano la brutta abitudine di Levi di lasciare che ogni genere di persona, avvocato o malvivente, frequentasse il The Styx. Non c'era mai segno di tristezza sul volto di Erwin, mai Levi ebbe l'impressione che volesse dire qualcosa di più; la fede al dito brillava fastidiosa ogni volta che gli allungava un mandato di perquisizione.

- Ti faranno chiudere. - commentò Hanji, un giorno. Erano passati sette mesi dal matrimonio, e le loro vite sembravano tornate alla loro distruttiva normalità.

- Il minimo che può fare è incantare il suo capo e mettere una buona parola per me. - replicò lui.

La loro litigata era morta e sepolta sotto gli anni di amicizia. Levi non ce l'aveva neanche con lei per il pugno – anche se per qualche motivo le aveva negato il caffè per almeno due mesi, dopo quella scazzottata. Ma ora che Erwin non c'era lei era una presenza confortante, una dei pochi amici che gli fossero rimasti accanto dopo il matrimonio oltre a Mike, Nanaba e occasionalmente Nile – di cui avrebbe fatto volentieri a meno – e sua moglie. Fu proprio quest'ultima a tirare fuori l'argomento della gravidanza un giorno, dando il grande annuncio.

- Ooooh, Erwin mi ha mandato la foto della bambina! - Hanji e Mike si precipitarono a guardare lo schermo del cellulare, mentre Levi si irrigidiva sul posto. - È...è così paffuta! Oh mio dio, Nile, guarda! È paffuta! -

Mike e Hanji alzarono lo sguardo su levi, che dava loro le spalle. - Come l'hanno chiamata? - domandò lui, cercando di suonare il più naturale possibile. La voce gli tremava appena.

- Greta. - rispose Nanaba, leggendo dallo schermo. - Credete che dovremmo andare a trovarli? Magari sarebbe meglio aspettare che Irene esca dall'ospedale... -

Non sapeva dove Erwin abitasse. Non sapeva come fosse la sua vita quotidiana – se si svegliasse al mattino e le baciasse la fronte come aveva fatto spesso con lui, facendola allontanare perché se c'era un difetto era quanto potesse essere appiccicoso di prima mattina. Per loro non c'erano mai state colazioni tranquille e routine mattutine, solo saluti frettolosi e ultimi baci rubati prima di correre giù per le scale nella speranza che il padre di Erwin non fosse in piedi. Ma loro dovevano averla, una routine. Una colazione perfetta, una vita perfetta, ora una bambina perfetta...

Come poteva Erwin sopportare tutto quello?

- Levi...Levi! - Hanji si era sporta sul bancone e gli stava stringendo il braccio. Gli altri si erano allontanati e discutevano animatamente, ma lei lo fissava preoccupata. - Se stringi un altro po' quel bicchiere ti si spaccherà in mano. -

Levi posò il bicchiere di cui parlava la donna e la guardò. Lasciò che lei leggesse attraverso la sua espressione impassibile, per una volta; e per ringraziarlo, Hanji non commentò il caos emotivo che vi trovò.

Notizie della bambina arrivavano con una scadenza quasi settimanale, di solito da qualcuno del gruppo; ma mai da Erwin, le cui visite si fecero ancora più rade, per poi smettere definitivamente. Fino a quel maledetto giorno di dicembre, almeno.

Due anni erano passati con una rapidità disarmante. La vita di Levi ormai si concentrava nel suo locale e i pochi incontri con gli amici rimasti, e quella sera non aveva avuto nulla di diverso dalle altre. Stava servendo al bancone assieme alla ragazza che lo aiutava nel week end quando il ragazzino entrò, spolverandosi la grossa felpa nera dalla neve che vi si era depositata sopra. Si avvicinò al bancone evidentemente nervoso; Levi realizzò che doveva avere circa quindici anni, anche se era abbastanza gracile da dimostrarne di meno.

- Non serviamo alcolici ai minori. - dichiarò, vedendolo appoggiarsi al bancone. Aveva corti capelli biondi rasati sui lati alla moda dei ragazzini, e due occhiaie pesante sotto gli occhi.

- U...una coca cola ce l'avete? - Levi annuì. Passò la bottiglia di vetro stappata dal frigorifero al ragazzino, indicandogli il prezzo. Il ragazzo pagò e rimase a rigirarsi il vetro tra le dita, come se esitasse sul da farsi.

- Ehm... - mormorò. - Tu...tu sei Levi? -

Oh no. Aveva degli standard anche lui; quei maledetti potevano spacciare nel suo locale, ma non a ragazzini tanto magri da poter essere stesi da un soffio di vento. - Sì, sono Levi. E ora esci dal locale, ragazzo. Non... -

Non fece in tempo a terminare la frase; qualcosa nel volto del piccolo stava mutando, ed era uno spettacolo affascinante. I lineamenti si fecero più adulti e morbidi, gli occhi si addolcirono e divennero più scuri, bruni anziché verdi. Quando parlò di nuovo, la sua voce era acuta e femminile, diversa dai mormorii bassi di poco prima. - Mi dispiace. - sussurrò, e Levi sgranò gli occhi; la voce aveva un che di familiare. - Oh, mi dispiace così tanto. Aiutali tu, ti prego, aiutali... -

Il ragazzo chinò la testa verso il bancone e prese a tossire violentemente. Levi lo afferrò la spalla e lo scosse, preoccupato; quando rialzò il volto era tornato se stesso, e sanguinava copiosamente dal naso. - D...devo andare. - sussurrò. Levi non fece in tempo a fermarlo prima che questi scappasse fuori dal locale, urtando un paio di persone nella sua fuga e lasciando la bibita sul bancone. Hanji entrò mentre lui fuggiva fuori, senza degnarlo di un'occhiata; si diresse verso Levi, il volto una maschera di terrore.

- L...Levi! - esclamò. Vide che tratteneva a stento le lacrime. - U...un'incidente. Irene...l'hanno investita. È morta mentre la trasportavano in ospedale...Erwin mi ha telefonato, io non... -

Smise di ascoltarla. Ora sapeva da dove provenisse quella voce, e perché suonasse familiare; l'aveva già sentita, la prima volta un giorno di più di cinque prima, quando Erwin era entrato da quella stessa maledetta porta e aveva presentato a tutti la giovane come un'amica, e lei aveva riso...


* * *



Non andò al funerale. Aveva i suoi dubbi sul fatto che i genitori di Irene l'avrebbero voluto lì, lui che due anni e mezzo prima era stato l'unica macchia scura nell'altrimenti immacolato matrimonio della loro figliola. Hanji gli disse che era un'idea stupida, ma lui la convinse che avrebbe parlato ad Erwin di ciò che era successo a tempo debito.

Ed eccolo lì, sulla porta di casa sua, a fissarlo sconcertato. Aveva occhiaie che Levi non vedeva da anni sul suo volto, e i capelli in disordine. Non pronunciò una parola fino a quando una vocina alle sue spalle richiese la sua attenzione.

- A...arrivo, tesoro! - urlò alle proprie spalle. - Io non... non so cosa tu ci faccia qui, ma... Non è il momento più adatto. -

Levi lo fissò senza battere ciglio e si voltò per tornare da dov'era venuto. Come aveva potuto pensare fosse una buona idea, presentarsi a casa sua senza un minimo di preavviso a neanche una settimana dalla morte di sua moglie? Era già sulle scale quando Erwin lo chiamò; quando si voltò vide che aveva in braccio una bimba con corti capelli biondi, intenta a mordersi il pollice. - Levi, fermati. Puoi almeno dirmi se sei qui per...le condoglianze? -

Levi annuì e lo vide sospirare, indeciso sul da farsi. - Entra dentro. Devo fare il latte a Greta, quindi dovrai aspettare. -

La bimba annuì, felice di sapere che avrebbe ottenuto ciò che desiderava; schioccò un bacio sulla guancia del padre mentre i due uomini risalivano le scale. Levi si guardò attorno mentre entravano nell'appartamento; era un luogo semplice, e solo il tocco femminile di sua moglie lo aveva reso più vivo e meno...Erwin. Il pensiero che fotografie dalle cornici colorate e fiori sarebbero scomparsi dalla casa col tempo, ricordi troppo dolorosi per continuare a vivere, era quasi doloroso. Levi si sedette sul divano scuro del salotto, ascoltando in silenzio il rumore del microonde che riscaldava il biberon della piccola. La bimba in questione trotterellò nel salotto e fissò Levi imbronciata per qualche secondo, prima di chinarsi a raccogliere uno tra i tanti giocattoli sparsi sul tappeto rosso scuro – una macchinina di gomma blu – e portarlo a Levi senza troppe cerimonie.

- Greta, vieni, è pronto il latte. - sospirò Erwin. La bimba corse in grembo al padre mentre questi si sedeva sul divano, lontano da Levi, e accettò di buon grado il biberon. Rimasero a fissarla divorarne il contenuto in silenzio, entrambi incerti su ciò che avrebbero dovuto dire.

E ad essere onesti, cosa c'era da dire? Era andato lì su insistenza di Hanji, ma più osservava Erwin più si convinceva che niente di ciò che avrebbe potuto dire l'avrebbe aiutato ad uscire dalla fossa in cui era crollato. Questa volta non era un velo quello posatosi sul volto di Erwin, e non era cemento a ricoprire le fessure del suo cuore; un drappo nero sarebbe stato più adatto a descrivere il vuoto nei suoi occhi, e non esisteva un materiale in grado di rimettere assieme i pezzi della sua anima distrutti. Levi decise che se doveva odiarlo, almeno avrebbe fatto sì che lo odiasse per bene.

- Irene mi ha parlato la sera dell'incidente. - Cominciò, accavallando le gambe e incrociando le braccia sul petto. - Sei libero di non crederci. -

Erwin non alzò lo sguardo. Chiuse lentamente gli occhi e lentamente li riaprì. - Vi siete visti? - domandò. Levi scosse la testa.

- Un ragazzo stranissimo è venuto a parlarmi al bar e a un certo punto aveva la faccia e la voce di tua moglie. - spiegò. Qualcosa nel modo in cui le sopracciglia di Erwin si inarcarono gli disse che era sulla strada giusta per farsi scaraventare fuori dalla finestra. - Oh, piantala di fare quella faccia. Posso leggerti in testa e ti fa strano pensare che sia tornata dal regno dei morti per parlarmi? -

- Non ripeterlo mai più. - Tenne i denti tanto stretti da far assomigliare le proprie parole a un ringhio. - Mai più davanti a lei. -

Gli occhi della bimba si erano fatti più pesanti via via che il latte terminava. Erwin prelevò il biberon dalle sua mani e lasciò che lei poggiasse la testa sulle sue spalle, abbracciandola. Levi aveva creduto che vederlo in quelle vesti lo avrebbe disgustato – paradossalmente, si ritrovò a chiedersi come avesse vissuto fino a quel giorno senza considerare l'idea che Erwin potesse essere un magnifico genitore. Aveva tutti i requisiti. Come sempre, era lui che si sentiva sbagliato.

- Come credi che abbia reagito quando Irene mi ha detto che aspettava un bambino? - domandò. - Non sono andato nel panico, sapevo esattamente cosa avrei dovuto fare. Quello che mi ha spaventato era l'idea di vedere mio figlio legato a un letto d'ospedale mentre un'equipe di medici cerca di capire cosa diavolo ha che non va e discute di aprirle la scatola cranica. -

Levi conosceva la visione che Erwin stava descrivendo. Nel suo caso non si erano nemmeno posti il problema – il suo unico parente conosciuto era un anziano che soffriva di demenza senile e marciva in una casa di riposo, per cui chi avrebbe protestato se lo avessero restituito ai servizi sociali con un taglietto nel cranio e un biglietto di scuse? La cicatrice pulsava ancora, certi giorni, come per ricordargli che l'incubo vissuto a nove anni era tremendamente reale. Non c'era nessun ragionamento scientifico dietro a ciò che erano ed erano in grado di fare. Era qualcosa di più. - Hai paura sia...cosa, contagioso? Ereditario? -

Erwin poggiò una mano sulla testa della bimba e la posò sul divano, sistemandole la testa su un cuscino e carezzando le sue guance. Dormiva profondamente, e Levi si ritrovò a guardarla – gli somigliava così tanto. - Ho paura. - proseguì lui. - Di aver accettato troppo tempo fa l'esistenza di sacrifici che sono disposto a compiere. E per il suo bene posso sacrificare una vita di prodigi. Posso sacrificare tutto. -

Levi annuì piano. - Se è questa la tua decisione, allora ti faccio le mie condoglianze e me ne vado. - Si alzò dal divano e lanciò un altro sguardo alla piccola. Era arrivato convinto che l'avrebbe odiata – e invece, vedendola così piccola e indifesa, era stato solamente in grado di chiedersi se c'era stato un periodo in cui lo era stato anche lui. Non porse la mano a Erwin e non attese che lui lo seguisse all'ingresso.

- Levi. - La sua voce lo fermò per la seconda volta in poco tempo. Non si era alzato dal divano, e continuava a guardare la piccola, perso nei propri pensieri. - Cosa ha detto Irene? - domandò.

- Mi ha chiesto di prendermi cura di voi. - ammise. Non c'erano motivi per nasconderlo, e non si era aspettato una risposta – ma questa volta, mentre Erwin posava gli occhi azzurri su di lui e silenziosamente intrappolava la sua anima a sé, decise piano che per una volta, una volta soltanto, avrebbe potuto provare a non scappare di fronte a una responsabilità che gli avevano appioppato.



* * *


Greta faceva del suo meglio per superare la scalata che la divideva dallo scivolo con lunghe falcate pesanti a causa del giubbotto in cui era infagottata. Quando si metteva in testa qualcosa dimostrava la stessa testardaggine di suo padre, se non di più.

- Ce...l'ho...fatta! - esclamò, alzando entrambe le braccia in aria e saltellando sul posto. - Papà! Levi! Zia Hanji! Ci sono arrivata da sola! -

- Bravissima, tesoro! - urlò Erwin, le mani a coppa attorno alla bocca. Hanji lanciò un urlo vittorioso, e Levi – Levi la fissò dritto negli occhi, e non tentò di soffocare un sorriso soddisfatto quando la piccola allungò un pollice alzato nella sua direzione. Ricambiò il gesto, sperando che nessuno lo vedesse.

- E ora che cosa facciamo? - domandò. Hanji si alzò per raggiungere la piccola e lasciarli soli.

Greta aveva quattro anni, ormai. Il loro mondo, quella parvenza di normalità costruita in quei due anni, era stato appena rovesciato da qualcuno che finalmente era stato in grado di raccontare loro cosa e chi erano. Tra i compagni del ragazzino che li aveva avvicinati Levi aveva riconosciuto il biondino che aveva portato con sé il messaggio di Irene, l'inverno di due anni prima; ma non ne aveva parlato ad Erwin.

La mano dell'uomo si posò sulla sua e Levi si voltò a guardarlo. Due anni erano un lungo periodo, e sul suo volto iniziavano a spuntare le rughe di una stanchezza tipica della vecchiaia, troppo in anticipo sui tempi. Non lo sorprese; Erwin era sempre stato vecchio dentro, con la sua incapacità di considerare tutto troppo seriamente e prendere sulle proprie spalle la responsabilità del pianeta, se non dell'universo. Si scoprì grato di averlo con sé, e grato di tutte le volte in cui, in quegli anni, aveva pronunciato quelle due parole senza temere le conseguenze. Timidamente, poi più sicuro, infine quasi come un rituale mattutino, ma le aveva pronunciate.

E anche lui.

- E ora andiamo avanti. - Rispose, stringendo le sue dita tra le proprie. E Levi non poté fare a meno di sorridere.





______________________________________





Non sono riuscita ad aspettare di proseguire con la storia principale prima di scrivere e postare questo extra che già progettavo/mi è stato richiesto. Spero i personaggi non siano risultati troppo OOC, e spero vi sia piaciuta quanto a me è piaciuto scriverla.

Alla prossima con HkN, e grazie per aver letto.

-Joice

   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti / Vai alla pagina dell'autore: JoiningJoice