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Autore: Aiondorf    03/04/2015    1 recensioni
Nel deserto di Gerudo, dopo moltissime decadi, un figlio maschio è nato dal ventre della Regina, il tredicesimo nell'intera storia del popolo del deserto. Rimasto fin da subito orfano di madre, il piccolo viene affidato alle cure dell'ancella Nabooru, la quale però sarà coadiuvata da due personaggi da poteri straordinari ed intenzioni poco chiare. Nelle sue mani vi è il destino di un intero popolo sempre più vicino ad una guerra civile, nonché alla propria estinzione, motivo per cui egli dovrà scoprire in fretta cosa di cui è capace, svelando al contempo antichi misteri legati al proprio popolo ed all'angusto territorio nel cui è nato.
Per appassionati e curiosi, la vita di Ganondorf in una Fanfiction originale.
Anni fa decisi di scrivere una storia che descrivesse la vita del principale antagonista di questa amata saga. Come molti sapranno però, la storia nonché la timeline di The Legend of Zelda contengono numerosi paradossi. Per questo ho dovuto aggiungere mie personali invenzioni.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ganondorf, Nabooru
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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C'era una leggenda che veniva spesso raccontata alle giovani ancelle apprendiste, quando queste entravano a far parte della cerchia della Regina. Un antico racconto nel quale veniva narrato come, dove ora vi era un deserto arido ed angusto, un tempo giacesse uno sconfinato oceano, pullulante di creature marine e barche di pescatori di un popolo oramai scomparso.
Ovviamente, ogni volta che un'anziana si metteva a raccontare una simile storia, le piccole bambine dalla pelle ambrata nascondevano i propri risolini dietro una mano, ben consapevoli di come quella non fosse altro che una favola per fanciulli e nulla di più.
Anche Nabooru, a suo tempo, aveva ascoltato e riascoltato quella storia svariate volte, talmente tante al punto di riuscire ad impararla a memoria e dettarla così, una volta fattasi grande, forte ed esperta, alle piccole allieve ad ella affidate.
Una storia, nulla di più. Una favola della buonanotte, niente altro. Eppure quella notte, mentre il manto celeste scuro della notte sostava sopra la sua testa e la sabbia si alzava a nuvoloni sotto i colpi di zoccolo potenti delle falcate del suo cavallo, Nabooru non riusciva a pensare ad altro. Un tarlo micragnoso conficcato in profondità dentro la sua mente, come se qualcosa, nell'atmosfera di quei momenti così concitati, non facesse altro che lanciare i suoi ricordi a quella fiaba; come se tutto, in fondo, dipendesse e si originasse esclusivamente da essa.
Osservando la luna sulla via del proprio tramonto poi, scuotendo la testa in una smorfia di vergogna, Nabooru cercò di cacciare via quei pensieri. Aveva ben altro a cui pensare. Un compito al quale non poteva fallire e da cui dipendevano non solamente il suo destino, ma quello del suo intero popolo: le Gerudo.
Di tutto ciò che si poteva dire riguardo Hyrule ed i suoi mondi variopinti, l'unica cosa sui cui non si poteva di certo discutere era il fatto che si trattasse di una distesa tutt'altro che spoglia di popoli e razze. Dovunque infatti un viaggiatore sperduto potesse ritrovarsi, egli non avrebbe potuto fare altro che notare come ogni singola zona di quel mondo colmo di bellezze e misteri si caratterizzasse almeno di un villaggio e di una cultura. Sarà forse stato per questo che gli antichi, nella loro saggezza ed ironia, avevano soprannominato Hyrule stessa come la Terra dalle mille voci, perché mai, dagli alti monti ai deserti dispersi, così come dalle tetre foreste ai cristallini corsi d'acqua, ci si poteva ritrovare in completa solitudine tra le piane di quelle terre.
Eppure, nonostante gli svariati abitanti di Hyrule ne colmassero come meglio potevano ogni singolo spazio, il numero di voci era andata col dimezzarsi nel corso dei secoli e delle ere.
Per quanto lontana ed impalpabile, la Guerra dei Popoli sfrigolava dolorosamente ancora nei cuori di tutti i popoli e di tutte le razze, in quanto ognuno di essi, a causa di ciò, era stato costretto a seppellire i propri morti, nonché a rimpiangere un passato glorioso e pacifico.
Tutti avevano pagato infatti un pesante scotto. Non vi erano stati vincitori, ma solo sconfitti. Chi però aveva subito la più bruciante caduta, qualsiasi storico o annalista non avrebbe avuto dubbi, era di certo il popolo Gerudo o, così com'era conosciuto dai suoi vicini, sempre che così si possano chiamare, il Popolo delle Vedove Guerriere.
Nessuno ad oggi sa esattamente come tale popolo dalle caratteristiche così singolari trovo i propri natali, anche perché già a quel tempo ci si riferiva ad esso come un qualcosa di ancestrale, risalente addirittura alle primissime battute della sanguinosa guerra. Alcuni cantori però, girovagando per la piana, nelle loro tristi e malinconiche nenie decantavano il cosiddetto Esodo delle Vedove. In tale racconto si diceva infatti di come, quando la battaglia cominciava ad imperversare su ogni acro di Hyrule, già numerose erano le vittime; talmente tanto addirittura che non vi fu il tempo di seppellirne i corpi, così come annunciare ai cari della dipartita del proprio famigliare. Fu così che un giorno, dice la leggenda, le innumerevoli vedove di Hyrule, o almeno una parte di loro, abbandonarono le loro case e maledirono la guerra che gli uomini avevano cominciato. Si dice che esse partirono così per una terra lontana, ai confini occidentali del mondo, dove tutte fecero un voto inviolabile: nessuna di loro, neppure le loro discendenti, avrebbero più donato il proprio cuore ad un uomo, facendo solamente lo stretto indispensabile affinché il loro popolo potesse perpetuarsi nel tempo.
Lontano dalla battaglia, esse si fecero forti ed abili. Impararono ad intagliare il legno e a spezzare la pietra; appresero l'arte delle armi ed utilizzarono esse per difendere i propri territori. Il cuore di molte di loro però, dicono le antiche storie, non seppe trattenere l'odio represso che per lungo tempo avevano tenuto dentro di sé, dando così libero sfogo alla propria sete di vendetta, uccidendo uomo dopo uomo. Ciò però offese le Divinità, le quali decisero di punirle e per questo furono maledette. Così, coloro che avevano fatto voto di non servire mai più un uomo, da quel momento sarebbero costrette, ogni cento anni, a sottostare ad un Re maschio, nato dal ventre di una di loro. Così fu detto e così accadde.
Nel corso del tempo, ben dodici Re si erano susseguiti e, per quanto non furono mai amati particolarmente dalle proprie suddite, nessuna delle Gerudo ebbe mai modo di parlarne malamente in quanto tra di essi si annoverarono uomo di saggezza sconfinata, architetti delle opere più maestose e mirabili che andarono ad arricchire la nuova cultura. L'ultimo tra loro in più fu noto per le sue capacità divinatrici, dotato di una vista talmente acuta da essere in grado di esplorare gli eventi sia del lontano passato che del remoto futuro. Fu infatti il Dodicesimo Patriarca, Logar, a prevedere come, un giorno, le cataratte del cielo si sarebbero riaperte, ritrasformando il deserto, casa del popolo Gerudo, in un nuovo oceano, le cui dimensioni e potenza però avrebbero portato all'inabissamento dell'intera Hyrule.
Nabooru era troppo giovane per poter aver conosciuto l'ultimo patriarca, le cui parole però erano state perpetrate nel corso delle generazioni successive come un dogma. Tutto su di lui aveva imparato durante il proprio tirocinio, memorizzandone gesta e sermoni. Cosa ancor più importante però, ella era stata preparata come ogni sua altra compagna ad un destino ancor più importante. Infatti, per quanto ella fosse diverse decadi dopo la morte dell'ultimo patriarca, era stata cresciuta affinché si fosse trovata nelle giuste condizioni per accogliere il prossimo. E la sua nascita era vicina. Nabooru se lo sentiva. Aveva cominciato a percepirlo da diversi pleniluni, al punto tale che dentro di sé si era sentita certa che quel momento sarebbe giunto molto prima che le sue gambe fossero appesantite dalla vecchiaia e dalla fatica.
Più il suo destriero galoppava a grande velocità, più ella lo incitava ad accelerare scalciandolo con i propri calcagni. Quando era partita non era ancora tramontato il sole, ma mentre si trovava sulla via del ritorno la notte aveva già raggiunto il proprio zenit. In più, se da una parte il compito che le era stato affidato personalmente dalla sua regina era stato infine portato a termine, dall'altra era consapevole di come era necessario ch'ella fosse di ritorno alla Città di Arenaria, la capitale del proprio regno. Là, dove la sua amata Regina Newid, di cui era l'ancella personale, si trovava nel pieno del proprio travaglio, l'unico del quale aveva potuto godere in tutta la sua esistenza, cosa rara nella tradizione reale Gerudo, se non totalmente insolita. Prima di Newid infatti vi era stata una dinastia ricolma di Regine il cui ventre era sempre stato particolarmente florido, in grado di mettere al mondo una prole di numerose e forti guerriere.
Il fatto che Newid invece non si fosse mai ritrovata gravida di un'erede, nonostante parecchie volte si fosse sottoposta al Greb, il rito di concepimento, era stato dunque oggetto di particolare polemica all'interno del consiglio e della sua corte, in particolare quando la sua giovinezza era andata sempre più con lo sfiorire, lasciando spazio ad una vecchiaia che, secondo il parere di molti, avrebbe infine portato ad un'ennesima battaglia tra le tribù per accaparrarsi il trono lasciato vuoto.
Incredibilmente, dopo più di un centinaio di cicli lunari, Newid si ritrovò allietata dall'oramai non più attesa novella, cosa che in parte  aveva riportato dunque la pace all'interno del suo regno.
La prima a saperlo era stata ovviamente l'ancora giovane Nabooru, la quale fu inoltre colei che più di ogni altra aveva espresso felicità per il lieto evento. Inoltre, essendo l'ancella personale della Regina, la sua felicità si sarebbe poi cosparsa di una responsabilità d'infinta importanza, dato che nel suo ruolo avrebbe dovuto fare anche da nutrice alla principessa erede.
Quando però la gravidanza della regina aveva cominciato a discendere verso il proprio termine, Newid si era ritrovata scossa da incubi e sogni dal criptico significato, motivo per cui, ai prodromi del travaglio, ella aveva spedito la propria fidata ancella ai confini del proprio regno, alla ricerca di ciò che si pensava da tempo essere oramai consegnato alla fantasia delle leggende.
Nabooru ripensò a tutto ciò e più continuava a rimembrare, più la sua foga si riversava sul proprio cavallo, sperando dentro di sé di avvistare da un momento all'altro i fuochi della Città di Arenaria.
Fu solamente quando la brezza gelida che annuncia anticipatamente il sorgere del sole che essi si fecero palesi in lontananza, rincuorando lo spirito scosso dell'ancella.
Scalciando i fianchi del proprio destriero ordinò ad esso di accelerare ancora una volta. Con un nitrito però esso parve lamentarsi del fatto che più di così non sarebbe riuscito a fare. Nabooru se ne dispiacque e, nonostante i continui scossoni ed il fastidio dovuto ai suoi lunghi capelli ramati che non si decidevano a rimanere legati ai nodi, cercò di consolare il suo fidato amico animale con una carezza sul collo.
Le luci si fecero sempre più vicine. L'odore di carne arrostita e di spezie cominciò a toccare il suo olfatto. Non mancavano che poche leghe al suo arrivo quando il suo cavallo, come spaventato da un predatore notturno o da un ostacolo invisibile, puntò i propri zoccoli anteriori, frenando in maniera a dir poco violenta.
Abituata come ogni altra Gerudo a cavalcare scevra da qualsiasi genere di sella o finimenti, adoperandosi esclusivamente con la propria sensibilità e la criniera del cavallo, Nabooru non riuscì a mantenersi stretta al collo del proprio destriero, ritrovandosi così sbalzata improvvisamente in aria e, pochi secondi, dopo a contatto con la tutt'altro che soffice sabbia del deserto.
Indolenzita e confusa, Nabooru cercò di rialzarsi nella maniera più celere possibile, lanciando un'occhiataccia al proprio cavallo.
- Che ti accade?! - esclamò infuriata, mentre cercava di fermare la sua testa dal suo capogiro.
La sua vista si era offuscata a causa della terribile botta che aveva ricevuto, così come il suo stomaco si trovava nell'indecisa posizione di rigettare completamente la cena della sera prima o esplodere sotto l'azione dei propri crampi.
Portandosi una mano alla fronte, ella cercò di riprendere per un secondo fiato, tentando di rigettare dentro il proprio ventre quella disgustosa sensazione di nausea, nonché di recuperare velocemente la totale funzione delle proprie percezioni.
Finalmente, dopo qualche istante, i suoi occhi si riaprirono fermi sul proprio fuoco.
Avvicinandosi a passo svelto al cavallo, ne afferrò violentemente il muso, ponendolo proprio di fronte al proprio volto, con sguardo severo.
- Ti converrà non riprovarci se non vuoi fare la fine di un Boblin! - gli disse seccamente, strattonandolo poi per la criniera.
Il cavallo però, ancora una volta, non collaborò.
Nabooru socchiuse le palpebre minacciosamente.
- Si può sapere di cosa hai paura? - gli urlò contro dopo aver constatato come non ci fossero minacce palesi di fronte a loro. Quando però i suoi occhi caddero sullo sguardo del destriero ecco che un qualcosa attirò particolarmente la sua attenzione.
Più che spaventato il cavallo appariva triste, addolorato. Osservando le sue pupille, Nabooru non poté fare a meno di essere colpita come da una stretta allo stomaco. Il suo cuore si era acquietato dentro il proprio petto, tralasciando le proprie preoccupazioni per fare spazio invece ad un profondo senso di sgomento.
Nabooru non riusciva a comprendere ciò che stava accadendo. Solo in un altro momento della propria esistenza aveva provato una sensazione simile, ma quel terribile avvenimento apparteneva al passato e di certo non c'era il tempo per arrovellarsi con ricordi dolorosi e posti volontariamente in un oblio forzato.
Quando però ad oriente le prime luci dell'alba illuminarono il suo volto, ella, osservando quella luce rossastra, quasi scarlatta, dentro di sé capì.
Trattenendo a stento le lacrime, appoggiò la propria fronte a quella del cavallo, implorandolo di rimettersi in cammino. Questi allora, come se avesse compreso il suo desiderio, sfidando dolore e paure, se la riprese in groppa e tornò a cavalcare a tutta velocità.
In pochi minuti, le leghe mancanti si assottigliarono e, quando si trovarono a meno di un minuto dai cancelli granitici della città, così com'era usanza, Nabooru accese una torcia di stracci con la propria pietra focaia.
Sui torrioni delle mura, visto il lume dell'ancella le guardie fecero scattare il complesso sistema di contrappesi che, in pochi secondi, aprirono le porte settentrionali della città, pesanti circa una decina di tonnellate ognuna. Com'è già stato detto infatti le Gerudo erano un popolo ingegnoso, dotato di una grande conoscenza architettonica ed ingegneristica, la quale, molto probabilmente, aveva permesso loro di sopravvivere in un luogo angusto e pericoloso come il deserto nel corso dei secoli e delle ere.
Penetrata all'interno delle mura, Nabooru non si fermò di fronte a nulla, rischiando più di una volta d'investire una delle sue compagne già sveglie nonostante l'ora ancora immatura.
Solamente quando la breve scalinata che portava alla Sala di Corte riempì il suo campo visivo, smontò e si mise a correre su per le scale rocciose, le quali portavano appunto alla Sala dove sostava la Regina, costruita all'interno di una rientranza di una montagna non particolarmente alta.
Ogni volta che Nabooru entrava in un simile posto, nonostante fosse oramai abituata a viverci gran parte delle sue giornate, non riusciva mai a non stupirsi di fronte alla bellezza ed alla maestosità delle colonne portanti che avevano il gravoso compito di reggere il peso della montagna per proteggere la Sala di Corte. Osservandole infatti non poteva fare a meno di pensare a quali sforzi le sue antenate, sotto gli ordini del Terzo Patriarca, si erano dovute sottoporre per scavare e decorare quelle titaniche stalattiti alte all'incirca 40 piedi.
Col tempo poi, esse erano state restaurate e ritoccate più volte, nonché in dodici tra le quattordici colonne portanti furono incisi con maestria e profondo senso estetici i nomi dei vari Patriarchi. La cosa l'aveva profondamente colpita fin da bambina tanto che, durante il suo tirocinio, più di una volta si era trovata a domandare alle maestre: - Ma quando le colonne a disposizione saranno finite, dove saranno iscritti i nomi dei successivi patriarchi? -
Domanda alla quale gli fu sempre risposto - Nessuno sa come mai il Terzo Patriarca volle solo quattordici colonne portanti. Avremmo potuto farne almeno una decina in più. Per questo tra noi vive la leggenda che il popolo Gerudo non avrà più di 14 Signori nel corso della sua storia. Quattordici Re dopo i quali nulla in questo mondo sopravvivrà! -
Nabooru rabbrividì al risentire quelle parole dentro di sé, ma ripresasi in fretta si diresse verso la Camera dei Natali, un piccolo incavo scavato su un fianco della Sala di Corte dove era tradizione che la regina partorisse le proprie eredi.
"Arrivo, mia Signora!" pensò dentro di sé. Più si avvicinava alla camera, più le sue orecchie si aguzzavano, cercando, sperando di udire da un momento all'altro, un urlo, un rantolo, un gemito di dolore. Nessuno di questi però ancora era pervenuto ai suoi timpani.
Giunta nei pressi della Camera dei Natali i suoi piedi si fermarono intimoriti. Qualcosa non andava. Quel silenzio surreale non poteva che essere portatore di notizie infauste.
Ad un tratto però, una nenia leggera cominciò a riecheggiare all'interno della Sala, rimbombando da una parete all'altra.
Il cuore di Nabooru sobbalzò, indeciso se esultare o rattristarsi ancor di più. Dentro di sé, sperò di udire da un momento all'altro la voce di Newid, la sua regina, ma più il tempo passava e quei suoni si facevano più potenti, più essa si negò alla sue orecchie.
Poco dopo, delle figure apparvero dietro l'angolo che portava alla Camera dei Natali, camminando lente ed ordinate con passi cadenzati come in una processione.
Le loro vesti scure ed inusuali erano la conferma di ciò a cui l'ancella non avrebbe mai voluto assistere.
Posizionate su due file parallele, le figure intabarrate nelle loro tuniche nere, dotate di un cappuccio vistoso al punto da nasconderne i volti, la superarono ad una ad una sui fianchi come se non si fossero accorte della sua presenza.
Le gambe di Nabooru si fletterono, facendosi molli, inconsistenti. I loro canti, costanti e martellanti, le fecero vibrare le membra fin dentro il suo spirito.
Gli occhi avrebbero voluto rilasciare tutte le lacrime che sarebbero state in grado di liberare, ma il suo dolore era talmente forte che persino la forza di piangere le era stata negata.
Cadde in ginocchio, reprimendo un urlo di disperazione mista a rabbia. Colpì le piastrelle di roccia sotto di sé con violenza. Ripeté quel gesto più e più volte, incurante del dolore e delle ferite che si stava procurando. La sua mano si mise persino a sanguinare tanto era stata la violenza con la quale aveva voluto colpire simbolicamente il destino.
Il tempo non aveva più senso per le sue percezioni. In tutta quella concitazione non si era infatti nemmeno accorta di come la processione delle banshee si fosse allontanata raggiungendo l'uscita dalla Sala di Corte.
In tutto quel tempo si era sforzata, utilizzando ogni sua energia, di non pensare a quelle parole che famelicamente la stavano predando, gironzolando negli anfratti più lontani e dimenticati della sua mente, pronte a planarle addosso non appena le sue difese si fossero abbassate.
Quel momento non giunse molto più tardi, ma fu comunque incentivato da un'ennesima apparizione inattesa.
Abituatasi alla luce solare proveniente dalle numerose brecce scavate nella roccia del soffitto, nonostante il dolore e la disperazione Nabooru riuscì a ritrovare una breve lucidità con la quale insospettirsi quando, come una nuvola coprente il sole, il suo corpo fu adombrato da un qualcosa che i suoi occhi ancora non erano stati in grado di individuare.
Lentamente allora portò il suo sguardo arrossato, ma non ancora del tutto inumidito dalle lacrime, verso l'alto, incontrando prima un paio di scarpe di pelle di cinghiale splendidamente decorate con fili d'argento, seguite da larghe braghe di una seta molto rara color porpora, le quali si collegavano ad una veste decisamente più spessa e tinta dei colori del casato della Tribù di Kales, dal quale erano uscite le ultime sette regine, compresa Newid.
Percorrendo quel corpo fiero e ritto su per i suoi lineamenti scultorei, tipici di una guerriera del deserto, gli occhi di Nabooru infine incontrarono un volto rugoso, segnato da un'ampia cicatrice sulle guancia sinistra che andava però splendidamente ad incorniciarsi nelle grandi orbite oculari, al cui centro splendevano due smeraldi verdi ed intensi irritati lievemente da un pianto forzatamente interrotto da pochi istanti.
Fu solo allora, quando gli occhi di Nabooru incontrarono quelli di Niwesh, la Regina Madre, colei che venti anni prima aveva ceduto il potere alla figlia Niwed, che Nabooru non poté più resistere all'evidenza dei fatti, costretta ad arrendersi ad una realtà terribile quanto la notte più tetra, la tempesta di sabbia più tagliente.
La Regina Niwed era morta e dunque ella, nonostante i propri sforzi, aveva fallito nella propria missione.
Assorbendo tale pensiero dentro di sé, Nabooru riprovò la stretta allo stomaco sentita alle porte della città, ma con un'intensità decisamente più dolorosa ed insopportabile.
Piegò il capo, soffocando i propri gemiti, impossibilitata questa volta nel trattenere le proprie lacrime.
Osservandola, Niwesh le si fece vicina, ma non si disturbò di consolarla o aiutarla.
Semplicemente, con tono regale e severo, si limitò ad ordinarle - Alzati, Ancella! -
Con le sue poche forze, Nabooru accontentò la Regina Madre, non riuscendo però a guardarla dritta in volto, come se la sua reazione possedesse un che di vergognoso.
- Tergi il tuo viso, Gerudo! - le disse allora l'altra, quasi non provasse la benché minima pietà o compassione - Tale comportamento non è ben accetto in questi luoghi, come di certo tu dovresti sapere! -
Nabooru non poté fare altro che annuire, asciugandosi le gote e le palpebre alla buona.
La Regina Madre riprese dunque a parlare - Niwed, Signora delle Tredici Tribù e Regina di Gerudo... è morta! -
Per la prima volta, finalmente, l'ancella riuscì a sentire un filo di dolore in quelle due ultime parole della sua signora, rallegrandosi in parte dentro di sé nel notare come non fosse l'unica in quel momento a provare una sensazione talmente orribile, sebbene non degna di una errante del deserto.
- Ella ci ha lasciato! - riprese ancora una volta l'altra - Ma prima di fare ciò, ha donato al suo popolo l'erede che tutti aspettavano. La risposta necessaria che le nostre genti ci avevano con così tanta forza richiesto, affinché la pace potesse tornare a vivere armoniosamente nei nostri territori! -
Fu così che Nabooru, ritrovando un po' di saliva nel proprio palato, domandò - Nostra signora ha sofferto molto? -
- Immensamente! - rispose seccamente Niwesh.
Il cuore di Nabooru fece un tonfo, sconquassandole le viscere.
- Ma come ci si aspetterebbe da una degna Regina... - tornò a dire - Ella ha portato a termine il proprio compito fieramente, priva di timore o paura! -
L'ancella chiuse gli occhi, trangugiando il boccone sempre più amaro che da diversi minuti stava flagellando il suo spirito.
- Ciò che ora importa non è però quel che Niwed ha compiuto, sebbene per noi rappresenti forse l'avvenimento più importante ed atteso degli ultimi anni. Ciò di cui ora dobbiamo preoccuparci è di portare il peso di una responsabilità la quale, come tu già sai, graverà principalmente sulle tue spalle, Ancella! -
Nabooru comprese immediatamente ciò di cui stava parlando la Regina Madre. Era infatti usanza che la primogenita della Regina venisse affidata alle cure dell'Ancella Reale, la quale non solo doveva dunque occuparsi della crescita e dell'educazione di colei che un giorno sarebbe seduta sul Trono delle Tredici Tribù, ma avrebbe dovuto pronunciare un giuramento solenne, nel quale avrebbe fatto voto di castità fino all'insediamento della nuova regina.
Nessuna di tali oneri erano in grado di spaventarla. Ella era stata preparata in lunghi anni di tirocinio ad una simile responsabilità. Senza contare poi che quello forse sarebbe stato l'unico modo attraverso il quale avrebbe potuto estinguere il proprio debito, ovvero quello di aver fallito di fronte ad un ordine anzi, ad una richiesta precisa da parte della propria signora e regina.
Così, mostrando uno sguardo nuovamente fiero e fermo, Nabooru non dovette dire altro affinché la Regina Madre si convincesse della sua convinzione e della sua forza d'animo.
Qualcuno che aveva amato profondamente, quasi fosse una sorella di sangue, se n'era andata, ma nel contempo era giunta anche colei che ne avrebbe preso il posto.
Come se la sua tristezza si fosse tramutata improvvisamente in una malsana curiosità, Nabooru non dovette nemmeno pronunciare la richiesta che, chiara come il sole, le si leggeva direttamente in volto.
- Vai! - le disse dunque Niwesh - L'erede ti aspetta! A te consegno le chiavi del suo destino, così come quello di tutte noi! -
L'ancella s'inchinò, evitando d'incontrare lo sguardo gelido di Niwesh. Senza proferire più parola poi la superò, lasciandosela alle spalle. Fu solo in quel momento, quando le loro spalle giunsero quasi a sfiorarsi, che sentì un tremito nelle membra della vecchia regnante, comprendendo dunque come, per quanto la sua facciata dura e rigida fosse stata credibile, dentro di lei la Regina Madre aveva pianto le lacrime più amare della sua vita durante il loro colloquio. Sebbene infatti ella era stata sempre conosciuta come una severa, ma amata guida del popolo Gerudo per lunghi anni, in quel momento ella era pur sempre una madre che di lì a poco sarebbe stata costretta a dare un innaturale ultimo saluto ad una delle sue figlie, colei che ne aveva preso il posto amministrandolo con medesima maestria.
L'ancella voltò l'angolo e si lasciò dietro quella tremenda compassione. Tremenda in quanto ella, così come voleva la sua cultura, non avrebbe mai potuto alleviarla in alcuna maniera, dato il fatto che la compassione, di qualsiasi forma o entità, era stata bandita da tempo nella Città di Arenaria, così come da ogni dominio sotto l'egida delle Gerudo.
S'inoltrò dunque all'interno della Camera dei Natali, attraversando le rituali tende grezze imbevute di sangue sacrificale d'agnello e discendendo per i tre scalini che conducevano ad uno spiazzo di pesanti mattonelle di granito, nelle cui fessure divisorie scorreva ancora il sangue della Regina defunta. Il suo corpo già ricoperto da un sudario nero fu la prima cosa che gli occhi di Nabooru furono costretti ad adocchiare.
In segno di rispetto ed onore, l'ancella allora chinò la testa in una breve preghiera, dando il suo ultimo personale addio a colei che aveva servito con tutte le sue energie e, inutile negarlo a sé stessa, con tutto il proprio affetto.
Così facendo, fu come dare il suo addio al passato, liberando il proprio spirito di ogni peso inutile al fine di accogliere la nuova arrivata nella maniera più consona possibile.
Si voltò dunque verso le levatrici, le quali secondo tradizione si componevano di tre figure distinte: una che si occupava del travaglio, la seconda del parto, la terza del puerperio. In assenza di una puerpera dunque, quest'ultima si era predisposta nelle prime cure dell'erede, che proprio in quel momento infatti sostava sereno sulle sue braccia.
Vistala entrare, le tre donne si alzarono in piedi e si avvicinarono a lei con passo cadenzato, rituale. Colei che teneva in braccio l'erede poi si fece più avanti delle altre, allungando le braccia in tutta la loro estensione e chinando il capo.
Compiendo il medesimo gesto, Nabooru afferrò la schiena del fagotto. Una miriade di emozioni esplosero in lei non appena il battito del cuore e la frequenza dei respiri dell'erede divennero percepibili alle sue mani.
Si portò così il fagotto di coperte e veli al petto, stringendolo a sé con estrema dolcezza e commozione. Poi, lentamente, cominciò a dipanare quelle coperture vistose, quasi ingombranti cercando il volto dell'erede con curiosità ed impazienza.
Occhi verdi come quelli della madre. Una capigliatura rossa vermiglio già molto folta e spettinata, nonché il tipico colore ambrato della pelle.
- Una purosangue... - sussurrò commossa. Nelle Gerudo era infatti molto importante che la prole, essendo figlia di un'unione mista, portasse i caratteri ereditari tipici del popolo del deserto. Ciò, secondo la tradizione, stava a significare che la Dea Din, divinità della Triade più adorate nei domini desertici, aveva dato la sua benedizione sulla vita della nuova arrivata. Al contrario, quando invece l'aspetto della neonata si rivolgeva più ai caratteri ereditari del padre, la maggior parte delle volte un predone del deserto o, peggio ancora, un abitante della piana d'Hyrule, essa veniva cresciuta come paria tra le sue consorelle oppure, nei casi più estremi, veniva abbandonata nel deserto, preda facile di Boblin ed altri predatori delle dune.
Nabooru ringraziò per quel dono tanto desiderato. Onorò il nome di Din sette volte ed a lei promise un sacrificio.
Si rivolse così alle levatrici e ad esse chiese - Sta bene? È in salute? -
Come le tre donne si guardarono subito dopo non le piacque per niente.
- Sì! - disse una di loro, mantenendo però un tono titubante, incerto.
Nabooru s'insospettì.
- Se c'è qualcosa che devo sapere riguardo alla sua salute dovete informarmi prontamente! - ordinò severamente, scocciata.
Allora, colei che l'aveva poco prima consegnata alle sue mani si fece ancor più prossima e, con estrema delicatezza, prese a togliere le stoffe in eccedenza che ricoprivano il resto del corpo dell'erede.
Fu allora che, quando gli occhi dell'ancella caddero sul corpo nudo di ciò che teneva in braccio, l'inimmaginabile si fece una realtà.
 
Da tempo immemore la Sala di Corte non aveva visto ospitate tutte e tredici le Baluarde, ovvero le governatrici delle tredici tribù di Gerudo. C'era voluto più di un giorno affinché tutte potessero giungere al cospetto della Maestra d'Armi, Naga, carica più importante del Popolo Gerudo, seconda solamente a quella della Regina.
Una cosa sconcertante era accaduta. Talmente inattesa che nessun'altra questione avrebbe potuto permettere a nessuna delle Baluarde di rifiutare la chiamata.
Dopo un secolo esatto dalla morte del Tredicesimo Patriarca, un nuovo erede maschio era nato dal ventre di una Regina di Gerudo. Un fatto epocale che, se da una parte avrebbe potuto significare una nuova età dell'oro così come era avvenuto in passato, dall'altra avrebbe invece potuto portare ad una spaccatura tra le varie tribù e ad una guerra civile sanguinaria.
Essendo la nutrice del nuovo erede, Nabooru, che mai aveva seduto in consiglio, nemmeno durante le assemblee semplici, annunciate in onore delle festività, si sentiva completamente fuori luogo, imbarazzata nel trovarsi circondata da fiere guerriere e svettanti figure politiche.
Nelle sue braccia sostava il piccolo pargoletto, il quale si era addormentato oramai da più di un'ora.
In piedi in mezzo alla sala vi era invece la Baluarda Thorak, signora dominante della tribù del Ghert, zona definita tra le più inospitali e difficili dei domini Gerudo. Il suo tono di voce, nonché il costante deambulare per la Sala ne aveva denotato fin dall'inizio il suo nervosismo, nonché una mal celata irritazione per l'intera situazione. Già quando Niwed era ancora in vita, Thorak era stata una delle sue più strenue oppositrici, forse perché i loro caratteri e modi di pensare erano completamente diversi, oppure, come invece pensavano praticamente tutte, in quanto le loro tribù erano state rivali per parecchi secoli nella corsa al trono, quando l'anarchia e non l'ordine dominava le dune.
Ella era stata la prima a prendere la parola nel consiglio e già da diversi minuti alcune avevano cominciato nel soffocare degli sbadigli, così come le proprie annoiate espressioni. Sebbene grande guerriera, a Thorak non era stato concesso il dono dell'oratoria, tanto che a volte i propri sproloqui si facevano di difficile comprensione, nonché ricolmi di giri di parole inutili e poco incisivi.
Alla fine del suo discorso, ella infine si rivolse direttamente alla Maestra d'Armi.
- Converrai dunque di come tale situazione imponga una votazione interna al Consiglio delle Tribù! È giusto che tutte noi possiamo esprimere il nostro parere sul futuro del nostro popolo! -
Naga, la quale aveva mantenuto uno sguardo attento, almeno in apparenza, per tutto il discorso della Baluarda del Ghert, tornò ad alzarsi, rimasta seduta sul piccolo giaciglio a fianco del trono sgombro della Regina, sul cui lato opposto sedeva invece la Regina Madre, seriosa ed ingrugnata come al solito.
- Mia cara sorella... - cominciò Naga - Come tu ben sai nessuno di noi ha potere di decisione di fronte ad un così gravoso avvenimento. Ognuna di noi non può infatti fare altro che appellarsi alla nostra antichissima legge. È per questo che domando alla nostra preziosa annalista, Yima, di esplicarci ciò che le nostre antenate decisero e inscrissero nella dura ed eterna pietra! -
Yima era una Gerudo particolarmente giovane, nonostante la sua immensa esperienza e conoscenza profonda della Legge Gerudo.
Ella, essendo nata sfortunata, con una gamba pressoché inutilizzabile fin dai primi anni di vita, aveva sfiorato l'esilio nel deserto come indegna. Il destino però aveva deciso ben altro per lei. Le sue capacità mnemoniche, nonché la minuzia nel riportare ogni singolo fatto storico accaduto all'interno del dominio, aveva portato la regina Niwed, fresca di elezione al trono, a salvarla dal proprio fato, relegandola così per la sua intera vita all'interno della biblioteca, dove la Legge Gerudo era stata archiviata e messa sotto la sua protezione.
- Mia Signora Naga e fiere Baluarde, vi ringrazio di questa possibilità! - principiò dimostrando una maestria oratoria non facile da trovare in una semplice annalista.
- Quando le ancelle mi hanno informato sul tragico fato che ha colpito la nostra amata Regina, nonché sulla nascita di quello che senz'ombra di dubbio diverrà il Tredicesimo Patriarca, mi sono rinchiusa per ore nelle segrete della nostra città, al fine di poter studiare e comprendere al meglio cosa le nostre antenate avevano previsto per simili situazioni! -
Thorak sbuffò vistosamente durante la presentazione dell'annalista, facendo ben comprendere alle presenti di come quei giri di parole non destassero il benché minimo interesse in lei.
- Che cosa hai scoperto? - domandò la Maestra d'Armi soprassedendo al comportamento disdicevole della Baluarda.
Purtroppo Yima non ebbe la medesima forza di Naga, tanto che sul suo volto le gote le si arrossarono di rabbia. Comunque sia, poco dopo rispose al quesito che le era stato posto.
- Purtroppo mia signora non è mai accaduto nella storia un simile avvenimento. In poche parole non abbiamo riscontri su cui basarci! -
- Esattamente quello che dicevo io! - esordì nuovamente Thorak, la quale fu però subito zittita da Naga con un severo e scattante gesto del braccio.
- E per quanto riguarda la legge? - domandò dunque.
Il silenzio calò improvvisamente all'interno della Sala di Corte, zittendo persino i brevi brusii che s'interponevano tra le piccole pause.
L'annalista questa volta non rispose immediatamente alla domanda, portando così molte delle presenti a pensare per il peggio, ovvero seguire il consiglio poco produttivo e pericoloso di Thorak. Ciò però non significa che se ne rimase ferma con le mani in mano. Infatti, rovistando in una bisaccia di pelle spessa, estrasse infine un piccolo rotolo di papiro, sul quale era facile notare degli scarabocchi scritti probabilmente dalla stessa Yima, difficilmente leggibili per molte delle sue vicine e non solamente a causa della sua calligrafia frettolosa. Essendo cresciute per essere delle guerriere, le Gerudo non si può certo dire che amassero utilizzare il proprio tempo libero nello studio della grammatica e della scrittura, cosa che di fatto stonava con il loro ingegno e le loro capacità di ragionamento.
Per Nabooru però il discorso era ben diverso. Ella era stata cresciuta come ancella, consorella della Regina e dunque era impensabile che non fosse in grado almeno di leggere e scrivere.
Comunque sia, l'annalista srotolò il piccolo papiro, si schiarì la voce e riprese a spiegare.
- Per un fortuito caso del fato, care sorelle, proprio stamane mi è capitato d'imbattermi in uno scritto redatto dal nostro Sesto Patriarca, ovvero Lackhna di Dragmire. -
Un vociare fievole tornò a farsi sentire all'interno della Sala, costringendo la Maestra d'Armi ad intervenire prontamente per permettere ad Yima di continuare.
- Come credo voi saprete, Lackhna rimase orfano di madre, l'allora Regina, quand'egli non aveva ancora raggiunto l'età necessaria al suo insediamento. Al fine di evitare dunque uno scontro tra le tribù... - si fermò un secondo, come a rimarcare la sua ultima frase - ... Lackhna decise che la reggenza del trono sarebbe dovuta andare ad una Gerudo totalmente scevra da cariche. Immagino che tale proposta fosse motivata dalla sua ferma volontà di non favorire o offendere alcuna Baluarda all'interno della Corte! -
Il brusio ricominciò, ma stavolta Naga non fece nulla per zittirlo, troppo assorta com'era nelle sue riflessioni.
- Ridicolo! - esclamò Thorak stando ben attenta dal farsi sentire praticamente da ogni presente.
- Chi fu la candidata ad un simile onore? - domandò dunque la Maestra d'Armi, mordendosi nervosamente le unghie.
- La sua nutrice! -
Come colpite tutte da una scossa intensa, ogni singola Gerudo perse improvvisamente la parola. I loro occhi erano scattati all'unisono in una singola direzione, individuando una in particolare tra tutte loro, la quale in quel momento si sentì tutto il peso del mondo addosso.
L'unica in quella sala che ancora pareva dotata di capacità motorie era come prevedibile la solita Thorak, la quale sbalordita più dalle espressioni delle proprie pari che da ciò che era stato appena detto dall'annalista, si portò nuovamente al centro della sala, chiaramente irritata.
- Non starete pensando veramente ad un simile abominio?! - esclamò, ma nessuno parve udirla.
La Maestra d'Armi si alzò nuovamente dal proprio posto, portandosi in un primo momento verso la Baluarda e poi superandola senza troppi onori.
Come quelli di tutte, i suoi occhi erano immobili su Nabooru, la quale cercava dentro di sé di distogliere l'attenzione cullando il pargoletto tra le sue braccia.
- Ancella, alzati! - le ordinò Naga.
Sebbene a malincuore, Nabooru non poté fare altro che obbedire.
Yima le ordinò poi di avvicinarsi con una semplice mossa delle sue dita.
Ancora una volta, l'ancella fece come la Maestra d'Armi le aveva indicato.
Quando furono a pochi passi l'una dall'altra, con Thorak che faceva da sfondo all'intera scena con il suo volto corrucciato, Naga cominciò ad interrogarla.
- Hai udito ciò che ha detto l'annalista? - le chiese.
- Sì... mia signora! -
La voce tremula di Nabooru ne tradiva il nervosismo.
- Comprendi che se una cosa simile dovesse riaccadere qui ed oggi, tu saresti la candidata alla reggenza? Che per molti anni dovresti ricoprire un ruolo molto vicino a quello di una Regina? -
Anche se l'ancella non rispose a tale quesito, era facile comprendere dalla sua faccia sconcertata come la cosa fosse già stata recepita dalla sua mente.
- E tu cosa ne pensi? - Naga cominciò a girarle attorno, quasi a studiarla - Saresti in grado di reggere una simile responsabilità? Lo saresti... più di me? -
Per quanto Nabooru non fosse per nulla esperta in diatribe politiche e giochi di potere, aveva capito fin da subito di come fosse stata appena sottoposta ad una domanda trabocchetto, alla quale rispondere non sarebbe stato solamente arduo, ma anche particolarmente pericoloso.
- Ti vedo titubante, ancella... - la riprese immediatamente la Maestra d'Armi, non permettendole così di riflettere a sufficienza - Forse sei nervosa dal fatto che, in una situazione normale, dovrei essere io a ricoprire il ruolo di reggente! Pensi forse che le mie domande ed i miei pensieri siano mossi da desiderio di potere? -
- No, mia signora! -
- Pensi forse che io non sia in grado di guidare il nostro popolo fino a che il Patriarca che tu tieni nelle mani non abbia esperienza e maturità a sufficienza per farlo da solo? -
- No, mia signora! -
- E che mi dici di te? Si, te lo domando ancora una volta. Saresti in grado di reggere il peso di innumerevoli responsabilità, una pace da mantenere  tra tribù sempre più vicine al piede di guerra, nonché confini da difendere da orde di orridi Boblin e sacrileghi predoni? -
Chissà perché in quella velata violenza contenuta all'interno di quell'ennesimo quesito, Nabooru fu colpita come da un'illuminazione semplice e diretta. Mentire non sarebbe servito a nulla, così come tentare di annebbiare la mente della sua interlocutrice con fallaci discorsi. Dire la verità. Ecco tutto. Rivelare i propri pensieri ed i propri desideri. Tutto ciò che ci si aspettava da un'ancella in fondo.
- Mia signora - disse dunque - Io non conosco nulla di ciò che mi hai appena domandato. Non sono e non potrei mai essere in grado di sostituire una regina! -
- Finalmente... - si fece sentire nuovamente Thorak alle spalle di Naga.
Nabooru continuò facendo finta di nulla - Ciò che però so di poter fare è crescere l'erede di nostra Signora Niwed. Renderlo forte, sano e sveglio, degno di calcare il trono che sua madre occupò prima di lui. So di poterlo proteggere da ogni angheria e pericolo, a costo della mia stessa vita! -
La risposta di Nabooru fu chiara a tutte. Fu forse per questo che molte si scambiarono sguardi perplessi e colmi di dubbio, mentre Naga invece continuava ad osservare fermamente l'ancella e l'erede al trono che stringeva al proprio petto.
Dentro di sé sapeva bene ciò che avrebbe fatto in seguito, anche se una simile decisione la riempiva di un'inquietudine assai insolita e sconosciuta al suo cuore. Infatti, poco dopo, cercò qualche rassicurazione nello sguardo fiero della Regina Madre Niwesh, la quale, fattasi trovare con un sorriso inaspettato sul suo volto, non fece altro che piegare lievemente la testa in segno di approvazione. Per Naga fu più che sufficiente.
Così, tornata sul piccolo rialzo sul quale sostava la propria sedia, richiamando l'attenzione delle proprie sorelle di tutte le tribù, emanò la propria decisione.
 
 
Migliaia di volte Nabooru aveva visto Niwed indossare quelle sfarzose vesti da cerimonia, aiutandola il più delle volte persino ad indossarle. Mai però era riuscita nemmeno lontanamente ad immaginare quanto potessero pesare una volta attaccate al corpo.
La giornata era stata particolarmente lunga e faticosa, nonché il sole, caldo come al solito, aveva portato la povera ancella a sudare da ogni singolo poro del proprio corpo durante l'intero rito d'insediamento.
Finalmente, col giungere del crepuscolo, ella era riuscita a congedarsi dall'immensa folla accorsa per l'evento, desiderosa di rientrare all'interno del palazzo per togliersi quegli ingombranti stracci di dosso. Per tutto il giorno aveva desiderato rimanersene un po' in solitudine con i  suoi pensieri, tanto che aveva cacciato in malo modo le altre ancelle dalla sua stanza. Di una simile cosa però si era immediatamente pentita non appena si era ricordata di come la propria capigliatura così agghindata non poteva essere sciolta in autonomia.
Spogliatasi con veemenza, quasi desiderasse più strapparsi che togliersi di dosso quel groviglio di veli, infine rimase vestita solamente di una leggere sottoveste, con il solo diadema di rubini a farle da peso alla testa.
Sedutasi sfinita e nervosa su di una sedia in pietra, si portò il capo tra le mani. Nessun pensiero però riuscì a formularsi completamente dentro di esso. Nulla, il vuoto. Era come se la sua mente si fosse persa in un profondo e tenebroso burrone, dove non solo lo spazio, ma persino il tempo aveva perso di consistenza.
Ad un tratto però, persa nella sua inquietudine, una gelida folata d'aria la fece rabbrividire sfiorandole la schiena ancora madida di sudore.
I suoi occhi si spalancarono, ricolmi di rabbia.
- Non avete mantenuto fede alla vostra promessa! - disse seccamente.
Dietro di lei però non giunse alcuna risposta. Per un secondo Nabooru si sentì completamente pazza, credendo di essersi fatta trasportare dalla propria immaginazione.
Poi, però, il suono di passi leggeri e cadenzati giunse chiaro, anche se fievole, alle sue orecchie.
- E così hanno scelto te... - emerse una voce roca alle sue spalle.
- Un'ancella che si è fatta Regina... inaudito! - ne apparve un'altra.
- Io non sono una Regina! - esclamò Nabooru infuriatasi.
- Oh, questo è quello che pensi tu... ma non è ciò che pensano molte delle tue sorelle. Comprese alcune capo tribù che si sarebbero viste decisamente meglio sul posto che tu ora occupi! -
Non c'era bisogno che glielo dicessero. Ella lo aveva compreso fin dal primo momento dopo la sua elezione proposta dalla Maestra d'Armi.
Cercò di non pensarci. Alzandosi di scatto, si voltò, osservando negli occhi coloro che erano giunte a farle visita.
- Avete abbandonato la mia Regina. Per questo ella è morta! Perché dovrei ascoltarvi? -
Indescrivibile era il volto di quelle due donne, sebbene si potessero effettivamente identificare in una simile maniera. Di bassa statura, dotate di occhi dalle grandi orbite, quasi sproporzionate rispetto al resto del volto, il quale poi era un groviglio di rughe talmente secche a causa dell'aridità del deserto da somigliare più a fratture nella roccia che a semplice pelle avvizzita, esse possedevano un aspetto quasi inumano.
- Non avremmo potuto fare nulla! Il suo destino era segnato! - si difesero.
- Questo non potete saperlo! Voi non eravate lì! -
- Questo è quello che tu credi, ma come ben presto imparerai siamo molto abili a muoverci nel silenzio e nell'ombra. E se ti dico che per Niwed non c'era più nulla da fare, tu devi crederci! -
Al solo sentire il nome della sua amata regina defunta, Nabooru sentì la sua testa farsi ancora più pesante, talmente tanto che non poté più resistere alla tentazione di tornare a sedersi. Quanto avrebbe voluto ch'ella fosse ancora lì.
- A volte è necessario un profondo sacrificio affinché una simile meraviglia possa venire al mondo! - le dissero ancora - Una meraviglia che però ora corre un grave pericolo dal quale tu la devi proteggere! -
- Il bambino?! - saltò in aria Nabooru - Che cosa c'entra lui? Di che pericolo state parlando? -
- Il medesimo pericolo con il quale tu oggi imparerai a convivere, mia cara! - le rispose la donna alla sua destra, distinguibile dall'altra solo ed esclusivamente per delle decorazioni blu sulle proprie vesti, differenti da quelle di colore rosso appartenenti all'altra.
L'ancella deglutì un gozzo pesante e doloroso. Non fece ulteriori domande. Lasciò semplicemente che le due orribili donne rispondessero inconsciamente ad esse.
- Sei stata scelta perché imparziale! - le spiegarono - Lontana da ogni affare legato a potere, avidità o cupidigia. La candidata perfetta per il ruolo alla reggenza in una simile situazione! -
- Questo è quello che ha pensato anche la Maestra d'Armi! - tagliò corto Nabooru - Dove volete arrivare! -
- Beh... - si avvicinò una delle due - Se per il Capo delle Guardie ora sotto il "tuo" controllo queste tue caratteristiche possono essere state una scelta azzeccata per la pace, per altre potrebbe invece significare un bersaglio facile da colpire per prendere il potere! -
- In poche parole una sommossa... sì, insomma... una guerra civile! -
- Io direi più un semplice assassinio... no, anzi... un duplice assassinio! -
Lo sguardo di Nabooru si soffermo su di lei, socchiudendo le palpebre fino a farle diventare un minima fessura.
- Non crederai che, dopo aver ucciso te, lasceranno in vita il bambino, vero?! - disse una.
- Egli non può sopravvivere. Altrimenti le tribù potrebbero unirsi sotto la sua egida un giorno! Egli è pur sempre un Patriarca, un figlio della profezia! - continuò l'altra - No, mia cara. Anche lui dovrà perire insieme a te, se coloro che desiderano il potere possano prenderlo per davvero! -
L'ancella sospirò. Non era diventata reggente che da un giorno e già la sua vita passata le sembrava solamente un lontanissimo e sereno ricordo, il quale, molto probabilmente, un giorno sarebbe divenuta niente altro che una mera fantasia.
Non rimaneva che una sola soluzione. L'unica plausibile affinché un simile pericolo potesse essere evitato. Non per amore suo, ma per amore di quella piccola creatura, posta in una culla non molto lontana da loro, sulla quale aveva fatto un solenne giuramento a sé stessa ed alle Divinità.
Decise dunque di rivolgersi a coloro che, per scopi che ancora non aveva compreso e che forse non avrebbe mai conosciuto, si erano presentate lì per aiutarla.
- Che devo fare? - 
   
 
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