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Autore: Rota    03/04/2015    1 recensioni
La notizia di un trasferimento improvviso per motivi di lavoro, annunciata da sua madre dopo una cena sfarzosa, non lo aveva destabilizzato più di tanto. Aveva certo amici, nel vecchio distretto, e una rete di conoscenze più fitta e sicura, ma andare a vivere a Shibuya non voleva dire rintanarsi dall'altra parte del mondo, isolato da qualsiasi sprazzo di civiltà, né tanto meno dover abbandonare in modo definitivo le vecchie amicizie. L'unica cosa che Yukio aveva chiesto a sua madre, in cambio della solita pacifica convivenza familiare, era una scuola con un club di basket, dove poter continuare a giocare ciò che più preferiva. La Touou Academy era stata una delle opzioni possibili, avvicinata con interesse per la sua fama e il suo prestigio rispetto alle altre, e da quello che il ragazzo aveva visto, in quei dieci giorni dall'inizio delle lezioni, non sembrava smentire le dicerie.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shoichi Imayoshi, Touou, Un po' tutti, Yoshinori Susa, Yukio Kasamatsu
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
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*Secondo anno – III*

 

 

 

Sospirò, portando indietro il busto e appoggiandosi quindi di peso allo schienale della propria sedia. Trovò, per quei dieci secondi di pace, il soffitto decisamente più interessante del proprio libro di letteratura – e decisamente più rilassante che ripetere e rileggere per la sesta volta il paragrafo dedicato alle opere del primo dopoguerra dell'Asia occidentale, piccolo e davvero brutto, con tutte le sottolineature colorate e le didascalie che quando era stata l'occorrenza lui ha riempito a lato, negli appositi spazi bianchi una volta lindi.
Anche senza volerlo, la sua testa ripeteva pezzi di frase presi molto a caso, incastrandoli gli uni negli altri formando lunghe proposizioni discordanti che andavano a finire nel nulla, il più delle volte, oppure scattava l'automatica emulazione di costruzioni artificiali e artificiose che lo rendeva estraneo persino a se medesimo, in modo del tutto innaturale.
Era davvero sfinito: con un secondo sospiro liberatorio, volle sentire l'aria invadere tutta la capacità dei propri polmoni e farla uscire pian piano, con un soffio freddo sottile a labbra strette; ripeté il gesto alcune volte, in modo da rilassare tutta la propria persona almeno di un poco.
Sentiva i propri muscoli tirati, difficili da ammansire, e la mente incapace di pensare in maniera autonoma per più di qualche secondo. Dover sostenere un ritmo di studi intenso come quello era qualcosa a cui era di sicuro abituato, avendo lui comunque una media piuttosto alta rispetto alla classe e ai suoi compagni di scuola generici, eppure una volta accumulato tutto quello stress e tutta quella tensione, che neanche i soliti allenamenti sfiancanti riuscivano a scaricare, lo rendeva più nervoso e stanco di quanto avrebbe mai voluto davvero.
Il suo cellulare squillò, a un certo punto, e lui sulle prime ignorò il suono trillante che veniva dalla propria scrivania; la cosa si ripeté, e dovette sbattere le palpebre per ricordarsi di essere ancora vivo e presente nella propria camera da letto, alle prese con la vita vera e non una propria bruttissima fantasia sadica. Tornò a sedersi in posizione normale, allungando un braccio per recuperare l'apparecchio elettronico: Susa gli aveva mandato messaggi pieni di disperazione, e una quantità d'odio per un dato autore che proprio non aveva mai capito così intenso e totalizzante che a Imayoshi scappò un sincero sorriso.
Voleva vederlo, l'indomani. Oltre la scuola, oltre il compito, oltre l'allenamento di basket. Magari da soli loro due, senza altri partecipanti. Imayoshi chiuse il proprio telefono prima di finire di leggere il testo del messaggio, senza neanche troppo fastidio addosso.
Era davvero stanco, persino per provare qualche sorta di sentimento consapevole, e non riusciva a raccogliere la voglia che gli era rimasta da qualche parte e a usarla per uno scopo qualsiasi, fosse anche rispondere educatamente o meno alle richieste di un amico insistente. Voleva farla finita con tutto, davvero.
Appoggiò la fronte sulla superficie orizzontale della scrivania davanti a lui, chiudendo gli occhi nel gesto. Non sperava di poter apprendere per osmosi, anche se una volta la stanchezza gli aveva palesato più che allettante l'ipotesi, ma il freddo delle pagine del libro lo aiutò a mantenere i contatti con la realtà, o almeno a provarci sul serio. Dormire per sempre sarebbe stata la soluzione ideale a tutti i suoi problemi.
E il basket, anche, ma quello era un altro discorso.
Volse lo sguardo verso sinistra, dove riposta a terra stava la sacca sportiva che usava per trasportare anche sotto la neve e nel freddo il proprio ricambio per gli allenamenti. Lì, oltre la cerniera aperta che dava verso il soffitto, si poteva intravedere la divisa scura da titolare.
Sorrise, implicitamente, e riuscì a sentirsi persino meglio per qualche secondo, con tutta la gioia che quella tranquillità momentanea poteva donare al suo animo. Così come la prospettiva dell'ultimo anno ancorato a quel luogo stretto e ristretto del liceo.
Maturò, all'improvviso, l'impossibilità ultima di diventare capitano con un ben preciso perché: non sarebbe mai riuscito ad assumersi una responsabilità del genere, a conti fatti, e questo non gli causò nessuno sconvolgimento emotivo. Avrebbe espresso la decisa intenzione di far diventare capitano della squadra qualcun altro, se mai se ne fosse presentata l'occasione.
Sua sorella, il secondo dopo, lo chiamò perché la cena era pronta ed era ora di mangiare.

 

Fine febbraio, gli occhi venivano assottigliati da un'espressione aggrottata e piuttosto attenta. Attorno c'era una piccola folla di studenti agitati, animati dalla stessa ansia propria che gli scorreva dentro e gli irrigidiva i lineamenti del viso in un solo istante. Tra tutti i fogli appesi sulla bacheca, era quasi difficile riuscire a trovare i nomi desiderati, ma qualcuno riusciva persino a trovare l'occasione per prendere quelle informazioni in più per spettegolare su classifiche o meno, su graduatorie e cose simili.
Fu per caso che Kasamatsu trovò il nome di alcuni suoi conoscenti su fogli che non gli interessavano – un senpai posizionatosi verso la cima di una classifica, con una media in grado di farlo entrare nella più prestigiosa delle università, o anche quel compagno di club che non sembrava eppure se la cavava molto bene in matematica e aveva dei voti abbastanza invidiabili – e si soffermò per qualche istante sui caratteri che formavano il nome di Imayoshi Shoichi: primo della sua classe, ottavo all'interno della classifica generale della Touou Academy. Il proprio nome, notò appena dopo, si trovava davvero più in basso, oltre la terza decina, anche se aveva guadagnato una posizione davvero rispettabile. Forse troppo poco, per quanto aveva ambito lui anzitempo, ma non poteva avere quel genere di rimpianti.
Riuscì a uscire dal gruppo chiuso a ressa degli studenti, solo con una certa difficoltà. Si lasciò superare da nuovi arrivati, e per qualche minuto si lasciò scivolare anche addosso i borbottii più o meno discreti dei presenti e alcune esclamazioni che uscirono dalle bocche di alcuni dei presenti più alte del dovuto; qualcuno addirittura esultò, scappando poi via di corsa.
Lui, con passo più o meno lento e posato, si avviò verso la palestra della scuola, padrone di un nuovo tipo di leggerezza.
Al di là delle vetrate spesse che costeggiavano tutta la lunghezza del corridoio, il tempo atmosferico era nuvoloso, prossimo a esprimersi in qualcosa di ancora peggiore. Volavano pochi animali in cielo, e sembrava che il paesaggio fosse spento e spazzato da un vento isterico imperante, capace di mangiare qualsiasi rumore o suono – catturò anche, con i propri fischi, anche la coscienza di Kasamatsu.
I suoi piedi, assolutamente avvezzi all'abitudine sorda e muta, lo portarono di proprio conto verso la palestra, attraverso scale e corridoi, e persino il vialetto all'aperto, riparato solo da un piccolo tettuccio traballante.
Yukio sapeva che quel pomeriggio si sarebbe tenuto l'ultimo allenamento dell'anno, a cui solo quelli del terzo anno non avrebbero partecipato.
Insensibile al freddo della bassa temperatura, Kasamatsu incrociò le braccia al petto e appoggiò la spalla al lato del portone aperto, che dava la perfetta visione dell'interno dell'edificio. Ricordò con precisione graduale ma sempre maggiore ogni dettaglio di quei due anni passati, e ricostruì con la memoria immagini di scene e vita vissuta, come se si stessero volgendo proprio in quel momento davanti a lui. Senpai e kohai, compagni di squadra e anche una piccola parte di pubblico, la manager che aveva pianto le ultime due volte perché se ne sarebbe andata con quelli del terzo anno e l'imperturbabile nuovo allenatore con cui stava sempre più prendendo confidenza.
Era qualcosa già di suo, che però non era mai riuscito a guardare con occhio critico, lasciando quasi che fosse implicito per se stesso. Ne poteva capire il valore in quel momento, e questo lo arricchì come non aveva mai potuto pensare.
Vide anche qualcuno sugli spalti, proprio in quel momento, e poté scommettere di averlo riconosciuto anche da lontano. Con piena coscienza, questa volta, si tolse le scarpe da esterno e cominciò ad attraversare il parquet del campo per arrivare in quel preciso punto.

 

***

 

Lo aveva visto arrivare ben prima che fosse distinguibile in viso e aveva già capito chi fosse, presumendo che solo in pochissimo si sarebbero avvicinati a lui così tranquillamente e con quell'intimità tipica dell'animo sereno. Lo vide arrampicarsi piano sugli spalti, gradino dopo gradino, fino ad arrivare alla sua fila e quindi camminare di lato per sedersi quasi accanto a lui.
Non lo guardò neppure quando si ritrovò nella sua area di spazio personale, così vicino da poter sentire la sua presenza e il suo sguardo preciso. Volle cercare un contatto per primo, conscio che l'altro non avrebbe certo compiuto il primo passo.
-Come mai sei qui?
Lo dovette anche incalzare, un po' molesto; con il tono incrinato all'insinuazione, dondolò con le ginocchia e si sporse verso di lui.
-Nostalgia?
-Ho visto i risultati degli esami.
-Hai raggiunto una buona posizione?
-Per le mie capacità, direi di sì.
Kasamatsu si voltò di lui per un secondo, guardandolo sottecchi. Aveva mezzo sorriso sardonico agli angoli della bocca, di chi deve ammettere qualcosa ma trattiene per sé tutta l'amarezza di un orgoglio piegato.
Alla fine, la loro rivalità seguiva precise regole d'onore, e non era giusto tacere certe cose.
-Non credevo fossi così intelligente.
-I tuoi complimenti sono piuttosto preziosi, Kasamatsu- kun.
Fece una pantomima, e com'era abile a fare Imayoshi variò la tonalità delle proprie parole per renderlo appena più drammatico – aiutato anche dalla propria mano che andò a mettersi all'altezza del cuore e lì fermarvisi, giusto per indicare la mancanza di un fortissimo sentimento.
-Ogni volta che ne sprechi uno, il mio cuore si riempie di gioia.
-Sei oltremodo fastidioso, Imayoshi.
Rise da solo, perché l'altro si rifiutò di darsi corda.
La cosa speciale era la mancanza effettiva di un serio fastidio, o quantomeno un disturbo tale da marcare una distanza netta, tra di loro. Anche la resistenza iniziale di Yukio era stata lentamente scalfita, e la sua insofferenza per modi assai drastici di Imayoshi era stata a poco a poco smorzata da altri giudizi più buonisti.
Non gli risparmiava il peggio della propria considerazione per certe cose, ma era quasi riuscito ad accettarlo. E Imayoshi questo era in grado perfettamente di sentirlo.
Shoichi si avvicinò a lui, attirando la sua diretta attenzione.
-Sai, pensavo a una cosa.
-Cosa?
-Ci conosciamo da quasi due anni. Non credi che sarebbe ora che mi chiamassi per nome?
-Non pensavo fossimo così intimi.
-Non è una questione di intimità, è solo che vorrei riconosciuto il tempo che abbiamo passato assieme.
Si sporse, facendolo retrocedere con il busto – erano abbastanza vicini da poter distinguere i vari colori dell'iride l'uno dell'altro. Imayoshi non lo aveva mai detto: quel blu così tanto intenso e così tanto profondo lo attirava in un modo difficile da dire.
-Non sei della stessa opinione?
-Mi stai chiedendo se rimpiango di averti conosciuto, Imayoshi?
-Direi una cosa del genere.
Yukio dovette respirare forte per riuscire a rispondere a una cosa del genere, e le braccia che aveva stretto al petto si irrigidirono ancora di più, le narici del suo naso si allargarono di irritazione e di sfida.
-No, non lo rimpiango.
Lo vide sorridere, e per un momento ne fu davvero sollevato.
-Il mio nome è Shoichi.
-Lo so come ti chiami.
-Mentre il tuo è Yukio.
-So anche questo, grazie.
-Yukio- kun.
Disse il suo nome come se fosse un gioco, eppure ebbe l'effetto di una pallottola improvvisa; il viso di Kasamatsu registrò questo sentimento, e pure la coscienza di Shoichi, che trovò la cosa molto, fin troppo divertente.
-Sei molto indiscreto.
-Perché? Ti ho anche chiesto il permesso di farlo! Yukio- kun!
Decise di zittirlo, almeno per evitare che cominciasse una cantilena irritante.
-Shoichi.
Si dovette correggere, perché il suo senso dell'educazione glielo impose.
Ed era così tanto carino, e gentile, agli occhi dell'altro, che se fosse stato opportuno glielo avrebbe anche detto. Si sentì in parte commosso dal tutto, e questo gli permise di lasciar andare la propria malizia molesta.
-... Shoichi- kun.
-Non mi avevi mai chiamato con nessun onorifico.
-Non mi era mai capitata l'occasione di pensarci.
-Ora invece sì?
-Ora invece sì.
Neppure con Susa era mai riuscito a sentirsi così in sintonia che con lui, ed era quasi ironico: Yoshinori era il suo migliore amico, per quanta colpa potesse avere nei suoi confronti. Susa era assolutamente consapevole di questo, e riusciva a sfruttare i suoi sentimenti per lui in modo sottilmente malefico, come non si sarebbe aspettato. Shoichi, d'altro canto, non era riuscito a fare resistenza di fronte a nessuna manifestazione del suo egoismo, e quindi pensava di esserselo meritato appieno. La cosa stava cominciando a stancarlo davvero molto.
Kasamatsu percepì un cambio di leggerezza nel sospirò che l'altro si lasciò andare, ma non volle in alcun modo chiedersi o chiedergliene la ragione. Non erano affari suoi, in nessun caso, e per quanto potesse nascere in lui preoccupazione per quella stramba creatura e per quanto il suo nome potesse essere dolce sulla lingua, non aveva giustificazioni per una pressione che non intendeva imporgli.
Gli fu davvero grato, quindi, quando decise di cambiare argomento di discussione e di introdurre qualcosa su cui non dovevano spendere il minimo sentimento.
-Durante questo allenamento probabilmente uno di noi verrà scelto per diventare il prossimo capitano.
-Dici? Per me non è così probabile.
Kasamatsu pensò più che volentieri ai propri compagni di squadra, quelli più giovani. Del primo anno, avrebbero ereditato un vivace e vigoroso Wakamatsu, che per indole era ancora troppo esuberante e quindi istintivo. Altri non ne ricordava.
Lo stesso Susa, d'altronde, era molto capace in campo ma non aveva particolari altre doti, specialmente non era in grado di gestire un gruppo di mille opinioni diverse.
Imayoshi diede voce alle proprie opinioni.
-Siamo tra quelli con maggior esperienza, e saremo al terzo anno. Sceglieranno uno di noi.
-Ne sei sicuro?
-Vuoi scommettere?
-Io scommetto su di te, Yukio- kun.
Fu un altro colpo al cuore, improvviso – ancora, ginocchia che tremavano, e una mano caldissima a cui aggrapparsi con tutte le proprie forze.
-Vedremo.
-Questo sicuramente.
Un vago sentore di quella che avrebbe potuto anche chiamarsi felicità.

   
 
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