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Autore: AnyaTheThief    04/04/2015    3 recensioni
Viktoria è una ragazza giovane e bella. Abita a Vienna ed ogni giorno deve avere a che fare con gli orrori della guerra. Cos'ha a che fare tutto questo con i Moschettieri? Beh, vi dico solo che capisco che è una storia particolare e che non possa piacere a tutti, ma vi consiglio di concederle qualche capitolo prima di cassarmela! Spero che poi la troverete avvincente.
Attenzione agli spoiler, la fiction si colloca dopo l'episodio 8 della seconda stagione.
Genere: Avventura, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Aramis, Queen Anne
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Per qualche istante a Viktoria il gesto di quell'uomo era parso del tutto naturale. Soltanto in seguito si rese conto di cosa fosse successo, e lo stupore iniziò ad insinuarsi nella sua mente. Come gli era venuto in mente di baciarle la mano in quel modo? Non conosceva nemmeno il suo nome. E perché la guardava così insistentemente?

Suo padre non le aveva detto niente di tutto ciò, avrebbe soltanto dovuto appoggiare il cesto ed andarsene, non era previsto che lui uscisse e si mettesse a fare cose strampalate.

“Incantato. Ben Keller, al suo servizio.”

Ma da dove era uscito? Viktoria era stata presa completamente alla sprovvista, sopraffatta dal comportamento del ragazzo che ora la fissava con un sorrisone soddisfatto. Lei ancora non era riuscita a ritrarre la mano che le aveva baciato poco fa, e restava ferma in quella buffa posizione, la bocca socchiusa dallo stupore, gli occhi sbarrati.

“Il suo nome...? Se posso sapere...?” la esortò lui, con un tono un po' beffardo.

“Ah-ehm... Viktoria.” rispose infine, ritraendo la mano che portò a massaggiarsi la nuca, imbarazzata. “Haas.” aggiunse. “Viktoria Haas.” ripeté poi con un po' più di convinzione.

“Lei è come un angelo... Sceso dalle scale!” rise l'uomo. A Viktoria parve come se l'influenza di quel posto tetro e sporco non avesse intaccato il suo carattere, anche se non lo conosceva prima di allora. Arrossì violentemente. Nessuno le aveva mai detto qualcosa del genere, e lui parve accorgersi del suo imbarazzo. “Per il cibo, intendo.” si affrettò ad aggiungere, indicando il cesto appoggiato sul gradino.

“Oh...” fece lei. Dovrebbe sentirsi sollevata: un uomo che nemmeno conosce le aveva rivolto un complimento così azzardato, e poi lo aveva ritratto a riprova del fatto che non era un maniaco. Ma in realtà rimase un po' delusa, e quella sensazione di disagio che l'avrebbe afflitta normalmente in una tale situazione... Beh, non c'era. Non che si sentisse del tutto a suo agio; la presenza di quell'uomo la faceva sembrare goffa ed impacciata, tanto che non le venne nemmeno in mente di accennare alla malattia improvvisa di suo padre, finché lui non glielo chiese esplicitamente.

“Immagino che Paul... Il signor Haas...”

“Oh, sì. E' mio padre.” si affrettò ad intervenire così precipitevolmente che non ebbe tempo di ragionare sul fatto che quel Ben aveva chiamato suo padre per nome. “Lui... Si è ammalato.” aggiunse poi, torcendosi leggermente le mani.

“Si è ammalato?” domandò il ragazzo, allarmato. “Ma cosa...? Io non ne avevo...”

“No, no.” lo interruppe di nuovo. “Non si preoccupi, starà bene.” lo vide calmarsi, ma per un attimo aveva letto il terrore sul suo viso, e in fondo poteva capirlo. Suo padre era la ragione se ancora sopravviveva.

Qualcosa improvvisamente attirò l'attenzione di Viktoria. Si rese conto che la luce alle sue spalle era decisamente diminuita d'intensità, e sussultò.

“Devo andare ora!” il sole stava tramontando, e aveva promesso a suo padre che sarebbe tornata il più in fretta possibile. Inoltre i controlli aumentavano dopo una certa ora, e anche se non aveva da temere non voleva attirare l'attenzione dei soldati.

“La rivedrò?” domandò lui speranzoso, una volta compreso che la ragazza già stava scappando su per le scale. Lei si voltò per un brevissimo momento e annuì.

“Domani. Stessa ora. Arrivederci.” si congedò frettolosamente.

Con un tonfo la botola si richiuse sopra la sua testa ancora sollevata ad ammirare il più possibile la deliziosa creatura con cui aveva appena parlato.

Camminò a tentoni nel buio per raggiungere la lampada sul tavolino, che accese a fiamma bassa. Si sedette, avvicinò a sé un foglio e la scatoletta di cartone col carboncino ed iniziò a disegnare la forma di un volto.

 

Viktoria non ebbe spiacevoli incontri sul suo percorso. Se l'avessero fermata probabilmente sarebbe di sicuro sembrata sospetta: era ancora rossa in volto, e si sentiva come se stesse fluttuando su una nuvola. Suo padre non gli aveva detto molto di quell'uomo, solo che gli doveva un favore e che lo proteggerà finché potrà. Che favore gli aveva fatto? Non riusciva a crederci. Suo padre alla fine non era poi tanto diverso da sua madre, forse soltanto più furbo e taciturno. Non aveva rivelato a nessuno quel segreto per mesi e mesi... Ed ora soltanto lei lo sapeva.

Giunta nei pressi di casa sua, allungò il passo fino a quasi mettersi a correre per raggiungere il suo condominio. Salì le scale rapidamente e non appena aprì la porta di casa, suo padre la chiamò, ansioso.

“Vicky? Sei tu?”

“Sì, sono tornata.” annunciò lei, con un sorriso spontaneo. Quello era troppo, non doveva far trapelare i suoi pensieri. Strinse le labbra e si sforzò di restare seria. Si tolse gli stivaletti all'ingresso e poi si fiondò in camera di suo padre. Lo trovò seduto, in trepidante attesa.

“E' andato tutto bene? Ti ha vista qualcuno? Ti hanno fatto delle domande?”

“Tutto bene, papà, stai tranquillo.” lo rassicurò.

“E... Lui...?”

Viktoria annuì, un po' incerta se raccontare la verità.

“L'ho conosciuto.” dichiarò dopo un momento di esitazione. Ma suo padre non pareva per niente preoccupato.

“E' una brava persona. Ben...” fece per dire, ma improvvisamente sentirono la porta di casa aprirsi di nuovo.

“Ciao a tutti!” la voce di Eva risuonò dall'atrio.

Viktoria guardò il padre interrogativa, sperando che continuasse la frase, ma invece tacque improvvisamente. Certo, Eva non doveva sapere. Nessuno doveva sapere. Ma lei era brava a mantenere i segreti, la migliore.

Ben Keller. Ben Keller. Più si ripeteva quel nome, più un senso di impazienza la pervadeva. Voleva rivederlo. Voleva parlargli di nuovo. Voleva sapere tutta la sua storia. Quella sensazione di rischio, di proibito, di misterioso, le dava una scossa di adrenalina così eccitante che si rese conto che fino a quel giorno non si era mai sentita tanto viva. Finalmente aveva qualcosa per cui lottare, finalmente era abbastanza matura da potersi schierare e combattere per i suoi ideali.

Quella notte si addormentò avvolta da un soffice tepore al pensiero che l'indomani avrebbe avuto di nuovo nelle sue mani una missione così importante.

 

Era di nuovo lei. La Regina. Ma... Era tutto così diverso dal solito.

Innanzitutto i suoi vestiti. Non indossava più quel bel corsetto e l'ampia gonna, e tutti i gioielli che l'adornavano mentre dalla sua stanza osservava i soldati dalla finestra. Portava un lungo camicione bianco, anonimo e troppo leggero: lì faceva davvero freddo.

Sentì in petto un'angoscia tremenda quando si rese conto di non riuscire a vedere il bambino da nessuna parte. Respirò affannosamente, guardandosi attorno. Quel luogo era orribile; una cella buia e scura, che emanava freddo e umidità da tutte le parti, e nemmeno un letto in cui stendersi, soltanto un giaciglio di paglia. Paglia? Lei era la Regina, come era possibile che le riservassero un tale trattamento? Cosa aveva fatto di tanto orribile?

Mentre si pettinava con le mani i lunghi capelli sciolti in un gesto nervoso, le venne una grande paura immotivata di perderli. Perché quella sensazione?

Le sembrò di impazzire per un attimo, ma proprio quando si stava per mettere a piangere, udì un rumore di passi avvicinarsi e subito si ricompose. Sentì di non dover mostrare la propria debolezza, soprattutto se dietro quella porta fosse comparso di nuovo quell'uomo biondo.

Sollevò il capo in un gesto superbo, come se ancora potesse permettersi di ostentare sicurezza, poi la porta si aprì. Vide una guardia che faceva entrare una donna. Una bellissima donna dai capelli castani lunghi e ben curati: le ispirò molta fiducia, ma le fece provare anche una tristezza infinita. Sapeva che quella sarebbe stata l'ultima volta che l'avrebbe vista.

Quando la guardia richiuse la porta, la donna si precipitò ai suoi piedi. In ginocchio di fronte a lei pianse singhiozzando e stringendole le mani, ma lei non si scompose. Le accarezzò il capo.

“Devi essere forte, Constance.” le ripeteva con voce tremula. “Devi essere forte.”

Di nascosto versò una lacrima ed attese che la donna si calmasse.

“Che ne sarà del mio bambino?” domandò con un fil di voce.

Constance scosse il capo. “Non lo so.” dichiarò con aria disperata e il viso completamente bagnato.

Lasciò passare ancora qualche istante, durante il quale fissò negli occhi quella che per lei probabilmente era stata la più cara amica.

“E che ne sarà di lui...?” chiese infine.

Ma non voleva sapere la risposta a quella domanda.

Poi si svegliò.

 

  
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