Un cigolio mi desta dalla quiete. E' mattino o forse notte fonda. Non vedo la luce del sole da quando mi hanno portata qui e non so nemmeno da quanto sono qui. Ho perso la cognizione del tempo ormai. Annuso l'aria per cercare di carpire un qualche odore, ormai ho imparato a capire cosa mi aspetta i base all'odore dell'oggetto che ha in mano. Ma inaspettatamente non sento in Suo puzzo. Lui sa di carne marcia, non sa di cibo e ora sento odore di cibo. Apro un occhio con fatica facendo una smorfia di dolore, l'altro è talmente macellato e mutilato che non riesco neanche a pensare di aprirlo. La mia cella è illuminata come al solito dall'orrida lampadina al neon che ogni giorno costituisce l'unica fonte di luce di questo posto schifoso. Una mano calda e morbida mi tocca il polso incatenato e pieno di ferite ancora fresche, sento una folata di profumo paradisiaco abbatersi contro il mio viso, come un fiume in piena che travolge una diga. Il mio stomaco si contorce dolorante, ho una fame tremenda. Aspetto che si avvicini e lei lo fa. E' una ragazza giovane, capelli ramati e begli occhi verdi, quasi mi dispiace per lei, morire per essersi trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato è una cosa orribile e tremendamente ingiusta.
Poi inaspettatamente parla e io mi spavento perchè da quando sono qui in ho mai sentito altro che la Sua voce < mio Dio che cosa ti hanno fatto? Dicono che voi siete i mostri ma ormai noi umani siamo diventati esseri anche peggiori. So che in questo momento il tuo unico pensiero è quello di divorarmi, e fidati ne avresti tutto il diritto, ma se lo farai non riuscirai mai ad uscire da qui.> Fruga con la mano in una tasca del camice e tira fuori una chiave, piccola e sottile, la infila nel lucchetto delle manette e gira. Gli anelli di metallo scattano e si staccano dai miei polsi e dalle mie caviglie portandosi dietro un po' di pelle.
Non riesco a muovermi figuriamoci ad alzarmi quindi la guardo. Lei non ha tempo e mi strattona facendomi alzare, noto solo ora che è circa due spanne più alta di me e decisamente muscolosa per essere una donna. Provo a muovere qualche passo, ce la metto tutta e con mia grande sorpresa riesco camminare, se solo fosse venutaun po' di tempo fa mi avrebbe trovata senza dita dei piedi e li si che avrei fatto fatica. Mille meno sette fa sempre novecentonovantatre. Mi trascino dietro di lei a fatica, con i piedi che si spellano strisciando contro il cemento ruvido di quello che sembra il seminterrato. Tutto è avvolto nella penombra e lei fa strada con una torcia, l'aria è umida e impregnata dell'odore di prodotti chimici. Ci fermiamo davanti ad una grossa porta circolare che lei apre girando con fatica una manovella. Mi si apre di fronte un enorme condotto buio e bagnato. < Forza entra in questo condotto e percorrilo tutto, non ti puoi sbagliare perchè è tutto dritto. Ti condurrà nella periferia della quarta circoscrizione, nessuno si accorgerà di te. Ora scappa forza.> La fisso intensamente. Perchè lo sta facendo? Cosa l'ha spinta ad aiuarmi? Poi prendo coraggio e schiarendomi la voce le chiedo il suo nome. Lei mi sorride, forse le faccio tenerezza o forse cerca di intenerire me ,ma io so cosa e devo fare e come.Gli umani sotto tutti uguali se non vinci tu loro ti uccidono prima o poi e io non voglio morire. Mi vengono in mente le parole di mio fratello: se si tratta di un umano è sempre meglio avercelo nella pancia che di fronte. < Yora, mi chiamo Yora Shiriko, capo laboratorio quinque.> lurida bastarda, per le sue quinque mamma e papà sono morti, decapitati davanti ai miei occhi, per colpa sua sono finita qui e ora deve pagare. Le salto al collo senza nemmeno darle il tempo di reagire, un colpo secco alla gola, come mi ha insegnato il fratellone.