Capitolo 5.
Notizie da San Diego
Accarezzandosi
con entrambe le mani il pancione, sempre più ingombrante,
Mac sospirò
pesantemente.
Le mancava
suo marito. Terribilmente.
La sua parte
razionale le diceva che Harm era nel posto giusto, a prendersi cura di
una
ragazzina che aveva bisogno di lui, molto più di lei. Ma la
sua parte emotiva,
quella che ultimamente stava prendendo sempre più il
sopravvento, le ripeteva
che avrebbe voluto averlo lì con sé subito,
seduta stante, per potersi
rifugiare nelle sue braccia grandi e forti, per farsi coccolare e
rassicurare
che tutto stava andando nel migliore dei modi. Accidenti
agli ormoni.
Quanto era
cambiata da quando stavano insieme!
Aveva
imparato ad appoggiarsi a qualcuno, a poter fare affidamento su una
persona che
mai l’avrebbe abbandonata, che si sarebbe presa cura di lei.
Sempre. Era una
sensazione che aveva cominciato a provare solo da quando aveva fatto
entrare
Harm nella sua vita da vero coprotagonista: durante
l’infanzia e l’adolescenza,
infatti, i suoi genitori non erano stati certo in grado di proteggerla
e di
coccolarla, come si sarebbe meritato ogni bambino. Ma dopo il bagno in
quel
lago dorato, l’amore sconfinato di Rabb aveva nutrito la sua
fame ancestrale di
affetto e adesso che lui era lontano l’impressione di essere
stata ancora una
volta lasciata sola si stava affacciando di nuovo nel suo cuore,
rendendola
inquieta e sofferente.
Sospirò
di
nuovo.
Harm mancava
da casa da un mese e mezzo ormai. In quel lungo periodo era tornato a
San Diego
solo una volta, per una delicata questione di lavoro che non poteva
gestire a
distanza, ma era riuscito a trascorrere con sua moglie solo poche ore
prima di
volare nuovamente a Blacksburg.
Non si era
pentita minimamente di aver suggerito a suo marito di far venire Mattie
a
vivere con loro, ma non poteva negare a sé stessa che la
cosa la impensieriva
un po’, visto il carico emotivo che quella scelta avrebbe
comportato.
Sentì
il
bambino muoversi nella sua pancia e, rivolgendosi a lui, gli chiese:
“Piccolo
marinaio, manca anche a te, vero? Senti anche tu la nostalgia per le
canzoni
che ci cantava papà accompagnandosi con la
chitarra?”
Una lacrima
le scivolò furtivamente su una guancia.
Qualcuno
bussò
alla porta e la distolse dal suo dialogo con il figlio. Non aspettava
nessuno a
quell’ora, ma sollevandosi con qualche difficoltà
dal divano, si asciugò gli
occhi e, prima di aprire, controllò dallo spioncino.
Ciò che vide la sorprese,
ma tolse immediatamente il chiavistello e fece entrare i due visitatori.
“Frank,
Trish, entrate, tutto bene?” li salutò, facendo
loro cenno di accomodarsi.
“Ciao
Sarah,
ti disturbiamo? Passavamo da queste parti e volevamo sapere se avevi
bisogno di
aiuto per sistemare la casa…” disse Trish.
Mac sorrise.
Nonostante fosse stanca e il suo programma per la serata avesse
previsto di
starsene sdraiata sul letto, con l’aria condizionata accesa,
possibilmente in
mutande e con i piedi sollevati, non poté far a meno di
essere grata per
l’affetto che i suoi suoceri nutrivano nei suoi confronti.
“Non
solo.
Come al solito, Trish ha esagerato in cucina e ci è avanzato
un sacco di roba,
quindi mi faresti davvero un favore se tu ci aiutassi a smaltire questi
manicaretti, altrimenti a me toccheranno per le prossime due
settimane!”
aggiunse Frank, facendole l’occhiolino.
“Grazie,
siete davvero gentili. Posso offrirvi del tè
freddo?” disse Mac, genuinamente
riconoscente.
“Volentieri!
Come procedono i lavori delle camere?” si informò
l’uomo.
“Venite,
vi
faccio vedere” li invitò Sarah.
Da quando
avevano deciso di accogliere Mattie a casa loro, Mac si era fatta
carico di
allestire una stanza per la ragazza in modo da venire incontro alle sue
esigenze. Gli esami approfonditi cui era stata sottoposta avevano
infatti
rivelato che la lesione spinale causata dall’incidente era
meno grave di quanto
temessero e che un intervento chirurgico, seguito da una lunga
fisioterapia, le
avrebbe restituito la quasi completa capacità di camminare
senza ausili. La
notizia aveva rallegrato tutti, da un capo all’altro degli
Stati Uniti. Non
sarebbe stato un processo immediato, ma con grande pazienza e
determinazione
Matilda Grace Johnson si sarebbe rimessa in piedi. E specialmente la
seconda
dote non le mancava di certo. Fortunatamente la villetta di Carmel
Valley era a
un piano, così per lei sarebbe stato più facile
muoversi anche con la sedia a
rotelle, almeno all’inizio, o le stampelle. Anche
l’assistente sociale che
aveva fatto visita a Mac, dietro richiesta del Giudice Minorile di
Washington,
aveva espresso parere favorevole sulla sistemazione logistica.
E,
naturalmente, c’era da arredare anche la stanza del
bebè! I futuri genitori pensavano
che avrebbero potuto occuparsene insieme, poi però avevano
ricevuto quella
telefonata da Blacksburg e tutti i loro piani erano stati stravolti.
Così
nelle
ultime settimane Mac aveva dedicato il suo tempo libero a svuotare la
camera
degli ospiti e lo studio, in modo da fare spazio alla nursery e alla
stanza di
Mattie. Certo, avrebbe voluto condividere quei preparativi con Harm, ma
l’assenza di suo marito era dovuta a un motivo più
che valido. La vita
dell’uomo a Washington, poi, non era certo una passeggiata:
fra il lavoro, l’assistenza
a Mattie e la questione della richiesta di tutela le sue giornate si
susseguivano con un ritmo infernale. Fortunatamente, come lui stesso le
aveva
raccontato, qualche giorno dopo che la ragazza aveva subito
l’intervento, ben
riuscito, si era visto arrivare in ospedale Harriet Beaumont Sims
Roberts con
piglio deciso e a passo di marcia. La dolce moglie di Bud lo aveva
–
metaforicamente – sollevato di peso dalla sedia accanto al
capezzale della
ragazzina e lo aveva spedito a casa a dormire. Alle rimostranze di
Harm,
Harriet gli aveva risposto di aver contattato la tata e di averle
affidato la
sua ciurma di bambini, così che lei avrebbe dato il cambio a
Rabb per farlo
finalmente riposare. “Se crolli non servirai a nessuno,
Harm” gli aveva sussurrato
dolcemente. “Va’ a dormire e torna stasera. Io e
Mattie ce la caveremo, stai
tranquillo”. A quelle parole, ad Harm non era restato altro
che ubbidire
all’ordine perentorio dell’ex tenente Sims, ormai
membro della riserva navale, e
concedersi qualche ora di sonno.
Frank e
Trish si affacciarono alla camera che avrebbe accolto il loro nipotino,
come
sosteneva Sarah (o nipotina, come invece precisava Harm) e notarono gli
scatoloni ammucchiati e i mobili della nursery in parte montati.
“Mac,
non ti
sarai mica affaticata eccessivamente?” le chiese con sguardo
severo, eppure
benevolo, la suocera.
“Tranquilla,
Trish, me la sono presa comoda. Infatti, come vedi, siamo ancora in
alto mare”
commentò la futura mamma, sospirando davanti a quel caos che
avrebbe dovuto
accogliere suo figlio (perché era convintissima che fosse un
maschietto, in
barba all’assoluta certezza di suo marito che invece si
aspettava una
femminuccia).
“Beh,
si dà
il caso che io abbia la mia cassetta degli attrezzi in macchina, magari
potrei
terminare di montare almeno la culla mentre voi signore fate due
chiacchiere in
salotto, che ne dite?” propose Frank.
Sarah gli
rivolse uno sguardo riconoscente e non se lo fece ripetere due volte.
Sebbene
avesse detto a Trish di non essersi stancata troppo, in
realtà non si era certo
risparmiata in quegli ultimi giorni. Ma anche se al parto mancavano
ancora
quattro settimane, Harm e Mattie sarebbero rientrati prima e lei non
voleva far
trovare loro una casa che assomigliava a un campo di battaglia su cui
era stato
sganciato un ordigno devastante.
Mentre
l’uomo si dava da fare con viti e tasselli, dimostrando
notevoli capacità di
bricolage, le due donne si sedettero sul divano, sorseggiando il
tè freddo in
silenzio.
“Mac,
va
tutto bene?” le chiese Trish.
“Sì…
sono
contenta che Harm fra poco torni a casa” rispose Mac,
sforzandosi di sorridere.
“Con
Mattie”
aggiunse Trish.
“Con
Mattie”
ripeté Sarah.
“Sei
preoccupata per lei?”
Mac
annuì.
“Mi impensierisce l’idea di passare da zero bambini
a un neonato e un’adolescente
nel giro di poco tempo. Non posso certo far ricorso ai miei ricordi di
figlia
per capire come si fa la madre…” aggiunse,
aggrottando la fronte al pensiero di
cosa era stata la sua infanzia e quale modello avessero rappresentato i
suoi
genitori per lei.
Trish le
strinse una mano e le disse: “Non sei da sola in questa
avventura, Mac. Non ho
mai visto mio figlio tanto felice come da quando ha saputo che avreste
avuto un
bambino. E poi ci siamo anche noi e, se ce lo permetterete, saremo ben
lieti di
darvi una mano. Sia con il piccolo che con Mattie. Vedi, anche Frank
è stato,
in qualche modo, un genitore adottivo per Harm. E, credimi, si
è preso una
bella gatta da pelare, perché il giovane Harmon Rabb junior
era tutt’altro che
un ragazzino facile da gestire! Ma Frank ha una cosa in comune con te:
entrambi
avete un cuore grande. E questo ti permetterà di trovare il
tuo equilibrio con
Mattie”
Sarah le
sorrise con gli occhi colmi di lacrime e si
sentì più sollevata. Sì, ce
l’avrebbe
fatta. E, in ogni caso, avrebbe potuto contare sul loro aiuto e,
più che altro,
su quello di suo marito.
Quando i
coniugi Burnett si congedarono, oltre un’ora più
tardi, Mac infilò nel
microonde uno dei manicaretti che le avevano portato e si
apprestò a cenare.
Improvvisamente, una fitta dolorosa al ventre le tolse il respiro. Le
sembrò
che una lama appuntita le avesse trapassato le viscere da parte a parte.
Fece per
alzarsi dallo sgabello cui si era appoggiata e sentì un
liquido caldo e viscido
colarle fra le gambe. Abbassò lo sguardo e vide con orrore
una macchia
vermiglia sbocciare come una rosa sui suoi pantaloni chiari.
Il panico si
impossessò di lei.
Nota
dell’autrice
Le cose si
stavano sistemando troppo
bene e troppo velocemente ma, lo sappiamo tutti per esperienza diretta,
la vita
è imprevedibile.
Cosa
succederà a Mac e al suo piccolo
marinaio? Pochi giorni e lo saprete.
Al prossimo
capitolo,
Deb