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Autore: Irina_89    21/12/2008    2 recensioni
Cosa provo?
Come mi sento?
Non sapevo rispondere a queste domande. Dovevo avere una minima idea di come stavo. Dopo tutto ciò che era successo…! Ripensarci mi provocò una serie di brividi lungo la schiena. Brividi di paura. Di dolore. Non ero così forte da rivivere il passato.
Erano trascorsi due anni, eppure tutto era ancora vivido nella mia mente, come se mai quei momenti fossero realmente passati.
Per un attimo mi fermai a pensare. Erano davvero passati due anni?
Poi tirai fuori dalla tasca dei miei pantaloni il cellulare e guardai il calendario. Sì, erano passati proprio due anni.
Sorrisi malinconica. Era strano come il tempo fosse passato senza però lasciare che i ricordi si affievolissero. Senza che i ricordi si disperdessero. Senza che i ricordi mi abbandonassero.
***
Ps: ho modificato lo stile con cui avevo portato avanti i capitoli precedentemente pubblicati, portandoli tutti dalla prima alla terza persona.
Genere: Generale, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Like The Smoke I Breath

Like The Smoke I Breath

 

"Alcuni dicono che il tempo sana tutte le ferite. Io non sono d'accordo. Le ferite rimangono. Col tempo, la mente, per proteggere se stessa, le cicatrizza, e il dolore diminuisce, ma non se ne vanno mai."

Rose Kennedy

 

 

Cosa provo?

Come mi sento?

Non sapeva rispondere a queste domande. Doveva avere almeno una minima idea di come stava. Dopo tutto ciò che era successo…! Ripensarci le provocò una serie di brividi lungo la schiena. Brividi di paura. Di dolore.

Non era così forte da poter rivivere il passato.

Erano trascorsi due anni, eppure tutto era ancora vivido nella sua mente, intrappolati nel tempo, come se mai quei momenti fossero realmente passati.

Per un attimo si fermò a pensare. Erano davvero passati due anni?

Tirò, quindi, fuori dalla tasca dei suoi pantaloni larghi, il cellulare e guardò il calendario.

Sì, erano passati proprio due anni.

Sorrise malinconica. Era strano come il tempo fosse passato senza per lasciare che i ricordi si affievolissero. Senza che i ricordi si disperdessero. Senza che i ricordi l’abbandonassero.

Sospirò e guardò il cielo cupo sopra di sé.

Erano passati due anni, ma niente sembrava cambiato. Nemmeno il tempo. Era quasi buffo.

Anche quel giorno il cielo sembrava mettersi a piangere da un momento all’altro. Sopra di loro. E lo fece. La pioggia non tardò ad arrivare. Ricordò come le piccole gocce li circondarono, danzando nel soffio del vento che le accompagnava. Non era una pioggia violenta. Era triste. Anche il cielo pareva soffrire quanto soffriva lei.

La perdita di quel momento fu enorme. Immensa. Forse, non esisteva un termine per definire tale grandezza. Lui contava troppo per lei. Era tutto. E ora non c’era più.

Solo chi aveva mai amato quanto lei, avrebbe potuto capire ciò che stava provando in quel preciso momento. Il momento in cui tutto finisce. Il momento della perdita. Una perdita violenta. Quegli eventi tutt’ora erano confusi, ma allo stesso tempo nitidi. Accadde tutto troppo velocemente.

Le avevano chiesto perdono. No. Il perdono era troppo. Non poteva perdonare. Tentava, ma non ci riusciva. Dentro di sé, la strada per perdonare totalmente era ancora nascosta da una siepe di spine invalicabile.

Cose come queste, non possono essere perdonate.

Infilò una mano nella tasca del suo giacchetto, troppo grande per la corporatura della ragazza, ed afferrai il pacchetto delle sigarette. Ne prese una e l’accese. Aspirò e poi soffiò. Osservò il fumo che lentamente lasciava le sue labbra per disperdersi nel vento di quella sera. Avrebbe voluto che anche i suoi ricordi si disperdessero allo stesso modo…

Ma neanche il fumo mi l’aiutava. Al massimo poteva offuscarle un po’ le idee, ma non poteva di certo farla dimenticare.

Ma dopotutto, come poteva dimenticare tutte le parole che si erano detti? Come poteva dimenticare tutto ciò che c’era stato tra loro? Come poteva dimenticarsi di loro? Come poteva dimenticarsi si lui?

Soffiò un’altra boccata di fumo. Le era sempre piaciuto il modo in cui si espandeva nell’aria. Sembrava non avere più limiti.

Forse era davvero così.

Sperò per un momento che quel fumo arrivasse a lui e che quasi potessi riprovare la nauseante sensazione di quando lui le soffiava quello stesso fumo sul viso.

Non le era mai piaciuto l’odore ed il sapore, eppure aveva iniziato a fumare. Forse più per imitazione di lui, che per propria volontà. Eppure iniziò.

La quantità di nicotina dentro di sé non era molto elevata, ma ce n’era abbastanza per riuscire ad impedire alla sua mente di tornare sempre sugli spiacevoli ricordi che la perseguitavano come una maledizione. O così lei voleva pensare.

Aveva persino smesso per ovvie e necessarie ragioni, ma non riusciva a non concedersi una sigaretta ogni tanto per provare inutilmente a dimenticare.

Forse, per dimenticare, aveva bisogno di qualcosa di più forte, rideva tra sé.

Ma voleva davvero dimenticare? Anche se non avesse più ricordato, ci sarebbe sempre stata lei a riportarle alla mente ogni momento passato con lui.

Un ultimo tiro e un ultimo filo di fumo dalle sue labbra.

Lasciò cadere il mozzicone a terra e lo pestò con la punta del piede per spengerlo definitivamente. Poi si ricoprì il viso con la calda sciarpa di lana, decisamente adatta e indispensabile per il clima invernale che avvolgeva la città.

Guardò per l’ultima volta il sole tra le nuvole grigie che stava tramontando oltre gli alberi di quel viale che li aveva accompagnati così tante volte nelle loro passeggiate, e si voltò.

Sprofondò nel suo grande giacchetto ed infilò le mani coperte da grossi guanti in tasca.

Rise di nuovo tra sé e sé. Non poteva proprio pensare di dimenticare, se continuava ad indossare i suoi indumenti.

Camminò lungo quel viale, tenendo gli occhi fissi sulla propria ombra che si faceva sempre più lunga.

No. Non avrebbe mai dimenticato.

Non avrebbe mai voluto dimenticare.

Avrebbe per sempre ricordato.

 

***

 

Anche quel giorno era in ritardo. Ormai era diventata una sua caratteristica. Non riusciva più ad essere puntuale – non che lo fosse mai stata.

Guardò per l’ennesima volta l’orologio che teneva al polso, mentre correva disperatamente contro il tempo.

Si era alzata troppo tardi per permettersi di fare tutto con calma. La campanella della scuola sarebbe suonata tra esattamente cinque minuti e lei doveva ancora percorrere un tratto di strada che in media ne prendeva dieci. Non aveva altra soluzione che quella di sfarsi le gambe nella corsa.

Accidenti a quando ho lasciato il motorino a scuola! Tempo di merda!

Aveva già finito tutti i permessi di ritardo. Non poteva sforare anche questa mattina!

Di certo le sue scarpe larghe non l’aiutavano granché. Strusciava comicamente i piedi per evitare di seminarle per la strada e ovviamente le piante dei piedi le facevano male per l’assurdo modo di correre.

Annaspava per cercare di respirare sotto tutto il peso della tracolla con libri e quaderni. Quel giorno le sarebbe toccata una giornata proprio leggera. Così leggera che la sua cartella pesava più di lei.

Attraversò la strada, rischiando di porre fine alla sua vita alla misera età di diciott’anni e il guidatore non mancò di farglielo presente, abbassando il finestrino per urlarle contro le peggio imprecazioni, mentre suonava il clacson come un ossesso.

Come se non sapessi il pericolo appena corso…

E finalmente, la scuola.

Eccolo. Quell’edificio che vedeva quasi più di casa sua. Quell’edificio che ispirava in lei una sensazione di riluttanza non quantificabile. A parte il piccolo dettaglio della struttura decadente con cui era stato costruito, anche il personale faceva la sua parte. I bidelli erano sempre troppo impegnati a parlare per adempiere ai loro doveri e gli insegnanti si reputavano troppo capaci e superiori per una generazione come la loro. Inutile insegnare loro qualcosa che non capirebbero, si leggeva nei loro sguardi.

E certo, siccome non sappiamo, non abbiamo diritto a sapere! Che bei ragionamenti… e meno male che loro erano gli adulti!

Corse per gli ultimissimi minuti a sua disposizione e ci mancò davvero poco perché scivolasse nell’atrio. Riprese l’equilibrio a stento e con esso la corsa verso la classe, che indubbiamente era l’ultima del corridoio più lungo potesse esserci là dentro.

Aprì la porta, già chiusa.

“Scusate il ritardo!” urlò, cercando di riprendere fiato contemporaneamente.

“Signorina Fincher, per un attimo ho pensato fosse Orsini.” Commentò la persona che più di tutte odiava laggiù. La professoressa di storia. Quella strega avrebbe persino preferito veder arrivare un alunno mai visto, piuttosto che lei. Non era ben chiaro come il loro rapporto fosse arrivato a tali estremi, ma la situazione attuale vedeva reciproche frecciatine e battute sarcastiche.

Vorrei ricordarle, professoressa, che la scuola è già iniziata e lui non si è mai fatto vedere. Credo che dovrebbe entrare nell’ottica che non verrà mai, forse proprio perché ha saputo della sua presenza, cara prof… Pensò, ma non poteva dire certe cose in sua presenza. Certo, ne avrebbe avuto decisamente molta voglia, ma capiva bene che aveva il coltello dalla parte della lama.

“Ad ogni modo,” riprese la professoressa. “Che ne direbbe di svegliarsi un po’ prima la mattina? In alternativa ci sarebbe l’andare a letto prima del sorgere del sole.” Dalla classe si levarono risatine ironiche e soddisfatte. Altro motivo che incrementava il suo odio per la scuola.

“Ha ragione, scusi. Proverò a fare come ha detto.” Incassare. Alla fine, sempre incassare. Incassare, dare ragione e incassare.

Vaffanculo!

Si trascinò stancamente fino al suo banco e buttò rumorosamente la tracolla a terra, fingendo di non sentire le battute dei suoi compagni riferite indubbiamente a lei. La sua voglia più grande in quel momento sarebbe stata di mettere le mani intorno al collo di tutti i presenti – una sola esclusa –, ma questo rimaneva solo una fantasia.

Si sedette, poi, scomposta sulla sedia ed iniziò a dondolarsi, che ad ogni movimento cigolava sovrastando tutto. Sorrise soddisfatta.

In risposta al suo gesto, quella donna mormorò qualcosa che non capì, ma che la ragazza interpretò più che adeguatamente.

E la campanella di inizio lezione suonò. Bè, se non altro non era in ritardo, anche se ancora non capiva come ci fosse riuscita.

“Prendete il libro.” Ordinò la vecchia decrepita da oltre la cattedra.

La ragazza sbuffò, si mise con tutte e quattro le gambe della sedia per terra e prese il libro di storia.

“Mad,” La chiamò una voce. Lei si voltò verso l’unica ragazza che ancora le rivolgeva la parola, visto che nella sua classe si era fatta una certa reputazione.

Meno male che è l’ultimo anno…

“Ehi, Sara.” Sussurrò, salutandola con un cenno della testa. La ragazza bionda sorrise divertita, nascondendosi la bocca con una mano.

Si capirono immediatamente. Secondo Sara, i dialoghi tra lei e i professori – quella di storia in primis – erano esilaranti. Più volte, le aveva ripetuto di quanto fosse invidiosa del suo carattere e più volte Mad le aveva risposto che doveva essere pazza per volere un carattere impossibile come il suo.

Alla fine, anche Mad cercò di concentrarsi sulle frasi che la strega leggeva dal libro, ma nemmeno più di tanto. In poco tempo si ritrovò a scarabocchiare sul suo quaderno senza più prestare la minima attenzione alle sue parole. Tanto che cambiava? A casa non avrebbe dovuto far altro che rileggere ciò che lei aveva letto in classe.

Sospirò. Un anno scolastico prevedeva nove mesi di scuola. Ne erano già passati due. Ancora sette.

E chi ci arrivava a giugno?

 

***

 

“Ehi, Mad,” la chiamò Sara, uscendo velocemente dalla classe per raggiungere la ragazza, che già si stava affrettando per andarsene.

“Sì?” si fermò l’altra ad aspettarla.

“Oggi si esce?” chiese, sistemandosi meglio lo zaino in spalla.

Mad ci pensò un momento, cercando di ricordare se aveva qualcosa di importante da fare. Ma visto che non aveva mai qualcosa di importante da fare, la risposta non si fece attendere.

“Dove vuoi andare?”

“Al parco?” propose Sara, alzando le spalle, timidamente.  

Mad rise: più timida di lei ne aveva viste poche. Arrossiva per ogni cosa. Ancora doveva capire cosa ci stesse a fare, Sara, con una come lei, che di certo era tutto, tranne che timida.

“Per me va bene.” E si incamminarono verso l’uscita.

Fortuna che una giornata di scuola non è eterna.

“Ma che c’è di bello nel parco, scusa? Vuoi sempre andare lì.” Sospirò Mad, fingendosi rassegnata.

“Come se tu non me l’avessi mai chiesto…” commentò Sara ironica.

Infatti, sapeva benissimo perché volesse andare al parco. Là c’era la pista da skate. E oltre alla pista da skate, c’era un certo ragazzo.

“Dai, scherzo!” ridacchiò la mora, dandole una patta sulla spalla.

“Allora ci troviamo là?” sorrise l’amica.

“No, io direi di andare prima fino in cima al monte e poi riscendere, passando dalla città più vicina.”

“Era triste come battuta.” La riprese Sara. “Bastava un semplice .”

“Ma avrei sprecato un’opportunità per dare aria alla bocca.” Sì lamentò l’altra.

“Non sia mai!” commentò la bionda, avvolgendosi la sciarpa di lana rosa intorno al collo. Mad fece altrettanto con la sua. Poi la guardò. Anche oggi, Sara non si smentiva: jeans stretti, stivali elaborati finemente con fiocchi e nastri – con moderatezza riguardo la quantità –, giacchetto di velluto nero e un cappellino di lana bianco panna.

Poi osservò se stessa. Pantaloni larghi, scarpe altrettanto larghe, un giacchetto che non avrebbe saputo come definire se non largo, sciarpa di lana nera – regalo di suo fratello – e una tracolla tenuta più lunga possibile.

Sara capì il suo ragionamento e imitò i suoi gesti, per poi ridere.

“Già, siamo decisamente opposte.”

“Eh già…” sospirò. “Chissà che problema abbiamo per riuscire ad andare d’accordo.”

“Ehi! Io non sono pazza quanto te!”

“Non ne sarei certa.” La stuzzicò Mad, alludendo a qualche sera fa, quando uscirono e Sara si ubriacò così tanto che ancora non ricordava niente di ciò che aveva fatto. Ovviamente, la mora aveva una memoria di ferro.

“Ma io ero ubriaca! Tu sei pazza anche da sobria!”

“Bè, il nome dice tutto.”

Mad è il diminutivo di Madison. E Madison non vuol dire pazza.”

“Ma Mad sì. E poi lo sai: genio e follia…!”

“Sì, l’accoppiata vincente…” fece Sara vagamente, mentre senza guardarsi intorno superavano il solito cancello che delimitava i confini della scuola.

“Vai alla fermata del pullman anche oggi?” domandò Mad, afferrando il suo mazzo di chiavi.

“Sì, mio padre non può accompagnarmi in questo periodo.”

“Capisco. Bè, quando vuoi un passaggio dimmelo, che prendo un casco anche per te.”

“Ok, grazie.” Poi guardò l’orologio, mentre l’amica si allacciava il casco e accendeva il suo adorato motorino. “Cazzo!”

“Boujour finesse!” esclamò l’altra, ridendo.

“No, è tardi! Ora perdo il pullman!”

Mad sbuffò, roteando gli occhi. “Perché va sempre a finire così?”

Sara si mise una ciocca dei suoi setosi capelli biondi dietro l’orecchio e sorrise imbarazzata. “Scusa.”

“Ma figurati!” e salì sul motorino, girandolo per partire. “Dai, Sali. Però tieniti forte.”

Subito, lei montò dietro e la ragazza partì. Superò le macchine ferme a causa dell’ingorgo che si era creato e si fermò in prossimità della fermata dell’autobus. Fece scendere Sara e la salutò con un cenno della mano.

“Ricordati oggi alle quatto al parco!” le urlò Sara, mentre la motociclista ripartiva.

Lei annuì e si immerse nel traffico.

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[04.04.09] ATTENZIONE: Ho sostituito i capitoli in prima persona pubblicati qualche tempo fa, con gli stessi narrati in terza. Questo cambiamento è dovuto al fatto che continuando a scrivere mi tornava sempre peggio portare avanti le due storie in parallelo che mi ero riproposta: quella di Mad e quella di Sara, visto che a mia disposizione c'era solo il punto di vista di Madison. In questo modo, invece, ho la possibilità di far parlare in una pseudo-prima-persona anche la biondina della storia - cosa secondo me molto particolare, visto che i suoi pensieri sono l'esatto opposto di quelli di Mad. Consiglierei di rileggere i capitoli - sempre che ne abbiate voglia e tempo - perché ho aggiunto delle piccole modifiche, non molto rilevanti, ma che comunque fanno parte della storia.

(Le note dell'autrice non sono state modificate.)

Bene, ora che ho chiarito, vi lascio alla lettura!^^

***

Ok, lo so. Ne ho iniziate già molte, di storie, e sembra che non ne stia portando a termine nessuna. Purtroppo gli avvenimenti di questo ultimo periodo mi hanno un po' scombussolata, facendomi dare vita a questa storia ancora in via di sviluppo.

Chissà se riuscirò a mantenere un costante aggiornamento di Like The Smoke I Breath... Bè, lo spero.

Intanto vi ringrazio per aver letto questo misero primo capitolo. Per chi non l'avesse capito, la prima parte è una sorta di prologo. Per il resto del capitolo è un ritorno a due anni prima. Spero vi piaccia come storia. Ho in mente molte idee, incrocio le dita nella speranza di portarle a termine! (Fate altrettanto voi!^^)

Un bacio.

Ps: lasciate pure dei commentini...

Irina

  
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