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Autore: bradbury    03/04/2015    4 recensioni
Dean ha chiesto a Castiel di fargli una promessa: se il Marchio di Caino avesse ricominciato ad esercitare la sua pericolosa influenza sul cacciatore, l'angelo avrebbe dovuto ucciderlo senza esitare. Castiel non ha nessuna intenzione di rispettare il patto ma vuole a tutti i costi aiutarlo. E' convinto sia possibile trovare una cura che possa salvare l'amico, ma quanto è grande il prezzo da pagare affinché Dean possa raggiungere la salvezza?
[Riprende alcuni eventi accaduti nella S10; possibili spoilers] UPDATE: momentaneamente sospesa
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Claire Novak, Dean Winchester, Sam Winchester, Un po' tutti
Note: Lemon | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Contesto generale/vago
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A Chiara, che in qualche modo dice sempre la cosa giusta al momento giusto.
***************************************** NOTES ***************************************
Per prima cosa vorrei ringraziare di cuore tutte le persone che hanno aggiunto la storia fra le seguite o preferite e tutte quelle che hanno perso del tempo a recensire il capitolo precedente. Non me l'aspettavo, ad essere sincera. E' stata una bella sensazione vedere che ciò che scrivo a voi non fa ribrezzo. Spero di non aver deluso le aspettative con questo nuovo capitolo, di non aver toppato completamente con la caratterizzazione dei personaggi e di avervi fatto provare qualche emozione positiva. Oh, vorrei sapere anche se qualcuno è riuscito a capire il simbolismo del sogno, perché nella mia testa aveva senso logico ma non sono certa di aver reso in modo concreto quello che volevo rappresentare. Concludo, augurandovi una buona, felice e rilassante Pasqua, mangiate quanta più cioccolata possibile anche da parte mia che non ne mangio un pezzetto da tre mesi strazianti.


 






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2.
 
 
Come lui e Sam avevano ipotizzato, il problema in quell’hotel erano gli spiriti, una massiccia infestazione di fantasmi arrabbiati che sfogavano le proprie frustrazioni ammazzando clienti a caso. Avevano scoperto che l’edificio era stato teatro di suicidi e omicidi, fin dal giorno in cui venne inaugurato nel lontano millenovecentoventisette.

Una donna si era lanciata dall’ottavo piano e un’altra ancora si era suicidata dopo aver litigato con il marito. Due serial killer vi avevano alloggiato: il primo aveva stuprato e ucciso tredici donne mentre il secondo, uno scrittore di gialli per una rivista, era uscito di testa strangolando tre prostitute con il loro stesso reggiseno.

Dean si asciugò le gocce di sudore che gli erano scivolate sulle tempie quando lui e Sam finalmente ebbero finito di profanare l’ultima tomba. Sam aprì la bara, rivelando al suo interno uno scheletro disgustoso che li fissava inespressivo attraverso due profonde cavità nere come la pece, in cui un tempo c’erano stati gli occhi.

“Dai Sammy, dai fuoco anche a questo figlio di puttana e andiamocene. Ho bisogno di farmi un bagno per togliermi di dosso la puzza di morto.” disse il cacciatore, passando al fratello una confezione di sale formato famiglia.

Sam vi cosparse le ossa, dopodiché passò alla benzina e poi al fuoco, il quale le avvolse fra le sue fiamme scarlatte, riducendo in cenere ogni piccola traccia di materia organica.

“Direi che qui abbiamo finito” esordì Sam, scrollandosi via un po’ di terriccio e qualche filo d’erba dai pantaloni.

“Era ora.” disse Dean mentre s’incamminava nella direzione opposta, diretto verso l’Impala, bramando il riposo.

Era talmente sfinito che se avesse passato senza dormire anche quella notte, sarebbe andato da un cazzo di dottore a farsi prescrivere un flacone di sonniferi per elefanti. Inoltre, aveva giurato che sarebbe stata anche l’ultima trascorsa dentro ad un motel, perché il giorno successivo aveva intenzione di fare ritorno al bunker e al suo adorato materasso a memoria di forma.

Bastò percorrere pochi chilometri per trovare un motel lungo la strada a poche miglia fuori dalla città. Dall’esterno dava l’impressione di essere un posto fatiscente ma una volta dentro conservava una certa decenza se si escludevano la tappezzeria consumata e l’impianto elettrico precario. I due fratelli si sistemarono in una stanza al pianterreno e a turno si concessero una lunga e approfondita rinfrescata.
Dean era sfiancato, talmente tanto che a malapena si rese conto di essere finito sotto il getto pressante della doccia. Poggiò la fronte contro le mattonelle della cabina e permise all’acqua calda di scorrergli indisturbata lungo la schiena, sperando che riuscisse a far scivolare via con sé la tensione accumulata durante le ultime ore. Il Marchio aveva ricominciato a bruciare.

Aveva iniziato come un tenue formicolio la mattina precedente, a caccia, mentre cercava di non farsi trapassare la testa da un fantasma particolarmente malvagio. E dato che non si poteva realmente ammazzare qualcuno già morto, Dean non aveva sfogato la rabbia a sufficienza e iniziava a notare l’influenza del Marchio in modo più concreto. Lo rendeva nervoso più del normale, sull’attenti e pronto a scattare in qualsiasi momento per le ragioni più banali. Non voleva ritornare ad essere un demone e ad uccidere semplicemente per il piacere di farlo.

Inconsapevolmente si ritrovò a strofinarsi il punto in cui il braccio era segnato, tracciando il profilo di quel simbolo maledetto.
La prima volta era riuscito a cavarsela grazie all’intervento tempestivo di Sam e all’aiuto di Castiel ma se fosse successo un’altra volta, non era così stupido da pensare che la sorte sarebbe stata di nuovo clemente con lui e con loro. Avrebbe potuto far del male a Sam o uccidere Castiel e il solo pensarci lo paralizzava dal disgusto e dall’orrore per se stesso.

Dean chiuse con un movimento repentino le manopole dell’acqua e uscì dalla doccia più distrutto di quando ci era entrato. Prese un asciugamano, lo avvolse in vita e si posizionò davanti allo specchio. Chi era l’uomo riflesso che gli restituiva lo sguardo? Non riusciva più a riconoscersi, a ritrovare un barlume di ciò che era stato, la corda che teneva uniti i pezzi si era sfilacciata e minacciava di recidersi lasciandolo precipitare nel vuoto. Nei suoi occhi verdi ormai c’erano il tormento e la certezza che avrebbe trovato pace solo tre metri sotto terra, anche se su quest’ultimo punto non ci avrebbe messo la mano sul fuoco. Era sicuro che all’Inferno ci fossero almeno un centinaio di demoni ansiosi di fargli il culo come lui l’aveva fatto a loro prima di rispedirli in quel buco dal nauseante odore di zolfo.

Sam avrebbe voluto essere messo al corrente di quello che gli stava succedendo ma sinceramente, Dean non trovava giusto addossare al fratello le proprie angosce, non ora che sembrava aver ritrovato un po’ di serenità. Dopo essersi asciugato ed infilato la brutta copia di un pigiama, si trascinò fuori dal bagno fino al letto, con un peso di mille tonnellate ad opprimergli il petto. Dean rabbrividì, aveva la pelle d’oca. Ultimamente sentiva sempre freddo e a volte era così intenso da ritrovarsi a tremare come una fottuta foglia nonostante fuori ci fossero trenta gradi all’ombra.

Il gelo proveniva da dentro, come se il Marchio di Caino gli stesse risucchiando la linfa vitale rimpiazzandola con del veleno. Cristo, c’erano momenti durante i quali si sentiva così solo.

Cas, dove diavolo sei? Ho bisogno di te, amico.

Fu un pensiero fugace, quasi inconscio, una preghiera silenziosa che attraversò la mente affaticata di Dean qualche istante prima di addormentarsi.
 
 
***
 
 
Tutto continuava ad essere immerso nel buio notturno quando Dean sollevò pigramente le palpebre. Intorno a lui aleggiava un’insolita quiete, si sentiva distaccato e leggero, quasi come se stesse fluttuando, alleggerito sia del peso del corpo che della mente. Doveva essere l’effetto del dormiveglia a creargli quella sensazione e a fargli percepire in modo singolare ciò che lo circondava.

Come la luce della luna dalle insolite sfumature azzurre, accecante in modo irreale tanto che guardarla direttamente era impossibile. Eppure, nonostante il bagliore, i mobili e gli oggetti nella stanza restavano immersi in una fitta oscurità. Dean si sollevò facendo forza sui gomiti, confuso.

C’era qualcosa di strano. Si passò una mano sulla faccia per cancellare ogni residuo di sonnolenza che gli annebbiava la mente e si guardò intorno con circospezione.

Sembrava che fosse tutto come al solito eccetto per quella fonte luminosa. Afferrò la pistola che teneva sotto il cuscino e si avvicinò alla finestra, lentamente, assottigliando lo sguardo man mano che la distanza con la luce si accorciava. Non riusciva a vedere nulla oltre il vetro solo pura e limpida energia azzurra. Alle sue spalle regnava l’oscurità più totale, non era in grado nemmeno di distinguere la sagoma di Sam fra tutto quel nero.

“Ciao, Dean.”

Una voce pericolosamente vicina al suo orecchio sinistro riecheggiò nell’aria. Il cacciatore si mosse con rapidità ed esperienza, puntando la canna della sua pistola, esattamente al centro della fronte dell'uomo che aveva parlato, fra due occhi blu che lo guardarono impassibili. Porca puttana.

Era Castiel. Trenchcoat, capelli pettinati di lato, braccia a penzoloni lungo i fianchi, compresi.

“Dio, Cas devi piantarla di apparire dal nulla, prima o poi mi farai venire un infarto.” esclamò Dean abbassando l’arma e provando ad ignorare il fastidioso senso di agitazione che avvertiva nello stomaco. Se erano quelle le famose farfalle di cui tutti parlavano tanto, le avrebbe digerite una ad una.

“Che ci fai qui? Non potevi aspettare domani invece di svegliarmi? Di questi tempi ho davvero bisogno di farmi una maledetta dormita” disse, tenendo a malapena a bada il risentimento. Si rendeva conto di star esagerando ma era troppo incazzato per importagli qualcosa.

“Stai sognando Dean." lo avvertì l'angelo.

Ah. Di solito riusciva a distinguere i sogni dalla realtà, ma era trascorso troppo tempo da quando Castiel era abituato a comunicare con lui in quel modo.

"Non posso essere qui in carne e ossa" continuò, "non sono abbastanza forte per permettermelo. La grazia che possiedo si sta esaurendo più rapidamente di quanto sperassi e non posso accedere ai miei poteri come vorrei” lo sguardo di Castiel s’incastrò in quello del cacciatore, più dispiaciuto di quanto dovesse. Non era colpa sua se gli avevano rubato la grazia, doveva sentirsi colpevole per ben altro.

“Allora non avresti dovuto nemmeno apparire nel mio sogno” disse Dean, interrompendo il contatto visivo. Era una sofferenza guardare in quegli occhi blu e continuare a vedervi le stesse cose di sempre, avvertire che l’amicizia di Castiel nei suoi confronti fosse rimasta invariata.

Non aveva dubbi che stesse sognando, solo in un universo irreale l’amico avrebbe potuto continuare a guardarlo in quel modo particolare che non usava con nessuno tranne che con lui, ed era certo che nonostante il Castiel che si ritrovava davanti fosse una proiezione di quello vero, l'angelo non avesse alcun controllo sui dettagli del sogno.

Quelli dipendevano esclusivamente da Dean. E Dean voleva disperatamente essere guardato così intensamente.

“Ma tu mi hai pregato, Dean” disse Castiel, corrugando la fronte come faceva ogni volta che si sforzava di capire qualcosa di estraneo alla sua mentalità di angelo del Signore.

Le vecchie abitudini erano dure a morire, anche se aveva vissuto fra gli umani da abbastanza tempo per riuscire a distinguere buona parte dei loro comportamenti e reazioni.

“Di che diavolo stai parlando, non ti ho preg-” s’interruppe Dean, ricordando ciò che aveva pensato prima crollare per la stanchezza. “Non era niente Cas, è stato accidentale, non volevo disturbarti” era sulla difensiva anche se non aveva fatto niente di male. Odiava dire preghiere, lo considerava l’equivalente di una supplica ma chissà perché con Castiel non si era mai posto il problema.

Specialmente durante e dopo il soggiorno forzato in Purgatorio, pregarlo era diventata l’unica via per sentirlo vicino, quando fra loro c’erano chilometri di distanza a separarli, o il Paradiso o la paura che dall’altra parte ormai non ci fosse più nessuno a starlo a sentire. Anche se Castiel non gli rispondeva mai e spesso e volentieri si faceva vivo con tutta la calma dell’universo.

“Puoi tornare a quello che stavi facendo” concluse, dandogli le spalle e tornando indietro per riporre la pistola da dove l’aveva tirata fuori.

“Dean, parla con me” sbottò Castiel, afferrandolo per una spalla, bloccandolo a metà strada fra la luce e l’oscurità, costringendolo a girarsi di nuovo verso di lui. “Mi stai evitando” constatò rafforzando la presa. Ed eccola la goccia che fece traboccare il vaso.

Una risata roca, priva di entusiasmo uscì dalle labbra del cacciatore. Un momento prima i due uomini erano al centro della camera, adesso invece, Castiel si trovava appiattito contro il muro in ombra, con il braccio di Dean premuto sullo sterno, a immobilizzarlo.
“Non sono stato io a sparire nel nulla per due mesi senza dare notizie. Anzi no, Sam mi è sembrato piuttosto aggiornato su quello che ti sta succedendo.” ringhiò Dean a pochi centimetri dal volto dell'angelo.

“Neanche tu ti sei sforzato molto per metterti in contatto, oggi è stata la prima volta dopo…” mormorò Castiel, pronunciando la curva della mascella in segno di sfida.

“Che cosa? Cas, l’ultima volta che ho visto la tua stupida faccia è stato il giorno in cui sono ritornato umano! Mi hai liquidato dicendo che c’era una donna ad aspettarti in macchina, che c’erano delle questioni di cui dovevi occuparti, che dovevi andare. Mi è sembrato una maniera piuttosto ovvia di mettere in chiaro le tue intenzioni."

"Ti sbagli" lo contraddisse Castiel, agitandosi sotto il peso di Dean.

"Allora non saresti andato via. Mi hai lasciato, Cas." Che schifo, era patetico. Non si era mai sentito così vulnerabile in vita sua.

"Dean..."

"Lo capisco, non te ne faccio una colpa" non riusciva a frenare le parole, continuavano a scorrere fuori dalle sua labbra come un fiume in piena. "Chiunque non avrebbe voluto più niente a che fare con me dopo aver visto che razza di mostro ero e che potrei tornare ad essere, ma non accetto" afferrò con una mano entrambi i lembi del trench di Castiel in una presa ferrea e furiosa, tirandolo ancora più vicino, tanto che i loro menti si sfiorarono per un istante, "che tu m'incolpi per averti ignorato, che mi faccia sentire una merda solamente perché mi vergogno di me stesso come un ladro per quello che ho fatto." fece una pausa che sfruttò per riprendere fiato.

Castiel continuava a fissarlo, blu contro verde. Dean non riuscì a capire cosa gli stesse passando per la mente ma dall’espressione triste avrebbe scommesso non fosse niente di particolarmente superficiale.

Poi, avvertì le dita dell’angelo scorrergli lungo l’avambraccio, quello che non lo teneva bloccato, alla ricerca di qualcosa, finché non raggiunsero il simbolo in rilievo inciso sulla pelle. Lo sfiorarono con delicatezza tracciandone ogni linea, più e più volte, ancora e ancora.

Dean inclinò la testa ad osservare il movimento, poi ritornò a fissare Castiel, diventando improvvisamente cosciente della vicinanza fra loro. Ogni centimetro dei loro corpi era a contatto. Cristo santo, pensò Dean. Quel sogno stava decisamente prendendo una piega inaspettata.

“E’ colpa del Marchio” sussurrò Castiel e il suo respiro gli solleticò le labbra che involontariamente si socchiusero. L’angelo catturò quel movimento e deglutì, senza smettere di accarezzargli il braccio.

Se solo Dean si fosse chinato leggermente in avanti, il risultato sarebbe stato un bacio. Avrebbe contato? Dopotutto quello rimaneva un sogno, quando si sarebbe svegliato forse nemmeno l’avrebbe ricordato.

“E’ colpa sua se dici queste cose” continuò l’altro, mentre un altro barlume di amarezza gli attraversava il viso, distogliendo il cacciatore da quel desiderio bruciante, “perché, altrimenti non capisco proprio come tu possa pensarle, Dean. Sei l’uomo migliore che abbia mai incontrato. Dopo tutto quello che ho fatto, a te e Sam, dopo i tradimenti, la mancanza di giudizio, le menzogne, mi sei sempre rimasto accanto. Non mi hai mai rinunciato a me anche se tu, amico mio ne avresti avuto pieno diritto. Potevi odiarmi e invece continui a riporre la tua fiducia nell’eco di un angelo. Non potrei mai cambiare opinione su di te, soprattutto non per colpa di qualcosa che non sei in grado di controllare. Non lo farei mai. Mai.”

C’era un nodo che stringeva la gola di Dean, odiava quella sensazione, avrebbe preferito di gran lunga rispondere con qualcosa di estremamente sarcastico ma se avesse parlato non sarebbe uscito alcun suono.

Così si limitò a stare immobile e a lasciare che il discorso di Castiel s’insinuasse in lui, in profondità. Sarebbe anche stato il caso di togliersi di dosso e riacquistare un po' di contegno ma era già una benedizione che Dean non lo stesse abbracciando stretto, trasportato dall'impeto delle emozioni.

Castiel sorrise e per un momento Dean temette che gli avesse letto la mente. Si sbagliava.

“Dean, mi sono fatto da parte perché sarebbe stato da egoisti turbarti anche con i miei problemi” confessò tirando un sospiro di sollievo, come se tenere per sé quella verità gli fosse costata una fatica sovrumana.

A quel punto Dean indietreggiò, incredulo.

“No, non lo sarebbe stato” gli disse scuotendo la testa, “siamo amici io e te, fai parte della mia famiglia e se c’è qualcosa che non va lo dici perché è così che funziona. Mi hai sentito?”

Castiel annuì senza troppa convinzione. “Tu non parli con Sam riguardo ciò che il Marchio ti sta facendo.” Come diavolo facesse a saperlo era una domanda a cui Dean era intenzionato a farsi rispondere in un secondo momento.

“E’ diverso.”

“No, non lo è, Dean.”

Dean corrugò la fronte. Castiel non capiva, lui non riempiva la vita di Sam con le sue cazzate perché non volesse ma perché non poteva. Sam era suo fratello e alle persone a cui si vuole bene, che si amano più di se stessi...oh, merda.

Dean s'irrigidì sul posto, il cuore prese a martellare come un tamburo. Poteva Castiel, l'angelo più imbranato del Signore, avergli appena fatto una confessione così grossa? Perché l'amore che legava lui e Sam e a cui Dean si riferiva era prettamente fraterno non...l'amore. Impossibile, sicuramente Castiel intendeva qualcos’altro, era Dean che ormai aveva fottutamente perso la ragione. Doveva calmarsi e tornare a respirare.

“Mi dispiace se ti ho dato l’impressione sbagliata” disse Castiel e di nuovo gli diede l’impressione di avergli letto nella mente, “suppongo che avrei potuto essere meno discreto.”

Quel pensiero però, venne immediatamente sostituito da un altro più urgente, qualcosa che Castiel aveva appena detto, attirando l'attenzione dell'uomo.

“Essere meno…” Dean si schiarì la voce, “discreto? Cas, che stai cercando di dirmi?” domandò ma l’amico non gli diede alcun tipo di chiarificazione.

“Puoi sempre contare su di me, Dean. Non dimenticartelo.” rispose invece Castiel, curvando la bocca nell’accenno di un sorriso. Poi scomparve così come era arrivato.

“Ehi, no. Cas, torna indietro!” esclamò Dean rivolto al muro, “sei un gran figlio di puttana, lo sai?” Era tutto così fottutamente complicato.

Quando un istante dopo, Dean si risvegliò nella penombra mattutina, per la prima volta dopo mesi si sentì sereno. Era piacevole, pensò, godendosi il torpore che dal centro del petto, s' irradiava fin alla punta dei piedi.

Cas non l’odiava, era ancora il suo angelo. Il Marchio aveva smesso di bruciare.
   
 
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