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Autore: Nadie    04/04/2015    3 recensioni
Un giorno ha chiesto cosa fosse quell’amore ripetuto dai dischi in vinile di papà.
«Una cosa che aggiusta tutto.» gli hanno risposto.
«Come una super colla?»
«Proprio come una super colla.»
Adesso che il bambino che è stato lo ha abbandonato, capisce che gli hanno mentito.

[Ben e Prudence]
[La Legge del Resto - sentivo il bisogno di cambiar titolo]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Temporale '
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19. Cose che non si possono dire

 





Bisogna ammetterlo: certe cose non le sappiamo dire.
Ci si può far spiegare i movimenti giusti per lavarsi bene i denti; si possono studiare le proprietà delle potenze per fare bene i conti in matematica; si possono leggere le istruzioni per montare per bene un tavolo, ma nessuno, nessuno mai al mondo, è riuscito a creare il Modo Giusto Di Dire Le Cose.
Oggi non sono stato un bravo bambino.
Il nonno non c’è più.
Mamma, ho preso 3 in Latino.
Papà, ho distrutto la macchina.
Prof, non ho studiato.
Tesoro, sono incinta.
Benjamin, ti ho tradito.
E come si fa a dirle, certe cose? Se solo esistesse un modo pulito e meccanico per raccontare, per parlare, per tirar fuori anche ciò che si vorrebbe lasciar nascosto, allora sarebbe tutto più facile.
Seduta di fronte ad uno specchio, Prudence cercava di trovare un modo per riuscire a dire ciò che non sapeva dire.
 
Benjamin, ti ricordi quando abbiamo litigato l’ultima volta? Abbiamo cominciato a gridare e gridare, chissà che avranno pensato i vicini… ma non è questo che importa.
Benjamin, per favore cerca di ascoltarmi fino in fondo, di capirmi fino in fondo.
Benjamin, so già che ti arrabbierai però spero comunque che mi ascolterai.
Benjamin, ti devo dire una cosa ma non so come dirtela.
Benjamin, se tu dovessi dirmi che hai commesso uno sbaglio terribile, come me lo diresti?
Benjamin, le persone sbagliano, d’accordo? Sbagliano a scegliere il colore dei vestiti, sbagliano a mettere troppo sale nella pasta, sbagliano strada mentre sono in macchina, sbagliano la fermata della metropolitana, sbagliano a scrivere una parola, e sbagliano anche con le persone che amano.
Benjamin, ti ho tradito.
 
Scosse la testa e pensò che non c’era modo, non c’era modo in cui raccontargli una cosa simile, non c’erano parole che potessero sorreggere uno sbaglio tanto grande.
Ma lei aveva l’obbligo morale di dire la verità, aveva già nascosto troppe cose troppo a lungo e c’era, radicato nel fondo della sua carne, un lancinante senso di colpa che riemergeva, riemergeva sempre più ogni volta che Benjamin le stava accanto, si scusava, le parlava, la chiamava, la cercava e restava sempre ferito, tagliato, scottato dal suo scivolare via.
Con il viso vicino alla superficie dello specchio, Prudence osservò con attenzione il suo riflesso e si sentì un grosso, ingombrante contenitore di segreti sporchi.
Avrebbe voluto aprirsi in una giornata di vento e veder soffiate via dall’aria tutte le fastidiose verità nascoste, ma la sua carne era troppo spessa e di certo il vento non l’avrebbe spaccata a metà.
«Prudence, sei una stupida.» disse, e seguì con gli occhi le labbra di vetro dentro allo specchio che si avvolgevano attorno alle parole.
Sbuffò e si alzò in piedi. Aveva altro da fare, aveva una bambina a cui dar da mangiare.
Tornò in cucina a controllare la carne sul fuoco: era ben cotta.
«Pulce, è pronto da mangiare!» chiamò, e con gesti studiati e meticolosi posò la sottile fetta di carne nel piatto.
Sua figlia, i capelli arruffati e gli occhi assonnati, arrivò dopo pochi minuti con la sua andatura da papera, si arrampicò con facilità sulla sedia e si mise seduta sul cuscino di rialzo.
Prudence si voltò e posò il piatto sul tavolo.
«Stavi dormendo?» chiese, e Leila annuì sbadigliando.
«Che figlia dormigliona che ho!» rise e le schioccò un bacio sulla fronte.
Tagliò a pezzetti sottili la carne e aiutò la figlia a mangiare.
La guardò e pensò a Maxwell – le capitava spesso di pensarlo, a dire il vero – e la rabbia compressa sotto la pelle, sembrò pulsarle nel petto.
Delle parole sussurrate per telefono bussarono alle porte della sua memoria e sgomitarono tra i pensieri affollati nella sua testa.
 
Max, sono incinta.
Io invece sono in America e non tornerò.
Ma sono incinta.
Ma non tornerò.
 
Max, è nata tua figlia: si chiama Leila.
Sono impegnato.
Ma sei suo padre.
Ma sono impegnato.
 
Non la sopportava quell’assenza volontaria, non l’aveva mai sopportata nemmeno quando suo padre se n’era andato senza neanche salutare.
Neanche una parola ed ecco l’Uomo Con La Carne Di Aria che sa scivolare fuori dalle porte senza farsi sentire, che sa andare via senza farsi notare.
E lei era una bambina brava a far sparire le cose cattive e fece sparire anche suo padre, padre che non c’è, non esiste, sono figlia del fango, sono una pianta con delle radici spesse che sa sfamarsi e vivere senza bisogno di nessuno.
Ma crescersi da soli non è semplice, e ci sono bambini sulle altalene che si spingono da soli, ginocchia sbucciate che si curano da sole, lacrime che si asciugano da sole.
E lei non voleva questo per sua figlia: sua figlia doveva averlo, un padre.
Sua figlia non doveva pensare di essere stata lasciata scivolare via, di essere una bambina indesiderata, perché per Prudence lei era l’essenza della vita, dell’andare avanti, del tutto-questo-fa-male-ma-ne-vale-la-pena.
Tu ne vali la pena, bambina mia.
Se solo fosse stata abbastanza grande da capire, glielo avrebbe detto: tu vali la pena, bambina mia.
Leila finì la sua carne e si lasciò sbucciare una mela dalle mani gentili della mamma.
Che donna misteriosa che era!
Diversa da tutte le altre mamme che aveva visto, che portavano i figli al parco e si sedevano su una panchina a controllarli.
No, la sua mamma si sporcava di terra insieme a lei, si sdraiava ad occhi chiusi in mezzo alle margherite e puntava il dito contro le nuvole e quella a me sembra un drago, tu invece come la vedi?
E la notte la sentiva alzarsi e sgusciare via, nel piccolo soggiorno.
Una volta l’aveva seguita cercando di non farsi sentire, ed era rimasta alzata a guardarla, a guardare la Donna-Che-Vive-In-Castelli-Di-Carta, seduta su un tappeto ricoperto da fogli pieni di parole, le sue parole.
Poi la Donna si era alzata dal suo castello d’inchiostro, aveva aperto una finestra e si era affacciata a fumare una sigaretta.
A Leila piaceva la mamma, le piaceva quella donna con la pelle che odorava di pesca e i capelli lunghi impregnati dal profumo di caffè che ristagnava tra le pareti del bar in cui lavorava;  le piacevano le sue mani delicate che le allacciavano le scarpe, le pettinavano i capelli, l’aiutavano a mangiare e le accarezzavano il viso; le piaceva la sua voce argentina che la chiamava quand'era pronto da mangiare o la rimproverava se faceva qualcosa di sbagliato.
A Leila piaceva la mamma e le piaceva anche l’amico della mamma, l’Uomo-Con-Gli-Occhi-Scivolosi, due voragini buie in cui – se non si faceva attenzione – si poteva scivolare.
La faceva sentire abbracciata, tenuta stretta, legata ad una corda che non l’avrebbe mai lasciata cadere giù per il Pozzo-Della-Vita, e le sembrava che sulle sue labbra ci fosse sempre un ‘ti voglio bene’ che non era abbastanza coraggioso da dire.
Ma lei era una bambina intelligente e sapeva sentire anche le parole non dette, rimaste incastrate sulla lingua.
«Guardiamo un film?» chiese Prudence.
Leila annuì energicamente.
«Allora vai a sceglierlo, intanto io sparecchio e faccio una chiamata, d’accordo?»
La bambina scivolò agilmente giù dalla sedia e corse nel piccolo soggiorno.
Prudence sparecchiò velocemente, mentre le parole di Benjamin si ripetevano nella sua mente.
Prima non eri un coniglio. Un maledetto coniglio!
E c’erano dei contorni da ridefinire in quella storia, e lei non era un coniglio ma la sua pelle sporca conteneva un ingombrante senso di colpa e lui era così ostinato, così ostinato!
L’uomo che aggiusta l’inaggiustabile, l’uomo che rimette insieme i pezzi, l’uomo che cuce e che rattoppa con un filo spesso; ma lei sapeva che, dopo aver scoperto la verità, si sarebbe aperto uno squarcio così grosso da non poter essere ricucito, riallacciato.
Prese il telefono e compose il numero a memoria.
Tututu.
«Pronto?»
«Non sono un coniglio.»
«Prudence?»
«Non sono un coniglio.»
«Ah no?»
«Se pensi che io sia un coniglio, vuol dire che non mi conosci.»
«Non ti conosco?»
«Nemmeno un po’.»
«Se non sei un coniglio, perché ti nascondi dietro ad un telefono?»
«Non mi nascondo.»
«Hai paura.»
«Non ho paura.»
«Invece sì, te la fai sotto.»
«E tu?»
«Io?»
«Tu perché sei ancora qui, se pensi che io sia un coniglio?»
«Chiedilo al mio inconscio.»
«Sei fastidiosamente lapidario.»
«Davvero?»
«Sì! E devi sempre avere l’ultima parola! Saresti capace di avere l’ultima parola anche con la Regina d’Inghilterra, con il Papa o… o addirittura con Dio!»
«Addirittura?»
«Sì, sei insopportabile!»
«Mi dispiace, tesoro, ma neanche tu hai un carattere tanto facile.»
«Allora lasciami sola con il mio brutto carattere.»
«Proprio adesso che sono abituato a sopportarvi? Non se ne parla.»
«Lo vedi?»
«Che cosa?»
«Che sei l’Uomo dell’Ultima Parola.»
«E a te andrebbe di bere qualcosa con l’Uomo dell’Ultima Parola?»
«Oggi non posso.»
«Domani?»
«Non lo so.»
«Coniglio!»
«Perfetto: domani pomeriggio.»
«Finalmente!»
«Finalmente cosa?»
«Esci dalla tana!»
 
 
 


Salve salvino!
In ritardo come sempre, ma puntuale per Pasqua!
Dunque, dunque, non ho molto da dire se non che nel prossimo capitolo Prue dirà a Barny ciò che è successo.... mannaggia!
Ringrazio come sempre tutti i lettori che spendono un po' del loro tempo per questa storia: grazie di cuore!
E buona Pasqua! Magnate tanti dolci!
A presto,
C.

P.S: Ho messo le foto di Astrid/Prue e Ben perché.. bé perché sono assurdamente belli, perché è Pasqua e perché spero efp non le faccia scomparire magicamente!
P.P.S: So che 'inaggiustabile' non è proprio italiano però... mannaggia alla licenza poetica!
 
 
 
 
  
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