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Autore: ErinJS    04/04/2015    6 recensioni
Dopo l'addio ad Elsa, Anna e Kristoff, a Storybrooke tutto sembra essere tornato alla normalità. La quiete, però, non può durare per sempre e l’improvviso arrivo di una giovane ragazza di circa 17 anni porta con sè un'ondata di misteri e problemi. Nessuno sa da dove venga o chi sia, o perché quegli occhi verdi sembrino tanto familiari; quello che però è chiaro alla Salvatrice è che nasconde qualcosa e prima o poi riuscirà a scoprirlo. Ma se non fosse tanto importante il luogo da cui proviene la giovane, ma il…quando?!
Una nuova minaccia aleggia nella vita dei nostri eroi e questa volta il domani sembra proprio dietro l’angolo.
La ff presenta degli spoiler sulla quinta stagione.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Tic tac. Tic tac. Tic tac.
Un ritmo lento, scadenzato, così monotono e irritante nella sua staticità da risultare quasi insopportabile. Nonostante raramente venisse apprezzato il suo consueto ticchettare, l’orologio appeso alla parete diffondeva coraggioso la sua protesta solitaria, quasi a riproporre lo stesso temperamento tenace della fanciulla rinchiusa nella cella dello sceriffo di Storybrooke.
A nulla erano valse le parole dolci di Biancaneve, le definizioni offensive di Regina o l’irritazione di Emma; nessuna delle tre donne, che si distinguevano ognuna per la propria personalità, era riuscita a scalfire la fortezza invalicabile che la ragazza dagli occhi verdi aveva costruito intorno a sé. Nessuna risposta concreta, nessun appiglio da cui partire. Soltanto silenzi e sorrisi sghembi che riuscivano solo ad aumentare il nervosismo generale.
Non appena la giovane aveva capito di essere caduta nella trappola della Salvatrice, un profondo senso di tradimento e perdizione si era impadronito di lei.
Aveva fallito; era stata una sciocca, stupida ragazzina emotiva, bisognosa di qualcuno che le tenesse compagnia nella realizzazione del suo piano. Ormai era chiaro, Henry era riuscito ad ingannarla in qualche modo portandola dritta dritta nella tana del lupo; anche se, nemmeno in quel momento, riusciva a capire come ci fosse riuscito, privo com’era del suo prezioso cuore; ma poco importava dopotutto. Lei era dietro le sbarre, intrappolata da una barriera magica costruita dagli “eroi” della situazione. Aveva ceduto nuovamente ai sentimenti che, per anni, le avevano offuscato il cuore, finendo per perdere di vista le sue reali priorità. Non era più la ragazzina solare e superficiale che fantasticava sul lieto fine; no, ora era una sopravvissuta, la sopravvissuta di un assurdo incubo che mai nessuno avrebbe creduto possibile. In quei giorni aveva intravisto così chiaramente la vittoria, aveva sfiorato con le sue stesse dita la speranza di vendicare la sua famiglia, che ora il sapore della sconfitta era quanto di più amaro avesse mai provato.
Ed ora eccola lì, prigioniera in una maledetta cella, di un maledetto ufficio, di una maledetta città.
Maledetto quel dannatissimo posto.
“Dicci chi sei?!”
La voce perentoria di Emma riecheggiò tra le spesse sbarre in acciaio che, in alleanza con la barriera magica, impedivano a Jean di allontanarsi da quel luogo.
“Che dire…” esclamò annoiata la ragazza, andando a sedersi sul polveroso letto a pochi passi da dove si trovava “…preferisco mantenere l’anonimato!” aggiunse, sorridendo subdola e soddisfatta.
“Bene!”
“Bene!” fece eco la giovane alla Salvatrice che, innervosita si diresse verso il suo ufficio, seguita a ruota da suo padre e Uncino che, con l’unica mano, chiuse lentamente la porta in vetro, quasi a non voler ulteriormente irritare la donna che gli aveva conquistato anima e corpo.
“Cosa facciamo?” chiese David, non appena ebbe raggiunto la figlia.
“Dobbiamo farla parlare…”
“Cosa che, però, non sembra molto incline a fare…” esclamò il pirata, stringendo leggermente le labbra e inclinando il capo, come faceva ogni qualvolta qualcosa non lo convincesse.
“Ha il cuore di Henry…”
“Forse…Regina e Biancaneve sono andate ad assicurarsene!” cercò di tranquillizzarla il padre, osservandola mentre camminava all’interno dell’esiguo spazio offerto dall’ufficio.
“E noi dovremmo rimanere qui a non fare niente?!”
La frustrazione sgorgava dalle parole della giovane Swan, insoddisfatta dalla piega che stavano prendendo gli eventi. Nel momento in cui era riuscita ad imprigionare la ragazza aveva avuto la presunzione che tutto si sarebbe risolto in un baleno; aveva così tanta fretta di godersi un po’ di meritata pace con Uncino e la sua famiglia che non aveva preso in considerazione il fatto che anche Jean poteva avere un piano di riserva, e la tranquillità che continuava ad ostentare ne era un esempio lampante. Quella prigionia avrebbe finito col ritorcersi contro di loro, ne era certa.
“Non penso parlerà tesoro…” esclamò Uncino, rimanendo vicino alla porta che dava verso l’uscita dell’edificio “…almeno non con le maniera che le abbiamo riservato finora…”
“Che vuoi dire?” chiese il Principe James, corrugando la fronte come la figlia.
“..bè…” cominciò il pirata, attento a non farsi sentire da Jean e avvicinandosi di qualche passo ai due “…quella ragazza non mi sembra molto incline a cedere. Ma è chiaro che voglia qualcosa…altrimenti perché venire qui e sporcarsi le mani per mantenere la sua copertura quando aveva già con sé la magia di Regina?!”
“Hai ragione…se le fosse bastata quella non sarebbe venuta fin qui…” esclamò Emma, seguendo il ragionamento dell’uomo dagli occhi blu “Le serve qualcos’altro…”
“Già…qualcosa che probabilmente abbiamo noi…”
“Vuoi offrirle un accordo?” chiese sospettoso David, spaventato da quello che la prigioniera avrebbe potuto chiedere.
“Certo…le offriremo un accordo…ma non ho detto che lo rispetteremo!” sorrise soddisfatto Killian, mettendo in risalto la piccola fossetta sula guancia.
“Tipico atteggiamento da pirata…” non riuscì a trattenersi il principe, non più così soddisfatto dall’idea proposta dall’uomo in giacca di pelle.
Non c’era verso, Killian poteva cambiare abito, mettere perfino una mano finta al posto dell’uncino, ma avrebbe sempre finito col ragionare come un pirata e il suo suggerimento ne era la prova. Non sopportava quel suo modo di fare così…poco corretto. Non era quello il modo di agire; o meglio, non era quello il modo di agire dei buoni.
Già e qual era allora? Il pirata per lo meno aveva pensato ad un modo per aiutare Emma; lui poteva dire lo stesso? No di certo; l’unica cosa che gli era venuta in mente era stata assicurarsi delle condizioni di Henry, facendo così allontanare una Regina a dir poco fuori di sé e sempre più incline a vestire i panni della cara “Regina Cattiva”.
In concreto, però, il Principe non sapeva cosa fare. Jean lo aveva davvero ingannato; non riusciva a spiegarsene il motivo, ma fin da subito si era lasciato stregare dall’innocenza nascosta dietro a quegli occhi verdi. Da quando l’aveva vista, quella sera accompagnata da suo nipote, era stato posseduto dalla strana percezione che avesse bisogno di un aiuto, di qualcuno che le desse l’opportunità di ricominciare; aveva perfino suggerito ad Emma di esserle amica, criticando la sua freddezza. E com’erano andate le cose? Jean era una ladra di magia, nonché praticante di arti oscure come lo strappare cuori dai corpi. Che dire, una combinazione perfetta.
La proposta di Killian non era delle più nobili, certo, ma doveva ammettere che, in tutto quel tempo passato insieme, il pirata era cambiato; non era più lo stesso uomo sbruffone e con problemi di alcolismo. Ok…sbruffone lo era ancora, e qualche goccetto non se lo faceva sfuggire, ma aveva più volte dimostrato di non essere più guidato da sentimenti di odio o di vendetta; al contrario, da quando era iniziata la loro avventura sull’Isola Che Non C’è, non aveva fatto altro che pensare al bene di sua figlia. Sembrava ieri quando il giovane Jones lo aveva ingannato con la storia del sestante di suo fratello pur di salvargli la vita.
E adesso era qui, ancora intento a giudicarlo. Doveva smetterla di essere così duro con lui, non così spesso almeno, e iniziare a dargli una possibilità, anche quando le sue proposte discostavano così tanto dal suo pensiero.
“Ok…facciamolo!” dichiarò Emma che, senza attendere una conferma da parte del genitore, uscì fuori dal suo ufficio, dirigendosi con passo spedito di fronte alla cella di Jean, seguita a ruota dai due uomini.
“Ok vediamo di farla finita…che cosa vuoi?!” le chiese, incrociando le braccia al petto e trattenendo a stento la rabbia.
“…delle patatine…sto morendo di fame!” rispose la ragazza, la quale, stesa sulla branda, non dava il minimo cenno di voler guardare Emma negli occhi.
“Cosa che risolverebbe ogni mio problema!” rispose brusca la Salvatrice.
“Già…ma perderesti per sempre il cuore di Henry!”
“Co…”
Per un istante, la Salvatrice ebbe la sensazione di aver perso la voce. Aveva capito bene?! Aveva davvero parlato del cuore di Henry con tanta facilità? No…non poteva essere. Certo, fin da subito aveva avuto l’orribile sensazione che Jean avesse immerso la sua mano nel petto del figlio, ma Regina le aveva più volte assicurato che il cuore di Henry era protetto da un potente incantesimo, impossibile da infrangere, persino per Peter Pan. Ma allora perchèil suo super potere non avvertiva il minimo accenno di una menzogna?!
“Quindi ammetti di avergli strappato il cuore?!” sbottò la bionda, aggrappando le mani bianche alle sbarre.
“A questo punto non penso sia più un segreto…mi sembra già di sentire Regina che ordina di tagliarmi la testa…” tentò di ironizzare la giovane, non riuscendo però a nascondere un velato senso di amarezza.
“Ridammi. Il. Suo. Cuore!”
Emma stava per perdere il controllo, e il colorito rossastro emesso dalle sbarre incandescenti ne era una prova lampante.
Aveva preso il cuore di Henry, quella maledetta ragazza aveva il cuore di suo figlio; non le serviva una confessione più chiara di quella.
Nonostante si trovasse dietro le sbarre, Jean continuava ad essere in una posizione di vantaggio, come lo era sempre stata dal suo arrivo a Storybrooke ed era arrivato il momento di cambiare le carte in tavola.
-Il piano di Uncino…- una voce nella sua mente le ricordò quanto Killian le aveva detto poco prima nel suo ufficio, infondendole la possibilità che, forse, non tutto era perduto. Avvertendo la presenza del pirata a pochi metri da lei, Emma si preparò a mettere in atto il piano del giovane Jones.
La ragazzina era sveglia? Bene, loro lo sarebbero stati di più. In fin dei conti erano riusciti a rinchiuderla in quella cella, senza troppi problemi per giunta. Rimaneva una sola cosa da fare: capire cose volesse e proporle uno scambio.
Emettendo un sospiro a dir poco forzato, la Salvatrice staccò le mani dalle sbarre, ritrovando la calma che, fino ad ora, sembrava essere completamente assente.
 “Te l’ho già chiesto…cosa vuoi?”
“E io ti ho già risposto…” continuò la ragazza, ferma nella sua posizione supina.
“…cosa vuoi….in cambio del cuore di Henry?”
Incuriosita dalla piega che aveva preso la conversazione, Jean si alzò di scatto dalla brandina su cui era rimasta sdraiata fino a quel momento, apparendo straordinariamente silenziosa con le sue scarpe impolverate. Le parole di Emma avevano decisamente fatto centro, incuriosendo non poco la ragazza dai lunghi capelli castani.
Lentamente, Jean si avvicinò alle sbarre della cella. I capelli, raccolti in un disordinato chignon, mettevano maggiormente in risalto il suo volto pallido e i grandi occhi chiari, dai quali si poteva leggeva chiaramente il sospetto e il dubbio insiti nella ragazza.
“Mi stai proponendo un accordo?”
“Forse…”
La giovane Swan strinse forte le mani a pugno, controllandosi non poco per non distruggere la barriera magica creata grazie all’aiuto di Belle.
Per un secondo il silenzio regnò sovrano tra le due, le quali non sembravano affatto intenzionate a staccare lo sguardo l’una dall’altra. Quattro occhi immersi ognuno nelle iridi chiare dell’altro, carichi di sentimenti impossibili da lavare via da quello sguardo verde e penetrante: tristezza, rabbia, malinconia, rancore, sentimenti così diversi e, allo stesso tempo, così affini.
“No invece…” esclamò la ragazza, sorridendo.
“No cosa?!”
“Volete fregarmi…”
Emma si limitò a corrugare leggermente la fronte, mantenendo i nervi saldi, come solo una cacciatrice di taglie sapeva fare.
“Pensavo di averti già fregato…” sottolineò Emma, indicando la cella in cui era rinchiusa.
“Lasciami indovinare…” cominciò la prigioniera, ignorando la battuta della bionda e spostando lo sguardo dietro le sue spalle “…volete propormi un accordo, ottenere il cuore di Henry…e in cambio lasciarmi qui…giusto?!”
Emma non riuscì a fare a meno di spalancare gli occhi, colpita dall’ovvietà con cui quella ragazzina aveva elencato ogni loro singola azione, presente o futura che fosse; come aveva fatto? Era riuscita a sentirli? Poteva leggere nelle loro menti? Impossibile, ne avrebbe sicuramente approfittato per evitare di cadere in quella loro trappola. Sempre se, a quel punto, ci fosse caduta di sproposito. Era davvero così scaltra?
Emma rimase in silenzio, osservando Jena come con sguardo duro e diretto.
“Ehi...pensavo avessi smesso di fare il pirata!?” urlò la castana all’uomo con l’uncino, aggrappandosi alle sbarre come aveva fatto Emma poco prima.
Killian, a pochi metri dalle spalle della Salvatrice, irrigidì la mascella, lanciando uno sguardo incuriosito verso la fanciulla che di certo non rispondeva al nome di Jean.
“Mai…tesoro!” le rispose, sorridendo senza però riuscire a coinvolgere il suo penetrante sguardo oltreoceano.
Jean sorrise a sua volta, per poi staccarsi di scatto dalle sbarre della sua insolita prigione, come se avessero improvvisamente iniziato a bruciare.
“Vuoi sapere cosa voglio?....bene…” esclamò innervosita, come se tutto ciò la colpisse direttamente al cuore; cuore che sembrava quasi non possedere “…voglio i tuoi poteri Salvatrice!”
“Che cosa?!”
La voce di Killian, a poca distanza da dove si trovava Emma, anticipò la risposta di quest’ultima; velocemente il giovane Jones si avvicinò a sua volta alle sbarre, come a voler sostenere la donna che amava in un momento tanto delicato. Tutto avrebbe mai immaginato, ma non che la richiesta riguardasse la magia di Emma, soprattutto dopo aver appurato l’abilità della giovane nell’impossessarsi di ciò che voleva senza bisogno di chiedere il permesso.
“I miei poteri…?!” ripeté sconvolta Emma, spalancando nuovamente le iridi verdi dei suoi occhi.
“Esatto” confermò la ragazza, allargando le braccia con fare ovvio “…se avessi potuto toglierti la magia come ho fatto con Regina non saremmo qui…fidati…”
“Non mi dire…”
“Con la magia del sangue è sempre un gran casino! Limitiamoci a dire che mi serve che sia tu a darmela…Se lo farai…ti ridarò il cuore di Henry. Promesso!” esclamò, facendo seguire all’ultima parola un’immaginaria croce sul cuore che fece ulteriormente ribollire il sangue della Salvatrice.
“E se non lo facessi? Potrei trovare il cuore di Henry senza bisogno che sia tu a darmelo…”
“Certo!....ma allora che ci fate qui?…” esclamò Jean, deglutendo a fatica.
Era tutto così difficile, così maledettamente difficile.
Certo, fin dall’inizio sapeva che il suo piano aveva una possibilità di riuscita pari a zero; come sapeva che tutto ciò in cui credeva, tutti i suoi ricordi, il suo amore, sarebbero stati messi a dura prova per l’intero arco del suo soggiorno lì a Storybrooke. Ma essere lì, vivere e toccare con mano ogni istante, parlare e ferire chi aveva davanti, era quanto di più difficile e doloroso avesse mai immaginato. Ad ogni parola, ad ogni sguardo il suo cuore sembrava riempirsi di veleno, un veleno tanto tossico da riuscire ad annebbiarle la vista, come solo le lacrime sapevano fare; e forse, in quel momento, proprio di quelle si trattava.
“E a cosa ti serve tutta questa magia…Jean?” sottolineò il nome la Salvatrice “...chi mi dice che poi non ci ucciderai uno ad uno…”
Per un attimo, Emma non seppe spiegarlo, ma qualcosa nello sguardo della ragazza cambiò; gli occhi divennero improvvisamente lucidi e più verdi di quanto fossero mai stati; le guance assunsero un colorito rossastro, come dovuto ad un’eccessiva circolazione sanguigna, e il labbro inferiore sembrò tremare in maniera quasi impercettibile.
Sembrava incredibile ma quella ragazzina stava…per piangere; come la bambina del suo sogno.
“L’accordo è questo…o mi dai la tua magia o puoi dire addio al cuore di….tuo figlio! Prendere o lasciare…” mordendosi il labbro inferiore, la ragazza tornò a stendersi sulla brandina, incrociando le braccia sopra gli occhi, quasi a volersi letteralmente distaccare da ogni essere vivente presente nella stanza.
L’ennesimo round con quella ragazza era finito. Ora rimaneva una sola cosa da chiedersi: cosa fare?
Senza aggiungere altro, Emma uscì velocemente dalla Stazione di Polizia, deviando gli sguardi preoccupati dei due uomini che più l’amavano lì a Storybrooke.
La sua magia. Quella ragazza voleva la sua magia in cambio del cuore di Henry. E se non avessero trovato il modo di recuperarlo da soli, cosa avrebbe dovuto fare? Darle la magia e sperare che non facesse una strage o non architettasse qualche diabolico piano come gli ultimi visitatori di Storybrooke.
Solo dopo aver percorso una considerevole distanza dal suo ormai familiare posto di lavoro, Emma si accorse di non aver dimenticato il suo cappotto grigio. Faceva freddo, certo, ma non sarebbe ugualmente tornata indietro a recuperarlo; un altro istante lì dentro e avrebbe di certo agito nella maniera più sbagliata.
Quella ragazza era così prepotente, sleale, così cattiva che…che….
Non riusciva davvero a capacitarsene, ma neppure in quel momento, la giovane dai capelli dorati riuscì ad allontanare quella strana sensazione, depositata ormai da tempo dentro di lei. Stava trascurando qualcosa.
Jean aveva il cuore di Henry, la magia di Regina e li aveva ingannati tutti fin dal primo istante; nonostante ciò, il suo cuore continuava a dirle di guardare oltre, oltre quel modo di fare freddo e calcolatore, oltre tutto ciò di così ovvio a prima vista. Ma cos’era?
-…sta arrivando…e io non sono pronta!-
Bloccandosi improvvisamente sul marciapiede, Emma ripensò alle parole pronunciate da Jean durante quello che, oramai, aveva classificato come sogno. Perché le era venuto in mente proprio ora?
Ricominciando a camminare, Emma ripensò a quanto era accaduto durante il suo ultimo “delirio ad occhi chiusi”. Quella bambina era Jean, ne era certa; ma perché in quei momenti non le dava alcuna impressione di essere malvagia? Al contrario si era mostrata dolce, intristita, forse piena di dolore, ma mai cattiva; sembrava quasi volerla aiutare, nonostante non perdesse occasione di sconvolgerla in qualche modo.
Con la mente sempre più confusa, Emma chiuse gli occhi, cercando in tutti i modi di resistere al freddo di quella sera. Un minuto in più lì fuori e sarebbe congelata e per quanto odiasse ammetterlo era arrivato il momento di rientrare.
Inconsciamente aveva raggiunto la casa dei suoi genitori, ulteriore motivo per mettere un freno a quelle infinte riflessioni, così cariche di dubbi e domande. Lentamente, Emma si portò le mani alle braccia, frizionandole come poteva per recuperare un po’ della sua temperatura corporea, come aveva fatto durante il suo primo incontro con Elsa. Faceva davvero freddo e quella sua maglietta grigia, con la stampa di un corpetto nero davanti, non era decisamente l’abbigliamento giusto per affrontare simili temperature.
“Ehi Swan…sei impazzita…qui si gela!”
Ed eccolo qui. Il suo Principe pronto a salvarla. Anche se, a pensarci bene Killian aveva poco del principe e di azzurro aveva solo lo sguardo. Forse era più corretto dire: il suo Cavaliere.
Per un momento, seguendo con lo sguardo il giovane Jones avvicinarsi a lei, Emma ebbe l’impressione di vedere l’immagine di quella che avrebbe dovuto essere la sua cameretta nel mondo delle favole, dove a decorare la stanza erano state appese alle colonne in legno due bambole di pezza, un cavaliere e un ufficiale; un immagine fugace, quasi un ricordo lontano, che cerco di chiarire muovendo leggermente la testa. Nulla di verosimile, lo sapeva bene, dopotutto lei non aveva mai visto quella stanza in ottime condizioni, ma solo le rovine rimaste in seguito al sortilegio di Regina; ma le piaceva pensare che quella breve e piccola immagine potesse rappresentare un ricordo, un ricordo di quella che sarebbe potuta essere la sua vita se le cose fossero andate diversamente. *
Chissà perché si ritrovava a fare quei pensieri proprio in quel momento.
Senza dire una parola, Killian si accostò alla donna, posandole sulle spalle il cappotto che aveva dimenticato alla centrale, e massaggiandole delicatamente le braccia.
“Vieni ti accompagno a casa…” le propose Uncino, cingendole le spalle con il suo braccio destro.
“Ha il cuore di Henry…”
“Lo so…e ce lo riprenderemo tesoro!”
“E come? Dandole la mia magia?...Ci mettiamo da soli la corda al collo?” chiese di seguito la Salvatrice, non preoccupandosi minimamente di esternare la sua preoccupazione.
Ed era questo ciò che amava di più: la possibilità di essere se stessa in sua presenza; l’opportunità di non preoccuparsi di nulla, né di apparire debole né di esprimere le sue paure più profonde. Era se stessa, in ogni sua sfaccettatura, dalla più dura alla più morbida.
“Anche se dovessi trovarti nella situazione di doverle dare la tua magia Swan…questo non cambierà niente…” cominciò il pirata, guadagnandosi uno sguardo a dir poco sbalordito di fronte a quelle parole tanto sentite“…tu sei in grado di salvare questa città con o senza la tua magia. E lo hai dimostrato in varie occasioni…con Zelena…”
“Già…perché ci ha pensato la magia di Regina…” sottolineò Emma, storcendo leggermente la bocca delineata.
“…ma tu non hai idea della forza e della speranza che riesci a dare!….” continuò Killian, staccandosi da lei e guardandola dritta negli occhi “Sei vitale per questa città e per le persone che hai attorno…riesci a rendere felice chi hai davanti e nemmeno te ne rendi conto…non hai bisogno di nessun tipo di incantesimo o magia!” aggiunse con sguardo emozionato “Te l’ho già detto tesoro…non ti ho mai vista fallire…e so che non succederà proprio ora!”
La voce del pirata, solitamente così sicura e audace, si fece improvvisamente bassa e rotta da una commozione impossibile da descrivere a parole; quella donna era comparsa senza alcun preavviso nella sua vita e ora, davanti a lui e con lo sguardo lucido e smarrito, era ciò che di più caro avesse al mondo; lei, così poco abituata a sentirsi essenziale per qualcuno, ma così speciale da essere unica e insostituibile.
Gli era stata presentata come Emma Swan la Salvatrice; una donna sicura di sé e pronta a tutto pur di aiutare il figlio. Non sapeva cosa avrebbe dovuto salvare e, forse, non lo avrebbe mai saputo, ma una cosa era certa; Emma Swan era il suo lieto fine, e lo sarebbe sempre stato, nonostante tutto.
Senza dire nulla, Emma eliminò qualsiasi distanza che la separava dal pirata, lasciando che le sue labbra aderissero perfettamente alla bocca di quell’uomo così passionale e sincero.
Perché Killian sarebbe potuto essere descritto come il pirata perfetto, scaltro e arrogante come pochi, e probabilmente sotto sotto lo sarebbe stato per il resto della sua vita, ma mai nessuno le aveva parlato a cuore aperto come faceva lui ogni qualvolta le fosse di fronte; nessuno riusciva a farle battere il cuore a quella frequenza; e nessuno si preoccupava di stringerla, come faceva lui in quel momento, attento a non farle cadere il cappotto dalle spalle.
Non aveva solo vinto il cuore; Killian Jones stava facendo rotta dritto verso la sua anima.
 
 
***
 
“Mamma…dove stai andando?”
La voce di Henry echeggiò tra le mura del loft, intento a fare colazione con cereali al cioccolato sopra al bancone della cucina di Biancaneve, con addosso una semplice camicia a quadri rossa e blu e un paio di jeans.
Il sole splendeva alto sopra la cittadina delle favole, rischiarando ogni cosa i suoi raggi riuscissero a trafiggere con la loro luminosità. Nessuna nuvola all’orizzonte, nessuna minacciosa tempesta in arrivo; solo brezza e pace. Perché era quella la principale sensazione che defluiva dalla temperatura e dall’atmosfera di quella mattina: un così intenso senso di calma e tranquillità da donare un non so che di perfetto a quella calda giornata.
Non vi era alcun dubbio su quanto fosse piacevole lasciarsi riscaldare da quei raggi mattutini; ma forse, ancor più piacevole per Emma, era poter indossare nuovamente la sua giacca di pelle, la stessa giacca che Uncino aveva definito come “poco alla moda” nella foresta incantata.
Ripensare a quella loro avventura riusciva ancora a farla sorridere, nonostante tutto.
Quella giornata era perfetta, sotto ogni punto di vista, più perfetta dei ricordi risalenti a New York; ma, nonostante ciò, qualcosa non tornava. Già, perché nonostante il sole, nonostante Henry fosse lì accanto a lei e nonostante ogni cosa sembrasse al suo posto, c’era qualcosa di strano in quell’atmosfera, qualcosa di inafferrabile.
“Vado da Regina…dobbiamo trovare il modo di recuperare il tuo cuore ragazzino…” gli rispose Emma, intenta ad allacciare i suoi stivali neri seduta sopra al divano a due posti.
“Quale cuore mamma?” chiese il ragazzino, sorridendo divertito, per poi tornare a concentrarsi sulla sua colazione a base di cacao.
La giovane Swan rimase per un attimo interdetta di fronte alla strana risposta da parte del figlio. Il modo in cui aveva sorriso, la rilassatezza dipinta sul suo volto, sembrava quasi che nulla degli ultimi eventi lo avesse minimamente scalfito. Evidentemente aveva voglia di scherzare e, a dirla tutta, non gli avrebbe di certo fatto male, vista l’ombrosità che lo aveva caratterizzato in quegli ultimi giorni.
Senza aggiungere altro Emma uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle senza mai alzare lo sguardo.
La bionda rimase per qualche istante ferma nella sua posizione, con la mano destra ancora appoggiata alla porta in legno verde. Quella sensazione continuava ad innervosirla e la voglia di venirne a capo rischiava di rovinare la perfezione della giornata. Era la stessa percezione di un ricordo sulla punta della lingua, pronto ad essere memorizzato perfettamente, ma impossibile da vedere perché proprio dietro l’angolo. Era difficile da spiegare, ma sapeva di essere davanti ad una rivelazione, una ovvia rivelazione che continuava a sfiorarle la mente, passandole davanti allo sguardo con un’ovvietà disarmante.
Quella giornata era iniziata così bene che non se la sarebbe lasciata rovinare da una sciocca sensazione; doveva imparare ad andare oltre il suo critico “superpotere” e sorridere come aveva fatto Henry poco prima.
Ora era il momento di andare da Regina e, una volta risolto tutto, avrebbe ricominciato a vivere la sua vita, partendo con la scelta di una casa tutta sua.
“Ma che…”
Nel momento in cui Emma alzò lo sguardo, pronta a realizzare i suoi propositi, si trovò davanti ad un immenso prato verde, perfettamente colto e guarnito da una variopinta scelta di fiori, ognuno di una tonalità diversa, simile ai pastelli dei colori. Alte querce e pini verdi, impossibili da trovare a Storybrooke, contornavano ogni cosa, rendendo quella vista simile all’opera di un artista.
Tutto appariva così perfetto e immacolato da non poter essere classificato come un reale paesaggio moderno e, in cuor suo, Emma Swan sapeva benissimo quale spiegazione dare a quel pittoresco prato comparso nella palazzina di Biancaneve.
Proprio lì, al centro di quella immensa distesa verde, vi era Regina, seduta tra i fiori accanto ad una ragazza dai capelli castani; una ragazza che, oramai, avrebbe riconosciuto ovunque e sotto qualsiasi sembianza.
Con occhi increduli, Emma osservò la scena che le si era parata davanti, ricordando in continuazione a se stessa di cosa si trattasse in realtà: un maledetto inganno della mente. Ma com’era possibile? Jean era rinchiusa in una cella magica che bloccava completamente la sua magia. Come poteva giocare di nuovo con la sua mente?
Ogni cosa di quanto stava vedendo oltrepassava oltre ogni dire i limiti dell’assurdo. Regina non poteva trovarsi lì, seduta in mezzo all’erba, incurante di poter macchiare il suo impeccabile abito firmato, accanto a Jean, la ragazza responsabile di aver rubato il cuore al loro figlio.
Sogno o meno, tutta quella storia doveva finire, ne aveva abbastanza.
“Ehi!” urlò Emma, correndo in direzione delle due figure a poca distanza da dove si trovava “Regina!?”
Regina, però, non rispose e non diede alcun segno di aver udito la voce della Salvatrice, né di aver colto il suo volto scioccato ad un metro da lei; continuava a rimanere seduta lì, intenta a fissare le mani della ragazza accanto a lei, la quale a sua volta, pareva non aver notato la presenza di Emma.
“Allora?…mi vuoi dire che sta succedendo?” insistette la bionda tentando di toccare la spalla della donna, ma accorgendosi solo in quel momento di non avere la forza di muovere un solo muscolo in direzione delle due presenti; era come se una forza invisibile e indescrivibile, le impedisse di toccarle o anche solo sfiorarle.
Allora era davvero di nuovo un sogno?
Ma non era possibile. Quella mattina ricordava benissimo di essersi alzata, di aver parlato con Henry di quanto facesse caldo quella mattina e di…
Un secondo. Faceva caldo?...non era possibile, non poteva fare così caldo, soltanto ieri aveva rischiato l’ennesimo congelamento dopo essere uscita senza cappotto.
Ma, ad ogni modo, lei ricordava benissimo di essere rientrata a casa, di essersi fatta una doccia, di essere andata a dormire e poi di essersi svegliata…svegliata…in un sogno.
Perciò, era vero, era finita di nuovo nella trappola di Jean, in uno dei suoi maledetti sogni ad occhi aperti, nonostante si trovasse rinchiusa in prigione.
Questa volta senza rendersene minimamente conto.
Doveva svegliarsi, doveva svegliarsi ad ogni costo, prima che quel posto cominciasse ad assumere le sembianze dell’inferno sulla terra come le ultime volte.
Istintivamente Emma alzò il suo braccio destro, con la speranza che bastasse un semplice e risaputo pizzicotto per riprendere il totale controllo del suo corpo e della sua mente; ma ciò che vide la lasciò nuovamente senza parole. Il braccio, fino a poco prima coperto dai suoi abiti, ora appariva nudo, illuminato dal sole splendente di quella giornata. Lentamente e con il cuore accelerato dalla preoccupazione, la donna guardò il resto del suo abbigliamento, accorgendosi solo in quel momento di indossare abiti del tutto diversi da quelli che aveva indossato, ma per nulla sconosciuti: una vecchia canottiera grigia, macchiata d’erba e sudore, e dei classici pantaloni neri a loro volta segnati dall’uso.
Gli stessi vestiti che aveva indossato durante la ricerca di Henry sull’Isola che Non C’è.
Con timore, la giovane Swan alzò anche il braccio sinistro scoprendo, solo in quel momento, di stringere tra le mani l’elsa della spada un tempo appartenuta a Neal. Aveva le stesse sembianze, i stessi vestiti, gli stessi oggetti, usati in passato. Ma perché?
-Che cosa…- pensò tra sé e sé Emma, corrugando la fronte e stringendo con più forza la preso su quell’elsa antica.
“Possiamo fare una pausa?...sono stanca…” sbuffò Jean, appoggiando i gomiti all’indietro e lasciando che il vento le accarezzasse i lunghi capelli scuri.
“Direi di no…abbiamo appena iniziato!” le rispose severa Regina “…riprova!”
“Ma riesci a capire cosa mi stai chiedendo?” sbottò la ragazza, guardando la Mills dritta negli occhi.
“Se te l’ho chiesto…”
“E se poi non riesco a ridartela? Ci hai pensato”
“Non credo ce ne sarà bisogno…ma impareremo anche quello…” la rassicurò la giovane Mills, posandole una mano sulla testa castana e sorridendole fiduciosa.
“ok ne ho abbastanza!” sbottò Emma non curandosi minimamente del dialogo tra le due “…smettila di tormentarmi con i tuoi trucchetti da quattro soldi! Che pensi di fare? Di spaventarmi? Prima mi fai vedere la casa della mia famiglia distrutta, poi la mia tomba…e ora? Cerchi di confondermi e farmi credere che Regina collabori con te? Ma fammi il piacere …se pensi di…”
“Emma…”
L’improvvisa voce di sua madre fece voltare di scatto la Salvatrice interrompendo quell’inusuale monologo carico di rabbia e frustrazione.
Con un dubbio difficile da celare, Emma rimase interdetta, non riuscendo a compiere un solo passo nella direzione della ormai familiare figura di Biancaneve, i cui lunghi capelli scuri e il mantello bianco apparivano identici alle raffigurazioni presenti nel libro di Henry.
Quando la giovane Swan pensava di aver capito qualcosa, tutto sembrava assumere contorni ancora più assurdi e impossibili, alimentando oltremodo la sua voglia di allontanarsi da quel luogo.
“Tu non puoi essere qui…” esclamò, fissando la donna di fronte a lei.
“No…in effetti…e nemmeno tu dovresti esserci Emma!”
“Continuate a ripetermelo…ma, credimi, non ci sono arrivata di mia spontanea volontà!” spiegò brusca la Salvatrice.
“Lo so…è stata lei!” le spiegò Biancaneve con voce serena, indicandole con lo sguardo la ragazza seduta sul prato accanto a Regina, intenta a creare un insolito cerchio dorato davanti a loro.
“Lei? Jean?”
“La ragazza insieme a Regina…esatto!”
“Chi mi dice che tu sei mia madre…e non uno dei suoi inganni…” esclamò dura Emma, alzando la spada e puntandola contro la figura nivea della madre.
“Tesoro…non posso darti alcuna dimostrazione di chi io sia…” le spiegò la donna, con un lieve sorriso dipinto sul volto “…effettivamente potrei non essere chi credi, o semplicemente potrei essere una persona diversa, cambiata nel tempo…”
Nel momento in cui Biancaneve esclamò l’ultima parola, l’immagine della donna mutò per una frazione di secondo, apparendo più adulta e in là con gli anni, con lo sguardo contornato da rughe fino a poco prima inesistenti e con segni dell’età impossibili da non notare. Quello strano scherzo di luce durò così poco da apparire quasi un’allucinazione, uno scherzo incontrollato della mente.
Emma rimase sconvolta, impossibilitata perfino ad emettere un solo fiato. I lunghi capelli biondi vennero sfiorati dalla candida brezza di quel luogo fatato, finendo per sfiorarle il braccio tonico, la cui spada, stretta a pugno, non puntava più la sua punta affilata verso la donna davanti a lei.
“Ogni cosa che vedi intorno a te, Emma, è una proiezione della sua mente…”
“Della...sua…mente?”
“Sì…non lasciare che il dubbio ti accechi…non lasciare che i suoi errori e le sue paure condizionino le tue decisioni…” disse Biancaneve, con sguardo tanto triste da apparire quasi ferito.
“Ma…non so nemmeno chi sia?!”
“Lei…è il futuro!”
“…il futuro?” ripeté scioccata Emma, deglutendo a fatica la saliva fino allora trattenuta.
“Esatto...è il futuro…il nostro futuro!”
Sempre più sconvolta, Emma posò nuovamente lo sguardo verso la giovane accanto a Regina, accorgendosi per l’ennesima volta della confidenza e della familiarità con cui le due si parlavano e, soprattutto, si sorridevano.
“V…vuoi dire che…Jean viene dal futuro?…” chiese con voce tanto stanca quanto incredula, sollevando nuovamente la spada e avvicinandosi di un’ulteriore passo all’unica persona che in quel luogo paresse simile ai suoi ricordi.
“Emma devi aprire la mente e il cuore…tutto ciò che vedi ha un senso…”
“Tutto ciò che vedo? Io vedo solo Regina insieme alla ragazza che le ha rubato la magia e il cuore di Henry! E tu mi stai dicendo che lei è il futuro…il futuro di chi? Di Regina? “ chiese con tono più alto, puntando l’indice della mano destra verso la figura alle sue spalle “Impossibile. Voglio sapere chi è…e voglio saperlo in modo chiaro, senza tutti questi giri di parole” esclamò sfinita la Salvatrice, i cui occhi apparivano arrossati e lucidi.
“Lei…è…” cominciò Biancaneve con voce mesta “lei è la speranza…”
 
 
***
“Ehiiiii”
La voce cristallina di Jean fece alzare di soprassalto il volto di Emma, appoggiato fino a quel momento sopra la scrivania del suo ufficio. Strano, non ricordava di essersi appisolata.
La sera sembrava essere scesa da un pezzo e con essa le basse temperatura di quel periodo dell’anno.
Massaggiandosi stancamente il mento, Emma cercò di stiracchiare i muscoli, rendendosi conto di aver lasciato un segno non indifferente sul suo volto roseo. Perfetto, chiunque avrebbe capito che la Salvatrice aveva dormito durante la guardia.
Raccogliendo i capelli dietro una coda alta, la bionda cominciò a guardarsi in torno, tentando di recuperare in fretta la lucidità e la chiarezza che da sempre la caratterizzavano. Odiava addormentarsi a quel modo, le dava la sensazione di non avere pieno controllo delle sue azioni e di ritrovarsi in balia degli eventi.
Lentamente si alzò dalla sedia, lanciando una veloce occhiata all’unica prigioniera presente alla stazione di polizia. La sera prima, dopo essere stata accompagnata a casa da Killian, Emma aveva concordato con quest’ultimo e la sua famiglia di organizzare dei turni di guardia alla Centrale, in modo tale da sorvegliare la ragazza fino al ritrovamento del cuore di Henry. Meno tempo trascorreva da sola e più l’intera città avrebbe potuto dormire sonni tranquilli.
Non appena Emma aveva parlato della richiesta di Jean di avere i suoi poteri, tutti i presenti, compresa Regina, avevano convenuto con il fatto che anche il considerare la cosa era da folli con manie suicide. Arrivati a quel punto, la magia di Emma rappresentava l’unica barriera protettiva di quella città e donarla a Jean era decisamente fuori questione.
Rimaneva da fare un’unica cosa: ritrovare il cuore, senza l’aiuto della colpevole.
Arricciando lievemente il naso, la giovane Swan percepì un velato odore di fumo, quasi impossibile da percepire. Ad una prima impressione, quel lieve pizzichio alle narici dava quasi l’impressione che qualcosa all’interno dello stabile stesse andando a fuoco, qualcosa di piccolo, come un foglio di carta.
Velocemente, Emma fece il giro dello stabile, pregando con tutta se stessa affinché  i suoi sospetti non fossero fondati; un incendio era proprio ciò che mancava in una situazione come quella.
Stanza degli interrogatori. Sgabuzzino. Bagni.
Tutto era in perfetto ordine, avvolto in un alone di silenzio e solitudine. A quell’ora, poco dopo cena, la città sembrava cadere in una sorta di sonno collettivo, rendendo sorprendentemente facile immaginare i suoi abitanti all’interno delle loro case, in compagnia delle persone che amavano. Quella sera, però, anche l’idea dei suoi abitanti a riposo veniva offuscata da quell’odore fastidioso e irritante.
Con sguardo corrucciato, Emma tornò nel suo ufficio, ritrovandosi ad osservare la scrivania che, fino a poco prima, l’aveva accolta in un insolito riposo.
Aveva sognato di nuovo, ne era certa, solo che questa volta, rispetto ai sogni passati, faticava a ricordare con chiarezza cosa fosse accaduto. Per quanto si sforzasse, le uniche cose che riusciva ad ottenere erano brevi frammenti di immagini sfocate, le cui protagoniste parevano essere sua madre e Regina.
“Ehiiii…ci sei? Urlò di nuovo la ragazza “lo so che mi senti…!”
L’ennesimo richiamo da parte di Jean fece alzare al cielo lo sguardo di Emma.
Con fare annoiato la bionda guardò l’orologio; suo padre sarebbe arrivato a breve.
Avrebbe potuto continuare ad ignorarla e attendere l’arrivo di David; rischiando però che quella ragazzina le incrinasse il sistema nervoso a suon di richiamarla, rendendo gli ultimi minuti del suo turno di guardia a dir poco logoranti. Decisamente una cattiva idea.
Emettendo un sonoro sbuffo, Emma uscì dalla stanza, dirigendosi verso la cella su cui era rinchiusa la ragazza.
“Che vuoi?!”
“Perché sei ancora qui?…quando viene tua madre? Lei di solito è più gentile!”
“Mi dispiace…oggi ci sono io, e per oggi niente Mary Margaret!” sottolineò la Salvatrice, porgendo alla ragazza un sorriso freddo e distaccato.
“Che gioia…” si limitò a dire Jean, volgendo lo sguardo verso la finestra che dava sulla strada.
“Dovevi dirmi altro?!”
“No…o meglio sì…Sento puzza di bruciato…”
“Oh tu guarda…pensa che io dico la stessa cosa da quando sei arrivata!”
“Ah ah…divertente!” finse una risata la castana, incrociando le mani al petto e tornando a fissare negli occhi la donna davanti a sé.
Accadeva raramente che la prigioniera volgesse lo sguardo direttamente verso Emma, e quando accadeva quegli occhi sempre duri e sicuri di sé parevano quasi incrinarsi e divenire più umani del solito. Forse era quello il motivo per cui, ogni qualvolta si trovassero faccia a faccia, Jean deviava lo sguardo, preferendo porgere le spalle, assumendo il tipico atteggiamento da adolescente frustrata e disinteressata.
In quel momento, però, la fanciulla guardava Emma dritta negli occhi, non riuscendo a nascondere quel costante senso di angoscia e inadeguatezza che, in varie occasioni, sembravano attraversarla.
“…è da un po’ che lo sento…sta bruciando qualcosa?” tornò a chiedere Jean, i cui capelli le ricadevano sciolti lungo le spalle, quasi a voler imitare l’andamento ondulato delle ciocche bionde davanti a lei.
“Non qui…” esclamò seria Emma, volgendo a sua volta lo sguardo verso la vetrata a pochi metri da loro “…forse qualcosa qui vicino!”
“Puoi assicurartene?”
“Che c’è?!...paura del fuoco?” chiese sarcastica Emma, non riuscendo a fare a meno di incrociare le braccia al petto come aveva fatto poco prima la stessa Jean.
“…sì!”
La risposta spiazzò decisamente la Salvatrice che, per un attimo, si ritrovò a fissare quel volto giovane e delicato.
Aveva paura del fuoco e lo aveva ammesso con tanta sincerità da apparire quasi una menzogna. Dopotutto, però, perché mentire su una propria debolezza; se così fosse avrebbe riferito il contrario, apparendo così la solita ragazza forte e sprezzante riguardo qualsiasi cosa le si parasse davanti. In quel momento, però, in quei grandi occhi verdi, pareva esserci ben poco spazio per il coraggio e l’astuzia.
Senza aggiungere nulla, Emma si voltò, sfilando il cellulare che, fino a quel momento, aveva tenuto nella tasca posteriore dei pantaloni.
-Emma…sto arrivando. Va tutto bene?- la voce gentile e rassicurante del padre rispose dopo solo due squilli.
“Ciao papà…si certo. Lì è tutto a posto?” si assicurò la figlia, cercando di non allarmare il genitore.
-Non saprei…sta succedendo qualcosa di strano…”
“…Che cosa succede?!” chiese Emma, decisamente più in allerta rispetto a poco prima.
-…ho fatto un breve giro della città per capire da dove provenisse questa puzza di bruciato…-
“L’hai…l’hai sentita anche tu?” gli chiese, insospettita da quella strana circostanza.
-Oh sì! Ha appestato tutto nel giro di chilometri…-
“Sta bruciando qualcosa?” chiese sospettosa Emma, lanciando uno sguardo verso la cella.
-No…è questa la cosa strana- esclamò nervoso, lasciando cadere un breve silenzio tra loro “…Faccio un giro verso il Troll Bridge e poi ti raggiungo…-
“O..ok. ti aspetto qui!”
Velocemente Emma chiuse la telefonata, stringendo con più forza l’apparecchio sulla mano destra.
Stava succedendo qualcosa, e lo sguardo di quella ragazza ne era la prova.
“Allora?” chiese ansiosa Jean, aggrappandosi alle sbarre, come a voler limitare, per la prima volta, la distanza con la sua carceriera.
“Puzza ovunque…ma tranquilla non ci sono incendi!”
Le ultime parole, però, invece di rasserenare la giovane, fecero dilatare lo sguardo verde di quest’ultima, la cui bocca finì per formare una O carica di ansia e paura.
Spavento, terrore, panico.
Sembrava non esserci termine abbastanza adatto per descrivere l’improvviso pallore dipinto su quel volto giovane e preoccupato.
“No…” disse Jean in un soffio, arretrando di un passo e lasciando la presa dalle sbarre, quasi fuse poco prima dalla stessa Swan.
“Ehi non agitarti…è solo puzza di bruciato…ti ho assicurato che non ci sono incendi…” esclamò Emma, non riuscendo a non scorgere l’ironia della sorte nel trovarsi a tranquillizzare la persona che, fino a poco prima, avrebbe volentieri messo KO come aveva fatto con Marion nella Foresta incantata.
“…te ne devi andare…” sussurrò la castana, il cui fiato sembrava essersi fatto ancora più accelerato e privo di controllo.
“Che cosa?”
“Devi andare via…” continuò Jean, posando lo sguardo sulla figura di Emma, ma continuando a dare la sensazione di guardare oltre, come in preda ad un’allucinazione ad occhi aperti.
“Non vado da nessuna parte. Spiegami che sta succedendo…” esclamò Emma, avvicinandosi ulteriormente alla cella.
Che stesse succedendo qualcosa di brutto sarebbe risultato chiaro a chiunque, ma qualcosa le diceva che il terrore in quegli occhi verdi andava ben al di là di qualsiasi cosa si potesse immaginare.
Jean era terrorizzata, terrorizzata oltre ogni dire. Gli occhi arrossati, le mani tremanti, il respiro affannoso.
In quel momento era così simile alla bambina del suo sogno, da spazzare via ogni piccolo dubbio avuto in proposito.
“È già qui..”
“Chi? Di chi parli?” continuò a chiedere la Salvatrice, la cui mente cominciò ad elaborare una serie di informazioni ad una velocità invidiabile “….ti riferisci alla donna col cappuccio? A quella che mi hai fatto veder nel sogno?”
Jean, per quanto possibile, sbarrò nuovamente lo sguardo, ritrovando un apparente controllo del suo corpo e fissando la Salvatrice con tanta intensità da riuscire quasi ad attraversarla.
“C…come fai a sapere di lei?” chiese, sempre più scioccata.
“Sei stata tu a farmela vedere…”
“Io?...”
“Sì…non fingere di non sapere di cosa sto parlando. Mi hai tormentata fino a…fino a poco fa probabilmente, entrando nei miei sogni…”
“io…io non ho fatto niente!” esclamò sbalordita, avvicinandosi a sua volta alle sbarre e ritrovandosi vicina, come non mai dal suo arrivo, al corpo di Emma “..hai…hai visto me…? Sai chi sono?”
Una voce carica di emozioni: desiderio, dolore, aspettativa.
Perché quelle parole la colpivano dirette al cuore?
Eeeeeeva
Un improvviso sibilo interruppe il litigio fra le due donne, portando entrambe ad allontanarsi dalle sbarre impregniate di magia e volgendo, in concomitanza, lo sguardo verso la vetrata accanto a loro.
Una voce sinistra e agghiacciante si inoltrò nella stanza, finendo per perdersi tra il suono inquietante del silenzio. Le due donne rimasero immobili, ognuna in attesa di udire nuovamente quel richiamo tanto sottile quanto oscuro.
Emma posò per un attimo lo sguardo sulla prigioniera, sollevata di non essere l’unica ad aver udito quella voce sinistra.
Lentamente, senza dire una parola, la giovane Swan volse nuovamente lo sguardo verso destra, dando cenno di volersi avvicinare alla finestra; doveva capire cosa stava succedendo e sperare che quella voce non fosse realmente il frutto dell’ennesima allucinazione.
Dopo un solo passo, però, il tentativo di Emma venne bloccato sul nascere.
“Nooo…”
Con voce disperata, Jean mosse velocemente il braccio verso destra, facendo librare la Salvatrice diversi metri lontana dalla finestra verso cui era diretta, sbattendo così la schiena sulla parete vicina al televisore.
Non riuscendo a credere a quanto era appena accaduto, Emma si alzò a fatica, puntando lo sguardo furente e incredulo verso la prigioniera.
“mi…mi dispiace…davvero, ma devi andartene…ti prego!”
La voce della ragazza, fin dal suo arrivo a Storybrooke sempre carica di ironia e sarcasmo, ora appariva piena di paura, la paura che solo una ragazzina della sua età poteva ostentare con tanta naturalezza. In quel momento, per la prima volta, Jean pareva davvero la ragazzina inerme e spaventata che si era finta di essere.
“C…come hai fatto…!” si ritrovò a chiedere Emma, rimanendo immobile e preferendo non avvicinarsi di un solo passo alla cella “…dovresti essere bloccata dalla magia!”
“…Io…non lo so. Ma devi andartene…non puoi restare qui…”
“Non posso andare via…Dimmi che sta succedendo…” continuò a chiederle la giovane Swan, stringendo con forza le mani rosee.
La ragazza rimase in silenzio, abbassando lievemente il capo, come alla ricerca di un’idea, di un appiglio su cui aggrapparsi in un momento come quello.
Dopo solo alcuni istanti, lunghi quanto delle ore, Jean alzò di scatto lo sguardo, puntandolo nuovamente in direzione di Emma, rimasta ferma nella sua posizione, con entrambe le mani sollevate, pronte a lasciar defluire la potente magia di cui erano le mediatrici.
“Tieni…” esclamò, facendo comparire un insolito scrigno di legno, privo di alcun ricamo o segno di riconoscimento “…è il cuore di Henry…è quello che volevi no? Prendilo…è tuo…”
Emma rimase interdetta, per l’ennesima volta in quella serata.
Le stava davvero dando il cuore di suo figlio? Il cuore che tanto aveva nascosto pur di ottenere la sua magia?  Senza attendere alcun ripensamento da parte della ragazza, la giovane dai capelli biondi raggiunse a passo spedito la cella di Jean, afferrando a due mani lo scrigno che improvvisamente aveva fatto comparire davanti a sé.
“Chi…chi mi assicura che…”
“Guardalo…” le consigliò la giovane con fare agitato, i cui occhi si facevano via via più lucidi e spaventati “…riconoscerai sempre il cuore di tuo figlio…”
Con il cuore in gola, Emma alzò il coperchio del cofanetto e, nel vedere quel cuore rosso con riflessi dorati, il suo animo fu invaso da un improvviso senso di pace e serenità. Aveva il cuore di Henry, era lì, tra le sue mani.
“Ti prego…ora va!” le ordinò Jean, spostando in continuazione lo sguardo da Emma alla finestra alla sua sinistra.
“Perché lo hai fatto?...” non riuscì a fare a meno di chiederle, stringendo al petto l’oggetto in legno”…Chi sta arrivando? Posso aiutarti…”
“No…devi solo andare via. Non puoi fare niente per me” continuò a ripetere, sempre più ansiosa, sempre più agitata.
“Se sta arrivando qualcuno io po…”
“NOOOO…VA VIA!”
L’urlo, carico di disperazione, interruppe a metà la frase di Emma, la quale, senza quasi rendersene conto, si ritrovò avvolta da improvvisa nuvola di magia blu che, una volta dissolta, non lasciò nulla che confermasse la presenza della Salvatrice in quella stanza.
Emettendo un lieve sospiro, Jean si lasciò cadere a terra, non curandosi minimamente dei capelli, ormai pieni di nodi, che ribelli le finivano davanti al volto rigato dalle lacrime.
“ti prego…ti prego…aiutami…non so cosa devo fare…” sussurrò tra sé e sé con voce incrinata, nascondendo la testa tra le ginocchia e stringendola con entrambe le mani, come a voler divenire piccola e invisibile a chiunque.
Aveva paura.
L’emozione che per tutto quel tempo aveva così ben celato a chiunque la guardasse, compresa se stessa, ora l’aveva invasa totalmente, lasciando campo libero alle lacrime salate provenienti dai suoi occhi.
Aveva perso troppo tempo. Non era stata abbastanza veloce. E ora? Cosa avrebbe dovuto fare?
Eeevaaaa…
Un improvviso sibilo tanto inumano quando terrificante, fece alzare di scatto il volto in lacrime della ragazza.
Di nuovo quella voce.
Era qui.
Era arrivata.
La Strega era a Storybrooke.
 
 
 
 
 
Allora prima di iniziare con i miei soliti vaneggiamenti una precisazione riguardante un appunto nel corso della storia:
 
 * Scusatemi, so di non essere stata molto chiara nella descrizione di questo pezzo. L’ho scritto e riscritto un miliardo di volte, tanto che ero perfino tentata di toglierlo….ma non ce l’ho fatta. Non so voi, ma io amo i parallelismi e i vari dettagli che Adam ed Eddy lasciano in molte puntate, l’ho amati fin dal primo episodio…e le bambole di cui parlo si riferiscono proprio a questo. Nell’episodio pilota (mi pare…) si intravedono due bambole appese alla colonna della cameretta di Emma: un marinaio e un cavaliere in armatura. Ovviamente, da fedele Captain Swan quale sono, non ho resistito nell’accettare la teoria che vede i pupazzi come un collegamento con Hook: il marinaio quand’è tenente nel “Gioiello del Re” insieme a suo fratello; il cavaliere quando indossa l’armatura per derubare dei nobili insieme a spugna durante la terza serie.
Ok…so che non centra molto con la storia ma ci tenevo a dirlo e ad inserirlo…portate pazienza :)
 
 
Ok, dopo aver chiarito questo punto…Eccoci qui!!!!
Non so davvero come iniziare…mi lasciate sempre senza parole. Vi ringrazio…davvero tanto e con tutto il cuore per le splendide parole che mi lasciate ad ogni capitolo. Sappiate che siete davvero la mia ispirazione principale. Rileggo talmente tante volte i vostri commenti che ho la sensazione di saperli a memoria :P
Quindi grazie…sia a voi che commentate sempre dandomi la forza di scrivere sia a chi legge e ha messo la storia in una delle categorie. Non so come dirvi quanto sia ­felice *_*
So bene di avere ancora molto da imparare e in questo capitolo mi rendo conto ci siano più cose che mettano in risalto la cosa.
Questa volta, infatti, ho aggiornato con un po’ di ritardo…e mi scuso davvero; ma è stato un capitolo davvero tosto…ogni volta che lo rileggevo c’era qualcosa che non mi convinceva…così cancellavo e riscrivevo; vi dirò, neanche adesso mi convince al cento per cento…ma volevo pubblicare prima di Pasqua per farvi anch’io un piccolo regalo…a modo mio :)
Bene….spero di avervi detto qualcosa in più riguardo a Jean (?)…so che è pochetto ma vi assicuro che il prossimo capitolo sarà particolarmente….acceso!!!!!
Buona Pasqua a tutti…spero festeggiate alla grande…con tanto cioccolato…e cannella ♥
Un grosso abbraccio
Erin
 
 
PS: Mi rendo conto di aver utilizzato qualche riferimento agli ultimi episodi (Es. 4x16…o 4x15 non si capisce più bene la numerazione delle puntate)…non dico cosa altrimenti non vorrei anticipare troppo a chi non vede gli episodi in lingua originale. Cmq chi le ha viste avrà sicuramente capito :)
 
 
 
 
 
   
 
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