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Autore: _Aly95    02/04/2015    2 recensioni
(REVISIONE in corso capitoli)
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"Durante quel racconto aveva ricordato ciò che il corpo non aveva mai dimenticato: la sua pelle, le sue mani fredde, che si infilavano sotto la propria carne, quel suo sangue di ghiaccio, da predatore paziente e calcolatore, implacabile. E quel suo senso di superiorità e di potere che sprigionava con ogni parte del suo essere, la sua natura possessiva e misteriosa: sbagliato, forse morboso, ma era ugualmente eccitante. [...] Era rabbrividita, con un certo timore: un essere del genere, avrebbe mai trovato la pace, in particolare nella sua folle vendetta..?
Si stava sciogliendo. Sciogliendo tra la neve."
[Pre-Thor] / [Post-Avengers] - [Thor: The Dark World] - [Post- Thor: The Dark World]
Il destino mescola le carte e noi giochiamo _ Arthur Schopenhauer
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Thor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nonostante le ore che aveva trascorso con gli occhi chiusi, non si era rilassata: immagini apparentemente non collegate tra loro si fondevano e si districavano, quasi si stessero contraendo e dilatando nella mente. Ne era fuoruscito un vorticoso turbine di schegge acuminate che le avevano punzecchiato la parte interiore della tempia destra, cavandone fuori una fitta dolorosa e perpetua, un fragore sordo eppure latente; il processo rievocativo era doloroso quanto farsi ricrescere le ossa, ne era abbastanza certa.
Appoggiò la tempia sulla mano, come un dopo sbornia; era mattino inoltrato, e le temperature, se possibile, erano aumentate. Alfheim stava attraversando il suo periodo più rovente, era stato comunicato.
Si era ritrovata a masticare con poco appetito una piccola focaccia di miele ed erbe fatturate alla menta; i capelli erano legati in un’alta cascata, onde evitare il calore che i suoi fili scuri avrebbero procurato con la loro pesantezza  sulla pelle nuda della schiena.
‹‹..Il maestro si è alzato molto presto, ed è occupato nella stessa stanza in cui vi siete intrattenuti ieri››. Falastur la stava informando sulla situazione degli altri ospiti. ‹‹Il vostro precettore Tyrion è fuori da ieri sera››
Lo stomaco si chiuse del tutto. ‹‹Non sapevo neanche che avesse un impegno..››
‹‹Lo sapete anche voi, è un giovane molto riservato››
Stirò le labbra forzatamente. ‹‹Già..››. Riservato era parola alquanto limitativa. Fece un cenno con la testa al Liósálf* che prendeva congedo, mentre una vampata di calore improvviso la invogliava a spogliarsi pure della carne. Appoggiò la schiena sullo schienale della sedia. Rinfrescante.
Evita di pensare, Anirei. Smetti di trarre conclusioni affrettate.
Ridusse in piccole briciole la metà della focaccia che non riusciva a mandare giù, per gettarla fuori sul prato, sicura che alcuni uccellini avrebbero provveduto a saziarsene. Con la pancia psicologicamente piena, si diresse verso l’immenso giardino, famelica di qualunque brezza le avrebbe lavato via la leggera coltre di sudore.
Infilò all’interno di una fitta selva, guardandosi intorno, persa tra i pensieri come i piccoli bocci leggeri che volteggiavano tra un ramo e l’altro.
Camminava, intanto.
Ed era di nuovo bambina; di quando si divertiva a giocare a nascondino e alla guerra, agile ma incerta nella paura di imbattersi in qualche insetto strano, spensierata e senza troppi “ma se..”, senza la preoccupazione del futuro e dell’ansiosa ricerca di se stessa, quando l’ombra delle nostre paure non ci turba dinanzi al sole dell’infanzia ludica. Eppure, ripensandoci, già c’era.
Già c’era quel quid che la scavava dentro in silenzio.
Già c’era quel sigillo che le impediva di vivere.
Pff, Anirei, certo che sei eccezionale. Trovi sempre materiale per commiserarti.
Scese un piccolo promontorio, proseguendo su un leggero tracciato che marcava il terreno sbiadito e truce per la mancanza di luce diretta e viva; nonostante tutto, l’aria era umida e soffocante, trattenuta dall’immenso tetto di foglie giovani e verdi. Si passò il dorso dell’indice sopra un sopracciglio, sulla fronte appena umida. Si sarebbe sciolta  a momenti, ci avrebbe scommesso.
Proseguì, mentre lo stato della pelle invogliava dei fastidiosi moscerini a posarsi su di lei.
Perché ho sempre queste buone idee..?...
Finalmente gli alberi si diradarono, lasciando spazio alla veduta di un piccolo spazio verde e rigoglioso attraversato da un brillante nastro d’argento gorgogliante, verso il quale si fiondò per potersi rinfrescare. Si sedette su una piccola roccia non troppo appuntita, studiandosi la mano destra. Fece scorrere lo sguardo sul proprio palmo, focalizzandosi poi sul centro di esso, dove si trovava appena sbiadito un suo piccolo neo.
Inspira. Respira. Attacca. Ripeti. Una formula che aveva memorizzato per sciogliere il proprio flusso magico, concentrazione e rilassamento prima di provare qualsiasi incantesimo: un po’ come l’allungamento muscolare prima di un duro esercizio fisico.
Se si raccoglieva nei propri ricordi, poteva rievocare, non senza uno sforzo doloroso quasi le stessero schiacciando un nervo, abbastanza distintamente qualche formula che un tempo aveva imparato. Per non parlare di quelle che aveva deciso di memorizzare – solo due – quando era tornata nel suo mondo, una delle quali aveva utilizzato per salvare l’amico midgardiano del Dio del Tuono.
Stornò lo sguardo dalla mano, rivolgendolo verso il fiume, cercando di convincersi di aver fatto la scelta giusta. Il nastro d’acqua rifletteva la luce eccessivamente lucente di quella mattina rovente.
Sbatté le palpebre, le pupille ferite. Lo scintillio fastidioso che rifletteva la superficie chiara e trasparente le accecava gli occhi, esattamente come le parole di Loki il suo cuore.
La confondeva, prima facendola sentire un’illusa, e poi stendendola come i birilli centrati dalla palla alludendo a qualcosa di più, di oltre, che poteva provare.
Quella sua contraddizione la scavava a fondo, fino a farle perdere ogni sicurezza; non che ne avesse, di sicurezze, figurarsi, eppure riusciva sempre a spiazzarla.
Sospirò.
Era così. Loki era così. Con una mano ti accarezzava e con l’altra ti graffiava, e tu, stupido incosciente, ti saresti arrovellato per capire la motivazione dietro il suo gesto, quando probabilmente la verità era molto semplice: traeva soddisfazione nel raggirare chi gli stava intorno.
Sei solo una bambolina cui infilare gli aghi della tortura, per allietare il tedio di una divinità annoiata.
Dimmelo, Loki. Dimmelo, e mi metterei il cuore in pace.
Invece era lei a dover prendere una decisione, solitaria, perché il dio non sembrava affatto  dell’umore di darle alcun chiaro indizio. Poteva solo scommettere su ciò che si trovava probabilmente dietro la spessa crosta che gli proteggeva il cuore: aveva provato a grattarla via, quella persistente barriera, tempo prima, ma senza riuscirvi.
Chiuse gli occhi.
L’amarezza di un’evidente consapevolezza è sempre troppo acre per poterla ingoiare intera; e diventa sempre più nauseante quanto più la si trattiene in bocca.
Il tempo passa, e tu non sei mai in grado di scegliere.
Odiava prendere una decisione: le bilance che scendevano in campo presentavano per lei piatti sempre troppo uguali.
Un uccellino cinguettò in lontananza, destandola dalle sue riflessioni.
Inspirò profondamente.
Percepiva i granuli della clessidra cascarle sul collo leggeri eppure più crudeli di una punta affilata.



 
‹‹Buongiorno. Dormito bene?›› si informò il maestro voltandosi e donandole un gran sorriso confortante.
Rispose al saluto con garbo. ‹‹Abbastanza›› aggiunse avvicinandosi al tavolo dove si trovavano ampolle e contenitori di vetro pieni e vuoti, dai contenuti violacei e neri, che brillavano in maniera piuttosto sinistra a seconda dell’inclinazione della luce rifratta attraverso una quantità considerevole di piccole bolle trasparenti. ‹‹Cosa state facendo?››
L’odore che si levava da quella confusionaria preparazione le solleticava le narici, tanto che starnutì un paio di volte, costretta ad allontanarsi velocemente a grandi passi.
‹‹E' il tuo sigillo›› indicò col palmo, senza distrarsi dalla ciotola in cui stava pestando in piccole parti una piantina dalle foglie lunghe e appuntite, verde scuro per un verso, argentee per l’altro. ‹‹Le sue proprietà sono state assorbite dalle erbe che ti hanno avvolto ieri pomeriggio››. Anirei alzò le sopracciglia, a metà tra lo stupore e lo scettico. Si poteva fare una cosa simile..? ‹‹Le tecniche alchemiche sono molto antiche, e al giorno d’oggi quasi praticamente sconosciute: si preferiscono sistemi alternativi più veloci ma dalla relativa efficacia. I vecchi rimedi non sono mai da sottovalutare››
Non a caso Loki vi ha cercato accuratamente.
Sollevò le pupille verso l’alto, stirando le braccia.
Il Dio dell’Inganno incuteva timore quando pianificava tutto nei minimi particolari; ergo, dava l’impressione, che si trasformava poi in certezza, di conoscere talmente a fondo l’animo di chi lo circondava da prevederne ogni successiva mossa, potendone quindi manipolare a piacimento le reazioni e i gesti. Un individuo che era sempre meglio non farsi nemico, c’era poco da supporre.
Si avvicinò a una grande finestra che dava sul giardino, posando gentile una mano sul marmo. ‹‹Sapete dove sia andato?›› buttò lì spacciandosi per non curante.
‹‹Immagino a preparare contrattacchi ad eventualità non considerate››.
Già.
‹‹Spero che non ti sia attentata a provare qualche incantesimo, lady; potresti farti male involontariamente››. Fece un cenno eloquente verso le boccette che occupavano l’intera tavolata. Anirei si morse le labbra, arrossendo appena, colpevole, guadagnandosi uno sguardo di rimprovero. ‹‹Dovreste chiedere al Dio dell’Inganno di aiutarvi nella riabilitazione››.
Si immaginò una lezione a stretto contatto col dio; fu costretta a nascondere il viso dietro una mano, pur di evitare di farsi vedere avvampare.
‹‹E' molto severo, e forse dotato di poca pazienza dinnanzi a lenti progressi, con una lingua sagace e provocatoria, ma.. credo sia in definitiva un buon insegnante››
Deglutì, non riuscendo a fermare il tremolio delle mani, mentre il suo Loki immaginario adottava metodi molto poco ortodossi per stuzzicarla.
Rabbrividì appena, il ricordo delle sue mani su di sé.
Deglutì di nuovo, grattandosi il collo e inumidendosi le labbra.
Hai una testa, Anirei, usala..
‹‹Voi vi intendete di seiðr?›› chiese. Le faceva strano pronunziare quella parola nei propri riguardi. Aggrottò le sopracciglia, fece una smorfia con le labbra. Nel suo mondo la fonte magica aveva un diverso nome: mystes**. Che si trattasse della stessa cosa? Gli espose i suoi dubbi.
‹‹Sono specializzato nella cura e nella guarigione, mentre non sono molto afferrato nella restante materia, purtroppo››. Gettò della strana polverina in un becher.  ‹‹Non ho captato niente di anormale ieri pomeriggio, quindi dovrebbe trattarsi di un nome diverso per indicare la stessa cosa››. La osservò con la coda dell’occhio. ‹‹Non sei originaria di Asgard, o di qualsivoglia altro regno dei Nove Mondi, o sbaglio..?››
Scosse la testa.
‹‹E come fai a conoscere le lingue dei nostri regni..?››
Abbassò le palpebre; non sapeva quanto Loki avrebbe voluto rivelasse. ‹‹Un regalo dei reali quando sono giunta qui. Per dialogare con me..››. Dal momento che l’incantesimo continuava a funzionare, significava che Odino era ancora vivo. Molto probabilmente. Perché esisteva la remota possibilità che continuasse a funzionare anche dopo la morte del suddetto.
Il maestro evitò di approfondire ulteriormente, e le fece un sorriso genuino. ‹‹Mi spiace, ma col seiðr non posso aiutarti: sarei costretto ad abbandonare questo tavolo››
Annuì, sconfitta prima ancora di battagliare.
‹‹Cosa hai intenzione di fare dopodomani?››
‹‹Non so..›› rispose vaga con lo sguardo sul pavimento. ‹‹Andrei ovunque, se qualcuno mi rivelasse la giusta indicazione. Probabilmente a questo punto la seguirei senza fiatare, anche se mi portasse laddove non vorrei››
Voglio solo dimenticare, maestro.. voglio solo scappare il più lontano possibile e dimenticare.
Finalmente una delicata brezza si decise a soffiare dentro la stanza, passando attraverso le grandi finestre ad arco. Il venticello fresco si introdusse tra le onde brune, portandole alcune ciocche sul viso, solleticandola, quasi volessero vedere un sorriso su quella bocca, e non una smorfia rattristita.
Forse anche se mi riportasse nel mio mondo.
Arricciò i capelli, avvolgendoli intorno alla nuca, il momento successivo si srotolarono di nuovo, accarezzandole la schiena le punte.
Ricordò le feroci e brute parole che le erano state rivolte molto tempo addietro, da un dio dal volto celato, che le aveva riversato addosso, in una cascata incalzante, tutte le paure e le indecisioni; quasi fosse stato lo scontro con la propria coscienza.
“E ammirevole sarebbe anche il tuo nobile scopo, “trovare la vera te stessa” o le sciocchezze che vai ripetendoti per annullare i tuoi sensi di colpa circa le responsabilità che eviti di prendere, se soltanto tu non continuassi a sfuggire al destino –a me-  sfasciando tutto ciò che è stato scritto”
Soffocò una risata rassegnata.
Sfasciare tutto ciò che era stato scritto? Lei..?! Doveva essersi sbagliato. Dovevano essersi sbagliati.
Il suo destino le era stato cucito addosso meglio degli altri, invisibile e subdolo: perché non era il luogo in cui si trovava, né le persone con cui interagire; il suo destino era semplicemente il suo atteggiamento.
‹‹Su Vanaheim si vocifera››
Alzò la testa, incontrando gli occhi castani del maestro. Non seppe dove trovò la forza per parlare. Il sudore le si era ghiacciato addosso più velocemente di un fulmine.  ‹‹E cosa, di preciso..?››
‹‹Oh, i Vani sono molto cauti e riservati. A nessuno è dato di sapere››
Si strinse nelle spalle, portando le mani tra le cosce. La domanda fu più veloce del pensiero. ‹‹Voi… voi conoscete per caso il Dio del Destino..?››
Sorrise con amara consapevolezza. ‹‹Per quanto si possa provare a dimenticarci di lui, le disgrazie ce lo ripropongono ad ogni angolo››. Versò il contenuto di una fiala nella beuta violacea ‹‹E' colui cui ci si appella quando si desidera qualcosa, colui che si denigra quando il male ci coglie››. Anirei si sistemò meglio sul lettino, le sue orecchie pronte a raccogliere, a non perdere, nessuna parola che si sarebbe levata alta o bassa dalla bocca del suo interlocutore.
Il maestro schiarì la voce.
‹‹Molto tempo fa, prima ancora che l’attuale Padre degli Dèi nascesse, esisteva un saggio eremita. 
Era un dio di sangue Van, che aveva preso distanze dal male del mondo e dalle guerre che scoppiavano sempre più cruenti tra Vani e Aesi. 
Nessuno sa dire se egli fosse più vecchio delle Norne stesse, di fatto, egli scoprì, le fonti affermano per puro caso, di avere una qualità veramente unica e straordinaria: farsi ascoltare proprio dalle Norne, volutamente altresì chiamate Parche o Moire.
‹‹Erano accadutesi, in un periodo poco recente, parecchie battaglie, tra vecchi e nuovi Dèi, tra razze diverse dei Nove Regni, e molto dolore e morte furono portati al mondo. Famiglie straziate, inverni sempre più lunghi e freddi, estati più brevi e roventi.
Successe dunque che alcune famiglie nobili, di più razze differenti, decidessero di recarsi dal saggio eremita per trovare una soluzione a tanta morte amara e crudele. Rispose loro che il mondo gli aveva dato prova che il male esiste, e che non lo si può eliminare, semmai controllare. Ma esso esiste, ed esisterà sempre: perché il male di uno significa il bene di un altro, più o meno avido, più o meno necessariamente. E' impossibile sradicarlo dalla natura del mondo, perché esso può anche essere inconsapevole, non dipendente dalle menti consenzienti.
Ma le famiglie si rifiutarono di accettare il Male, e lo costrinsero a trovare una ragione decentemente accettabile per sopportare la morte incomprensibile dei propri figli. Fu così che il saggio si vide costretto ad esiliarsi dalla sua stessa solitudine per incontrare nuovamente le Norne.
Egli dette loro la Verità che in tanti millenni aveva imparato a riconoscere veritiera nella propria mente, ovvero il ciclo di Bene-Male che avrebbe portato al rinnovamento dell’Universo, se non ad un’accettabile motivazione dell’esistenza del male. Decise di restare fuori da questo suo sistema, in modo da potersi accorgere di un’eventuale piega estrema dei fatti  e fermarne la follia.
Le Norne lo ascoltarono.
‹‹Col passare del tempo nacquero delle polemiche, in mezzo a coloro che coscienti o meno, accettavano passivamente il corso degli eventi, o coloro che al contrario riconoscevano la validità delle teorie ideate dallo stesso.
Un giorno il cuore del saggio, chiamato universalmente col nome generico di Dio, venne profondamente ferito: uno dei suoi più fedeli sostenitori, nonché dio che considerava un fratello, un amico, un figlio, alzò il dito contro di lui, additandolo come falso e ipocrita, in quanto egli risultava fuori dal Sistema della Vita, e poteva divertirsi a giocare con gli esseri viventi come un burattinaio fa con i propri pupazzi.
Alcuni dicono che egli volesse porre fine alla sua tirannia, altri che ne volesse prendere il posto.. in ogni caso, riscosso parecchio credito, le file massicce del suo oppositore si portarono sotto le porte del suo palazzo. Si scatenò l’ennesima sanguinosa guerra, che nessuna parte riuscì a vincere.
Coloro che volevano continuare a combattere, furono gettati tra i fumi tossici e nebbiosi di Nifflheim, coloro che non presero una vera e propria decisione, si limitarono ad abbassare la testa dinanzi ai fatti, a patto che anche il saggio si immolasse all’interno del sistema che aveva creato; fu lo stesso Bor, padre di Odino, a cancellargli la memoria dopo che egli ebbe trascritto il proprio libro, che nemmeno l’autore sarebbe stato più in grado di leggere. 
Chi accettò il nuovo ordine, si ritirò nel palazzo del Dio.
‹‹Passarono altri secoli. Il principe Odino, futuro e imminente Padre degli Dèi, si recò da Lui, come stabilito dall’accordo del proprio padre, per conoscere parte del proprio futuro.
Egli dettò guerre sanguinose, glorie altrettanto grandi. E la disgrazia, da alcuni concepita come onore, di avere due figli che avrebbero incarnato le due metà del ciclo.
Odino rimase scioccato. Chiese al Dio di cambiare il fato, ma questi si rifiutò: non avrebbe lasciato il mondo in balia di se stesso. E non avrebbe cambiato certo il Fato per un solo dio, nonostante si trattasse del figlio di Bor.
Odino non scordò mai le sue parole, e lo accusò di essersi accecato dinanzi al grande potere che deteneva. Qualche millennio successivo, ironicamente fu lui a perdere un occhio.››
Anirei, con la bocca dischiusa, aggrottò la fronte. Non sapeva bene che cosa pensare del Dio; doveva e voleva sapere di più. ‹‹E poi, è successo qualcos’altro?››
Il maestro gettò una ciocca d’erba all’interno dell’ampolla, e mescolò lentamente. Lo sguardo perso su di essa indicava la rievocazione di immagini che a quanto pareva lo avevano colpito parecchio. Lo vide sospirare.
‹‹Arrivò anche per il Dio il tempo di pagare l’amaro prezzo del suo sistema, della sua stessa abilità –per alcuni della sua stessa presunzione: ebbe un figlio con una mortale.
Era oltremodo felice; era padre! 
Non poté resistere all’impulso di leggere il libro del figlio - essendo strettamente collegato al proprio, aveva dovuto a suo tempo dimenticare -, e cercò qualcuno che potesse leggere ciò che neanche il Dio poteva. Per sua grande malasorte, lo trovò.
Fu un dramma. Un dramma rendersi conto della tragedia in cui sarebbe incorso il proprio figlio. 
Chiese al Padre degli Dèi di aiutarlo. Ma egli si rifiutò, a meno che non avesse cambiato il futuro dei suoi discendenti. 
Il Dio tentennò. Egli stesso non era più in grado di slacciare ciò che era già stato deciso, perché il suo destino non lo prevedeva. Era rimasto ingarbugliato nel suo stesso sistema: un errore che in principio, quando ancora ne era fuori, aveva ritenuto meglio evitare. 
Il figlio accolse la propria morte a braccia aperte, tanto che il padre si irrigidì a tal punto da decidere che tutti, esattamente come il proprio discendente aveva ingoiato in silenzio la sua triste sorte, avrebbero dovuto fare lo stesso››
Anirei avvertì nel proprio animo un moto di profonda amarezza. Dentro di sé provava una profonda avversione per il Dio, però, adesso che le era stata svelata la sua storia, non poteva fare a meno di provare una certa comprensione nei suoi confronti.
Nessuno è completamente malvagio, nessuno è completamente buono. Le persone sono un insieme di sfumature grigie, una scala di toni simili e dai confini sfocati, ma mai completamente nere o bianche, nette, come ci insegnano alcune storie infantili.
Ripensò al Dio dell’Inganno e del Caos. Al Dio. A Odino.
Ognuno aveva la sua motivazione – condivisibile o meno – che sfumava i contorni dei colori della loro anima.
‹‹Cosa succederebbe se il sistema venisse, ecco.. spezzato..?››. Cercava di tenersi sul generale.
‹‹Bambina mia, questo non lo può dire nessuno. Potrebbe liberarci; potrebbe incarcerarci a qualcosa di peggiore; potrebbe non cambiare nulla. Nessuno può saperlo. Nessuno può dire cosa sia giusto o sbagliato fare, se non la tua testa››
Al solito, la scelta rimane a me..
‹‹Si dice che un uomo infilò la mano nella Bocca della Verità, dicendole: “Tu mi taglierai la mano”. Essa, andata in confusione, si disfece. L’uomo, ridendo, seppe infine di aver mentito››
Inclinò la testa, spaesata. Non aveva capito nulla. ‹‹Che cos’è la Bocca della Verità..?››
‹‹Diciamo che si tratta di una macchina che ha la facoltà di decretare la verità o la falsità di ogni sentenza. In caso di frase falsa, ti taglia la mano››
Rimase in silenzio, ponderando; poi sospirò ‹‹Ditemi la verità, maestro.. quello che ci aspetta domani potrebbe essere pericoloso, non è vero?››
 
 
                                                                                  ***
 
Non è ancora tornato.
Una consapevolezza che non poteva fare a meno di frenare, nella mente. La martellava come un bambino capriccioso si ostina a stringere stretta la coda di un gatto.
Inforcò con troppa forza uno degli ultimi bocconi di cibo che aveva nel piatto. Annuiva senza prestare molta attenzione a quello di cui discutevano i commensali: parlavano di una festa sacra che sarebbe stata celebrata quella sera, e Falastur stava spiegando ad alcuni ospiti come giungere in una certa radura.
Ma chi si crede di essere.. ?!
Infilzò un altro boccone, la sua parte inconscia che sperava di affondare con forza in un piccolo Loki tascabile, con cui sarebbe stato più facile vendicarsi. O forse, conoscendolo, le avrebbe dato comunque, se non in maniera peggiore, delle gatte da pelare.
‹‹Oh, eccovi finalmente, mio caro Tyrion. Prego, prendete posto››
Si voltò velocemente verso l’entrata della sala. Era là, sull’uscio, con il suo sorriso educato ma freddo, quasi si sarebbe potuto definirlo ipocrita e di circostanza.
Gli fasciavano i muscoli perfetti scolpiti di un dio un paio di pantaloni aderenti, troppo semplici per compiacere al gusto ricercato del Dio dell’Inganno, solitamente accompagnato da un ampio mantello scuro e una casacca degnamente elaborata di un principe. Il colore crema che avvolgeva la sua magnifica figura si addiceva alle sue false sembianze. Eppure, nonostante quel suo fittizio aspetto, osservandolo attentamente, riusciva a cogliere il vero Loki in ogni piccolo dettaglio, ora nella forma fine delle labbra, ora perfettamente ovale degli occhi; nella smorfia delle sue espressioni provocatorie e maliziose, a tratti crudeli, a tratti serie ed incredibilmente sincere nella comunicazione del suo fastidio. A volte doveva ricordarsi di avere davanti una mera illusione; riusciva a vederlo, lì dietro.
Ma non era quella, la maschera che doveva oltrepassare. Erano ben altre le barriere.
Continuò ad osservarlo senza parole, fino a quando non prese posto accanto a lei, continuando bellamente ad ignorarla, quasi non esistesse.
Ficcò gli occhi nel piatto, nel petto un misto tra acida rabbia e un battito sordo, che però non le impedivano di tremare impercettibilmente.
Quando fai così vorrei proprio sotterrarti sotto un masso.
Inforcò di nuovo, questa volta cercando di controllare le proprie emozioni. Portò il boccone alla bocca.
Lo stava per buttare giù, quando Loki posò la propria mano sulla sua coscia, a tradimento.
Sussultò, con un violento battito, ebbe l’impressione che la pelle le si staccasse, volando via, dai muscoli. ‹‹Eri preoccupata per me..?›› le sussurrò sfiorandole l’orecchio con le labbra.
Il pezzo le andò di traverso.
Gelido. Il suo leggero tocco che svaniva prima che potesse abituarcisi per poi ripresentarsi con brivido l’attimo successivo, come una sadica tortura. ‹‹Non consumare troppo velocemente, o potrebbe tornarti su, con movimenti troppo bruschi..››.
Avvampò, il corpo più intuitivo della mente. Bevve un sorso d’acqua, immaginandosi di potersela rovesciare addosso. Che diavolo stava facendo?! Gli pareva il caso..?
Alcuni commensali avevano dato loro una veloce occhiata. ‹‹Ci stanno guardando.. smettila›› sussurrò con la voce confusa senza voltarsi per guardarlo.
Non devi toccarmi..
‹‹Non è raro instaurare un legame intimo col proprio maestro, e tu sei la mia apprendista, se non erro..››. Le soffiò sul timpano. ‹‹..Ai Ljólsálfar non interessa ciò che non rientra nei loro diretti affari, né pare che a te crei problemi mostrarti insieme al maestro di Lorelei..››. Prese una pausa, scorrendo appena con le dita, sulla sua coscia. ‹‹Perché dovrebbe crearti fastidio..?››
Bevve un altro po’ d’acqua. Laddove il caldo stava fallendo, sarebbero riusciti quei bisbigli intriganti e argentei. ‹‹Già, perché dovrebbe..?›› ironizzò con la voce troppo spezzata per poter passare per tale. Cercò di levare con agitazione crescente quel suo artiglio di ghiaccio, ma non appena la propria mano toccò la sua pelle, rimase immobile, incapace.
Fece il suo stramaledettissimo sorrisetto saccente. ‹‹Credi che sia stato con una donna..?››
Ma sentilo..!
Si voltò finalmente verso di lui, incrociando la sua espressione furba, una timida intenzione di farlo tacere.
‹‹Non puoi lasciarmi qui, ad aspettare. Non sono un soprammobile da spostare quando ti pare››
Loki cambiò espressione, spostando le pupille feline verso il posto lasciato vuoto dal maestro, che ancora si intratteneva presso il suo lavoro, per riportarle imperturbabili verso di lei. Le parole furono più violente e frizzanti di un capogiro. ‹‹Invece obbedirai››
‹‹Non se ne parla›› si oppose scuotendo la testa, mantenendo la voce bassa ma animata . ‹‹Come faccio a sapere se manterrai l’accordo?››
In risposta ottenne un’alzata di sopracciglia, paragonabile ad un’alzata di spalle. ‹‹Non si tratta di una proposta. E' un ordine››
Irrigidì le braccia, chiuse e aprì di nuovo gli occhi, con un respiro. ‹‹Io non posso basarmi su quello che mi racconterai››
Non ti hanno denominato Dio dell’Inganno proprio per questo..?
Loki strinse le labbra, continuando a rimanere impassibile, incurante delle sue richieste. ‹‹Non hai altra scelta se non fidarti››
Bene.
Si alzò, prendendo congedo dai presenti.
Si voltò, percorrendo un altro dei tantissimi corridoi, l’intento di trovare il maestro o chicchessia e farsi insegnare il modo di raggiungere Svartalfheim.
Ma chi si credeva di essere? Si era stancata di starsene ferma e immobile ad attendere che gli altri facessero tutto. Era stanca di stare ad aspettare invano. Non faceva bene alla sua testa e alla sua anima.
Fosse anche necessario, giuro che lo prendo a calci.
Si riconcentrò; forse era il caso di calmarsi prima di aggredire quel poveruomo. Virò verso un salottino; la luce continuava a battere diretta e ardente, fermata solamente dai rilievi in muratura che rendevano le ombre mozze e tagliate.
Si avvertiva una crescente umidità. Si passò il dorso della mano destra sotto il collo, bollente e umido, giungendo alla finestra centellinata, col lungo vestito azzurro che leggero assecondava l’andatura dei suoi passi incolleriti e stanchi. I veloci movimenti e l’umore le avevano accaldato lo strato sottostante della pelle; si portò la chioma ondulata sul petto, desiderando solo di bagnarsi con un getto d’acqua fresco.
‹‹Continui a scappare..?››
Sussultò. Si rese conto solo in quel momento che Loki l’aveva seguita, silenzioso felino come solo lui sapeva essere. Si piantò sul posto, quasi avesse messo improvvise radici nel terreno.
Il Dio dell’Inganno era entrato nella stanza, mentre picchiettava le dita sullo schienale di un comodo triclinio dal color rosa pesca.
Come faccio a scappare da te, dal pensiero che ho di te? E' praticamente impossibile...
‹‹Non avvicinarti..›› sussurrò mentre la collera sfumava ad ogni battito agitato come un’onda.
Non toccarmi..
Lo guardò in viso, affrontando i suoi occhi disarmanti. ‹‹Non fai altro che confondermi..›› singhiozzò per ogni sillaba, ma senza indietreggiare. Lo interpretava a meraviglia, il Dio dell’Inganno, con l’assoluta e ultima verità che teneva per sé, mentre tutti gli altri venivano giocati nel buio che avvolgeva le loro menti; lasciati nel più completo caos.
Vibrava ogni muscolo nella sua completa tensione, mentre il dio continuava a scrutarla. Loki si passò una mano sulle fronte, probabilmente anche lui accaldato, portandosi sulla testa un ciuffo ribelle castano chiaro. Aveva voglia di passare le proprie dita tra quei capelli, e trasformare quella ciocca chiara nel suo vero colore di lucente ossidiana.
Si immaginò un’altra mano, sulla sua chioma, un gesto che sarebbe potuto risalire benissimo a poche ore prima. Ingoiò una lama di dolore e frustrazione. ‹‹Ti sembra quantomeno divertente quello che mi stai facendo? Spero che almeno ti dia la soddisfazione che vai cercando..››
Si sentì prendere leggermente le punte delle dita. Rabbrividì un momento per la sorpresa e il gelo di un tocco appena sfiorato.
Faceva caldo, eppure la sua mano non le portava refrigerio. Bruciava di ghiaccio.
Gli occhi da lupo si alzarono su di lei, accompagnati da una sottile linea piacente delle labbra; sorrideva, a suo modo.
‹‹Anirei..›› la chiamò afferrandole il mento, ma lei si scansò repentina. Gli dette la schiena, quasi offesa dal tremolio graffiante che prendeva la forma del suo nome, stringendosi nelle spalle; si può essere posseduti solo con la voce, con una serie di note ardenti, molli, un tono che vibra nel timpano e poi scende in basso facendoti rinnegare ogni opposizione, ogni futuro pentimento?
‹‹Non chiamarmi in questo modo, non lo sopporto..››: ogni parola librava con i confini sfumati, tremula e incerta, rabbrividiva come la sua carne.
Appoggiò le mani scosse da piccole scariche di tremito sul tavolo, mentre da fuori si udiva il rumoreggiare della natura, il cicaleccio lontano, mentre intorno, e su di sé, l’afa pallida, assorta, pesante che si addentrava come nebbia densa e bagnata all’interno della stanza.
Ancora, tessuto nelle sue pupille, ritrovava un Loki dai capelli molto più corti, che condivideva con lei la tranquillità di una giornata vissuta sotto l’ombra di un albero, tra libri di rune che solo il dio riusciva a leggere mentre lei si accontentava di osservare lui e chiunque fosse passato a tiro di pigna. Spesso era Thor a percorrere quella strada, e non ci voleva molto a farsi convincere ad accompagnarlo da qualche parte. E lo faceva più per togliere la smorfia infastidita del moro che per sincero desiderio personale.
Perché non riesco mai a fare la cosa giusta..?
Avvertì le sue labbra insinuarsi tra i capelli, le sue mani sovrapporsi a quelle appena più piccole e calde, le dita  tre le sue. Alla percezione del suo desiderio, il proprio corpo reagì con un calore estraneo a quello che percepiva umido sulla pelle.
‹‹Invece ti piace, ammettilo..››
Perché vuoi che io mi odi più di quanto già non faccia..?
‹‹Cerchi solo illusioni, Loki, che ti sfuggono quanto più cerchi di agguantarle..››
Lo sentì sorridere, le sue braccia la strinsero, mentre le mani depredavano piano il suo corpo, con carezze morbide. L’attrito delle sue vesti sulla schiena le irritava la pelle, le rendeva insopportabile il mezzogiorno eccezionalmente assorto.
‹‹Ti descrivono perfettamente, lo sai..?›› continuò imperterrito, mentre le braccava i fianchi, frizionandoli con movimenti lenti delle dita.
Deglutì, mordendosi le labbra. ‹‹Non voglio essere un’illusione: è.. è..›› non trovava parole che non la ingabbiassero nella sua ragnatela suadente.
‹‹Vuoi essere qualcosa di più..?›› 
Sarebbe voluta essere niente. Il niente mentre invece provava il tutto; il troppo. E il troppo non fa mai bene.
Fece per divincolarsi dalla stretta, quando si vide costretta a immobilizzarsi per un tocco denso, improvviso e prolungato, che le dette alla testa.
Loki le aveva sfiorato con le proprie labbra gelide, risalendo, la schiena, lungo il solco della colonna vertebrale, lasciandole impressa sulla carne la sua scia fredda. Si era inarcata istintivamente, il petto in una morsa d’estasi, sorreggendosi tra le sue mani.
Incontrò il suo respiro, e la sua voce molle, non appena la costrinse a voltarsi leggermente verso di sé. ‹‹Dimmi che posso›› la mano le afferrò piano le guance, mentre lui piegava la testa per scivolare sulle sue labbra. ‹‹Dimmi che vuoi..››
Loki..


 
                                                                                      ***
 
 
Guardava l’enorme anfiteatro bianco, che ricordava per i più creativi e fantasiosi una bella candida rosa***, e non poteva fare altro che perdere il proprio sguardo su quell’edificio che chiamava casa.
Non ne conosceva altre che potessero avvicinarsi ad una definizione simile.
Non se ne era sentito mai così alienato.
‹‹Te ne stai zitto da troppo tempo››
Grugnì qualcosa. I polpacci gli bruciavano da morire; Chi non amava spendere parole inutili in scherzi verbali.
‹‹Sarebbe meglio che tu parlassi. Ti ricordi di quel limite di cui ti parlo spesso..?››
Sì, ci ballo sopra da ore. Da giorni, mesi. Forse millenni. Non so più dirlo nemmeno io.
Sbuffò arricciando le labbra. Il loro Signore continuava a restarsene chiuso nel proprio silenzio. Il che, faceva avanzare l’occasione dei dubbi che aveva giurato molto tempo prima di combattere e di sconfiggere, di estirpare dalla mente prima ancora che potessero nascere.
E' una prova, pensò. Una prova per vedere chi gli rimarrà fedele.
Eppure, nonostante questa profonda consapevolezza, non poteva fare altro che dubitare.
Raphael dice che è il primo passo per portarci alla Verità, o il primo per farci cadere nel Male. Sta a noi avere il coraggio di rischiare la nostra anima.
Udì il biondo digrignare i denti.
‹‹Se è quello che ti stai chiedendo, non devono stare insieme. Sono peccatori per noi, traditori per gli altri, macchiati di vergogna e di colpa verso l’Universo e la Vita stessa››
‹‹Perché non siamo liberi di decidere per la vita che ci viene donata, allora?››
‹‹Lo hai detto tu, Gabriel. Perché ci viene fatto un dono, che ha un prezzo››
Allora dovrebbero chiedermi prima se nascere o meno e stare ai patti.
‹‹Tu non hai chiesto di perdere i tuoi genitori››
Chi rimase in silenzio. Sapeva quanto gli costasse parlare della sua triste infanzia. Un giorno una forte tempesta aveva distrutto quella che doveva essere la vecchia casa e glieli aveva portati via. Aveva lasciato Vanaheim per seguire il Dio, il Destino. Per dimostrare, per dimostrarsi, che la loro morte aveva un senso.
Gabriel era invece stato allevato da genitori fanatici; il suo futuro era a dir poco sicuro.
‹‹Se non fossero morti, a quest’ora non sarei qui a riprenderti per le idiozie che stai dicendo››
Questa volta fu lui a rimanere zitto; era stato maleducato nei suoi confronti. Sachiel si alzò, allontanandosi da lui, ferito laddove il tasto, nonostante tutto, continuava a dolere millennio dopo millennio.
‹‹E Michael?››. Gabriel alzò la testa nella sua direzione. ‹‹Ti sembra che dovesse morire? Era il migliore amico dell’Altro.. e nonostante tutto ha scelto la giusta, sebbene dolorosa, via del nostro Signore. E' stato sgozzato come una bestia da macello››
Appunto, Chi. Non credi che si stia spargendo incomprensibile dolore?
Preferì non rispondere. I loro pensieri si stavano divergendo sempre più. Tornò a fissare l’anfiteatro, immaginandosi il dolore di due povere anime divise, il cui unico modo per raggiungersi è scavare nel terreno come animali, sporcarsi, graffiarsi e ferirsi pur di raggiungere l’altro.
Abbassò le palpebre, abbandonando le mani sul ventre.
Il silenzio del loro Signore continuava a ferirgli le orecchie.


 
 
Una goccia di trasparente sudore le scendeva lungo la pelle, percorrendo il solco del seno che i due lembi di stoffa, unendosi dietro il collo, non coprivano.
Un sospiro.
‹‹Loki..››
Yggdrasil, quanto desiderio gli scatenava il proprio nome sulla sua bocca; l’avrebbe gettata su quel tavolo e l’avrebbe presa sul momento, ignorante di ogni buon senso degno di questo nome.
Ma non poteva abbandonarsi blandamente ai suoi istinti.
Andrà come voglio io.
Sarai tu a cercarmi e volerlo. Tu di tua iniziativa.
Posò il pollice sulle sue labbra, percorrendole piano e schiudendole appena, costringendola ad alzare di nuovo gli occhi su di lui. Anche sotto il polpastrello, erano ardenti e morbide.
Passò la lingua sulle proprie, non notando differenza di temperatura.
Menta.
‹‹No›› lo rimbeccò lei come si trattasse di un bambino, con un dolce respiro caldo, scuotendo lenta la testa.
‹‹No…?›› stirò le labbra in un sorriso ironico.
Perché continui a tenere una barriera che si distrugge nelle sue stesse fondamenta?
Il lusso di un decennio; più di un decennio; e pretendeva che non provasse il desiderio di sentirla di nuovo gemere sotto di sé, vinta dalla sua forza, abbandonata al piacere del suo controllo.
A palazzo si era violentato pur di non sorpassare quella porta oltre lo stretto necessario, in preda ad un impulso avventato: ad Asgard non poteva permettersi distrazione. Giocava sul filo dell’illusione per cosa dovesse o non dovesse mostrare a quelle sciocche capre.
Ma adesso..
Adesso quel vestito attentava ad ogni barlume di cauta razionalità.
‹‹Smettila di spingere il limite..››. Lo guardava con le sopracciglia contratte verso l’alto, ogni cellula del suo corpo vibrava sotto le sue mani, le tremava il labbro inferiore.
Non vedi che mi appartieni? Abbandonati all’evidenza.
‹‹Siamo già dannati, se è questo che ti preoccupa..›› osservò con mera ovvietà, continuando a giocare con le sue labbra tra cui il dito si insinuava piano, separandole. ‹‹Maledetti da Odino, dal destino, dal mondo, dagli amici, dai conoscenti.. da tutti; persino da noi stessi. Non credi che sia oramai inutile dar loro anche un altro solo briciolo di soddisfazione?››
‹‹Non credi invece che possano avere ragione?›› contestò lei ritraendosi appena all’indietro, cedendo ad una piccola smorfia al contatto con la dura tavola. ‹‹Finirebbe prima ancora di cominciare..››
Un mucchio di bugie. Solo, l’inconfondibile, orribile, odore della negazione della realtà.
La puzza della menzogna che si leva da ogni singola parola.
Odore di marcio. Odore di falso.
Odore di me.
Continuò a guardarlo negli occhi, senza stornare lo sguardo. ‹‹Non posso, sai che non farebbe altro che distruggermi ancora, e ancora..››
Ah, il massaggio sinistro e carezzevole della melma di colpa in cui era solita sprofondare.
Un classico, no?
Le sfiorò la mandibola con un’unghia.
Perché non impari mai?
Un filo metallico gli passò attraverso le vene del collo con pericoloso, sebbene lontano come un’eco, orrore di sgomento.
“Se lo uccidi, il suo cuore ti verrà negato per sempre”
No; erano solo parole di una strega di bassa categoria.
Strinse le labbra, con voce atona. ‹‹Perché dovrebbe essere sbagliato?››
Lo fulminò, arrabbiata, in un primo momento, per poi velare gli occhi di un velo buio.
Abbandonò le mani lungo i fianchi, la sua Anirei.
Non rispose.
Nemmeno un lieve sospiro. Non aveva risposte, no.
Avvertì l’inconfondibile sensazione di raschio nel petto.
E le scoppiò a ridere in faccia, crudele.
‹‹Sei solo una sciocca, Anirei››. Chiuse la mano sinistra, come una verità che si tenta di afferrare e che allo stesso tempo si può ridurre in frantumi per la troppa forza con cui la si stringe. Le mostrò i denti. ‹‹Trascendi il mio controllo, la mia ragione, ogni cosa che abbia posto come barriera tra te e me.. Ho provato invano a odiarti, cercavo in ogni donna un misero particolare che potesse ricordarti, in agonia, in frustrazione..››. Delusione, rabbia, insoddisfazione di ricordi passati gli si riversarono nel sangue, irrigidendo i muscoli; si era arreso all’evidenza dell’umiliazione nel trasformare in lei qualsiasi donna gli fosse capitata tra le lenzuola, vinto nell’impossibilità di cancellarla, un’illusione tanto più perfetta quanto maggiore la vana consapevolezza di una finzione deturpata come lo specchio informe di un torrente turbolento. Non era un misero corpo, quello che cercava, da avere sotto le mani. Era un gemito, un brivido. La sfumatura unica di un tono sfaccettato della sua ilarità.
Ella lo stava guardando con attenta contemplazione, confusa ma dolce, mentre subiva passivamente la sua crudeltà.
La carezza del suo morbido sguardo pieno d’amore.
Voglio che tu mi guardi per sempre, Anirei.
Per sempre con questo sguardo.
Chiuse gli occhi, con espressione dura ma impassibile; niente di quello che pensava avrebbe superato la maschera carica di distacco. ‹‹Non c’era niente se non la frustrazione più vana nella consapevolezza della tua reale assenza››.
A volte era così umiliante arrendersi di fronte a quel sentimento pieno di calore che faceva così tanto contrasto con la temperatura del suo corpo.
A quel battito anomalo che cercava di rompere lo strato di ghiaccio del petto.
‹‹Mi dispiace..››
Riaprì di scatto gli occhi. Niente compassione.
Sorrise, cattivo. ‹‹Oh, ma non ti preoccupare. Uccidere quel bastardo e quegli inutili insetti mi ha ripagato di ogni debito››
Percepì chiaramente le sue ossa incrinarsi, dinanzi a quelle parole. ‹‹Sei.. sei..›› articolò a fatica, con gli occhi gonfi e tumidi, senza riuscire a finire la frase. ‹‹Hai scaricato il tuo rancore su degli innocenti. Sei hai qualcosa contro di me o contro Odino..›› perse per un attimo le pupille sul pavimento ‹‹..Thor.. non devi coinvolgere altri››
Si piegò sul suo orecchio, con un sussurro. ‹‹Credi davvero che siano degli innocenti? Se lo sono meritati.. tutti››
Si scostò da lei, facendo danzare una sfera luminescente verde tra le dita.
“Ci siamo scambiati un bacio, vile traditore, se è questo che ti interessa. E ci è anche piaciuto”
Una pugnalata sui reni dinanzi a parole che non riusciva chiaramente a classificare come false. Il sapore delle sua bocca, ricevuto attraverso le sensazioni di un altro diventava quasi disgustoso. Infranse la piccola bolla chiudendo il pugno, mentre ella fissava senza parole la sua schiena, lui che si osservava le unghie.
Cosa hai trovato di così gustoso da voler assaggiare sulle sue labbra? 
‹‹Il popolo piange i suoi beniamini›› continuò osservando la mano chiusa.
Chi mi ha sempre disprezzato, adesso lo farà con un motivo. Adesso sono io mi a dilettarmi della loro sofferenza cieca.
‹‹Nessuno gioca col Dio dell’Inganno senza subirne le conseguenze››
Forse, nemmeno tu..
Un singhiozzo.
Sorrise, soddisfatto.
Eccolo.
Due.
Finalmente.
Odia me, Anirei.
Quattro.
Graffiami. Odiami.
Solo così smetterai di rivolgere le unghie contro te stessa.
Un altro, e un altro ancora.
Odia me anziché te. Sei talmente sciocca da continuare a farti del male.
Piangi ogni mio peccato.
Una mano calda strinse le sue dita. La sua mano; la sua pelle. Il suo contatto.
Forse il tuo amore, Anirei..?
Rimase immobile, teso, mentre ella lentamente gli compariva di nuovo sotto gli occhi.
Ridacchiò furbo, prendendole la mano e portandola verso la propria gola, chiudendole gentilmente le dita. ‹‹Non credi sia più adatto un gesto del genere?››
Anirei lasciò delicatamente la presa, e lo guardò con i suoi occhi castano scuro.
‹‹Smettila››. Gli accarezzò l’interno del braccio destro, seguendo una linea appena marcata sulla pelle. ‹‹Non credi di aver già sofferto abbastanza..?››
Sorrise.
Quanto sei sciocca, Anirei.
Strinse le mani attorno ai suoi polsi, guidandola nello scorrere delle mani sul petto, fino a farsi accarezzare le guance.
Solo allora si accorse della ferita che teneva nascosta sotto il colletto.
Non disse nulla. Si limitò a spostargli il viso per vedere meglio.
Non voglio che tu ti accolli le mie colpe..
Avrebbe voluto urlarglielo fino a quando non l’avesse capito. Avrebbe voluto poi abbracciarla e aspettare che si assopisse sul suo petto per tornare a ridere come un tempo.
Invece le prese il mento e le scucì uno dei suoi migliori sorrisi crudeli di repertorio. ‹‹Vattene dal tuo maestro, potrebbe avere bisogno della tua compagnia››.
‹‹Sì, vado›› asserì con sguardo fermo. ‹‹Gli chiedo se possa darti un’occhiata. Anche se credo sopravvivresti comunque››
‹‹Non ho bisogno delle sue manacce, faccio da solo››
Ella gli rifilò un’ultima occhiata fugace, l’espressione riflessiva e in parte ferita, prima di uscire dalla stanza facendo finta di non averlo sentito.
Sospirò, passandosi le mani tra i capelli.
Sei davvero una piccola, sciocca, imprudente zavorra.
Un minuscolo sorriso confortato gli increspava le labbra sottili.
 
 
*: con questo nome si indicano gli abitanti di Alfheim, chiamati anche Elfi Chiari, ai quali si contrappongono i Dökkálfar (/Elfi Oscuri) che abitano invece Svartalfaheim
 
**: ho preso in prestito questo nome sulla fonte magica da Final Fantasy XII

***: chiara citazione di Dante Alighieri
 
 
 








*************
Ciao!:)
Spero vi sia piaciuto il capitolo, ho dovuto riscriverlo un paio di volte perché non ero mai sicura che potesse andare. *e fu così che le lanciarono la verdura per la pessima qualità
Comunque, capitolo propriamente incentrato su questi due, finalmente con la spiegazione della storia di D.D. (ce la fece alla fine, alleluja!), il problema che si pone sempre più concretamente su che parte prendere, i sentimenti tra i due, la ragione per cui Anirei possa parlare sia la lingua nordica che l'americano (mi pareva di essere in dovere di dare un po' più di "realismo", sempre se non abbiamo già messo le ali sulle vele della pazzia).
Ringrazio vivamente chiunque mi stia sostenendo, perché in questo periodo è abbastanza duro scrivere.
Buona Pasqua a tutti, vi auguro delle buone vacanze!
Con affetto (e un uovo di pasqua virtuale a tutti/e),
Ali
   
 
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