Primo
Capitolo.
Un
mese prima
-Federico,
non
posso. Mio padre è qui. La mia famiglia è qui. Tu
non sei niente.- Non volevo
dirlo, ma fui costretta. Ruggero, mio fratello, arrivò fino
a Corto Maltese e
provò a portarmi a Starling City, la città dove
ho vissuto dalla mia nascita.
Cinque mesi prima avevo scoperto che mia madre mi aveva tenuto nascosta
tutta
la verità, io sono la figlia di Malcom Merlyn,
l’uomo che uccise milioni di persone
per i suoi scopi. Dopo questo avevo lasciato tutti e tutto, scomparsi
per un
po’ di tempo, mi serviva il tempo di riflettere. Riflettere
sulla mia vita,
quella vera e quella falsa. Quando seppi tutto il mio mondo
crollò e con lui
tutti i miei ‘eroi’, mio fratello, il mio Fede, mi
aveva tenuta nascosta una
cosa del genere, non potevo perdonarlo.
–Si che puoi.
German, anche se non era il tuo
padre biologico, si è sacrificato per te. Si è
suicidato per farti vivere, la
stessa cosa che ha fatto mamma qualche mese fa, si è fatta
uccidere per far
vivere noi. Tutto quello che hanno fatto, lo hanno fatto solo per noi.
Io sono
tuo fratello, quello che ti ha sempre sostenuto in ogni cosa che
facevi. Ma ora
non ti appoggio, sei scappata da tutto e da tutti e mentre io ho
faticato per
riavere il Verdant e rimetterlo in funzione, lasciare a te la
proprietà e poi,
dopo aver assicurato un futuro a te, ho pensato a me. Ho ripreso il
controllo
della Castillo Consolidated e ho ripreso il controllo della
città.- lo guardai
negli occhi e capii che stava dicendo la verità
più assoluta. Per un attimo
pensai a quello che aveva fatto per me, si era dato da fare per mesi e
aveva
pensato a me. Io, la sua sorellina adorata, la stessa che lo aveva
abbandonato.
-Se
tornassi a
Starling City…che accadrebbe?- domandai scrutandolo. Sorrise
e mi rispose con
una frase semplicissima.
-Quello
che tu
vuoi.-
Era
fatta, sarei
tornata nella mia amata città, con mio fratello al mio
fianco che non mi
avrebbe mai abbandonato di fronte alle difficoltà.
Un
mese dopo.
-Fede,
dove hai
messo il caffè?- urlai nella speranza che mi sentisse. La
nostra casa era
enorme, rivestita di legno ma fortissima e inattaccabile. Non avevamo i
soldi
per pagarci la servitù e ci dovevamo arrangiare come
potevamo. La mattina era
un incubo per me, non essendomi ancora abituata a quella routine, era
difficile
trovare quello che mi serviva senza il minimo aiuto. Ero come una
bambina che
stava imparando a camminare.
Lo
vidi entrare
dalla porta principale con in mano due bicchieri di plastica provenienti da Starbucks,
che si trovava
proprio vicino casa nostra. Oltre i bicchieri c’era anche un
piattino di
plastica bianca, dentro c’era qualcosa da mangiare. Allora si
sfamava bene
quando non c’ero io lì, con lui.
-Buon
giorno Vilu.
Ti ho portato la colazione.- mi lasciò un bacio sulla
fronte, cosa che faceva
sempre, fin da quando ero piccola. Ci sedemmo sul divano color crema
del
salotto e facemmo colazione. Ogni tanto mi sorrideva e io lo ricambiavo.
-Oggi
devi andare
al Verdant, ricordatelo.- mi rammendò e si fermò
sull’uscio della porta. –Ah,
ho lasciato il comando ad un ragazzo, lavorerete insieme al locale.- e
andò
via.
Bene,
mi spettava
una giornata favolosa. Fino alle sette di sera sarei dovuta rimanere
lì con lui
perché dovevo firmare i vari documenti da acquisizione del
locale.
Quando
tornai
nella mia stanza capì quanto tutto quello mi era mancato.
Violetta Castillo
aveva bisogno di tutte quelle cose per sentirsi a casa, abiti firmati,
incontri
tra imprenditori e guardie del corpo. Non che fossi una che se la
tirava, ma io
avevo sempre vissuto così non potevo rimanere senza tutta
questa ricchezza. A
Colto Maltese non avevo tutto questo, con lo stipendio come cameriera
potevo
comprarmi si e no due o tre magliette e due pantaloncini, non potevo
vivere per
sempre in quel modo. Con la mano toccai tutti i vestiti che avevo,
andavano da
un vestiti color prugna corto a metà coscia, fino ad
arrivare ad un abito lungo
di raso rosso che avevo indossato per la festa di capodanno della mia
famiglia.
Ad occhi chiusi scelsi un vestito blu con uno scollo a V, sia davanti
che da
dietro. Arrivava poco prima del ginocchio, non era né tanto
formale, né tanto
da discoteca, era giusto per un’occasione del genere. Non mi
truccai più di tanto,
solo un po’ di mascara e di matita nella parte interna degli
occhi.
-Violetta
Castillo,
è ora di tornare al lavoro.- e uscì di casa a
testa alta, nessuno mi poteva più
ostacolare.
-Ehilà…c’è
qualcuno?- chiesi a voce alta per farmi sentire, da quello che mio
fratello mi
aveva detto un ragazzo dirigeva il mio locale ora.
–Noi
apriamo alle
dieci stasera, perché sei qui?- domandò
scrutandomi dall’alto verso il basso.
–Sono Violetta
Castillo, la sorella di Federico
Castillo.-
-Oh,
scusami
tanto. Io sono Leon Vargas, dirigo questo posto ora.-
-Lo
vedo- dissi
guardandomi intorno curiosa. Qualche mese prima il locale era rosso,
nonostante
il nome fosse ‘Verdant’ ora invece era verde
smeraldo. Il bancone bianco e una
manciata di sgabelli bianchi illuminati da una luce blu, fantastici. Le
scale
avevano una fascia rossa davanti, una zona
privata…intelligente il ragazzo.
Anche se non riuscivo a vedere bene, al sul secondo piano
c’erano dei tavolini
e delle sedie, illuminati proprio come il bancone e gli sgabelli, con
delle luci
blu.
–Carino.-
esclamai
guardando lui, questa volta.
–Modestamente…grazie.-
-Che
fine ha fatto
il mio ufficio?-
-Bhè
ora è il
nostro ufficio, visto che comandiamo
entrambi.- annuii e salimmo le scale. Dall’alto era tutto
più bello, ora aveva
veramente le sembianze di un Night Club.
–Hai
fatto un
ottimo lavoro. Mi piace tantissimo.-
-
Ero venuto
diverse volte con i miei amici qui, l’anno scorso. Anche tu
avevi fatto un buon
lavoro.- entrammo in ufficio e mi sembrò molto diverso
dall’ultima volta. C’erano
due scrivanie bianche, con il ripiano in vetro trasparente,
l’una di fronte
all’altre. Sopra ognuna di queste c’erano due iMac,
anche questi bianchi. Le
sedie andavano in contrasto, erano nere. Si poteva vedere
l’interno del locale
con una vetrata oscurata all’esterno quindi era impossibile
vedere dentro del
centro del club, ottimo.
–
E’ proprio
bello.- dissi meravigliata. Non potevo credere che il ragazzo che mi si
era
presentato davanti con una felpa rossa e un paio di jeans aderenti,
avesse
fatto tutto quello. –Chi ti ha aiutato? Voglio dire i tuoi
genitori avranno
pagato tanto per tutto questo, e non parlo solo dell’ufficio,
ma del locale
intero.- mi guardò male, ma non rispose. Si sedette alla sua
scrivania, almeno
credo che fosse la sua, e io mi accomodai di fronte a lui.
–Il
computer è un
iMac di ultima generazione e può fare tutto. Siccome non
possiamo rimanere
aperti ogni giorno, direi che nel weekend e il mercoledì ci
sarà la discoteca
con il Dj. Mentre gli altri giorni possiamo fittare il primo piano per
feste
private… che ne dici?-
-Ottima
idea,
andiamo a risparmiare di meno alla fine, vero?-
-Certo,
ecco
perché te l’ho proposto.- Sorridemmo entrambi e
poi ci mettemmo a lavorare sui
nostri computer.
Dopo
due ore avevo
capito che avevo fatto male a lasciare gli occhiali a casa. In quel
momento non
vedevo più nulla, solo immagini sfocate.
–La
prossima volta
porta gli occhiali…sto scherzando, ovviamente.- mi sorrise.
–Dimmi
che abbiamo
finito. Ti supplico.- lui annuì e spense il suo computer, di
conseguenza io.
–Stasera
ti va se
mangiamo insieme?-
-Non
hai amici con
cui andare a rimorchiare ragazze?-
-Purtroppo
i miei
amici non rimorchiano ragazzi, spacciano…droga.- rimasi in
silenzio aspettando
il continuo della frase, che arrivò poco dopo.
–Ho
un lavoro, e
guadagno bene…sto cercando di chiudere con loro.- annuii e
non solo a quello.
–Stasera
a casa
mia alle nove…puntuale. Porta tu qualcosa da mangiare.-
presi la borsa ed uscii
dal locale. La mia Lancia Delta era lì ad aspettarmi, bianca
come non mai e
odorava di nuovo. Era il regalo di compleanno di mia madre per i miei
diciott’anni. Mi ricordo della mia sorpresa quando la trovai
fuori casa,
stringevo così forte mia madre che credevo di strozzarla da
un momento
all’altro. Sorrisi malinconicamente a quel pensiero ed entrai
in macchina.
-Fede…ti
ho detto
di non preoccuparti…ci vediamo dopo…si, rimaniamo
a casa.- chiusi la chiamata e
gettai il cellulare sul letto. Il mio armadio era spalancato e i
vestiti tutti
per aria, alla fine avevo deciso di indossare una maglia sbracciata con
delle
frange sulla pancia, perciò quando mi muovevo e mi sedevo
quelle si spostavano
scoprendomi quella parte del corpo. Sotto di essa un paio di jeans neri
aderenti, ma comodi e un paio di Vans che andavano dal blu al viola, le
mie
preferite; anche se in casa preferivo rimanere scalza, mi sentivo
più libera. Stavo
per cambiarmi la maglia quando il campanello suonò, era
arrivato Leon.
-Bene,
la pizza…mi
piace questa idea!- esclamai sorridendo. Entrò in casa e si
posizionò di fronte
a me.
-Dove
mangiamo?-
-Ti
risponderei in
camera mia, però è in disordine.
Quindi…in salotto?- le sue labbra si
incurvarono in un sorriso.
-E
se ti aiuto a
mettere tutto in ordine?-
-Andata,
lascia le
pizze in cucina e seguimi-
-Davvero
tu
indossi queste cose?- rise, di nuovo. Il mio limite di sopportazione
era
arrivato alle stelle per colpa sua. Lo guardai e lo fulminai. Aveva in
mano un
top nero, che quelle poche volte indosso a me mi aveva fatta sembrare
un’altra
persona. L’avevo abbinato con un paio di pantaloncini corti e
un paio di
Converse nere.
-Si,
l’ho
indossato a volte, qual è il tuo problema?- mi
guardò e lo poggiò al suo posto
nell’armadio.
-Vorrei
vedertelo
addosso al club qualche volta. Magari domani, le serata dedicata a te.-
-Oh,
no. Non lo
farò mai. Sei un pervertito di prima categoria.- lo schernii
dandogli uno schiaffetto
sulla spalla destra.- I tuoi genitori ti hanno dato la serata libera?-
lui non
rispose, ma si allontanò da me.- I-io non volevo
o-offenderti. Lascia stare.-
uscii dalla camera e andai a prendere le pizze dalla cucina.
Chissà
perché si
rabbuiava quando gli parlavo dei suoi genitori, avrò evitato
l’argomento
sapendo la sua reazione. Sapevo cosa si provava a perdere i proprio
familiari
davanti ai propri occhi.
-Perché
stai
piangendo?- per poco non ebbi un infarto a causa dello spavento. Leon
era dietro
di me e poi si spostò davanti.
-Mi
hai fatto
spaventare!- disse cercando di sviare l’argomento. Mi
guardò e intuì dal mio
sguardo che non volevo parlarne.
-Ok,
lasciamo
stare l’argomento. Andiamo a mangiare?- annuii e salimmo tra
risate e battute.
Durante
la cena
non spiccammo parola, ma capii dal suo sguardo che aveva qualcosa di
dirmi, una
domanda probabilmente.
-Che
cosa devi
dire?- lui si accigliò –Capisco dal tuo sguardo
che c’è qualcosa che devi dire.
Dì-
-Promettimi
di non
arrabbiarti.- annuii nuovamente e lui proseguì
–Che cosa provi ad essere figlia
di Malcom Merlyn?-
Lo
guardai per
qualche secondo e poi risposi:-Bhè…di certo non
ne sono fiera. Sono rimasta per
cinque mesi su un’isola, avevo bisogno di riflettere su
tutto. I miei genitori
mi hanno mentito per diciannove anni, decisamente troppo tempo. Anche
il mio
padre biologico si e nascosto e quando è morto ha lasciato
in eredità a me
soldi che ha guadagnato uccidendo persone innocenti…mi sento
molto male.-
piangevo a dirotto mentre dicevo tutto questo. Finalmente avevo parlato
con
qualcuno di tutto quello che mi era successo, finalmente mi ero aperta
a
qualcuno che non facesse parte della mia famiglia.
-Vieni
qui.- mi
disse prendendomi tra le sue braccia. Il pezzo di maglia sotto al mio
viso, nel
giro di qualche minuto, divenne fradicio. –Liberati, sono qui
per questo.-
sorrisi e lo strinsi maggiormente a me.
Leon
continuava ad
accarezzarmi i capelli, eravamo stesi sul mio letto da qualche minuto.
Dopo il
mio sfogo di quasi un’ora, mi fece stendere su di lui in modo
che potesse
asciugarmi il viso, rigato dalle lacrime.
-Sono
soffici.-
-Si,
lo sono.-
-A
che pensi?-
-A
niente.- dissi
voltandomi verso di lui. Annuì e si avvicinò a
me, chiusi gli occhi. Sentivo il
suo fiato caldo sul mio collo, si stava avvicinando alle mie labbra e
io non
avrei fatto nulla per fermarlo.
Angolo
Autrice:
Salve
a tutti,
sono nuova in questa categoria. L’ispirazione mi è
venuta guardando Arrow…amo
questo telefilm.
Ora
devo andare,
ma fatemi sapere, con una recensione, che ne pensate.
Vi
amo tutti.