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Autore: Yutsu Tsuki    01/04/2015    5 recensioni
Dal primo capitolo:
“Osservando il suo volto, si accorse di una cosa. Tutti quegli anni passati dietro a due spesse lenti rotonde gli avevano fatto dimenticare di quanto belli fossero i suoi occhi. Erano di un verdeacqua chiaro, ma intenso, quasi luminoso. Si avvicinò ancora allo specchio e allungò la mano, come per poter afferrare quel colore che era un misto fra il cielo azzurro senza una nuvola ed un prato fresco d'estate.
Voleva toccarli, sfiorare quella luce e immergersi in essa, ma venne bruscamente interrotto dalle urla di sua sorella: — Keeeen! Vieni a cena, è prontooo!
Si allontanò in fretta dalla sua immagine riflessa. Per un attimo restò senza parole. Era rimasto affascinato dal suo stesso volto. Poi scoppiò a ridere, rendendosi conto dell'assurdità della cosa.
Aprì la porta della stanza gridando: — Mi chiamo Kentin!! — e corse in cucina.”
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dolcetta, Kentin, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 22


Vertigini







Un’ampia strada alberata separava il Tamigi dai Jubilee Gardens. Su questa strada si esibivano in più ore del giorno molti artisti di strada: c’era chi si travestiva da animale e si divertiva a fermare i passanti, chi eseguiva acrobazie straordinarie attirando la maggior parte del pubblico e chi si limitava a rimanere immobile con indosso fantasiosi costumi dai materiali più disparati. Al termine del viale vi era l’accesso per il London Eye, la più alta ruota panoramica d’Europa e uno dei simboli principali di Londra.
I tre professori del Dolce Amoris si apprestarono a fare la conta degli studenti e a distribuire loro i biglietti per salire sulla struttura. Dopo che tutti l’ebbero ricevuto, si misero in coda ed aspettarono per una decina di minuti il loro turno.
Nel frattempo Kentin e Candy erano intenti ad osservare un uomo vestito e truccato da dalmata che ballava al ritmo di una canzone. — Che buffo! — esclamò la ragazza.
— È vero! — approvò Kentin. Ad un certo punto, però, udì che si stava sovrapponendo un’altra musica alla sua. Si guardò attorno per capire da dove provenisse, quando si accorse che a pochi metri di distanza un vecchietto canuto e ricurvo stava suonando sotto l’ombra di un albero frondoso una piccola armonica, senza curarsi degli sguardi della gente. — Ehi, guarda — aggiunse indicandolo a Candy. I due lasciarono perdere l’uomo-dalmata e si avvicinarono al signore anziano. La musica che suonava sembrava allegra, ma più andava avanti e più rivelava un andamento malinconico, che finì col mettere un po’ di tristezza a tutti quelli che la ascoltavano.
— È bellissima — commentò Candy. Kentin stava per rispondere che anche lui la trovava molto orecchiabile, quando venne improvvisamente coperta da due urli provenienti dalla loro destra: — Kentin, Candy!
Nell’udire i loro nomi, i due si voltarono di scatto, ma non capirono subito chi li avesse chiamati. Ad un tratto, però, lo sguardo di Kentin si posò sui piedi del London Eye e constatò con terrore che una cabina con all’interno tutti i suoi compagni ed i professori stava per essere chiusa e lasciata partire senza di loro.
In un gesto fulmineo afferrò la mano di Candy e cominciò a correre. Cercarono di farsi largo tra la folla per quei pochi metri che li separavano dall’ingresso della ruota panoramica, ma proprio quando furono a qualche passo dal resto della classe, la strada venne loro sbarrata dagli addetti del personale, intenzionati, giustamente, a vedere i loro biglietti.
— E ora che facciamo? — chiese Kentin osservando i volti furenti fissi su di lui della professoressa Moreau e del professor Faraize che salivano ormai in cielo.
— Saliamo sulla prossima cabina — rispose Candy preoccupata, ma con decisione.
Dopo aver mostrato i loro biglietti all’incaricato, i due aspettarono in silenzio l’arrivo della capsula successiva e vi entrarono. Lo spazio era molto più ampio di quello che si erano aspettati, i numerosi vetri curvi permettevano di vedere l’esterno a trecentosessanta gradi, mentre al centro si trovava una panchina ovale che riprendeva la forma della cabina. Oltre a loro non dovette salire nessun altro, perciò, non appena si chiusero le porte, rimasero da soli.
— Quando scenderemo, i professori ci ammazzeranno — affermò Kentin.
— Già. Pensavo ci avessero dato del tempo per fare un giro prima di salire — rispose Candy, avvicinandosi alle finestre. Lui fece lo stesso ed insieme osservarono l’esterno che si muoveva lentamente insieme a loro.
— Chissà se quando saremo più in alto si vedrà la scuola — domandò Kentin.
— Secondo me sì, però dovremo aspettare almeno dieci minuti, dato che il giro dura mezz’ora — disse lei.
Dopo aver atteso il tempo sufficiente perché si avesse una panoramica più ampia della città, Kentin intravide oltre il Tamigi il Big Ben, quindi guardò se più a destra fosse visibile lo Sweet Amoris. Con sua grande sorpresa riconobbe subito i quattro edifici rossi del liceo, quindi chiamò Candy perché anche lei andasse a vedere. Non ottenendo risposta, si girò a guardarla. La ragazza aveva ignorato completamente le sue parole poiché stava fissando muta e impietrita il vuoto sotto di lei, con gli occhi spalancati e le mani aggrappate alla ringhiera adiacente alle finestre.
— Tutto bene? — chiese Kentin avvicinandosi a lei. Prima che fu arrivato, però, la vide poggiarsi una mano sulla testa e subito dopo cadere lentamente per terra. Con uno slancio istintivo la afferrò appena in tempo per le spalle e cercò di farla rialzare. — Candy? Che succede, Candy? — urlò mentre lei si aggrappava a lui barcollando e respirando velocemente.
— Non è niente, ho solo un po’ di vertigini — disse tremando e strizzando gli occhi per impedir loro di scorgere i metri che la separavano da terra.
— Vieni, appoggiati qui — insisté Kentin preoccupato, portandola fino alla panchina e aiutandola a mantenere l’equilibrio mentre si sedeva; ma dato che la ragazza non sembrava avere intenzione di lasciarlo andare, dovette per forza mettersi accanto a lei. Continuando a sussultare e a tenere gli occhi chiusi, Candy annullò la poca distanza che li separava e si abbandonò su di lui stringendolo con energia. Un’incontrollabile vampata di calore percorse tutto il collo e il volto di Kentin.
Sentendola ancora tremare, ricambiò timidamente l’abbraccio portando le braccia sulla sua schiena.
— Scusami, è che mi gira la testa — pronunciò con un filo di voce Candy.
— Stai tranquilla, sai che puoi contare su di me — rispose Kentin con voce bassa e rassicurante. Rimasero così per diversi minuti, finché, grazie alla protezione che Kentin gli aveva offerto, il corpo di Candy smise di tremare.
Era la seconda volta che si abbracciavano; la prima era stata in quella lontana domenica all’ospedale. Sembrava passata un’eternità da allora... eppure ben poco era cambiato e dopo tutto quel tempo Kentin non si era mai arreso. Ormai non ricordava nemmeno più tutte le traversie che aveva dovuto affrontare nel rincorrere Candy, o forse, più semplicemente, si sforzava di non ricordarle. Sapendo che ben presto sarebbe svanito, la strinse ancora più forte, per attirare dentro di sé quel calore che gli era tanto mancato, quando ad un certo punto avvertì con la coda dell’occhio dei movimenti provenire dalla sua sinistra. Voltandosi a guardare, vide alcuni dei suoi compagni di classe, tra cui Alexy e Armin che, dalla cabina di fronte a lui, gli gesticolavano ridendo e agitando le braccia in segno di approvazione.
Colto dall’imbarazzo, si staccò subito da Candy. Lei, allo stesso modo, si ricompose e tornò a guardare senza più paura il panorama esterno.
— Devi scusarmi — ripeté. — In confronto a te sono così debole... — disse poi, sorridendo con rassegnazione.
— Non è vero, non è colpa tua se soffri di vertigini — ribatté Kentin. Ed aggiunse con amarezza: — E poi anche io un tempo ero molto più fragile.
— Eri solo sensibile.
— Ero un idiota buono a nulla.
— Tu eri bello dentro come lo sei fuori ora — dichiarò Candy con un tono deciso ma allo stesso tempo naturale, che lasciò Kentin visibilmente stupito. Accorgendosi di aver dato voce ai propri pensieri, distolse velocemente lo sguardo da lui e arrossì.
— Voglio dire che non devi odiarti per com’eri prima — rettificò — Non devi vergognarti di niente. Hai sempre agito nel modo più giusto per te e per quelli a cui vuoi bene.
— Se essere narcisista lo consideri agire bene... — borbottò Kentin.
— Non vuol dire nulla! L’importante è che sei riuscito a superare sia quello, che le cattiverie degli altri. Te l’ho già detto, ma ti ammiro molto per avercela fatta — esclamò Candy mentre tornava a guardarlo con occhi malinconici.
Il mondo fuori da quella scatola ovale continuava lentamente a girare. Erano ormai sul punto più alto della ruota, sovrastavano ogni edificio, ogni albero, ogni barca che da lassù eran sempre più piccoli.
— Comunque è stata una debolezza che ho scelto di mia volontà. Tu non sei una debole perché soffri di vertigini — continuò Kentin, deciso ad andare fino in fondo.
— Ma la causa sta nel comportamento della gente! Se non ti avessero maltrattato ad inizio anno, tu non avresti reagito così, una volta tornato a scuola. — Candy abbassò lo sguardo, ricordando che in realtà anche lei non si era comportata in modo del tutto corretto con lui. Kentin non seppe cosa rispondere.
— È assurdo quanto l’aspetto fisico sia importante per la gente — continuò lei in un sospiro. — Ormai si giudica uno da come si veste e se è bello o brutto. Decidono già chi sei, senza nemmeno conoscerti. Danno retta a chi ti getta fango addosso, senza preoccuparsi di verificare l’autenticità delle loro accuse. Non devi rimproverarti per quello che è successo: per me non hai commesso nessun errore — concluse rivolgendo a Kentin uno dei suoi sorrisi più belli.
Lui rimase senza parole. Effettivamente era girato tutto attorno a quello. Se le persone non fossero così crudeli e superficiali, probabilmente non avrebbe dovuto sopportare quel calvario, e a quest’ora sarebbe ancora come il vecchio Ken.
— Forse hai ragione — concluse ricambiandole dolcemente il sorriso. Apprezzava quel lato riflessivo di Candy: era anche per quello che si era innamorato di lei. E poi sull’ipocrisia della gente la pensavano allo stesso modo.
La ragazza appoggiò la testa sulla sua spalla ed insieme rimasero ad ammirare il paesaggio davanti a loro, che tornava a salire lentamente, e le barche e gli alberi, che si facevano sempre più grandi, e gli edifici, che li riportavano duramente alla realtà.

Al termine del giro furono, come era ovvio, rimproverati dai professori, ma fortunatamente non ricevettero nessun castigo. Lungo la strada di ritorno, Kentin venne avvicinato dai gemelli, i quali vollero sapere tutti i dettagli su quel che era successo sulla ruota panoramica.
— Allora, sciupafemmine, che ci dici di te e Candy? — esordì Alexy, buttandogli un braccio sulle spalle.
— Siamo solo arrivati troppo tardi e abbiamo dovuto prendere la cabina dopo — chiarì lui, cercando di non arrossire.
— Sì, come no, l’abbiamo notato come ve la spassavate alla grande! — esclamò Armin con un sorriso sornione.
— Guarda, non è come credete. È che Candy si è sentita male per le vertigini — rispose. I gemelli tacquero. Poi, di punto in bianco, esplosero contemporaneamente in una risata che fece girare diversi passanti.
— Perché ridete?! — fece Kentin mentre, imbarazzato, gesticolava loro di abbassare il tono.
Armin ed Alexy si rivolsero uno sguardo d’intesa e subito dopo risposero all’unisono: — Candy non soffre affatto di vertigini!






✤✤✤




Non so. Rileggendolo, noto che questo capitolo è veramente corto! xD Eppure ho fatto una fatica assurda a scriverlo...
Se devo dire la verità, non avevo la più pallida idea di cosa fargli accadere sul London Eye xD Volevo però che fosse qualcosa di serio, così ho deciso di tirare in ballo certi argomenti che mi stanno a cuore... Magari glieli ho fatti dire con troppa leggerezza, non lo so...
Comunque, una cosa che volevo dire, è che ogni cosa riguardo a Londra che ho scritto in questo capitolo è vera. Vicino ai Jubilee Gardens ci sono davvero degli artisti di strada e quando 5 o 6 anni fa ero andata lì in vacanza studio, c’erano sto tizio vestito da dalmata e sto vecchietto tenerissimo che suonava l’armonica T___T Non potevo non inserirli nella fanfic!
Ma la cosa veramente epica è che, andando a cercare immagini su Google Maps sul London Eye, i giardini, eccetera (perché io prima di scrivere un capitolo sto giorni interi a documentarmi, sì xD), ho trovato con lo Street View LO STESSO VECCHIETTO CHE AVEVO VISTO IO! È stato incredibile, non potete immaginare il mio stupore quando me lo sono vista anche su Google Maps xD Ecco il link che vi porta direttamente alla scena: click
Quello lì al centro è proprio il signore che c’era quando con la scuola stavamo per salire sulla ruota! (e tra l’altro ci avevo pure fatto un video, che volendo posso anche farvi vedere u_u)
Quindi niente, questo per dirvi che non è tutta una scemata sta storia xD qualcosa di sensato ce l’ha u.U
   
 
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