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Autore: looking_for_Alaska    05/04/2015    2 recensioni
Nella piccola cittadina di Thorn City, Canada, si trovava una vecchia casa abbandonata. Dentro di essa viveva un fantasma assetato di sangue che uccideva chiunque ci metteva piede.
E poi c'era William, un ragazzo uguale a tutti gli altri, tranne per il fatto che era un "liberatore di fantasmi"; ovvero, li conduceva alla luce, salvandoli. Però a condurlo da Amelia dagli occhi dolenti sarà il segreto che lei custodiva da tempo e che in qualche modo li legava.
Ma le domande sono tante. Come è morta Amelia, e chi l'ha uccisa?
Cosa collega un fantasma morto da più di duecento anni ad un ragazzo adolescente? E soprattutto, qual è il segreto per cui Amelia ha ucciso e continua a uccidere?
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con
Capitoli:
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Will entrò in casa mia come un tornado; ci mancò poco che scardinasse la porta. << Amelia! >> urlò a gran voce. << Amelia! >>. Apparvi davanti a lui, con un sopracciglio alzato. << Cosa c'é? Perché urli così? >> gli domandai. Ma era così agitato che non sembrò nemmeno notare la mia presenza. << Devi nasconderti, la AUF sarà... Dio, Amelia, è un casino... Devi nasconderti, io... >>. Camminava avanti e indietro con la faccia tra le mani. Piombai davanti a lui, che sobbalzò. << Vuoi spiegarmi cosa diavolo é successo? >> esclamai. Inspirò e parlò tutto d'un fiato. Alla fine del discorso, mi sentii vagamente male. Non so bene come descriverlo, ma da quello che mi disse Will in seguito, scomparivo e apparivo ad intermittenza. << Vogliono uccidermi? >>. Will annuì, preoccupato. Poi mi prese una mano. Ma ero arrabbiata. Era colpa sua se sarebbero arrivati, se mi avrebbero uccisa. Era stato lui a parlarne con i suoi odiosi amici. Mi trasformai e lo vidi ritrarre la mano di scatto. Ma certo, Amelia era brava e carina solo quando faceva comodo. Poi era il solito mostro. << È colpa tua! >> ruggii, e presi la prima cosa che mi capitava in mano e gliela lanciai contro. Si infranse al suolo. Arretrò spaventato dalla mia reazione, ma poi si fece avanti urlando : << Amy, sono qua per aiutarti! Te lo giuro, non li ho attirati qua apposta; e farò qualsiasi cosa per difenderti, credimi... >>. In un attimo, tornai normale. Mi resi conto però che il sangue mi rigava ancora le guance. << Ti credo! >> urlai istericamente. << Il problema é che ti credo! >>. Corsi su per le scale e non mi voltai fino a che non raggiunsi la mia camera. Entrai e sbattei forte la porta. Mi raggomitolai per terra e piansi. Gridai di rabbia. Mi disperai. So solo che ad un certo punto, non so come, mi ritrovai cullata dalle braccia di Will. Mi baciò i capelli, stringendomi fortissimo. << Non ti succederà nulla, stai tranquilla. Ti proteggerò anche a costo della mia vita >>. Quelle parole bloccarono il mio pianto e mi fecero alzare la testa. Incrociai i suoi occhi blu, seri e bellissimi, e per la prima volta provai un sentimento strano, che mi fece sentire le farfalle nello stomaco e mi fece girare la testa. Non capii di cosa si trattava. Non avevo mai provato nulla di simile prima. Will lentamente mi lasciò andare. Mi alzai, imbarazzata. Non era concepibile che finissi per piangere come una bambina tutte le volte. Dovevo iniziare a darmi un tono. Drizzai la schiena. Gli sorrisi. << Grazie. Ma ora, se non ti dispiace, vorrei che te ne andassi >>. La mia risolutezza stupì sia lui che me. Un'ombra di delusione passò nel suo sguardo. Abbassò la testa e annuì. << Scusami, Amelia. Non avrei mai voluto che succedesse una cosa simile >> sussurrò. Ma qualcos'altro catturò la mia attenzione. Un odore nuovo, che non avevo mai sentito prima. Odore di morte. Sapevo che gli altri lo percepivano quando li uccidevo, ma non l'avevo mai sentito io. E poi, una porta che sbatteva al piano di sotto. Passi. Una voce maschile che pronunciava il mio nome. Guardai Will in preda al panico. Erano arrivati quelli della AUF. In un momento, mi vennero in mente tutti i dettagli. Sapevo che Jacko Blake era della AUF. E mi ricordavo chiaramente che un giorno di circa quindici anni prima aveva portato da me una bambina, proclamandola sua figlia, chiedendomi di ucciderla. Quando lo avevo fatto, ella non era morta, ma si era risvegliata dal suo stesso sangue, piangendo. Jacko aveva riso e mi aveva detto che quella sarebbe stata l'unica in grado di salvarmi quando un giorno sarei stata in pericolo. Non sapevo cosa intendesse. Ma ora sì. Deglutii. << Devi trovare tua sorella >> lo informai di fretta. << Si chiama Amethyst. So per certo che tu non sapevi di avere una sorella fino a mezzo secondo fa, ma lei è l'unica in grado di salvarmi >>. Will mi lanciò uno sguardo scombussolato. << Sorella? >>. Sbuffai. Non c'era tempo. << Tuo padre era venuta qua quindici anni fa con una bambina in braccio, chiedendomi di ammazzarla. Dopo che lo ebbi fatto, la bambina si risvegliò. Tuo padre mi disse che un giorno Amethyst sarebbe stata la mia unica speranza >>. E sapevo che quel giorno era arrivato. Respirai. << Ti prego, Will >>. Sentii dei passi sulle scale. Stava salendo. << Lo farò. Ma adesso... >> disse. Mi trasformai. << A lui ci penso io. Riesco ad ammazzarlo, se é da solo. Tu scappa >> tirai un vaso contro la finestra, rompendola. Will iniziò a correre, ma poi indeciso, si voltò a guardarmi. << Vai! >> gridai. Tornò indietro, e fece una cosa che non mi sarei mai aspettata. Premette le labbra contro le mie. Durò meno di un secondo. Poi Will saltò dalla finestra e la porta si spalancò. L'uomo che si presentò davanti a me era in divisa militare, con un pugnale nero nella mano destra e un libro vecchissimo nell'altra. Mi gettai su di lui, ma senza paura, egli iniziò a parlare. Anzi, era più un canto, una litania. Sentii i muscoli bloccarsi e caddi a terra, urlando dal dolore. Ma non potevo farmi uccidere così. Non riuscivo a muovermi, ma con un grande fatica afferrai un pezzo di vetro vicino a me. Gemendo di dolore, glielo piantai nel piede. Il sangue zampillò, bagnandomi il viso. L'uomo gridò dal dolore, interrompendo il canto. Colsi l'occasione al volo. Mi drizzai, e gli graffiai l'addome con gli artigli. Lo presi di striscio, ma il sangue colò sul pavimento. Lui arretrò e cadde. Mi avvicinai a lui e con un artiglio gli penetrai la gola, squarciandogliela. Il pavimento si dipinse di rosso, e ormai sembrava che non ci fosse un solo punto del suo corpo che non sanguinasse. Lo pugnalai con le mie unghie e chinandomi, gli morsi il braccio, strappandogli la carne molle e puzzolente. L'ultimo gorgoglio si spense. Sputai per terra e mi rialzai a fatica. Vidi per terra il libro che doveva essergli caduto di mano. Mi chinai per prenderlo. Ma un urlo di dolore mi sfuggì dalla bocca quando sentii la mia gamba lacerarsi. L'uomo mi aveva pugnalato. Vidi la lama. Era nera. Era il pugnale nero che serviva a mandarci all'inferno. Lo estrassi con un sibilo dalla mia carne e quello, cadendo sul pavimento, tintinnò. Poi tutto divenne buio.
   
 
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