Anime & Manga > Pokemon
Segui la storia  |       
Autore: Ink Voice    02/04/2015    4 recensioni
Erano davvero bei vecchi tempi quelli in cui, pur avendo perso la propria quotidianità e la propria famiglia, si aveva un altro punto di riferimento a cui tornare con il proprio cuore; si era trovata una nuova casa rassicurante che scacciava i pericoli esterni e lasciava che, anche in tempi tanto burrascosi, ci si sentisse al sicuro dentro pareti e stanze che ormai si conoscevano come le proprie tasche.
Ma tutto questo si è dissolto nel nulla, o meglio: è stato demolito. L’Accademia che tanto rassicurava i giovani delle Forze del Bene è ormai un cumulo di macerie a causa dell’ennesima mossa andata a buon fine del Nemico: ora tutti sono chiamati a combattere, in un modo o nell’altro, volenti o nolenti.
Le ferite sono più intime che mai ed Eleonora lo imparerà a sue spese, perdendo le sue certezze e la spensieratezza di un tempo, in cambio di troppe tempeste da affrontare e nessuna sicurezza sul suo avvenire.
[La seconda di tre parti, serie Not the same story. Qualcuno mi ha detto di avvertire: non adatta ai depressi cronici.]
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Not the same story'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
XVII
Nell’abisso

Trascorsero due mesi di relativa tranquillità dopo il rientro dalla missione capeggiata da Camille. Infatti le due missioni minori alle quali dovetti partecipare furono abbastanza tranquille e funsero per lo più da assaggio per le nuove reclute che dovevano abituarsi al clima della base segreta e all’atmosfera pressante delle missioni.
La prima delle due consisteva nell’aiutare e soprattutto nel proteggere alcuni guerrieri, piccoli ma promettenti. Più che altro feci da assistente a Ilenia, che doveva badare e fare attenzione che tutto andasse bene, oltre che sbrigare il lavoro sporco - cosa in cui ovviamente fui coinvolta io mentre i cuccioli di recluta riposavano. Infatti ci toccò muoverci di notte dopo aver allestito un nascondiglio abbastanza lontano dal nostro obbiettivo che tenesse al sicuro i ragazzini. Ora che avevo sedici anni tutti mi sembravano piccoli e indifesi. Per questo a malincuore lasciai Rocky a far loro da guardia insieme alla possente Flygon di Ilenia, pregando perché non succedesse niente. Più che altro perché avrei avuto qualcuno sulla coscienza e la mia fedina penale si sarebbe irrimediabilmente sporcata.
La fantomatica missione, oltre a portare in campeggio i ragazzi e farli abituare al mondo esterno, pieno di pericoli che io e la mia compagna avevamo sventato prontamente senza dir loro nulla - per tenerli all’erta e far sì che dessero il meglio di sé credendo di star facendo qualcosa di importante e rischioso - la missione consisteva essenzialmente nel piazzare un paio di videocamere all’interno di una base nemica. Essa era troppo vicina al covo dei nostri per i gusti di Bellocchio, perciò l’uomo aveva ritenuto opportuno tenerli d’occhio meglio del solito. Si trovava infatti presso una grotta nel percorso che conduceva dal Monte Corona a Cuoripoli.
Le telecamere erano contenute negli occhi di minuscoli Joltik robot-giocattolini. Erano piccolissimi, lunghi - sarebbe meglio dire corti - tre o quattro centimetri a malapena, ed erano anche color roccia in modo tale da mimetizzarsi alla perfezione con le pareti o il soffitto della base nemica. In totale erano una dozzina scarsa. I tecnici li avrebbero telecomandati portandoli in un angolo che offrisse una buona visuale e lì si sarebbero spenti, lasciando attive solo le telecamere. Dopo aver appiccicato tutti i Pokémon-spia sulla borsa piuttosto larga di una recluta che ci passava vicina per caso, non accorgendosi di noi, io e Ilenia ci dichiarammo “missione compiuta” e verso l’una di notte tornammo sui nostri passi, sbadigliando per la noia.
Invece durante la seconda provai il brivido di essere io a capeggiare una missione. Inizialmente avrei dovuto partire con Sara, Melisse e due ragazzi che non conoscevo, ma uno dei due si era preso un febbrone passeggiando incautamente per le pendici innevate del Monte Corona - non ero l’unica a farmi giretti in solitudine, quindi - ed era stato sostituito, quando lo scoprii ebbi un tuffo al cuore, da Oxygen. Dovevo aspettarmelo.
“Andiamo, la missione è nelle tue mani. Dai il meglio di te e farai una buona impressione” mi ripetevo durante il viaggio, in volo insieme ad Altair. Dietro di me c’erano il diretto interessato con Swellow e Sara con Noivern. “Mostrati sicura di te, pronta a tutto e anche abbastanza temeraria, ma non ricadere nella freddezza antipatica di quell’odiosa di Camille... e tutto andrà bene in entrambe le missioni.”
Dovevamo raccogliere qualche altro dettaglio prezioso per Bellocchio sull’organizzazione dei Victory, più utile e preciso delle poche cose trovate a Kalos, nascosta in una base minore sull’Isola Ferrosa. Forse i nemici speravano che così fosse meno in vista e quindi non in pericolo per razzie di informazioni. -Illusi!- aveva commentato con una risatina acuta Melisse quando, durante il viaggio, avevo spiegato quale fosse il nostro compito. Sorridendo avevo annuito a ciò che aveva detto la ragazza e avevamo continuato il viaggio più o meno nel silenzio.
Più o meno, perché per qualche ragione che mi ostinavo a non capire Oxygen mi si era avvicinato a un certo punto, quando eravamo in vista dell’Isola, e mi aveva chiesto: -Com’è comandare una missione?
-Devo ancora scoprirlo- avevo ribattuto.
Sbuffando ironicamente il ragazzo si era accorto che effettivamente non eravamo ancora in una situazione che potesse definirsi con la parola “missione”. Ero stata così intelligente da troncare a metà una conversazione, quindi mi affrettai nel tentativo di rimediare: -Però tu lo sai… cosa si prova ad essere a capo di una spedizione.
Alla fine ero riuscita a parlare con lui fino all’arrivo all’Isola Ferrosa, insistendo - non solo da parte mia, sperai - sugli argomenti relativi alle missioni. All’atterraggio le mie guance erano belle colorite e avevo detto agli altri, che mi fissavano incuriositi per le mie gote improvvisamente rosate, che il vento forte produceva questo effetto su di me. Già, e quale vento poteva riuscirci meglio, se non un ragazzo così carino e gentile esperto in Pokémon di tipo Volante*…? Avevo avuto anche la sensazione che mentre mi scusavo per il mio rossore lui mi fissasse… Forse era una mia impressione dovuta all’emozione e mi facevo troppi film mentali come al solito.
In ogni caso la missione si era svolta nella più totale tranquillità, quelle poche reclute di ronda erano state derubate dei propri mezzi di comunicazione per evitare di chiamare rinforzi, le loro intere squadre erano state messe al tappeto e noi placidamente eravamo arrivati in una sorta di quartier generale. Era un altro casermone simile a quello trovato a Kalos, nascosto da altre due o tre barriere che poi rivelavano stanze e corridoi segreti. Ci eravamo arrivati grazie alle gentili indicazioni di quelle disponibilissime reclute.
Era stato interessante il breve incontro con Saturno, uno dei generali Victory. -Siete arrivati tardi- ci aveva accolto. La sua voce era annoiata e strascicata, mi stava già dando i nervi. Poi aveva proseguito tranquillamente: -Le informazioni che state probabilmente cercando sono state trasferite, e in ogni caso non so come potessero…
-Meno chiacchiere e fatti da parte, Saturno- lo avevo interrotto giocherellando con la ball di Nightmare. -O forse preferisci lottare? Per me non fa alcuna differenza, sarà ugualmente facile.
-Se la metti così…- aveva ghignato lui. Ne era seguita una lotta in singolo che aveva dato il tempo necessario a Sara e Melisse di smanettare con i computer, a Oxygen di guardarsi le unghie e all’altro ragazzo del gruppo di fare da sentinella, anche se non ce ne era stato alcun bisogno. Saturno era più forte di quanto mi aspettassi ma non per questo era stato tanto difficile batterlo. Nightmare aveva resistito con più Pokémon ed era stato poi sostituito da Rocky, finché le due ragazze non avevano ottenuto ciò che ci serviva e ce ne eravamo andati indisturbati.
Avevo espresso le mie perplessità a Bellocchio al riguardo di questa accondiscendenza generale da parte del nemico di lasciarci prendere senza opporsi con vera forza ai nostri furti di informazioni. La risposta che avevo ricevuto era stata abbastanza enigmatica per gli standard dell’uomo, ma avevo capito il senso: -I tasselli a nostra disposizione del puzzle che stiamo componendo sono ancora molto pochi, i Victory questo lo sanno.
In parole povere, il Victory Team era sicuro - e purtroppo aveva ragione - che ciò che sapevamo sul suo conto non fosse abbastanza per prenderci seriamente: non dava lo stesso peso che invece attribuivamo noi a quello che volevamo trovare, quindi non si preoccupava di qualcosa ritenuta una sciocchezza. La cosa mi aveva infastidita perché mi aveva dato una forte e sgradevole impressione: mi pareva di star lavorando per niente. Nel giro di due-tre mesi avevo partecipato a due missioni e quel numero, per gli standard della base, era molto alto. Per questo mi ero chiesta cosa ci mancasse, quali tasselli essenziali di quel puzzle ci servissero per schiarirci le idee e iniziare a crearci qualche carta da giocare, con la sensazione di non star brancolando nell’oscurità. Solo molto in seguito mi permisi di porre questa domanda a Bellocchio, che sicuramente era scottante e sgradita.

Agli inizi di novembre cadeva il diciassettesimo compleanno di Daniel. Un modo per festeggiare non esisteva lì alla base e ne avevo avuto la prova quando, compiuti sedici anni, solo gli amici più stretti mi avevano rivolta la parola per farmi gli auguri. Memore dell’esperienza all’Accademia, quando ogni compleanno si festeggiava con tantissima contentezza e allegria, ci ero rimasta un po’ male per poi rassegnarmi appena avevo capito - o meglio, realizzato per l’ennesima volta - come funzionassero lì le cose.
Però in qualche modo volevo far sì che la giornata del mio amico fosse un po’ più speciale del solito, volevo che ricevesse la giusta differenziazione dalla routine quotidiana come si meritava. Per fortuna in quel periodo Daniel non era fuori per qualche missione e avevo campo libero per stare un po’ con lui. Sentivo di dovermi sdebitare per la sua disponibilità e gentilezza, che mi aveva dimostrato più di una volta in quei mesi senza ottenere un vero contraccambio da parte mia: quello era il momento giusto per fargli vedere che c’ero e che avevo apprezzato molto i suoi sforzi, che di certo non sarebbero stati inutili perché mi avevano tirata su di morale in molte occasioni.
“Di regali non ne riceverai neanche stavolta, Dan,” pensai nei giorni precedenti al piccolo evento, “ma spero che un po’ di attenzioni da parte della tua migliore amica ti facciano piacere. È da tanto che non mi degno di… essere alla tua altezza, ecco. Mi dispiace, ma è ancora così difficile…”
Quindi la mattina del giorno del suo compleanno mi svegliai di buon’ora, anche per rendermi per lo meno presentabile ai suoi occhi in quel dì particolare. Era da un po’ che non facevo attenzione a me stessa e impiegai un po’ di tempo per riprenderci la mano, mi pareva strano dedicarmi all’aspetto esteriore. Feci spallucce e abbozzai un sorrisetto furbo, che come al solito non si estese ai miei occhi. -Meglio di niente, dai. Ma facciamo progressi, nevvero, Eleonora?- chiesi al mio riflesso nello specchio del bagno, ridacchiando per quella scenetta.
Chiara, che era sveglia da prima di me, tutto sommato si stupì di vedermi un po’ meno trasandata del solito. Ovviamente non mi degnò di una parola e io non cercai di avvicinarmi, ma quell’occhiata di sbieco che mi aveva lanciata quasi casualmente mi infastidì un po’, senza che sapessi nemmeno bene il perché.
Fui sorpresa di scoprire che Daniel non era nella base e nemmeno in missione. Incontrai George quasi per caso e sapendo che i due erano molto amici gli chiesi che fine avesse fatto, poiché lo cercavo da un buon quarto d’ora.
-Sai che è uscito a fare una passeggiata sul Monte? Ci siamo svegliati come al solito abbastanza presto e quasi subito dopo avergli fatto gli auguri è praticamente scappato- disse, anche lui sorpreso di quella cosa. -Non è la prima volta che esce dalla base per un giretto, ma non mi aspettavo che lo facesse anche oggi. Tu sai…?
-No, appunto per questo ti chiedevo dove fosse, nemmeno sapevo che fosse uscito- lo interruppi. -Be’, vorrà dire che andrò a cercarlo. Di giretti nel Monte Corona me ne sono fatti decisamente più di lui!
-Va bene, ciao ciao- mi salutò lui ammiccando. -Digli di tornare presto, ho bisogno della solita lotta mattutina.
-Certo, ci vediamo- replicai. Avvisai Bellocchio della mia uscita e lui acconsentì senza problemi, come al solito seduto irrequieto nel suo ufficio scegliendo tra qualcuna delle sue faccende da sbrigare.
Il clangore mettalico del portone della base che si chiudeva alle mie spalle mi annunciò che ero ufficialmente fuori. Qualcosa mi diceva che Daniel si trovava sul percorso che portava alla Vetta Lancia, perciò mi rassegnai a dover fare il giro lungo da Cuoripoli, altrimenti Altair o Diamond si sarebbero congelati a volare con quel freddo. Tra l’altro mi pareva passato un sacco di tempo da che non stavo un po’ sola con la mia Altaria: momenti passati insieme in solitudine ce n’erano stati parecchi, questo sì, ma era da tanto che non volavamo insieme. Quando ero rientrata nella base segreta dalla missione a Kalos avevamo volato abbastanza a lungo fino all’aeroporto che ci avrebbe riportati tutti “a casa”, ma si trattava di due mesi prima, mentre il - relativamente - breve tragitto dal Monte Corona all’Isola Ferrosa non lo consideravo proprio per la piccola distanza tra le due zone. E adesso dovevamo volare per un tratto brevissimo, ma nonostante ciò pensai che quel poco insieme sarebbe stato molto meglio dei viaggi di gruppo, in cui non avevamo un momento disponibile per “chiacchierare” indisturbate.
Nel giro di pochi minuti ero fuori dai labirintici corridoi del Monte e intravedevo la piccola Memoride come al solito sommersa dalla nebbia, caratteristica della città e dei percorsi adiacenti. -Tanto meglio- dissi a bassa voce. La visuale di Altair durante il volo poteva non essere eccezionale, ma almeno nessuno ci avrebbe viste. Uscì dalla sua sfera silenziosamente. Ogni volta mi ricordavo di quanto era una Swablu, dei forti schiamazzi che emetteva in qualunque momento, poi di quanto detestasse starsene nella Ball e invece adorasse appollaiarsi sulla mia testa. Ma con l’evoluzione era stata costretta a smettere di muoversi come quando era un esserino minuscolo e batuffoloso. Ci scambiammo un’occhiata veloce e io sorrisi, né amaramente né per un qualche motivo allegro.
-Anche tu sei cambiata, nevvero?- le sussurrai abbracciando il suo corpo morbido e caldo. Altair canticchiò dolcemente un mormorio a me incomprensibile che interpretai come una semplice, tenera dimostrazione d’affetto. Non avremmo mai parlato la stessa lingua ma non ce n’era bisogno in momenti come quello. L’intesa era forte. Non tanto quanto avrebbe voluto Rosso, i cui allenamenti erano estenuanti, ma in quegli attimi di dolce solitudine mi sentivo fusa con lei, che era stata il mio primo Pokémon e anche la prima vera conoscenza in quel mondo.
“Lei è così importante” pensai mentre le salivo sopra. Come al solito era subito pronta per spiccare il volo. “Mi pare di non riuscire a concepire quanto lei sia fondamentale per la mia stessa esistenza. Non voglio pensare a cosa  mi succederebbe se la perdessi. Quando sono con Altair mi sento così al sicuro e proprio questo mi porta a chiedermi cosa farei senza di lei… Purtroppo come succede con molti altri, c’è sempre per me, mentre io sono così poco presente per lei. Sarà abbastanza? Oppure vorrebbe di più da me? C’è qualcosa in cui sbaglio, che magari ci farà arrivare a un livello ancora superiore quando mi correggerò? Chissà che in quel momento io non riesca a fare esattamente come Rosso, a diventare come lui, non avere bisogno di altro… raggiungere la vetta…”
Durante il breve viaggio raccontai ad Altair qualcosa di più o meno futile e interessante. Lei non rispose mai, ma sbirciando per vederle gli occhi notai uno sguardo attento che mi riempì di fiducia e orgoglio, perché potevo notarlo solo quando parlavo io e lei era interessata. -Sai che sono cotta pazzamente di Oxygen, il ragazzo con quel bellissimo Altaria cromatico?- le dissi con estrema naturalezza e spensieratezza.
Lanciò un piccolo strillo di stupore che mi fece ridacchiare. -Non mi dire che non te l’ho raccontato! E va avanti pure da un sacco di tempo, a dire la verità. Andiamo, è impossibile che non te l’abbia detto!- insistetti quando la vidi scuotere la testa con decisione. Un’altra esclamazione da parte sua, ben diversa da quella di prima, mi fece capire che era il momento di atterrare. -Va bene, forse mi sono dimenticata, però non era così difficile farci caso- borbottai, giusto per farla indispettire. Lei per vendicarsi fece un atterraggio più brusco del solito.
-Ma che modi!- sogghignai mentre la facevo rientrare nella Ball.
Ero precisamente davanti l’entrata per l’interno del Monte Corona, l’altra strada che conduceva alla Vetta e non a Nevepoli. Replicai il percorso che tante volte avevo fatto, che nonostante lo scarso senso dell’orientamento ormai conoscevo praticamente a memoria; quindi con una certa sicurezza mi incamminai. Ciò che più mi premeva era sapere cosa fosse preso a Daniel per scappare lontano dal resto della gente nella base tanto da spingerlo a uscire così presto, tra l’altro per andare a passeggiare sulle pendici perennemente innevate di un Monte impervio come quello di Sinnoh. “Avrà uno dei suoi momenti no, oppure vuole solo pensare un po’, isolato da tutti” mi convinsi. “Magari vuole imitare Rosso, scrutando l’orizzonte sull’orlo di un precipizio… mmh, non è una buona idea.”
Decisi di rimandare tutte quelle congetture, perché avrei scoperto tutto al momento opportuno. E poi mancava poco al mio arrivo, ero già uscita dalla prima parte del percorso interno alla montagna. Rabbrividii all’ondata di gelo che arrivò dalla distesa di neve, colorata qua e là da sprazzi d’erba alta. Mi guardai intorno, tenendomi le ciocche più fastidiose di capelli con una mano per evitare che il vento me li mandasse negli occhi. Conoscendolo doveva essersi spinto molto più in là, probabilmente fino a dove le barriere imposte a difesa della Vetta Lancia glielo avessero concesso. “Perciò gambe in spalla e raggiungiamolo, pregando perché il mio istinto di amica - o qualcosa del genere, mi abbia mandata nel luogo giusto e non mi sia ingannata seguendo i miei gusti…”
Già, perché se c’era una cosa che mi piaceva era proprio la zona del Monte Corona più vicina alla Vetta Lancia, luogo mistico e misterioso che ci era vietato conoscere e che per questo attirava come una calamita la mia curiosità. Incrociai le dita nelle tasche del giaccone e proseguii, continuando a sperare di essere nella giusta direzione.
Ci avevo preso in pieno e la cosa non poté non soddisfarmi un po’. Daniel si era spinto davvero fino al limite imposto dalle barriere, quello sul quale ero praticamente andata a sbattere con il naso molto spesso, animata dalla convinzione di poter proseguire fino in fondo. Il ragazzo era seduto su un masso che aveva ripulito dalla neve e contemplava l’orizzonte nebbioso. La vista di parte di Sinnoh era imbiancata proprio dalla densa foschia e quindi non mi soffermai molto su quello scenario, sicura che il fischiare insistente e potente del vento teso nelle orecchie non avesse fatto sentire a Daniel i miei passi, che smuovevano indelicatamente la neve.
Cercai una frase d’effetto che non rendesse me impacciata e il momento irrimediabilmente rovinato, ma in quel momento riuscii a dire solo un misero: -Auguri, Daniel.
Il ragazzo si voltò sorpreso. Quando mise a fuoco la mia figura e riconobbe il mio viso si rilassò e si lasciò sorridere, rassicurandomi. -Grazie mille, Eleonora… non mi aspettavo di incontrarti qui.
-In realtà nemmeno io, credevo di poterti fare gli auguri nella base segreta anziché qui. Ma comunque questo posto mi piace molto di più, quindi non mi lamento affatto. Posso?- ribattei avvicinandomi a lui.
-E me lo chiedi pure?- Daniel mi fece posto sul masso e io mi sedetti.
Restammo in silenzio per un po’, cercando qualche parola da dirci. Alla fine io sospirai: -Perché sei qui?
Lui alzò le spalle e si mise più comodo appoggiandosi con la schiena alla parete di roccia. Poco lontana da noi c’era la porta che conduceva a una delle ultime stanze prima della Vetta Lancia. -Prima di far partire la giornata… non so, avevo voglia di starmene un po’ qui. È un posto che mi piace molto e mi attira, ogni volta che posso vengo qui per… Diciamo pensare, stare solo con me stesso. Capisci, no?
-Certo- dissi, chiedendomi cosa avesse da dirsi quando se ne stava lì in solitaria.
-Non pensi che sarebbe meraviglioso arrivare sulla Vetta?- chiese lui. Prima che continuasse lanciai una breve occhiata all’espressione del suo viso, stupendomi di riscontrare un’estatica voglia di sapere, di scoprire. Non era curiosità, era qualcosa di molto più forte, come un’attrazione incredibile che non riuscivo a spiegarmi: io anche ero affascinata da quel luogo inaccessibile - e glielo dissi con un “sì” poco convinto a causa dell’accurato studio che stavo svolgendo su di lui - ma i suoi occhi erano seriamente persi in un paradiso meraviglioso a quel pensiero.
-Quando ero piccolo- prese a dire con trasporto, -i miei genitori mi raccontavano spesso le leggende di Sinnoh come il mito della creazione, con Arceus, il Trio dei Draghi e il Trio dei Laghi, tutti i Leggendari… da allora tutto questo mi interessa tantissimo, è sempre stato la mia curiosità maggiore. Adesso, come molte altre volte, sono qui… e non mi è permesso visitare la Vetta Lancia, il luogo da cui tutto è nato, secondo la leggenda. Spesso mi dà fastidio ridurre tutto a un mucchietto di parole sull’evoluzione della specie e sulla “vera” nascita del mondo- sbuffò dopo un cambio di espressione, diventando pensieroso. -So che è stupido, ma è come se volesse cancellare la leggenda in cui io credo fermamente, a cui mi sento legato perché è la prima che io abbia mai conosciuto.
Stetti un po’ in silenzio prima di rispondere con qualcosa, tanto che lui gettò un occhio sul mio stato per capire se fossi ancora presente in quel mondo. -Non lo trovo tanto stupido, in realtà- sentenziai infine, accennando un sorrisetto. -E se da una parte mi stranisce questo tuo attaccamento a un luogo e ad un mito, dall’altro… dall’altro lo trovo abbastanza comprensibile. In un certo senso posso capirti…
-Tu hai qualcosa o qualcuno con cui sei così intima?
-Mmh… be’, è una domanda difficile…
-Oh, ma non fa niente- cambiò improvvisamente tono e ridacchiò come a voler dire “Che razza di discorsi sto facendo il giorno del mio compleanno?”. E in effetti disse più o meno quello subito dopo: -Forse è un po’, diciamo, forte come argomento. E poi… hai tutta la vita davanti per trovare qualcosa del genere.
“Già, sempre che questa maledetta guerra mi consenta di sopravvivere abbastanza a lungo” borbottai tra me e me, per poi scacciare all’istante quei pensieri funesti. Chiacchierammo ancora un po’ di cose più leggere e senza dubbio più “stupide”, ad esempio come passasse in genere i suoi compleanni e roba simile.
-Com’è invece trascorrere una giornata del genere così?- gli domandai curiosa. -Cioè, almeno io ero abituata a tutt’altra atmosfera quando era il mio compleanno… quindi quando quasi nessuno si è accorto che per me era una giornata diversa dalle altre ci sono rimasta parecchio male. Anche se ormai lo trovo comprensibile.
-Le mie aspettative per fortuna erano, e sono ancora, sotto lo zero. Infatti mi ha sorpreso molto vederti arrivare qui, non pensavo che mi avresti raggiunto- sorrise. Ricambiai un po’ imbarazzata. -Come hai fatto a trovarmi?
-Istinto- risposi con semplicità.
Lui annuì pensieroso, mordicchiandosi il labbro superiore, screpolato e semicoperto da quel po’ di baffi che si ritrovava. Non proseguì su quel discorso e cambiò nuovamente argomento. I suoi occhi blu che tendevano a socchiudersi, ombreggiati da un velo di profonda sensibilità, mi informavano che quel giorno il ragazzo era in vena di discorsi seri e che con ogni probabilità mi toccava sottostare ai suoi desideri. Difatti, collegandosi al tema del compleanno, prese a dire sorridendo tranquillamente: -Credo di aver fatto bene a non aspettarmi nulla da questa giornata. Apprezzo tanto vederti qui, molto più di quanto avrei fatto se invece mi fossi detto “vorrei tanto che qualcuno mi facesse una sorpresa e mi venisse a trovare anche qua”.
-Era il minimo che potessi fare- mormorai.
Daniel stette di nuovo un po’ in silenzio, finché non mi chiese: -Secondo te cos’è il tempo?
-Il… il tempo?- Ero abbastanza spiazzata da quella domanda, che non mi aspettavo da uno come lui. Perché per quanto fosse bravo, buono e senza dubbio anche bello, l’avevo sempre visto come uno un po’ superficiale, che non si poneva domande del genere, pensando che fossero troppo filosofiche - o almeno lui avrebbe detto così. A meno che non stesse scherzando e si riferisse a quello meteorologico, allora mi sarebbe sembrato più sé stesso.
Annuì, invitandomi a rispondere. Io inarcai le sopracciglia, mai avevo pensato a cosa fosse, perché esistesse e così via. Come tutte le cose naturali che esistono al mondo, mi pareva un meccanismo perfetto e onnipresente che perciò passava inosservato alla mia percezione. -Mi cogli alla sprovvista…- ribattei senza avere la più pallida idea di cosa potergli rispondere.
Sbuffò. -Non te lo sei mai chiesta?- Scossi la testa e lui proseguì: -È da un po’ che ho iniziato a pensarci. Il tempo è relativo, questo lo sanno tutti, ma quando ho realizzato le prime volte questa cosa… Insomma, basti pensare al fatto che per ognuno il tempo scorre a una diversa velocità. Magari per me che sto parlando i minuti vanno via velocissimi, tu che mi devi ascoltare invece non vedi l’ora che finisca e continui a guardare l’orologio in attesa che sessanta secondi svaniscano subito… È un fattore così soggettivo, mi attira moltissimo per questo, e mi chiedo se non esistanto leggi in attesa di essere scoperte che lo rendano uguale e terribile per tutti. Nasconde chissà quanti segreti, il tempo… mi sembra un evento misterioso, ma continuamente attivo e sempre presente. Inesorabilmente prosegue per la sua strada, si lascia indietro generazioni, secoli ed ère, nessuno riesce a starci al passo. E per questo non è più così soggettivo, diventa appunto una legge uguale per tutti. Nessuno può sfuggire al tempo ed è terribile quando quello ti risucchia dentro di sé…- Fece una pausa.
Io lo ascoltavo senza sapere se le sue parole fossero quelle di un uomo, che inizia a vedere come funziona il mondo, o di un bambino che si chiede quali leggi e quali fattori governino l’universo che non riesce a concepire, su cui può solo fantasticare. Il suo discorso era partito in un modo poco convincente, ma poi mi aveva parecchio stupita per le sue parole. “Sembra che stia parlando della morte, più che del tempo” riflettei.
-Il tempo… sarà davvero nelle mani di un Pokémon? Come ti senti, dimmi la verità, a sapere che il suo funzionamento è regolato da una creatura altrettanto misteriosa e pericolosa?- chiese poi.
-Parli di Dialga?
Lui annuì. Io alzai le spalle e lo guardai con un mezzo sorriso, intristita dal doverlo contraddire. -Daniel, a dirti la verità, visto che è quello che vuoi, non posso proprio credere che l’universo e il suo Creatore siano nati da un Uovo Pokémon. È una cosa che non riesco ad accettare per la sua poca credibilità, almeno per quanto mi riguarda. Men che meno mi convince l’idea di essere soggetta al volere di questi esseri, che saranno sovrumani e potenti quanto vuoi tu… ma addirittura pensare che l’ordine dell’universo rientri nei loro compiti e nelle loro abilità!
-Ma perché no?- ribatté istantaneamente. -L’hai detto anche tu, sono molto più potenti degli esseri umani! Noi siamo sprovvisti dei loro mezzi, loro che hanno tantissimi tipi diversi e facoltà incredibili… questo è il motivo principale per cui io mi ostino a crederci. Forse mi riterrai uno stupido o un bambino, un infantile, ma non riesco a smettere di pensare che tutto questo- fece un gesto vago che comprendeva l’orizzonte e tutto ciò che ci attorniava -sia stato affidato al caso, all’evoluzione e alla selezione naturale. Tu perché non ci credi?
-Non c’è un vero motivo, semplicemente mi sembra inconcepibile. Sarà perché sono entrata in questo mondo molto più tardi di te, che ci sei nato, mentre io sono stata strappata alla realtà di Nevepoli e via dicendo… ma che i Pokémon gestiscano tutto questo? No, assolutamente no.
-Credi che io ne stia facendo una religione?
-Le religioni non esistono più- sorrisi amaramente. -Con la rinascita del mondo e la sua riorganizzazione sono state abolite, lo sai…
-Lo so, lo so, ma la riorganizzazione è stata opera dei Pokémon!- Gli occhi di Daniel brillavano.
-Questo non significa che loro abbiano dato vita a tutto- risposi. -Abbiamo detto prima pure questo, i poteri che hanno e che ancora dobbiamo scoprire sono più che sufficienti anche per mettere in scacco l’umanità.
Lui stesse un po’ in silenzio e infine sospirò. -Immagino che non cambierai idea- si rassegnò.
-No, non così facilmente, almeno.
-… Be’, forse dovremmo smetterla di parlare di queste cose!
Daniel scoppiò improvvisamente a ridere di cuore, grattandosi la nuca con aria innocente e sbadata.
-Finalmente l’hai capito!- replicai allietata da quell’improvviso accesso di risa. -Anche perché ero venuta qui per chiacchierare in tranquillità, mica per questi discorsi!
-Sì, hai ragione- confermò, passandomi un braccio attorno al collo e stringendomi a sé in un abbraccio.
La mia faccia si colorò di un rosa vivo e mi ritrovai a pregare perché tornassero al loro normale colorito. “Aiuto, ma perché reagisco sempre così…!” -Parlando di cose davvero serie, te lo sei trovata un ragazzo, nanetta?
“E ti pareva che non iniziava a parlare di questo…” borbottò una vocina permalosa nella mia testa mentre mi facevo ancora più rossa. Daniel rise senza ritegno per la mia reazione e io lo spintonai indispettita. -Nanetto sei tu!- protestai balbettando e inciampando su ogni sillaba. -E comunque no…
-Mmh, ho capito. Ma l’hai fatto un pensierino su qualcuno?
-Diciamo pure che ho di meglio, per ora, a cui pensare- sbuffai incrociando le braccia e guardando da un’altra parte - più che altro per non farmi vedere mentre mentivo, cercando di darmi un contegno.
-Dai, rispondi bene. Allora?
Stetti muta per lunghissimi secondi finché lui non fece capolino nella mia visuale. Aveva un’espressione tanto divertita che mi veniva voglia di prenderlo a schiaffi. -Anche se fosse non te lo direi.
-Ma come!- Era a metà tra lo stupito e l’ilare. -Io ti direi tutto di me, invece.
-E allora fallo. Sei riuscito a piacere a qualcuna, caro?
Un ghigno furbo si dipinse sul suo viso. -Ebbene sì, cara.
Inarcai le sopracciglia, ero sinceramente sorpresa da quella risposta, che di certo non mi aspettavo. Proseguì: -E ti dirò di più, ricambio i suoi sentimenti. A quanto pare, da quello che ci siamo detti presto, era da un bel po’ che ci giravamo attorno e alla fine io ho fatto il primo passo, com’è giusto che sia.- Sembrava compiaciuto.
-Ma che gentiluomo, che cavaliere. E chi è la fortunata?
-Se non sbaglio siete amiche… è Melisse.
Annuii piuttosto pensierosa, distogliendo lo sguardo da lui e sentendo risuonare mille volte nella mia mente il suo nome. Inizialmente fui ancora più stupita ma poi realizzai che un po’ me l’aspettavo, soprattutto da quella premessa “siete amiche”. Avevo esaminato nel giro di mezzo secondo tutte le mie conoscenze e non avevo scartato il viso di Melisse subito dalla mia immaginazione. -Oh, lei è molto carina. Sia dentro che fuori- mormorai. In effetti era così, aveva una bella pelle piuttosto scura e lunghi, lisci capelli neri, che rilucevano come i suoi grandi occhi nerissimi. Era molto gentile, disponibile, simpatica. Insomma, aveva anche un discreto successo.
-Sì…- Il tono di Daniel era del tutto particolare.
Lo guardai di sfuggita e sul suo volto trovai riflessi tanti di quei sentimenti dolci e innamorati che mi confusi e mi imbarazzai, sentendomi come estranea al rapporto che si era venuto a creare tra quei due. -Da quanto… da quant’è che state insieme?- chiesi più o meno interessata.
-Oh, non molto. Più o meno due settimane.
-Attento a non scordarti il mesiversario. Tatuati sul polso la data del gran giorno.
-Credo che questo consiglio sia molto utile- rise Daniel riassumendo la posizione più o meno sbracata sul masso di poco prima. -Comunque non sto scherzando, sono davvero felice. Anche perché non mi aspettavo proprio che in una situazione come quella che stiamo vivendo fosse ancora possibile instaurare rapporti di amicizia, figurarsi d’amore. Quindi ogni volta che la penso mi stupisco della fortuna che ho avuto, chissà quanti sono costretti a vivere separati dal proprio amore a causa della guerra oppure non possono stare insieme con lui per impedimenti imposti da qualcuno, o semplicemente perché, come hai detto tu prima, si hanno altre cose a cui pensare.
-Forse proprio perché la realtà in cui viviamo è così dura cerchiamo qualcuno che ci capisca, con cui stare bene insieme- dissi, mettendomi anche io più comoda accanto a lui. -Sai, Daniel, credo che gli amori e i rapporti affettivi più in generale che nascono ora siano i più sinceri, perché hanno la forza di emergere anche quando la guerra e la solitudine vorrebbero sopprimere la loro stessa esistenza. La trovo una cosa grandiosa…- mormorai così a bassa voce che lui dovette farsi più vicino per sentire meglio. Per questo subito dopo esclamai con un sorriso: -Quindi sono così contenta per te e Melisse! Sono sicura che insieme starete benissimo, davvero! Mi fa tanto piacere!
Mi diede l’impressione di essere stupito da questa mia reazione piena di entusiasmo, ma poi anche lui sorrise e mi abbracciò. E per l’ennesima volta in quella giornata mi disse grazie.
Daniel tornò dentro la base segreta poco dopo proprio per cercare Melisse e stare con i suoi amici. Io decisi di aspettare ancora un po’ là fuori, dicendogli che quel posticino mi piaceva.
Con un sorriso furbo lui mi prese in giro: -Hai da pensare al fidanzatino, eh?
-Vattene- lo liquidai, lanciandogli un’occhiata di finta seccatura. Lui mi salutò un’ultima volta con la mano quando era ormai voltato di spalle, pronto a ripercorrere i suoi passi per rientrare. Continuai a fissare imperterrita e senza vederla davvero la parete rocciosa dietro al quale il ragazzo era scomparso, mentre più e più volte la mia mente mi proponeva l’immagine del suo gesto di saluto e l’ultimo millimetro appartenente alla sua figura svanire, risucchiato dal confine tra cielo e montagna che si stagliava davanti a me. Solo allora mi abbandonai ad un sospiro di sconforto e mi raggomitolai su me stessa, portando le ginocchia al petto, abbracciando con le braccia le caviglie e nascondendo il naso tra le gambe in cerca di un po’ di confortevole calore. Gli occhi si socchiusero malinconici.
Mi chiesi se fosse quello il momento di esternare interamente le feroci invidia e gelosia che iniziavano a rodermi l’anima. Prima di pensare a quello esaminai la mia performance con Daniel e decisi che avevo recitato abbastanza bene la parte dell’amica felice e contenta della coppia appena sbocciata, concedendomi solo qualche momento di lotta interna che avevo opportunamente trasformato in momenti pensierosi e ingenui. “Quindi brava te! Adesso è ora di far fuori la ragazza del tuo amico!” esclamò malignamente divertita la familiare vocina nella mia testa.
Sbattei il dorso della mano contro il masso su cui sedevo trattenendo a fatica un pugno di sfogo, consapevole delle brutte condizioni in cui l’avrei ridotta se avessi incontrato in maniera troppo ravvicinata la roccia gelida.
-Sbaglio o ti piaceva il dolce e riservato Oxygen, cara Eleonora?- sussurrai dando appena fiato alla mia voce.
La situazione sentimentale che stava venendo a crearsi non mi ispirava per niente, ci mancava solo che mi ritrovassi divisa tra due fuochi, entrambi attraenti e che desideravo con tutta me stessa: da una parte il ragazzo che mi ostinavo a considerare il mio migliore amico ma che evidentemente speravo fosse qualcosa di più, dall’altra quello che avrebbe dovuto essere e rimanere per sempre il mio maestro di allenamento Pokémon, ma per il quale avevo preso una sbandata piuttosto seria. -Spiegami perché adori così tanto complicarti la vita.- Il fatto che parlassi rivolta a me come un’altra, seconda persona mi dava da pensare alla mia instabile situazione psichica. 
Per quanto provassi a dire con insistezza a me stessa che il buon vecchio Daniel era stato solo una misera cottarella, passeggera ed adolescenziale, a forza di arrossire e balbettare in sua presenza quando non mi preparavo una bella traccia, da seguire come un copione durante una conversazione, capii. Mi divenne chiaro come non mai che in tutti quei mesi, se non quegli anni passati insieme in cui avevo cercato di convincermi che eravamo solo amici, il mio pazzo cuoricino aveva fatto di testa sua e aveva tenuto un posto per lui che non si era mai liberato. Oxygen si era preso un’altra poltrona tutta per lui e questo non faceva che peggiorare le cose.
“In aggiunta a tutto questo sono andata a scegliermi proprio le due persone migliori” pensai ironicamente. Già, ero innamorata di un ragazzo fidanzato e di uno che doveva stare lontano da me per un rapporto di livello molto differente quale quello allieva-maestro. E invece ero là, con gli occhi un secondo socchiusi e due serrati in cerca di un po’ di pace che non riuscivo a trovare, rannicchiata in quella triste posizione che speravo mi desse un po’ di conforto, a contatto con il calore del mio corpo, attenuato dal gelo che tormentava il Monte Corona.
Ma com’era possibile che riuscissi a farmi piacere due persone contemporaneamente? Proprio io che quasi mi imponevo regole sulle persone da amare, dicendomi che dovevo conoscerle bene e apprezzarle, che non dovevano essere amici per rovinare i rapporti né in posizioni sconvenienti, che avrebbero reso complicato il rapporto. Viva la coerenza, proprio: questo mi faceva arrabbiare con me stessa, perché andavo a infilarmi in situazioni più grandi di me come mio solito. Non avevo mai voluto tutto questo, eppure qualcosa mi aveva spinta in quel casino di troppe emozioni e sentimenti che faticavo a riconoscere e tentavo di riordinare, per poi ritrovarmeli tra i piedi quando credevo di essermene finalmente disfatta e tornare a una situazione peggiore delle precedente.
Mi alzai in piedi all’improvviso e meccanicamente, dopo lunghi minuti passati a pensare continuamente a tutto quello con il solo risultato di sentirmi ancora peggio, mi avviai verso la base segreta convincendomi che non avevo alcun motivo per continuare a ghiacciarmi le mani lì, su quel masso freddo, addosso alla parete di roccia.
Rientrai nella base segreta accogliendo con piacere la sensazione sulla mia pelle di calore, perché nonostante lì dentro non facesse tanto caldo, la differenza era comunque parecchia. Sospirai lievemente mentre toglievo sciarpa e guanti e mi dirigevo verso il dormitorio femminile, alla disperata ricerca del mio letto per un po’ di conforto.
Prima di arrivare, però, mi imbattei forse casualmente in Melisse. Era vestita e acconciata particolarmente bene quel giorno e non faticai a capire perché. Mi chiese con una nota ansiosa che tradiva un tono che voleva essere il più disinteressato possibile: -Ciao, Ele! Per caso hai visto il tuo amico Daniel?
Non riuscii a trattenere un sorrisetto. -Il tuo ragazzo, intendi?- domandai, sicura che non ci fosse nessuno altro ad ascoltare. Anche qui faticai a non ridere nel vedere la sua faccia divenire di un vistoso color rosso imbarazzo. -Sì, l’ho incontrato e gli ho fatto gli auguri. Ma non so dirti dove sia ora, ad essere sincera.
-O… ok, non importa, lo cercherò. Grazie, comunque…- balbettò. Mi pregò di non dire niente a nessuno e io feci finta di cucirmi le labbra, quindi corse via salutandomi ancora tutta colorita.
Daniel aveva aggiunto durante il discorso che avrebbe aspettato Melisse nella sala per l’allenamento, ma non avevo alcuna voglia di indirizzarla tanto facilmente verso il loro appuntamento. Perciò, fingendo ignoranza, andai finalmente ad abbracciare il mio amato cuscino, non potendo evitare di immaginare che al suo posto ci fosse un Oxygen o un Daniel libero dalla sua ragazza. La quale, in quel momento, mi risultò abbastanza seccante: volevo bene a Melisse, questo lo sapevo benissimo, ma non potevo nascondermi di essere più che gelosa di lei. Questo mi portava a esasperare sentimenti negativi che non provavo nei suoi confronti. Mi sentivo in colpa quando riflettevo su questo, ma appena la incrociavo quelli di nuovo di facevano vivi e per me incontrastabili.
Molto più forti erano, però, le emozioni che scoppiavano con forza nel mio petto quando Oxygen si mostrava a me, che fosse per caso o perché io lo avevo cercato. Oppure, realizzai in seguito, perché lui aveva cercato me.

Appena tornate dalla missione a Kalos, io e Camille non avevamo avuto un attimo di respiro ed eravamo state immediatamente convocate da Bellocchio. La prospettiva di un incontro fatto così presto non mi attirava affatto, in particolare perché dovevo sorbirmela con una ragazza che mal sopportavo, ma avevo fatto buon viso a cattivo gioco e, vestendo una maschera impassibile che faceva invidia a quella dell’altra, mi ero presentata con lei.
Appena entrate avevamo visto Bellocchio giocherellare con il tappo di una penna e mordersi il labbro inferiore, pallido e screpolato, che a malapena ci aveva invitate ad entrare quando avevamo bussato alla porta. Subito aveva lanciato un’occhiata d’accusa terribile a Camille, che per un momento fece vacillare la mia espressione fredda poiché mai lo avevo visto così deluso e arrabbiato. La ragazza lo aveva sfidato ricambiando lo sguardo con più ira e presto mi erano stati chiari i rapporti tra i due, non tanto diversi da quelli tra me e lui.
-Camille, ciò che hai fatto è stato imperdonabile!- l’aveva rimproverata abbandonando la penna sulla scrivania. -Grazie al cielo Elisio aveva una buona difesa, se l’avessi ucciso avresti scombussolato tutti i nostri piani!
-Oh, sicuramente avere un capo nemico estremamente pericoloso in meno a cui pensare sarebbe stata una cosa terribile!- aveva ribattuto lei furente. Qualcosa però mi diceva che sapeva di aver commesso un grosso errore.
-Ebbene sì! Camille, il gioco della guerra ha bisogno di essere svolto con mosse precise: queste richiedono molto spesso anche una certa forza dell’avversario, che è possibile sfruttare a proprio piacimento ottenendone vantaggi non indifferenti. Tu questo gioco non lo stai giocando.- Bellocchio rischiava di sbottare con veemenza, aveva le guance appena arrossate dalla concentrazione. -Non conosci le regole e le leggi, quindi devi obbedire e basta.
-Ma…
-Tu non sei nessuno in questa vicenda!- aveva gridato all’improvviso lui. La mia maschera ormai era scomparsa e iniziavo ad avere paura delle conseguenze: Bellocchio era scattato in piedi e Camille era trasalita, mostrandosi per la prima volta, ufficialmente, inferiore. -Quindi smettila di ragionare con la tua mente da pazza, che non sa rifiutare le proprie emozioni e scegliere cosa è meglio per un progetto più grande, che non si conosce! Ti conviene fare l’abitudine al tuo stato di… di debolezza, come è giusto che sia e come tutti, tranne te, hanno capito!
Era vero. Da un pezzo io avevo capito che non contavo niente in tutto ciò che stava accadendo, individui presi singolarmente come noi ragazzi del Bene non eravamo nessuno e non avevamo alcuna forza. Insieme potevamo muovere guerra, forse, contro i Victory: ma l’azione di Camille era stata azzardata, mossa dall’impulso di rabbia e rancore verso una persona che le aveva fatto del male. Io non potevo biasimarla perché se avessi avuto davanti a me Cyrus non avrei saputo dire quali sarebbero state le conseguenze, e proprio per questo cercai di convincermi a fare tesoro di questa esperienza sgradevole per non dover avere un colloquio simile con Bellocchio.
L’uomo faceva davvero paura. Se noi singoli non avevamo forza, lui da solo in quel momento pareva in grado di distruggere solo con la propria volontà l’intero Victory Team. Forse era stata quella forza incredibile a dargli la possibilità di creare un’organizzazione con l’intento di contrastarlo: se così fosse stato, non volevo saperlo, perché in quelle condizioni Bellocchio mi intimoriva non poco. Camille aveva rinunciato da un pezzo a ricambiare il suo sguardo buio e irato, mentre lui continuava a fissarle la fronte come se con gli occhi potesse spaccargliela a metà.
-Devo ancora decidere cosa fare di te. Anzitutto, non potrai avere più contatti con lei- aveva accennato a me con la testa, la voce ancora tremante di rabbia ma più controllata. Io nemmeno mi ero chiesta il perché di quella cosa, nel mio intimo ero abbastanza sicura di saperlo. -Guai se vengo a sapere di chiacchierate sconvenienti tra voi due, vi avviso. Adesso vattene fuori- le aveva ordinato, rimettendosi finalmente a sedere.
Senza neanche cercare di darsi un contegno, Camille era uscita a testa bassa e aveva chiuso la porta dietro di sé con inaspettata delicatezza. Bellocchio aveva tirato un sospiro liberatorio e sembrava sull’orlo di una crisi di nervi. -Cosa devo fare, Eleonora? Dimmelo tu. Dimmi che hai una risposta. Io non so più come devo trattarla.
-Mi spiace, capo, ma io ne so meno di lei- avevo replicato, insinuando qualcosa sul segreto mio e di Camille che lui all’apparenza non aveva colto. -Anche se ho saputo che Elisio è suo padre. Come mai…
-L’ho lasciata partire? Ho scommesso troppo sul suo conto. Ora ho avuto la prova che lei non è ancora pronta per missioni così forti- lui aveva completato la mia domanda e dato una risposta. Poi si era alzato, aveva rovistato nei cassetti di un comodino all’angolo della stanza e mi aveva porto un grosso bracciale grigio scuro, solcato da linee più tendenti al nero, che io avevo infilato senza esitazione al polso destro, intuendo cosa fosse.
-Ecco a te il tuo agognato Megabracciale- aveva fatto un sorriso tirato, ma sembrava più rilassato. -Te lo sei meritata, lo ammetto senza problemi. Hai svolto un’ottima missione e quindi ti farò fare qualcos’altro appena mi sarà possibile infilarti in qualche spedizione…
Mentre lui continuava a parlare io avevo infilato la Galladite nel Megabracciale. Non avevo provato nessuna particolare, mistica sensazione, ma nonostante la delusione iniziale non mi ero persa d’animo e mi ero detta: “Dai, quando la proverò si mostrerà in tutto il suo potere.” Intanto Bellocchio parlottava più tra sé che rivolto a me delle due missioni a cui poi avrei partecipato in seguito, quella all’Isola Ferrosa e quella con Ilenia.
Così dopo qualche lungo minuto di convenevoli io me ne ero fuggita, impaziente di provare con l’avversario che per primo mi sarebbe capitato sotto il naso la Megaevoluzione di Aramis. Richiusa la porta con poca grazia mi ero accorta, con una successiva mancanza di una serie di battiti del mio cuore, che Oxygen era lì. Con la schiena appoggiata al muro e gli occhiali in bilico sulla punta del naso aquilino, il ragazzo era scattato sull’attenti e senza esitazione mi aveva rivolto la parola. -Ehi, ciao!- Aveva alzato la mano per salutare, appariva disinvolto.
Io stavo rischiando davvero un infarto e l’ultima cosa che mi sarei aspettata era vederlo lì. Ero appena tornata da una missione - il fatto che non volessi andare a dormire, fregandomene dell’orario, e che volessi una lotta era ben strano per i miei standard - e l’unica cosa che desideravo era trovare una ragazza della compagnia e provare con Aramis la Megaevoluzione. Quindi ero stata abbastanza colta alla sprovvista. In quei momenti i miei pensieri erano tutti più o meno: “Ma i miei capelli sembrano una giungla e devo gridare al miracolo se per caso non sono sudata per la paura, perché Bellocchio faceva davvero sudare freddo con la sua reazione!”
-C… ciao- un balbettio era uscito con timidezza dalla mia bocca. -Non… non mi aspettavo di trovarti qui.
-Oh, be’, avevo sentito da Bellocchio che stavi per ricevere la tua Pietrachiave ed ero curioso di sapere, tutto qui- Quel “tutto qui” mi aveva fatta vacillare sulle mie fragili convinzioni, nate dalle dozzine di film mentali che mi ero fatta nello spazio di qualche secondo. -Che Megapietra hai?
-La Galladite. Ma quindi Bellocchio aveva già deciso di darmi il Megabracciale?
-Megabracciale, eh? Posso vedere?- Avevo alzato il polso e lui l’aveva preso tra le mani con il pretesto di toccare la Pietrachiave. Ero trasalita e non riuscii a nasconderlo, ma forse lui non ci aveva fatto caso. Le mani magre che accarezzavano la mia pelle mi facevano battere il cuore all’impazzata, anziché fermarlo come temevo. Invece in quegli istanti la mia unica preoccupazione era non scoppiare o non sciogliermi in una valanga di cuoricini. -Hai intenzione di provarlo ora?- aveva chiesto, tracciando con un dito il percorso di una linea che incideva il Bracciale.
-Sì, infatti volevo andare nella sala d’allenamento. Prima però volevo trovare qualcuno che lottasse con me- era stata la mia risposta, mentre mi chiedevo - dopo che lui aveva mollato la mia mano e il mio polso - se non fosse il caso, forse, chissà, di chiedergli di essere il mio avversario.
Non ce ne era stato bisogno. -Se vuoi… possiamo provarlo noi due. D’altra parte sono il tuo, ehm, maestro… quindi penso sia più che lecito il fatto che io ti controlli, no?- Sembrava un po’ confuso e impacciato ora.
Mi aveva fatto un po’ tenerezza vederlo in quello stato, ma poi la vocina mi aveva detto: “E allora lui che dovrebbe dire di te, che tremi come una foglia e non riesci a controllarti?”
-A me sta benissimo!- avevo esclamato tutta rigida per l’incredulità. Già, perché mi sembrava impossibile che lui avesse fatto per primo la proposta.
Così, dopo aver scambiato qualche battuta che mi era servita a tranquillizzarmi e sciogliermi, ci eravamo diretti insieme verso la sala per gli allenamenti, che per fortuna era vuota. Mi aveva informata di possedere anche lui una Pietrachiave, che avevo notato solo quando me l’aveva indicata: era una spilla, che lui teneva in tasca quando non gli serviva immediatamente o che altrimenti indossava come un comune accessorio. Lui aveva una Altarite.
-Sarà una lotta praticamente alla pari- aveva detto quando i nostri Pokémon erano in campo.
Ridacchiando avevo risposto: -Be’, non direi proprio, tu sei il maestro in ogni caso! Sei molto più forte.- Aveva fatto spallucce e prima che replicasse io, eludendo qualche possibile complimento che mi avrebbe fatta scoppiare a piangere dalla gioia e dall’imbarazzo, avevo proseguito: -Come si deve usare?
In breve mi aveva spiegato la procedura e quindi come prima mossa a entrambi toccava far megaevolvere il proprio Pokémon. Prima mi aveva fatto vedere la spilletta con un sorrisetto furbo dipinto sul viso pallido, poi aveva semplicemente toccato la Megapietra dentro di essa. Una volta fatto quello, raggi di luce che vorticavano turbolenti intrecciandosi tra loro, colorati d’arcobaleno, avevano dapprima scombinato i capelli già spettinati del ragazzo e poi erano andati a formare una sfera degli stessi colori che aveva avvolto Altaria. Poi era esplosa in centinaia di scintille colorate dopo essere aumentata di dimensioni e aveva liberato MegaAltaria.
-Va bene, proviamo- avevo mormorato un po’ intimorita scambiando un’occhiata con Aramis. Il Pokémon era palesemente impaziente e io terribilmente insicura. Presi fiato.
-Le prime volte è una strana sensazione, ma poi ci si abitua, fidati!- aveva detto Oxygen per rassicurarmi.
Annuendo avevo alzato il polso davanti al mio viso, coprendo la figura di Aramis, e prendendo fiato un’altra volta mi ero fatta forza e avevo sfiorato, la mia volontà concentrata in quell’operazione, la Galladite.
Di nuovo il cuore aveva battuto più velocemente e avevo sentito una forte corrente investirmi da dietro. Avevo ammirato stupita i raggi di luce passarmi accanto quasi a volermi imprigionare come stavano per fare con Aramis, allo stesso modo di come avevano fatto con la Megaevoluzione di Altaria, materializzandosi dal nulla.
La strana sensazione di cui aveva parlato Oxygen era stata probabilmente sentire un’esplosione di potenza dentro di me, che mi aveva fatta sentire in grado di cambiare il mondo con poche mosse e pochi strumenti, che riconobbi solo quando riuscii a non stupirmi più di fronte a quella valanga di luce e colore. La sfera che prese forma intorno al mio compagno aveva impiegato molto più tempo per liberarlo, probabilmente perché era la prima volta che megaevolveva. A malapena realizzavo quello che stava succedendo: Aramis si stava trasformando per diventare enormemente più forte e temibile di quanto non fosse già, probabilmente era il Pokémon più potente e versatile che possedessi e adesso sarebbe addirittura migliorato… era da tantissimo che aspettavo di vederlo in quella nuova, meravigliosa forma, e quando la sfera di luce lo aveva liberato non ero rimasta delusa.
Al suo aspetto si erano aggiunti dettagli eleganti ma non scomodi, che quindi non lo avrebbero rallentato nella lotta. Un Pokémon bello e forte era l’obbiettivo di ogni Allenatore e io sono sempre stata sicura che lui possedesse entrambe queste caratteristiche, tanto da rendermi fiera di lui. Quasi quasi mi commuovevo, già.
La lotta che ne era seguita era stata ovviamente vinta da Oxygen, che riusciva a contrastare senza difficoltà ogni mio attacco mostrandomi anche un’intesa tra lui e Altaria degna di quella tra Rosso e i suoi Pokémon, che non avevano bisogno di parole per comunicare. Ma la potenza di Aramis era per me inaspettata, stentavo a riconoscere il mio vecchio compagno in quella forma che sprigionava pura forza da tutti i pori. Era eccezionale. Per questo non me l’ero affatto presa per il risultato e quando Aramis era tornato in forze mi aveva mostrato quanto fosse felice di avere la possibilità di essere ancora più potente. Probabilmente era più contento di me, e a ragione.
Non avevo potuto evitare - anzi, le mie guance facili all’imbarazzo non avevano potuto evitare i complimenti di Oxygen, che mi era parso sincero. Senza sapere come fare avevo abbozzato un inchino con la testa per ringraziarlo, per poi correre via domandandomi se dovessi pensare che, neanche troppo in fondo, qualcosa forse c’era e che le mie non erano tutte illusioni, ma speranze con un buon fondamento. Pregai il Dio che non avevo perché fosse così.
Gli incontri con Oxygen si erano fatti più frequenti dopo il ritorno dalla missione con lui e gli altri. La maggior parte delle volte ci incrociavamo per caso, per lo più nei corridoi o nella sala d’allenamento, accompagnati quasi sempre da amici, quindi più di qualche sguardo non riuscivo a gettargli poiché ero concentrata in altre faccende. Purtroppo ogni volta che io lo osservavo fugacemente lui era impegnato o voltato rispetto a me.
Quando c’erano le sue lezioni io ero una sua comunissima allieva sullo stesso piano degli altri, ma questa la ritenni una fortuna poiché vederlo più concentrato su di me che sui ragazzi del suo gruppo, cosa che sarebbe stata probabilmente notata - a meno che lui non fosse stato un attore eccezionale, mi avrebbe messa molto in difficoltà e non avrei saputo come reagire. Ero molto confusa, non riuscivo a capire se lui provasse qualcosa o no, perché se in più occasioni mi pareva particolarmente attento a me, soprattutto quando eravamo soli, altrettante volte sembrava che io non esistessi nemmeno. A consolarmi c’era il fatto che non lo vedessi mai in presenza di ragazze, e questo mi rassicurò parecchio, anche perché io ero sempre in giro e non vederlo con altre prometteva bene.
Perciò in quel periodo, intorno al compleanno di Daniel, mi concentrai proprio su quest’ultimo: non per far lasciare lui e Melisse, non ne sarei mai stata capace nemmeno volendolo davvero, nemmeno per far colpo su di lui in qualche modo o cose del genere. Al contrario mi intimavo di farmi passare quei sentimenti per lui, più forti di due anni prima, quando lo avevo conosciuto in Accademia. Se lì mi vergognavo anche solo ad essere in sua presenza, adesso se non ero perfettamente calma mi impicciavo con le parole e ogni suo complimento - fatto ovviamente da amico, senza sapere quale effetto producesse su me - mi distruggeva i pochi neuroni rimasti incolumi dal disordine sentimentale di quel periodo, che ne aveva fatti fuori già un bel po’.
Solo che non ci riuscivo e questa cosa in alcuni momenti mi faceva imbestialire, in altri al contrario mi buttava giù. Passavo quindi dalla rabbia contro me stessa alla tristezza a una certa delusione per lo scarso autocontrollo che mi ritrovavo. Non avevo parlato a nessuno di tutto questo perché non avevo nessuno con cui confidarmi, ne avevo di persone da considerare amiche ma nessuna mi ispirava la fiducia che a lungo avevo provato con Chiara, la quale tanto per cambiare sembrava essere proprio scomparsa dalla mia vita. La incontravo di rado e ogni volta lei evitava il mio sguardo, il più delle volte smarrito e che in tono supplicante chiedeva ancora ostinato: “Perché?”
Forse se avesse saputo quello che passava per la mia testa e per la mia esistenza sarebbe tornata, sentendosi parte di quello schifo che stavo vivendo e magari desiderosa di rimettere le cose a posto. Ma come avrei potuto dirglielo? A meno che non lo avesse scoperto da sola e si fosse sentita davvero in colpa per quello, io non avevo intenzione di andare da lei a pregarle di tornare da me e di rivelarle che ero sola e bisognosa d’aiuto. Il mio era probabilmente, anzi sicuramente orgoglio, ma non me ne importava. Lei mi aveva abbandonata e lei per prima sarebbe dovuta tornare da me, io non avrei mai cercato di rimettere le cose a posto per una questione di principio. Forse mi sarei fatta del male così, ma mi sarei sentita molto peggio ad abbassare la testa e ammettere errori che non riuscivo a trovare in ciò che avevo fatto. Delle circostanze più grandi delle mie possibilità mi avevano imposto di starle di meno appresso, di non frequentarla più come prima, ma lei dava la colpa a me per questo.
La verità era che nessuno aveva più il tempo di coltivare amicizie sincere, a quanto pareva tranne Daniel che mi aveva ricordato gentilmente di essere il mio migliore amico. Questo perché il clima della guerra aveva distrutto la fiducia da riporre nel proprio prossimo e non si aveva più nemmeno alcuna voglia di cercare qualcuno che potesse aiutare anche in quell’atmosfera pesante. Daniel mi diceva praticamente tutto quello che accadeva nella sua vita ma io non riuscivo proprio a ricambiare. Mi dispiaceva, ma non potevo fare altrimenti, non riuscivo a fare in altri modi. Era davvero brutto, ma era la realtà in corso. Quasi tutti la stavamo vivendo alla stessa maniera.
Oxygen però sarebbe stata la mia eccezione, così come il mio amico lo era per la situazione generale. Sentivo che a lui avrei detto tutto se solo me lo avesse chiesto e non avrei mai tenuto segreti. Certo, i sentimenti per Daniel sarebbero rimasti una cosa tra me e me, ma per il resto mi sentivo disposta a tutto. Dovevo fare attenzione, perché se per caso lui non fosse stata la brava persona che io mi ostinavo a vedere…
Scossi la testa mentre lo pensavo, seduta a uno dei tavoli nella biblioteca. “Questi discorsi me li farebbe mamma alla scoperta che mi piace qualcuno” pensai chiudendo di scatto il libro tra le mie mani. Ero là dentro nel tentativo di distrarmi e allontanare i soliti pensieri che mi tormentavano da tantissimo tempo, ma da un’ora ero ferma sulla stessa pagina dello stesso libro. Ero andata avanti di qualche riga finché la mia vista non era andata fuori fuoco e la mia mente aveva ripreso il suo ennesimo viaggio alla scoperta del già scoperto amore diviso a metà. Sembrava che stessi leggendo, quindi, ma in realtà fissavo la medesima parola da parecchio tempo senza vederla realmente.
Poi però la sua voce raggiunse le mie orecchie, che da tanto aspettavano di sentirla quando eravamo da soli.
-Ehi Eleonora, scusa il disturbo- disse Oxygen sorridendo tranquillo.
-Ciao. Non disturbi, non ti preoccupare- ribattei cercando, e forse riuscendoci stavolta, di mantenere la calma.
-Ma… tu prendi sempre i libri che mi interessano o mi servono!- continuò indicando il volume che avevo io.
Ridacchiando imbarazzata e balbettando qualche incomprensibile parola di scuse, chiedendomi se fosse mai possibile una cosa del genere che mi pareva parecchio teatrale, glielo porsi senza che lui me lo chiedesse. Mi disse che avrebbe guardato solo una nota alle ultime pagine che gli interessava, anche perché era di fretta. Infatti corse via appena scorse velocemente ciò che gli serviva, salutandomi e restituendomi il libro.
Io lo riaprii controllando le note di cui parlava e fui molto stupita di non trovare neanche una pagina con esse, controllai anche l’indice ma senza successo. Però un bigliettino che non avevo visto prima scivolò via quando aprii leggermente lo spazio tra l’ultima pagina e la copertina rigida interna. Cadde a terra e io lo raccolsi incuriosita, non mi ero accorta che ci fosse prima. Capii la ragione appena lessi con il cuore in gola quello che c’era scritto, incredula nel vedere un numero di PokéGear e una domanda scritta con una grafia disordinata e impaziente.
“Ti andrebbe di vederci domattina alle dieci, al limite dei confini della Vetta Lancia?”

Stavolta non mi ero fatta alcun problema, sicura che quel bigliettino non fosse stato scritto per un’altra persona e che lui lo avesse infilato nel libro per sbaglio. Era una coincidenza troppo assurda perché potesse essere tale, proprio come il fatto che a lui servisse quel libro; e, se in condizioni normali mi sarei ostinata a pensare che non fossi io la destinataria di quell’invito, ero certa che stesse per succedermi qualcosa di eccezionale, a lungo atteso ma allo stesso tempo inaspettato. Ero davvero impaziente, addirittura spaventata.
Avevo riletto più e più volte quella breve frase e mi ero segnata all’istante il numero sul PokéGear, salvandolo ovviamente con “Oxygen”. Ogni volta che i miei occhi ripercorrevano il tragitto segnato da quelle parole l’euforia in me si faceva sempre più evidente e incontenibile. Avevo sentito il mio petto pronto a squarciarsi per liberare il cuore impazzito, ero mezza caduta in ginocchio per terra e mi ero ricordata solo quando stavo per uscire dalla biblioteca che avevo abbandonato il libro, l’anonimo libro di cui non ricordai mai più il nome ma che per questo fu importantissimo per me, sopra il tavolo dal quale ero corsa via, trattenendo a stento grida di gioia.
E adesso il vento forte delle pendici del Monte Corona fischiava forte nelle mie orecchie. Stringevo il bigliettino di Oxygen e lo guardavo semplicemente, domandandomi per l’ennesima volta cosa mi aspettasse quella mattina. Ero molto vicina al luogo in cui mi ero incontrata con Daniel un paio di settimane prima, ma invece di essere quasi nascosta dalla parete di roccia come l’altra volta, mi fermai in un punto un po’ più visibile, in un passaggio obbligatorio per arrivare alla Vetta in modo tale da non creare equivoci.
Non mi ero preparata diversamente dal solito, mi ero sistemata un po’ più accuratamente di quanto avevo fatto il giorno del compleanno di Daniel, ma senza coprire la me che probabilmente aveva attirato, miracolosamente per come la vedevo io, le attenzioni di Oxygen. Non avevo nemmeno scritto alcun messaggio a quel ragazzo, troppo indecisa su quello che avrei potuto dirgli e chiedendomi anche se non fosse il caso di aspettare, perché magari le mie rosee aspettative erano più fantasiose della verità. Una parte di me, quella che distruggeva senza farsi troppi problemi la mia autostima, si ostinava a ripetermi che sicuramente c’era un errore e che quell’invito era, come temevo, per un’altra persona. L’altra, a cui davo più credito, mi rassicurava dicendomi che stava per succedermi qualcosa di fantastico, finalmente, che mi potesse recuperare dal baratro di tristezza in cui ero caduta da tempo.
Ogni tanto lasciavo perdere il bigliettino, lo infilavo nella tasca del cappotto e osservavo l’orizzonte. La sciarpa rossa che avevo da anni tentava di fuggire dal mio collo e di assecondare il volere del vento, che evidentemente voleva strapparmela via. I miei capelli, come al solito sciolti, si muovevano meno di quanto mi aspettassi. Pochi attimi dopo aver iniziato lo studio di un panorama che avevo visto più volte prendevo il bigliettino e lo rileggevo.
-Allora sei venuta.
Un mormorio sfidò il suono del vento proprio mentre scorrevo una volta ancora la frase del messaggio. Mi girai più di scatto di quello che avrei preferito e notai Oxygen che silenziosamente era arrivato - non che ci volesse tanto impegno per non farsi sentire, con tutta quell’aria. Riposi il bigliettino in tasca e lui si avvicinò dopo che ci fummo scambiati uno sguardo veloce, ma lui non cercò di abbracciarmi né altro. Ben dritto si fermò accanto a me, a poca distanza, e anche lui scrutò l’orizzonte come io avevo fatto fino a poco prima. Adesso invece guardavo per terra, temendo ciò che forse stava per succedere e sfiorando con il naso la sciarpa, i cui movimenti si erano acquietati.
-Avevo pensato di non essere io l’invitata- sussurrai con sincerità.
Sentii i suoi occhi su di me e lo confermai con un’occhiata veloce. Mi fissava stupito e la cosa mi imbarazzava ancora di più. -E perché mai?- chiese. La serietà di prima era scomparsa in favore di quella perplessità.
-La mia autostima l’ho persa più o meno appena nata- confessai con un sospiro rassegnato: non avevo problemi ad ammettere quella cosa, che avevo detto spesso e a parecchie persone. -Quindi ho avuto tantissimi dubbi, per moltissimo tempo… anche se sono abbastanza sicura di sapere cosa… ehm…- mi interruppi. Stavo ammettendo l’esistenza di una cosa della quale, finché non fosse avvenuta, non sarei mai stata completamente certa.
-Ah, ho capito- ribatté lui pensieroso. Poi però aggiunse, sbuffando: -Fossi in te mi crederei una stupida.
-Per… per questo?
Lui annuì e mi guardò di nuovo, ma io evitai di farlo, troppo intimidita. Trascorsero lunghi istanti di silenzio finché lui non prese la parola: -Piuttosto, io ho pensato che tu non avessi visto il biglietto.
-Perché non ti ho scritto, dici?
-Già… sarebbe stato un bel problema.
-Io… è che non sapevo cosa scrivere- replicai.
Oxygen ridacchiò, un po’ nervosamente forse. -Sì, immagino. Ti ho colta di sorpresa?
-Sì…- “Decisamente” avrei voluto aggiungere, ma non riuscii più a spiccicare parola.
La conversazione che stavamo cercando di avviare era difficile e in quel momento quasi impossibile da iniziare, perché io non riuscivo a parlare più di tanto e mi bloccavo dopo qualche misera frase. Lui non era più a suo agio ma era sicuramente in grado di gestirsi meglio. Questo mi fece pensare a quanto poco lo conoscessi davvero e mi convinsi definitivamente che quello era un vero e proprio colpo di fulmine.
-Oxygen, tu quanti anni hai?- chiesi.
-Ne ho quasi diciotto. Tu sedici, vero?
Annuii. “Non ci siamo mai parlati davvero, se non per cose riguardanti i Pokémon…” Perciò espressi questo pensiero con un sospiro, facendomi forza per pronunciare quelle parole. -Senti, io…- esordii incertissima, senza riuscire ad andare avanti per qualche secondo, cosa che lo portò a guardarmi un’altra volta, mettendomi ancora più a disagio. -No, non io, tu. Non ci conosciamo, e nonostante la cosa… non mi crei problemi, ecco… perché io?
Finalmente l’avevo detto. Alzai la testa timorosamente e lo vidi distogliere lo sguardo e arrossire non appena i miei occhi incontrarono i suoi, ma armata dell’espressione come quella che mi ritrovavo, che forse poteva essere definita una dolce ansia e paura, insistetti nell’osservarlo fin nei minimi dettagli come mai avevo potuto fare prima di allora. Alla luce del giorno e soli, finalmente, non chiusi nella buia base segreta o senza la possibilità di stare per conto nostro perché c’era qualcun altro insieme a noi. Mi fece tenerezza anche quella volta, e per molto tempo a seguire finché non mi abituai, perché era raro non vederlo sorridente nel tentativo di mostrarsi spavaldo.
Restò in silenzio per un po’. “Andiamo, ora che ha fatto per tutto questo tempo il principino azzurro non può tirarsi indietro…!” pregò la vocina dentro di me disperata, se non angosciata da quell’attesa.
Poi però la sua espressione indecisa sparì mentre scrutava l’orizzonte e, con una voce stranamente ferma che mi rassicurò molto, disse: -Sei l’unica persona che sia riuscita finora ad attirare tanto la mia attenzione. Ti ho vista lottare con tutte le tue forze in moltissime occasioni e ti ho osservata mostrarti decisa come mai mi sarei aspettato, avevo imparato a vederti come una ragazza timida e facile all’arrossire. Però sono stato presente nei momenti peggiori e lì ho visto un altro tuo lato, quello debole e bisognoso d’aiuto. Erano scomparse, in quei momenti, sia l’Allenatrice talentuosa che la persona introversa, imbarazzata per ogni cosa. Forse è stato quello…
Da un momento all’altro si girò e mi abbracciò, lasciandomi senza fiato per la sorpresa - nonostante me lo stessi aspettando da tantissimo tempo - e rendendomi tesa, impreparata. Sussurrò con la bocca vicinissima al mio orecchio, sovrastandomi di parecchi centimetri: avevo la testa sul suo petto e a malapena arrivavo al suo mento; -Tu credi serva un motivo particolare per innamorarsi? Secondo me anche questa è una cosa così stupida…
-No, non lo penso- replicai con voce tremante.
-Posso dirti mille motivi che includono tuoi pregi e difetti, se è questo che vuoi sapere- proseguì con sicurezza, -ma non credo proprio sia così importante ora.- Si staccò un po’, tenendomi per le spalle e guardandomi fissa negli occhi attraverso le lenti degli occhiali, in perfetto equilibrio sul naso appuntito. Quelle iridi chiare, celesti, mi facevano perdere la cognizione del tempo e la capacità di pensare: avrei potuto scambiare quello sguardo con lui in eterno. -Sai che hai dei bellissimi occhi grigi, Eleonora?
Sentirlo pronunciare il mio nome mi fece rabbrividire piacevolmente. -Quando ero piccola erano verdi- dissi con estrema semplicità, senza sapere come rispondere altrimenti. Un grazie sarebbe stato vuoto in quel momento.
Sorrise intenerito, forse dalla visione di me piccola e paffutella con due grandi occhi verdi. -Sono cambiati?
-Sì, più o meno quando ho scoperto dei Pokémon. Quasi da un giorno all’altro. La mattina erano di un colore, poi a seconda della luce cambiavano, lo facevano in continuazione. E alla fine ha vinto il grigio, ma se vedi un po’ di verde è rimasto- raccontai, lasciandomi trasportare da quelle parole senza senso e senza motivo.
-Lo vedo- confermò Oxygen.
Quella frase mi fece capire quanto quel momento fosse reale, stavo vivendo davvero tutto ciò, che credevo fosse possibile realizzare solo nei miei sogni. La conversazione, il suo atteggiamento, lui stesso era degno di una storia d’amore e non del racconto di una guerra. Allora mi tornarono alla mente alcune parole che avevo detto a Daniel, era proprio in quell’atmosfera tesa che i sentimenti veri, più forti, riuscivano a emergere e non lasciavano che sciocche cottarelle prendessero il sopravvento. Se mi stavo permettendo di amare Oxygen e a quanto pareva lui ricambiava… Daniel perse totalmente importanza in quel momento.
Esisteva solo il ragazzo che avevo di fronte a me, lui e i suoi occhi celesti che continuavano a scrutare dentro i miei, senza che io riuscissi a interrompere quel contatto troppo prezioso. Non volevo farlo. Aspettavo che dicesse le parole che da tanto attendevo di sentire. “Ti prego, non metterci tanto.”
Lentamente si avvicinava mentre le sue mani continuavano a tenermi le spalle, come se temesse di vedermi andare via. Io avevo un braccio lungo il fianco e con la mano dell’altro cercavo la forza di toccarlo, di sentire sotto le dita i suoi vestiti intrisi del profumo tenue e naturale che sovrastava l’odore del prossimo inverno.
-Non ci ho messo molto- disse quando ormai avevo chiuso gli occhi, -a imparare ad amarti…

Non ricordo affatto bene cosa successe di preciso. Forse le mani di Oxygen scivolarono via dalle mie spalle per andare a toccare la mia schiena e le braccia, forse io non mi feci scrupoli a stringermi al suo petto, ma l’emozione provata quando lui mi baciò la ritrovai in ogni nostro incontro, rendendola così indimenticabile. Era un senso di pace turbato solo da una travolgente felicità che ne faceva una delle sensazioni più belle mai provate da me.
In seguito ridacchiavo al pensiero di quanto fossi stata impacciata durante quel primo bacio, un breve tentativo, un approccio forse, a cui poi ne seguirono altri più seri ed impegnativi che confermarono i profondi sentimenti reciproci, legandoci indissolubilmente l’uno all’altra. Quello che per me era sempre stato un sogno e un desiderio, ovvero l’amare ed essere amata, era ora la mia realtà. E la cosa migliore era che il nostro rapporto era stabile, sempre pieno d’affetto e mai vacillante.
Era proprio vero che la guerra faceva sopravvivere solo i più forti, e noi allora stavamo addirittura vivendo.
Se in precedenza rischiavo di cadere nel baratro della disperazione, avendo perso il lato di me che ritenevo il migliore, i miei genitori, molti amici e tante realtà che preferivo mille volte a quella del combattimento contro i Victory, adesso ero cullata insieme - o da - Oxygen in un dolce oblio, dal quale mai avrei voluto uscire. Stavo così bene, sola con lui, a chiacchierare di sciocchezze e non, per poi ringraziare ed apprezzare il silenzio dei nostri baci che ci impedivano di parlare. Ma così ci raccontavamo i nostri sentimenti senza parole, in un modo migliore.
Quasi nessuno seppe di noi, se non le persone con cui decidemmo di confidarci, che furono davvero poche ed erano le uniche delle quali eravamo sicuri che non avrebbero parlato di noi ad altri. Daniel fu più o meno il primo a venirlo a sapere da me: per niente imbarazzata, ma dolcemente felice, glielo dissi qualche giorno dopo l’incontro sul Monte Corona. Lui aveva un’espressione di comica meraviglia sul viso e quindi scoppiai a ridere.
-Non credevo mi ritenessi così repellente da non poter attirare neanche un ragazzo!- mi finsi indispettita.
-No no, per carità, ma… Oxygen! Porca…!- si trattenne per poi farsi una bella risata come me. -Che carina, la coppietta insegnante-allieva… però certo che non me lo aspettavo. Wow!
-“Wow”? Che mi rappresenta questo wow?- gli chiesi.
Lui placò le risate. Eravamo al nostro solito posto, il masso ai confini delle barriere per la Vetta Lancia sul quale tante volte ci incontrammo per chiacchierare. Oxygen non lo conosceva e io volevo tenermi anche quella cosa per me, per condividerla unicamente con il mio maledetto migliore amico.
Sorridendo tranquillo rispose: -Quando ti ho raccontato di essermi fidanzato con Melisse, tu mi hai detto che eri davvero felice per me, credevi che il nostro amore fosse sincero, e devo dire che è così. Ma tu e lui avete superato i limiti imposti dal rapporto tra maestro e studente, quindi niente, ne sono parecchio stupito. E ti invidio, perché per questo motivo credo che ciò che provate l’uno per l’altra sia più forte…- ammutolì.
Sentendomi piena di allegria e bandendo totalmente il malumore o qualsiasi cosa simile dalle conversazioni con chiunque, gli ammollai una pacca sulla spalla e lo rimproverai: -Ma tu sei proprio scemo allora! Fammi il piacere, Daniel, sei davvero uno stupido se la pensi così! Allora se Oxygen fosse stato uno del nostro gruppo e ci fossimo amati lo stesso- non mi imbarazzava più pronunciare la parola “amore”, cosa che invece a malapena riuscivo a fare i primi tempi -allora sarebbe stato un sentimento meno forte? Scommetto che avresti fatto lo stesso se Melisse fosse stata la tua professoressa o viceversa!
Questo discorso lo convinse e gli tirò su il morale. Mi ringraziò molte volte per le numerose rassicurazioni che gli davo. Ora che anche io ero fidanzata - un po’ clandestinamente - non ero più gelosa di lui e non provavo alcun istinto più o meno omicida nei confronti della dolce Melisse. Anzi, ero sempre più contenta per loro.
In quel periodo mi sembrava tutto assolutamente perfetto e grazie ad Oxygen avevo ritrovato la forza. Non gli sarei mai stata abbastanza riconoscente per questo.






*ogni tanto una battuta squallida ve la devo mettere, rassegnatevi. Spero invece che qualche cosa più simpatica vi strappi un sorriso (tipo i neuroni assassinati della protagonista).

Angolo ottuso di un'autrice ottusa
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH
NON POSSO CREDERE DI AVERLO FATTO DAVVEROOOOOOOOO
LI HO MESSI INSIEME OH MAMMA MIA CARISSIMA OMMIODDIO WAAAAAAAAAAAA
Calma.
Buongiorno a tutti e buon inizio delle vacanze pasquali, in cui conto di riuscire a scrivere tanto e bene (?) che poi devo ancora iniziare il nuovo capitolo di Ribellione e sono in ritardo come al solito ma shh
Vi aspettavate qualcosa di romantico tra Eleonora e Daniel? Ecco a voi una sorpresa firmata Oxygen, signori. E so che la situazione pareva partita di merda per lei, ma altra sorpresa, finalmente una soddisfazione direi!! vederla più fortunata di me con i ragazzi quando lei è solo un ammasso di pixel mi fa sentire una merdina sfigata ah ah ah DATEMI UN OXYGEN
So di aver messo gli incontri tra i due precedenti al grande primo passo alla rinfusa, volevo dare un effetto particolare che in effetti è quell’abisso del titolo: lei è ormai bella che caduta dentro il baratro dei suoi sentimenti, che la comandano a loro piacimento - pensate all’odio che prova per i Victory, e quindi ho immaginato gli incontri frammentati, una scena di uno che si alterna a una dell’altro, come in un film. Una battuta a cui segue uno sguardo pieno di parole, un’altra battuta e poi un’azione, in un continuo alternarsi che il lettore deve ricostruire nella sua immaginazione in attesa che i discorsi divengano di senso compiuto. Ovviamente non potevo rendere la cosa anche nel testo, quindi vi tocca lavorare un po’ di fantasia! Spero di aver reso bene l’idea, per lo meno, descrivendovela qua (?).
Stavolta ho tralasciato alcuni dettagli e avvenimenti - anche perché il capitolo era già enormemente lungo… - nonostante per certi versi sia anche un punto di riepilogo di alcuni fatti avvenuti, ad esempio alcuni passi della vera trama e gli allenamenti con Rosso, che arriveranno con i prossimi capitoli. Sono riuscita a infilare per miracolo un minuscolo resoconto della missione, che poi mi serviva per infilarci Oxygen, ma vbb. Ci saranno meno salti temporali, quindi i prossimi tratteranno avvenimenti in un solo periodo di tempo - i due mesi circa di tranquillità di cui si parla all’inizio del capitolo e poi quello successivo, nel quale saranno compresi la maggior parte dei prossimi capitoli. Tra l’altro a breve ci sarà anche l’extra di questa parte, che come al solito si distaccherà dalla narrazione in prima persona.
Va bene. Io sinceramente la vorrei smettere di parlare, anche perché è il capitolo più lungo che abbia mai scritto - 13 pagine circa, e non vi dico quanto sono larghi i margini del foglio di Word e piccolo il carattere - e non vorrei fare anche l'angolo autrice più lungo della mia vita.
Ma porca porchetta come ho fatto a scrivere una cosa del genere? Quasi non ci credo.
Allora, sentite, il Giornalino Arcobaleno questo mese salta, purtroppo; Ribellione arriva verso il 16-17 e poi spero di poterla pubblicare due volte al mese anche quella; me ne uscirò con più one shot del solito in questo periodo, credo. Io intanto vi auguro una felice Pasqua, mangiate tanto cioccolato mi raccomando! A prestissimo!
Ink Voice
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Pokemon / Vai alla pagina dell'autore: Ink Voice